Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza.
Indice
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Sotto il segno del Giudizio Universale
23
Tempo di speranze e di sentimenti
47
Verso la grande fabbrica
65
«Classifica: sovversivo»
87
Progettare per sopravvivere
107
Cospiratore per la libertà
119
Il mondo che nasce
141
Ritorno a Ivrea
157
La rivoluzione possibile
169
La giornata di Adriano
193
Discesa al Sud
209
Capitalismo d’avanguardia
237
La via di Comunità
265
Dies irae
281
La riscossa di Adriano
302
Quel sabato di Carnevale
325
E se fosse come aveva pensato lui
330
Indice dei nomi
336
Ringraziamenti e nota sulle fonti
La giornata di Adriano
Nel 1950 Adriano si è risposato. Il precedente matrimonio era stato sciolto a San Marino e lo scioglimento omologato dal presidente della Corte d’appello di Torino Domenico Riccardo Peretti Griva, famoso in quegli anni per il suo spirito liberale. Adriano ha ricevuto il battesimo cattolico e così il secondo matrimonio viene celebrato in chiesa. Lui e Grazia Galletti si uniscono il 2 gennaio nella chiesa di Santa Prisca all’Aventino, presenti pochissimi amici: testimoni Quaroni e Micheloni. Il matrimonio avviene quasi in incognito. Quel giorno, la figlia Lidia sta sciando al Sestrière col fidanzato Giorgio Soavi e il figlio Roberto si trova in Austria. Quando Adriano telefona da Roma alla sorella Elena per informarla, la sente sconcertata. Confidandosi per lettera a Silvia, la sorella sulla quale ha sempre potuto contare in qualsiasi momento, che continua a vivere in Argentina col marito Antoine, scrive: «Se il successo di un matrimonio e la felicità sono proporzionali alle difficoltà incontrate per realizzarlo il nostro è nato sotto una buona stella!». Partono per un viaggio di nozze alle isole Baleari, con puntate a Barcellona e a Madrid a visitare i musei. Fra i due sposi c’è una forte differenza di età. Adriano ha conosciuto Grazia giovanissima qualche anno prima a Roma, dove viveva con la famiglia di recente arrivata da Ivrea. Grazia ragazzina aveva intravisto Adriano mentre scendeva in bicicletta quasi ogni giorno da Villa Ambrosetti per andare a trovare la madre al convento. E nella giovinezza di Grazia, nel suo volto incorniciato di capelli biondi, Adriano ha colto il simbolo di un nuovo ciclo della vita che si rinnova. C’è in lui questa incoercibile spinta 169
all’assoluto, e in lei, come testimoniano le lettere che le scrive, fitte di citazioni mistiche, intuisce la possibilità di un rapporto carismatico, di un tramite umano con Dio. È più dell’immagine della fata turchina della fiaba di Pinocchio, di cui si era innamorato «perché era bionda e aveva gli occhi azzurri», che riemerge continuamente in forma quasi ossessiva dai ricordi dell’infanzia. È il modello eterno della donna, che insegue nelle figure femminili di madri e mogli, la speranza di realizzare quell’unione esemplare che fu già fra Camillo e Luisa. Anche se i tempi sono cambiati, e la sete d’assoluto vive più come assillo doloroso, come nostalgia del paradiso perduto. Da qualche mese Adriano abita già una casa che guarda la fabbrica dall’alto di quella collina di Monte Navale dove il padre, negli ultimi anni, aveva cercato invano di ritornare a vivere, quasi sentendo il richiamo del luogo dove era nato. Anche la nuova abitazione di Adriano è legata ai ricordi dell’infanzia: è la villa delle bimbe Bidasio, dove i ragazzi Olivetti salivano a giocare e a far merenda, una casa di campagna con tupiùn, il pergolato canavesano dell’uva pensile, e un grande orto con il “pino del nonno”, piantato l’anno della nascita di un signor Bidasio e di Camillo. La casa è stata acquistata dalla Società Olivetti anche se è Adriano a far fare, a sue spese, dei lavori di trasformazione che innestano sul modello del rustico canavesano la sobria eleganza del suo stile: grandi finestre luminose spalancate sulle montagne con le persiane color blu celeste, ampi ambienti interni comunicanti dal parquet di legno, arredamento e mobili tipo funzionale con pochi oggetti di pregio, un ritratto della figlia del pittore Francesco Menzio, piccole sculture in legno di Henry Moore, un tappeto persiano regalo dello scià, un camino moderno, la vetrinetta con l’eredità del culto ebraico trasmessa da generazioni, e tanti scaffali di librerie, senza spazi vuoti. All’esterno, un campo di bocce e un campo di tennis
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nella radura ai confini col bosco. Adriano non ha mai pensato a una casa di proprietà, a parte il progetto non realizzato del pensatoio eremitico di Montalto Dora, proprio per quella determinazione, ereditata dal padre ma in lui accentuata, a non legarsi ai beni materiali, per quella puritana rinuncia che gli viene dal mandato di una missione trascendente. Per Grazia, e per suggerimento di Grazia, è la prima volta che decide di avere una casa sua: con la coerenza che lo distingue, incarica l’ingegner Modigliani di fare una perizia sul valore e di stabilire la somma da versare alla società. Quando anche Grazia lo raggiunge, si chiamerà Villa Belli Boschi, come la ribattezza Giorgio Soavi. Adriano ha sempre avuto una vita molto ordinata e la precisione dei momenti della giornata si accentua dopo il secondo matrimonio. Si sveglia alle otto e mezzo e fa colazione molto velocemente. L’autista Luigi Perotti, che ha sostituito Gaiani, diventato capo garage, e abita con la famiglia nella foresteria, ha già portato un fardello di giornali. Al cancello spesso l’auto è fermata da qualche postulante, che chiede un prestito, un’assunzione, un favore. Adriano si arresta sempre ad ascoltare, e non solo. Anche in questo non ha dimenticato la lezione del padre, che dedicava un giorno della settimana alla beneficenza, mandando in giro Carlotta Musso a saldar debiti nei negozi. Dice Adriano: «A chi chiede, si deve dare, per principio. Se non finge, se ha realmente bisogno?». Entra in fabbrica dall’ingresso della strada per Monte Navale, e sale all’ufficio al terzo piano. Posa il fardello dei giornali sul grande tavolo già pieno di fogli, poi passa alle segretarie i pezzi sottolineati da far arrivare ai collaboratori: questo a Pero, a Beccio, a Prelle... Si autodefinisce “uomo da tavolino” e passa le sue nove ore alla scrivania, quando è a Ivrea, come ogni altro funzionario. All’una e mezzo torna a casa per pranzo, fa un breve riposo, «un breve sonno fa bene», e subito sfoglia i ma-
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teriali della rivista e le proposte per le Edizioni di Comunità. Non legge tutto, ma gli autori li sceglie lui personalmente. Le sue biblioteche, privata e di ufficio, oggi riunite nella sede romana della Fondazione Adriano Olivetti di via Zanardelli, contano oltre 3000 volumi, stampigliati con timbro a secco con la sua firma. Ma Adriano non era un bibliofilo, alcuni volumi mancano di pagine che lui strappava per utilizzarle per i suoi scritti, o spediva in visione ai collaboratori. Quando è a Roma o a Milano, prolunga questo impegno per buona parte del pomeriggio. Altrimenti, scende in fabbrica alle tre e mezzo. Verso la fine della giornata, quando gli uffici si sono svuotati, iniziano i colloqui più distesi, quelli preferiti. Salgono urbanisti e architetti, facendo spazio fra le carte allargano sul tavolo i loro disegni. Progettare, per lui, significa vivere. Lascia grande autonomia ai collaboratori, però sa veder grande e nello stesso tempo porta attenzione ai particolari. Per la fabbrica di Pozzuoli, c’è chi ricorda Adriano, rosso in volto nel letto di degenza, che dà ordine di acquistare un’area dieci volte superiore a quella che gli è stata proposta dai suoi, perché così vogliono gli interessi dell’azienda e le esigenze di pianificare il territorio. Nello stesso tempo corregge il progetto dell’architetto Cosenza in cui erano previste delle toilette aperte, che considera lesive del buon gusto e della privacy dei dipendenti. Esce dall’ufficio verso le otto, otto e mezzo di sera, stringendo col braccio il fardello dei nuovi giornali e riviste arrivati nel pomeriggio. Pranzo e cena sono molto semplici, non ha il gusto dei manicaretti raffinati, anche se è goloso di cose dolci e si versa più cucchiaini di zucchero nel caffè. Controlla la dieta, per combattere la tendenza a ingrassare. Sovente è sazio con un bicchiere di yogurt e un piatto di uova. La sera non fa letture impegnative, che gli impedirebbero di prender sonno, né ama i ricevimenti. Preferisce delle chiacchiere leggere in famiglia, [continua]
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Edizioni di ComunitĂ