L'Italia di Adriano Olivetti, di Alberto Saibene - estratto

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VIA JERVIS/13

ALBERTO SAIBENE

L’ITALIA DI ADRIANO OLIVETTI

Bobi Bazlen Riccardo Musatti Geno Pampaloni Marisa   Bulgheroni  Ettore Sottsass  Natalia Ginzburg Furio Colombo Leonardo Sinisgalli Angela Zucconi  Giovanni  Enriques  Franco Momigliano  Gino Martinoli  Carlo   Doglio Luciano   Foà   Rigo   Innocenti  Franco Fortini Ottiero Ottieri  Giorgio Soavi Paolo Volponi

EDIZIONI DI COMUNITÀ


Indice

Introduzione 9 Ricordi di Utopia Il secolo americano di Adriano Olivetti Leonardo Sinisgalli: il dèmone dell’analogia Ernst Bernhard e Adriano Olivetti: una traccia Albergo Dora Terza forza (1945-1965) Fortini vs Pampaloni Donnarumma all’assalto Olivetti nel Mezzogiorno Comunità alla prova: Angela Zucconi e Adriano Olivetti Paolo Volponi, manager e scrittore Giancarlo Lunati tra Croce e Olivetti Dopo la morte di Adriano Dalla parte di Roberto

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Cronologia olivettiana Nota ai testi Indice dei nomi

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Ricordi di Utopia

La fabbrica di mattoni rossi è ancora lì. Proseguendo si sale verso le pendici di Monte Navale incontrando la chiesa di San Bernardino con l’annesso convento. Il complesso, reso memorabile da un ciclo di affreschi di Martino Spanzotti, fu riconvertito già nel XVII secolo ad uso militare e, dopo le secolarizzazioni di epoca napoleonica, divenne una cascina con un’annessa rimessa di attrezzi agricoli. In questa forma fu rilevato da Camillo Olivetti (1868-1943) per farne la propria dimora. D’origine ebraica, orfano di padre, cresce – come scrive Bruno Caizzi, il suo principale biografo – «veramente da solo e non conobbe freni d’ambiente alla naturale propensione a superare tutte le tradizionali barriere dei vincoli tradizionali che per generazioni avevano tenuto i suoi avvinti ad Ivrea, legati specialmente tra loro e ai loro correligionari, ligi ai costumi propri e a quelli del luogo. Egli fu in tutto e per tutto un non conformista». Così quando incontra Luisa Revel, d’origine valdese, fa passare soltanto una settimana prima di chiederle la mano. Camillo, orfano di padre, cresce con la madre, soffrendo di un’educazione mutila, così, appena può, lascia la famiglia per iscriversi al Politecnico di Torino. È l’epoca della prima industrializzazione italiana. Nel 1893 accompagna il suo maestro Galileo Ferraris all’E-


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sposizione Universale di Chicago, per poi girare per gli Stati Uniti visitando le principali industrie meccaniche. Nel 1896 fonda a Milano la CGS (Centigrammo, Grammo, Secondo), azienda di misurazioni di precisione la cui ideologia “positivistica” è chiara fin dal nome. Ma è il ritorno a Ivrea, allora cittadina a vocazione quasi esclusivamente agricola, a mettere le basi della sua vita futura. Il matrimonio si rivela felicissimo e in quell’atmosfera nascono, nel giro di pochi anni, Elena, Adriano, Massimo, Silvia, Lalla e Dino, i sei figli che crescono nell’ambiente libero del “Conventino”. Camillo e Luisa impartiscono ai figli un’educazione “rousseauviana”: non li mandano a scuola fino a otto anni, né gli trasmettono insegnamenti religiosi. Nel 1908 Camillo, che nel frattempo si è fatto crescere un barbone da profeta del Vecchio Testamento, fonda la Camillo Olivetti e C., prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Una fotografia di qualche anno più tardi ritrae i sei figli in fila uno a fianco all’altro sul limitare del bosco sopra il convento: hanno un’aria spavalda, da piccoli pionieri della frontiera americana e l’immagine trasmette un forte senso di libertà. A Camillo è chiaro che Adriano debba presto sperimentare l’attrito della vita e, per coincidenza, prende questa decisione mentre in Europa sta scoppiando la prima guerra mondiale: «Nel lontano agosto 1914, avevo allora tredici anni, mio padre mi mandò a lavorare in fabbrica. Imparai così ben presto a conoscere e a odiare il lavoro in serie: una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina. Per molti anni non rimisi piede nella fabbrica,


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ben deciso che nella vita non avrei atteso all’industria paterna. Passavo davanti al muro di mattoni rossi della fabbrica, vergognandomi della mia libertà di studente, per simpatia e timore di quelli che ogni giorno, senza stancarsi, vi lavoravano». Il passaggio da un’infanzia felice all’esperienza della vita di fabbrica è il momento in cui scatta la consapevolezza di quella che è stata definita l’utopia di Adriano Olivetti. Ma bisognerebbe approfondire il rapporto tra Camillo e Adriano per capire da dove essa nasce. Adriano eredita dal padre l’ansia verso il nuovo («In me non c’è che futuro» è una frase che gli viene attribuita), la vocazione a esplorare nuovi mercati e nuovi prodotti, il gusto per il prodotto curato fino al dettaglio, e, cosa più importante, i doveri sociali dell’imprenditore, specie verso la propria comunità di riferimento (il Canavese). Camillo è però ancora uomo dell’Ottocento: mette nelle mani del figlio il Self Help di Samuel Smiles, il racconto delle vite fortunate di imprenditori, intrise di un determinismo che Adriano rifiuta, così come sarà più complesso il rapporto con le persone che chiama a collaborare. Non può più ricorrere al paternalismo di Camillo, ma l’insegnamento paterno di non licenziare i propri dipendenti non verrà mai disatteso. Più in generale, l’impressione è che l’associazione di termini “utopia olivettiana” sia stata utilizzata per molti anni soprattutto per limitare quell’esperienza, per denunciarne l’irripetibilità e il pericolo insito in un’azienda dove il libero arbitrio era quel che veniva richiesto ai collaboratori. È noto che dopo la mor-


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te di Adriano Olivetti (febbraio 1960), l’azienda viene progressivamente “normalizzata” con una diminuzione dell’offerta di servizi sociali, con la cessione della divisione elettronica, nel 1964, alla General Electric, mentre l’impegno culturale (casa editrice, riviste, intellettuali che lavoravano in azienda), caso unico ed eccezionale in Italia e nel mondo, si trasforma: gli intellettuali divengono funzionari al servizio della comunicazione aziendale, con esiti molto notevoli ma distanti dal progetto di società teorizzato da Adriano nei suoi scritti. La cosa eccezionale dell’esperienza olivettiana è infatti che, accanto a un nucleo teorico (L’ordine politico delle Comunità, 1946), c’è un’attività pratica che invera quelle pagine e le successive (si veda almeno Città dell’uomo, 1959). Oggi, quando si fa riferimento all’utopia olivettiana, il pensiero va all’Ivrea degli anni Cinquanta, quando il modello “adrianeo” è sviluppato in tutte le sue possibilità. È l’epoca più felice, quella in cui ai funzionari veniva offerta, a credito agevolato, una villetta costruita da Emilio Aventino Tarpino, architetto che lavora solo per le necessità dell’azienda. È in questo periodo che matura una sensibilità che era presente fin dall’inizio della vicenda olivettiana. Nel 1909 Camillo aveva creato una prima assistenza mutualistica; nel 1932 istituisce la Fondazione Domenico Burzio, dal nome del primo collaboratore, per assistere i dipendenti in difficoltà; nel 1934, ora è Adriano a dirigere l’azienda, si inaugura un asilo di fabbrica; nel 1936 il servizio sanitario; nel 1937 operano in fabbrica - la fabbrica di vetro progettata da


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Luigi Figini e Gino Pollini che elimina “il buio” della fabbrica di mattoni rossi - le prime assistenti sociali. Dopo la guerra Adriano Olivetti può perseguire con meno ostacoli il suo progetto sociale, che fa crescere molto rapidamente, puntando sui giovani, sugli homines novi emersi dalle macerie della seconda guerra mondiale. La prima pagina del primo numero di «Comunità», la rivista fondata da Olivetti nel 1946, ha un articolo Il mondo che nasce di Ignazio Silone, uno dei tanti pensatori minoritari (insieme ad Aldo Capitini, Giacomo Noventa) che trovano ospitalità sulle pagine della rivista, che denuncia la volontà palingenetica olivettiana. È anche sintomatico che vengano sostituiti nei posti di responsabilità collaboratori del calibro di Gino Martinoli (fratello di Natalia Ginzburg, poi fondatore del Censis e probabilmente il miglior amico di Adriano), Giovanni Enriques (che darà nuova vita alla Zanichelli) e Leonardo Sinisgalli (poi collaboratore alla comunicazione aziendale di Pirelli e di altre grandi aziende). Negli anni Cinquanta vengono introdotti stabilmente gli psicologi di fabbrica e i sociologi che hanno il compito di studiare le esigenze dei lavoratori in rapporto allo sviluppo dell’azienda, ma non sarà inutile ricordare che nel frattempo le Edizioni di Comunità stanno traducendo le opere di Simone Weil. I film prodotti dalla Olivetti e i giornali aziendali di quegli anni restituiscono, con un filo di propaganda, quel clima, proprio mentre Adriano Olivetti fa restaurare il Convento donandolo all’azienda per le attività dopolavoristiche. Si legge su un numero di «Notizie Olivetti» degli anni Cinquanta: “Dalle 12:30, al suono


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della prima e della seconda sirena, i dipendenti Olivetti affluiscono al Convento da ogni strada e, dopo i cancelli, si ‘qualificano’: i giuocatori di tarocchi e di tressette sotto le piante ombrose a portata del bar; i bocciofili, attori e spettatori, salgono dove il pendio è terrazzato; i tennisti stanno al sole; ed, infine, dormienti e deambulanti si cercano i posti solitari, mentre sulle panchine del viale si discute di cinema all’aperto, di moda e tante altre cose”. L’intervallo per il pranzo era utilizzato anche per lezioni di storia dell’arte, di educazione civica, mentre la sera al Centro Culturale Olivetti passa il meglio della cultura italiana ed europea di quegli anni. Qui Ugo Fedeli, un collaboratore anarchico della Olivetti, organizza un ciclo di conversazioni dal titolo “Un viaggio alle isole Utopia”. Oggi la chiesa di San Bernardino è di proprietà della famiglia Olivetti, il magnifico ciclo di affreschi di Martino Spanzotti, studiato da Giovanni Testori, si può visitare la domenica su prenotazione. Nell’annesso convento ha sede l’associazione delle Spille d’oro, l’istituzione creata da Camillo per premiare chi raggiungeva i 25 anni di servizio in Olivetti. «Un club a numero chiuso» come commenta amaramente Giovanni Maggia, storico dell’economia e profondo conoscitore della parabola olivettiana (il padre era il medico di Adriano). Passeggiare oggi per l’Ivrea olivettiana – l’altra, oltre la Dora, è sempre rimasta impermeabile alla storia della fabbrica – non è molto diverso da aggirarsi per Pompei: un luogo dove la storia è passata. Anzi l’atmosfera che si respira assomiglia a


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quei film di fantascienza degli anni Settanta in cui si prende atto che il mito del progresso ha fatto il suo tempo e fabbriche arrugginite sono il fondale di quel che resta dell’umanità. La differenza è che ci sono ancora testimoni a cui chiedere: «Quella di Adriano fu un’utopia?». La citazione iniziale su Camillo Olivetti è tratta da Bruno Caizzi, Camillo e Adriano Olivetti, UTET, Torino 1962, p. 11. Il ricordo di Adriano sul lavoro in fabbrica è riportato in Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia, Edizioni di Comunità, Roma/Ivrea 2013. La citazione di Giorgio Soavi è tratta da Italiani anche questi, Milano, Rizzoli, 1979, p. 145. Le edizioni più recenti dell’Ordine politico delle Comunità e di Città dell’uomo sono rispettivamente del 2014 e del 2015, entrambe per Edizioni di Comunità. Il notiziario Olivetti è citato da Chiara Mori, Breve storia della chiesa di San Bernardino, in Testori a Ivrea, Cinisello Balsamo, Associazione Giovanni Testori - Silvana Editoriale, 2005, p. 92.


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6 Geno Pampaloni, Poesia, politica e fiori 7 Camillo Olivetti, Tre scritti sulla fabbrica, la formazione e la solidarietà 8 F. Bilò, E.Vadini, Matera e Adriano Olivetti a cura di Francesca Limana

9 Movimento Comunità, Statuto e Dichiarazione politica 10 Giuseppe Lupo, La letteratura al tempo di Adriano Olivetti 11 Davide Cadeddu, «Humana Civilitas» Profilo intellettuale di Adriano Olivetti 12 AA.VV., Per un’economia più umana. Adriano Olivetti e Jacques Maritain 13 Alberto Saibene, L’Italia di Adriano Olivetti COLLANA DNA 1 John Kenneth Galbraith, La società opulenta 2 Michael Young, L’avvento della meritocrazia 3 Richard J. Neutra, Progettare per sopravvivere 4 Jacob Bronowski, Un senso del futuro 5 Lewis Mumford, In nome della ragione 6 Hermann Keyserling, Presagi di un mondo nuovo FUORI COLLANA 1 Valerio Ochetto, Adriano Olivetti.
La biografia 2 Pier Giorgio Perotto, P101. Quando l’Italia inventò il personal computer 3 Sottsass Olivetti Synthesis. Sistema 45 a cura di E. Morteo, A. Saibene, M. Meneguzzo, M. Carboni

4 Marco Peroni, Ivrea. Guida alla città di Adriano Olivetti


Alberto Saibene, L’Italia di Adriano Olivetti © 2017 Comunità Editrice, Roma/Ivrea Per le immagini contenute nell’inserto fotografico: © Fondazione Adriano Olivetti, Roma-Ivrea/Archivio privato famiglia Olivetti ISBN 978-88-98220-63-2 Redazione: Angela Ricci Impaginazione e ebook: Studio Akhu Progetto grafico: BeccoGiallo Lab

Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino

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