WORLD EXCELLENCE FINANZA, ASSICURAZIONI E IMPRESE NELLA SFIDA GLOBALE
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8 NOVEMBRE 2016
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APRITEVI AL MERCATO GLOBALE È l’invito alle piccole e medie imprese italiane di Massimo Zanetti, presidente di Segafredo. Un gruppo che ha puntato sull’internazionalizzazione già 30 anni fa. Ma servirebbe anche l’elaborazione di un piano-Paese. E ...
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Massimo Zanetti
ASSET MANAGEMENT
ASSET MANAGEMENT WORLD EXCELLENCE N°8
ORA SERVE UNA STRATEGIA UNITARIA Con la creazione di Azimut Capital Management, spiega il nuovo ad PaoloMartini, il gruppo ha deciso di portare a compimento uno degli imperativi del settore: l’integrazione tra gestione e distribuzione
TAVOLA ROTONDA
Sfide Fintech e scenari in evoluzione
Alessandro Gandolfi
Paolo Pignatelli
Andrea Mottarelli
Giancarlo Sandrin
Andrea Succo
Matteo Tagliaferri
Antonio Sidoti
Roberto Citarella
Giuliano D’Acunti
BANCHE POPOLARI
RUSSIA
ADDIOALVOTO Le nuove frontiere di Mosca CAPITARIO Il31dicembrescadeiltermine per la trasformazione in Spa dei dieci istituti di credito con attivi superiori agli 8 miliardi di euro. Cambia la governance e si apre la partita delle fusioni nel settore
guardano a Est
EDITORIALE
Il malessere dell’era tecnologica Angela Maria Scullica @AngelaScullica
L
a globalizzazione e le grandi innovazioni tecnologiche hanno in trent’anni portato ricchezza e accresciuto il tenore di vita nel mondo. Si tratta di un dato di fatto incontrovertibile, evidente e provato dai numeri. Ma hanno anche portato a un inasprimento della polarizzazione di ricchezza e dell’emarginazione che oggi, con i bassi livelli di crescita prolungati nel tempo, stanno generando squilibri e tensioni sempre più vasti e generalizzati. Populismo, voglia di rifugiarsi nel passato, desiderio di alzare muri in difesa dei propri confini e interessi, si fanno sempre più spazio negli animi e nei sentimenti della gente. E generano una gran voglia di scardinare il presente, di abbattere quelli che vengono percepiti come ostacoli, di trovare nuove guide, leader o idee in cui credere e a cui affidarsi per uscire dalla profonda incertezza del futuro che accompagna un’esistenza dove le vecchie regole e schemi di riferimento non possono più reggere e rappresentare punti di riferimento validi e sicuri. La verità è che, con il progresso tecnologico che sta passando con una rapidità senza precedenti da digitale a virtuale entrando nell’era dell’intelligenza artificiale, dell’internet delle cose e del tridimensionale e via di questo passo si sta attraversando una fase di enorme e radicale trasformazione dell’economia, dei valori e, di conseguenza, dell’uomo stesso che si sta integrando sempre di più con la tecnologia. Basti solo pensare che allo studio ci sono anche robot con aspetto e funzioni del tutto simili a quelle umane. Lavori, organizzazioni, strutture così come erano concepite e vissute sino a solo poco tempo fa sono diventate nel rapido volgere degli ultimi anni, obsolete. La produzione industriale non richiede più il numero di addetti di prima. Capannoni, fabbriche, call center sono destinati ad essere dismessi o a ridimensionarsi notevolmente. Le stesse
banche e istituzioni finanziarie si stanno riorganizzando limitando notevolmente l’organico. Il concetto stesso di ufficio come posto di lavoro sta perdendo la sua valenza in quanto il collegamento virtuale tra le persone permette di renderle reperibili ovunque e di metterle in grado di compiere lo stesso tipo di attività richiesta in ufficio anche da altre sedi o da casa. È un processo inarrestabile che scardina tutte quelle che erano le sicurezze del passato. Una rivoluzione che tanti stanno subendo e che vorrebbero arrestare, tornare indietro per ritrovare argini, paletti, certezze che delimitavano un percorso chiaro, comprensibile e protetto della propria vita. E in tutto questo pazienza se non si riesce ad emergere e a guadagnare di più, l’importante e ricreare quell’ambiente sicuro e tranquillo che sembra essersi perso per sempre. Il terreno quindi oggi è fertile perché si possano alimentare sentimenti nazionalistici che creino una forte instabilità in un’area come quella europea ancora lontana da una sua sostanziale coesione. O perché possano avere peso voci che promettono di ricreare un nuovo ordine in grado di garantire oltre alla crescita, anche, e soprattutto, protezione e certezza. Come tutti i periodi di grandi mutamenti anche quello attuale va visto per il grande potenziale in termini di opportunità che offre. Se si superano infatti gli asti e le paure che portano alla nostalgia del passato e si guarda il mondo in modo pragmatico e curioso utilizzando al meglio i nuovi strumenti a disposizione, non è poi così difficile trovare nuove strade di progresso. Ed è in fondo questo che l’evoluzione odierna richiede per essere compresa e vissuta al meglio: una mentalità creativa, innovativa, libera e aperta che non si pianga addosso o che ponga freni all’apprendimento e alla conoscenza.
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WORLD EXCELLENCE
DIRETTORE RESPONSABILE Angela Maria Scullica angela.scullica@lefonti.it REDAZIONE Federica Chiezzi (federica.chiezzi@lefonti.it), REDAZIONE GRAFICA Valentina Russotti
SCENARI 8
Nazionalismo e populismo conquistano spazi
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COLLABORATORI Laura Colnaghi, Sergio Cuti, Filippo Cucuccio, Gloria Valdonio, Filippo Fattore, Luigi Dell’ Olio, Guido Sirtoli, Fabio Sgroi, Paolo Tommasini, Lucio Torri, Donatella Zucca
MERCATI E IMPRESE
COORDINAMENTO INTERNAZIONALE ( New York, Dubai, Hong Kong, Londra, Singapore...) Alessia Liparoti alessia.liparoti@lefonti.it PROGETTI SPECIALI Alessia Rosa alessia.rosa@lefonti.it INNOVAZIONE E DIGITAL MARKETING Simona Vantaggiato simona.vantaggiato@lefonti.it REDAZIONE E STUDI TELEVISIVI Via Dante 4, 20121 Milano - tel. 02 8738.6306 Per comunicati stampa inviare a: press@lefonti.it EDITORE
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LE BUSINESS SCHOOL ITALIANE D’ECCELLENZA NEL MONDO
Apritevi ai mercati internazionali
Cannes e Monaco premiano il made in Italy
TECNOLOGIA
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L’eremo mistico di cristallo
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Proteggersi dai ladri di brand
Come difendere informazioni e know how aziendali
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Il cliente va posto al centro dell’attenzione
INTERNAZIONALIZZAZIONE 30
Le nuove frontiere di Mosca guardano a Est
FINANCE 36
Le consorelle litigano e il gruppo si indebolisce
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Addio al voto capitario
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E ora Draghi scende in campo per gli Npl
Le Fonti S.r.l. Via Dante, 4, 20121, Milano STAMPA Arti Grafiche Fiorin - AGFiorin
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PRIMO PIANO
SEGRETERIA DI REDAZIONE segreteria@lefonti.it
RESPONSABILE COMUNICAZIONE E RELAZIONI ESTERNE Claudia Chiari
LAVORO
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Le spine del rapporto banche - imprese
ASSICURAZIONI 54
Tutela legale ancora poco conosciuta
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La via obbligata della concentrazione
ASSET MANAGEMENT 88
Trasparenza e Fintech trasformano il mercato del risparmio
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Integrare la gestione con la distribuzione
RUBRICHE 6 25 51 52 74 75 83 98
Mondo Nuovo News Arte e design Luxury Carriere Top Executive Lifestyle Trend
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MONDO NUOVO
Non c’è spazio per il fondamentalismo commerciale Dani Rodrik
Professore di Economia politica internazionale alla John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard
«U
na delle sfide cruciali» della nostra epoca «è mantenere in vita un sistema commerciale internazionale aperto e in continua espansione». Purtroppo, «i principi liberali» del sistema commerciale internazionale «sono sempre più sotto attacco», «oggigiorno c’è una crescente tendenza al protezionismo» ed «esiste un forte rischio che il sistema possa deteriorarsi... o degenerare in una triste replica degli anni Trenta». Se pensate che queste parole siano tratte da uno degli articoli apparsi di recente sui media economici e finanziari a proposito dell’attuale reazione anti-globalizzazione, sarete perdonati. In realtà, sono state scritte nel 1981. All’epoca, il problema riguardava la stagflazione nei paesi avanzati, ed era il Giappone, non la Cina, lo spauracchio commerciale che incombeva sui mercati globali facendola da padrone. Gli Stati Uniti e l’Europa avevano reagito innalzando barriere commerciali e imponendo le cosiddette «restrizioni volontarie delle esportazioni» (Ver) sulle automobili e l’acciaio giapponesi. Parlare dell’insidiosa avanzata di un «nuovo protezionismo» era diventato uno sport diffuso. Ciò che accadde in seguito avrebbe smentito questo pessimismo sul regime commerciale. Invece di registrare un calo, il commercio internazionale esplose letteralmente tra gli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, spinto dalla creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio, dalla proliferazione di accordi commerciali e d’investimento sia bilaterali sia regionali, e dall’ascesa della Cina. Era l’inizio di una nuova era della globalizzazione, o forse sarebbe più corretto dire di un’iperglobalizzazione. Col senno di poi, il «nuovo protezionismo» degli anni Ottanta non ha segnato un taglio netto col passato ma, come ha osservato l’analista John Ruggie, è servito più a preservare che a turbare il regime. Le salvaguardie sull’import e le Ver furono misure ad hoc dell’epoca, ma anche risposte necessarie alle sfide distributive e di aggiustamento poste dall’instaurarsi di nuove relazioni commerciali. Gli economisti e gli esperti commerciali che allora lanciarono l’allarme si sbagliavano. Se i governi avessero seguito il loro consiglio e non avessero risposto ai propri elettori, forse avrebbero addirittura peggiorato le cose. Quello che ai contemporanei sembrava un protezionismo dannoso era in
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realtà un modo per allentare la tensione ed evitare l’esacerbarsi della pressione politica. Gli osservatori sono altrettanto allarmisti riguardo alla reazione anti-globalizzazione di oggi? L’Fmi, tra gli altri, ha recentemente dichiarato che crescita lenta e populismo potrebbero portare a una diffusa reazione protezionistica. Secondo l’economista capo, Maurice Obstfeld, «è di vitale importanza difendere le prospettive di una maggiore integrazione commerciale». Finora, però, sono pochi i segnali di un netto allontanamento dei governi da un’economia aperta. La differenza è che, stavolta, le forze politiche populiste sembrano molto più potenti e vicine a vincere le elezioni. Non molto tempo fa, sarebbe stato impensabile concepire un’uscita britannica dall’Unione europea o un candidato alla presidenza degli Stati Uniti che promette di rinnegare gli accordi commerciali, costruire un muro contro i migranti messicani e punire le aziende che trasferiscono i propri stabilimenti all’estero. Lo stato-nazione sembra determinato a riaffermare se stesso. Ma la lezione degli anni Ottanta è che un’inversione legata all’iper-globalizzazione non è necessariamente una cosa negativa, purché serva a mantenere l’economia mondiale relativamente aperta. Come ho spesso affermato, c’è bisogno di un maggior equilibrio tra autonomia nazionale e globalizzazione. In particolare, dobbiamo mettere le esigenze della democrazia liberale davanti a quelle del commercio e degli investimenti internazionali. Un simile riequilibrio lascerebbe ampio spazio a un’economia globale aperta, anzi, la renderebbe possibile e più solida. La sfida enorme che oggi affrontano i principali partiti politici nelle economie avanzate è quella di concepire tale visione, insieme a una narrativa in grado di sminuire i populisti. Non si dovrebbe chiedere a questi partiti di centrodestra e centrosinistra di salvare l’iper-globalizzazione a tutti i costi. E i sostenitori del commercio dovrebbero mostrarsi comprensivi se essi adottano politiche poco ortodosse per assicurarsi sostegno politico. Quello che bisognerebbe chiedersi, invece, è se le loro politiche siano guidate da un desiderio di uguaglianza e inclusione sociale, oppure da impulsi campanilisti e razzisti, se essi intendano accrescere o indebolire lo stato di diritto e la deliberazione democratica, e se stiano tentando di salvare l’economia mondiale aperta, pur se con regole di base differenti, oppure di minarla.
SCENARI
INSTABILITÀ NELL’UNIONE
Nazionalismo e populismo conquistano spazi Scarsa crescita, tecnologie digitali, immigrazione massiccia scardinano equilibri e valori sociali spingendo l’Europa a ridisegnare ruolo, politiche e futuro Mario Lombardo
L’
Unione ci complica la vita, sostengono molti paesi europei, Italia compresa. Citano come esempio quanto è successo a proposito di due trattati di libero scambio, e poi la discussione sull’ipotesi di cambiare la lingua ufficiale nelle trattative per la Brexit. Nel primo caso, i problemi riguardano prima l’Organizzazione mondiale per il
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commercio e le pratiche contro la concorrenza sleale dei paesi terzi avviate dall’Ue, bloccate dal veto di alcuni paesi membri, Gran Bretagna e stati del Nord Europa in testa, che hanno fatto scomparire dal panorama europeo alcune industrie a bassa tecnologia nel settore del tessile e del manifatturiero, a cui poi si è aggiunto il blocco del Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) in
seguito al voto di un piccolo parlamento regionale. Il parere contrario all’accordo transcontinentale, già negoziato per circa sette anni da Ue e Canada, è stato espresso in Vallonia, regione del Belgio, in quanto le complesse leggi europee prevedono che, se un accordo commerciale ha valenze extra-commerciali, deve essere votato non solo dal Parlamento europeo ma anche dai parlamenti na-
Il problema linguistico che amareggia il Regno Unito per ora sembra ancora allo stato virtuale. Ma ha già acceso discussioni e, soprattutto, urtato la suscettibilità dei britannici. Concluso il primo summit europeo
BASTA CON L’INGLESE Michel Barnier, capo della task force della Ue per il negoziato sulla Brexit ha mandato su tutte le furie il premier britannico, Theresa May, facendo sapere di voler condurre in francese i negoziati con il governo di Londra
zionali e dai sub-parlamenti regionali, come quello vallone. Così avviene che per eccesso di regole (qualcuno dice di democrazia) il voto che viene dalla Vallonia, che soffre della crisi del carbone e della siderurgia e i cui contadini temono la concorrenza dei prodotti canadesi, basti a fermare l’iter di un’intesa giudicata molto vantaggiosa per la Ue e ormai avviata verso la ratifica ufficiale.
dopo la Brexit, un’indiscrezione ha infatti rivelato che Michel Barnier, responsabile della negoziazione Ue, avrebbe in mente di condurre in francese i negoziati con il governo di Londra. Da Downing Street il premier inglese ha ribattuto «Giammai» prima ancora che la cosa diventasse ufficiale, mettendo in imbarazzo la Commissione europea che ha dovuto precisare: «La lingua ufficiale del negoziato verrà concordata all’inizio della trattativa», senza riuscire a cancellare l’impressione che l’Ue sia prevenuta nei confronti della Gran Bretagna e che l’inglese non sia più considerata la lingua ufficiale della comunità. Sembra più che altro una discussione sui massimi sistemi, proprio quando la realtà quotidiana sta già presentando il conto della Brexit. Prima di tutto perché nel terzo trimestre del 2016 la crescita economica nel Regno Unito è stata dello 0,5% mentre prima era dello 0,7%, poi perché gli investitori internazionali stanno abbandonando i buoni del tesoro britannici visto che il loro rendimento è legato alla
sterlina, che continua a scendere. E vanno male anche due perle dell’economia come Ryanair, che ha rivisto al ribasso del 5% le stime sugli utili, e Easyjet che mette a bilancio il 28% in meno di quanto iscritto nel 2015. Nel frattempo c’è stato un ulteriore tentativo di prendere tempo da parte del governo conservatore britannico che ha chiaramente irritato sia il Parlamento sia la Commissione europea. La premier Theresa May, di conseguenza, ha dovuto garantire un’uscita della Gran Bretagna dall’Europa in tempi certi anche se si è affrettata a precisare che, pur nel rispetto delle libertà fondamentali di movimento di merci e persone, ci sarà comunque una stretta sull’immigrazione. Le migrazioni sono al centro dell’attenzione pubblica. Ne parlano i media, ogni giorno. Ne ha parlato Barack Obama, al pranzo con la delegazione italiana alla Casa Bianca, ultimo ricevimento ufficiale della sua presidenza. Ne parla la Gran Bretagna che rafforza le barriere sulla costa francese per impedire nuovi arrivi, così come fa Francois Holland ai confini italo-francesi. Ne parlano i leader di molti paesi dell’Est europeo, che erigono muri anti profughi e naturalmente ne parla anche Matteo Renzi, che sul flusso migratorio verso l’Italia aumentato del 10% rispetto al 2015, sui provvedimenti che sono necessari all’accoglienza e sul mantenimento di coloro che sono sbarcati, ha puntato per chiedere all’Europa di accettare un deficit italiano superiore al limite già fissato. Anche in Germania se ne parla. Da un lato perché la quantità di siriani entrati recentemente nel territorio ha spaventato un po’ tutti, tanto che nelle prossime elezioni oltre alla destra xenofoba molti altri potrebbero votare contro Angela Merkel, che ha favorito l’accoglienza; dall’altro
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perché, gli oltre 3 milioni di turchi tare di più in Europa. È stato l’esito pubblicato un saggio dal titolo I deche vivono in Germania (solo la della Brexit a convincerli che si può boli sono destinati a soffrire? edito metà di loro ha la doppia cittadinancambiare il modo in cui funziona in Italia da La nave di Teseo, in cui za, turco-tedesca) e che con il loro (o ha funzionato finora) Bruxelles e spiega che gli squilibri sociali di cui lavoro hanno arricchito il paese, ora adesso i quattro, che prima del versoffre l’Europa sono nati nel 1971, sono visti come un pericolo per la tice europeo di Bratislava si sono quando l’allora presidente americano coesione interna. E ne parla anche il riuniti in Polonia a Krynica-Zdròj, Richard Nixon cancellò gli accordi Canada, che si preoccupa soprattutto vogliono ridimensionare il potere di Bretton Woods (1944) su cui pogper il flusso di persone che giava il sistema monetario vengono dall’Asia, anche basato sul dollaro e sulla sua se non tutte possono essere convertibilità in oro. Con la considerate migranti. fine di Bretton Woods, seIn estate, Vancouver, capitacondo Varoufakis, i paesi le della British Columbia caeuropei hanno tentato dinadese, ha istituito una tassa verse strade (dal cosiddetto sugli stranieri che comprano “serpente monetario” allo casa in città. L’imposta preSme, per finire con l’euro) vede un 15% in più sul prezper concatenare tra loro le zo d’acquisto e la motivaziodiverse valute, ma hanno ne è che in questo modo si finito per commettere errori pone un freno agli investitecnici, complicati da rigidimenti sul mercato immobità ideologiche e competizioliare locale, in cui i canadesi ne tra gli stati. Per cui la mosi trovavano in difficoltà. neta unica invece di unire Sarà senz’altro così, perché l’Europa l’ha ancor più diviin agosto i prezzi sono scesi sa, sia dal punto di vista sodel 16,7% ma dal momento ciale sia da quello nazionale che la maggior parte degli e come ultima conseguenza, acquirenti era cinese c’è chi, dal momento che non si ponei vicini Stati Uniti, sostieteva svalutare la moneta, ha ne che con questa misura il DALLA CORTINA DI FERRO A QUELLA portato alla svalutazione del governo canadese sta non ANTI-MIGRANTI Dall’alto, a sinistra, il primo ministro lavoro come ultimo espepolacco Beata Szydlo; quello della Repubblica Ceca, Bohuslav solo impedendo la libera Sobotka; il premier slovacco, Robert Fico, e quello ungherese, diente per salvare l’export. circolazione del capitale, ma Victor Orbàn. I quattro leader dei paesi del gruppo di Visegràd, Una tesi interessante, certo anche discriminando e osta- ostili ai migranti, vogliono ridimensionare il potere della Ue presentata in modo concolando quella dei cittadini vincente. Perché è vero che che provengono da altri paesi. Tordella Ue per riportarlo in gran parte il lavoro è stato svalutato, non solo nando in Europa e guardando oltre ai livelli nazionali. per salvaguardare le esportazioni ma la Cortina di ferro, come era chiaanche, se non soprattutto, in seguito mata un tempo, i quattro paesi del Nazionalismo e populismo marciaall’introduzione della tecnologia e gruppo di Visegràd (V4), tutti ostili no insieme e conquistano consensi, non soltanto in fabbrica con l’autoai migranti, danno a pensare. Poloanche perché sembra che una buomazione e la robotica. Ora si ricornia, Repubblica Ceca, Slovacchia na parte della popolazione, non sia re agli algoritmi anche per valutare e Ungheria, si sono alleati nel 1991 più disposta ad accettare le scelte di la qualità di un curriculum e quindi per aiutarsi reciprocamente a entrare quella che si riteneva classe dirigenuna possibile assunzione, o le capanell’Unione europea, ma ora, dopo te. Eppure alcuni di quei dirigenti cità professionali di un insegnante, 25 anni, la polacca Beata Szydlo, il hanno mente lucida e grandi capal’affidabilità di chi chiede un prestito ceco Bohuslav Sobotka, lo slovacco cità di comunicazione: come Yanis e molto altro ancora. Secondo gli ulRobert Fico e l’ungherese Victor Varoufakis, per esempio. L’ex minitimi dati, riferiti agli Stati Uniti che Orbàn, hanno deciso di dover constro dell’Economia greco ha appena rappresentano sempre i campioni del
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