Simone
WEIL
LA PRIMA RA D I C E
Sappiamo riconoscere il bene? EDIZIONI DI COMUNITÀ
Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza.
Indice
1 Le esigenze dell’anima L’ordine La libertà L’ubbidienza La responsabilità L’uguaglianza La gerarchia L’onore La punizione La libertà di opinione La sicurezza Il rischio La proprietà privata La proprietà collettiva La verità
2 Lo sradicamento Lo sradicamento operaio Lo sradicamento contadino Sradicamento e nazione
3 Il radicamento
9 16 19 20 22 23 26 27 28 30 41 42 43 44 45 50 51 86 107 199
Parte prima
Le esigenze dell’anima
La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è relativa e subordinata. Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde; l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa. Il diritto è efficace allorché viene riconosciuto. L’obbligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto. Non ha senso dire che gli uomini abbiano dei diritti, e dei doveri corrispondenti. Queste parole esprimono solo differenti punti di vista. La loro relazione è quella da oggetto a soggetto. Un uomo, considerato di per se stesso, ha solo dei doveri, fra i quali si trovano certi doveri verso se stesso. Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solo dei diritti. A sua volta egli ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che riconoscono degli obblighi verso di lui. Un uomo che fosse solo nell’universo non avrebbe nessun diritto, ma avrebbe degli obblighi. La nozione di diritto, essendo di ordine oggettivo, non è separabile da quelle di esistenza e di realtà. Essa appare
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La prima radice
quando l’obbligo entra nel campo dei fatti; di conseguenza essa comprende sempre, in una certa misura, la considerazione degli stati di fatto e delle situazioni particolari. I diritti appaiono sempre legati a date condizioni. Solo l’obbligo può essere incondizionato. Esso si pone in un campo che è al di sopra di ogni condizione, perché è al di sopra di questo mondo. Gli uomini del 1789 non riconoscevano la realtà di un simile campo. Riconoscevano solo quella delle cose umane. Per questo hanno cominciato con la nozione di diritto. Ma, nello stesso tempo, hanno voluto porre dei principi assoluti. Questa contraddizione li ha fatti cadere in una confusione di linguaggio e di idee che in gran parte ritroviamo nella attuale confusione politica e sociale. Il campo dell’eterno, dell’universale, dell’incondizionato è altro da quello delle condizioni di fatto ed è popolato da nozioni differenti, che sono legate alla parte più segreta dell’anima umana. L’obbligo lega solo gli esseri umani. Non c’è obbligo per le collettività come tali. Ve ne sono invece per tutti gli esseri umani che compongono, servono, comandano o rappresentano una collettività, tanto per la parte della loro vita che è legata alla collettività quanto per quella che ne è indipendente. Obblighi identici legano tutti gli esseri umani, benché essi corrispondano ad atti differenti secondo le diverse situazioni. Nessun essere umano, quale che sia, in nessuna circostanza, può sottrarvisi senza colpa; eccetto nel caso in cui, due obblighi reali essendo di fatto incompatibili, un uomo sia costretto ad abbandonarne uno. L’imperfezione di un ordine sociale viene misurata dalla quantità di situazioni di questo tipo che reca in sé. Ma
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persino in questi casi c’è colpa se l’obbligo abbandonato non è soltanto abbandonato di fatto, ma anche negato. L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia a intervenire; e persino quando non gli si riconoscesse alcun diritto. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui costumi, né sulla struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su alcuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, invece nessun cambiamento nella volontà degli uomini può modificare nulla di tale obbligo. Quest’obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. È eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale. Quest’obbligo è incondizionato. Se esso è fondato su qualcosa, questo qualcosa non appartiene al nostro mondo. Nel nostro mondo, non è fondato su nulla. È questo l’unico obbligo relativo alle cose umane che non sia sottomesso a condizione alcuna. Quest’obbligo non ha un fondamento, bensì una verifica nell’accordo della coscienza universale. Esso è espresso da alcuni dei più antichi testi che ci siano stati conservati. Viene riconosciuto da tutti e in tutti i casi particolari dove non è combattuto dagli interessi o dalle passioni. Il progresso si misura su di esso. Il riconosci-
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La prima radice
mento di quest’obbligo è espresso in un modo confuso e imperfetto, ma più o meno imperfetto secondo i casi, nel cosiddetto diritto positivo. Nella misura in cui i diritti positivi sono in contraddizione con esso sono colpiti da illegittimità. Benché quest’obbligo eterno risponda al destino eterno dell’essere umano, esso non ha per suo diretto oggetto quel destino. Il destino eterno di un essere umano non può essere oggetto di nessun obbligo, per il fatto che non è subordinato ad azioni esterne. Il fatto che un essere umano possieda un destino eterno impone un solo obbligo: il rispetto. L’obbligo è adempiuto soltanto se il rispetto è effettivamente espresso, in modo reale e non fittizio; e questo può avvenire soltanto mediante i bisogni terrestri dell’uomo. La coscienza umana, su questo punto, non è mutata mai. Migliaia di anni fa, gli egiziani pensavano che un’anima non potesse giustificarsi dopo la morte se non poteva dire: «Non ho fatto patire la fame a nessuno». Tutti i cristiani sanno di dover udire, un giorno, Cristo dir loro: «Ho avuto fame e tu non mi hai dato da mangiare». Tutti si rappresentano il progresso come il passaggio a uno stato della società umana nel quale, prima di tutto, la gente non soffrirà la fame. Nessuno, cui la domanda venga posta in termini generali, penserà che sia innocente chi, avendo cibo in abbondanza e trovando sulla soglia della propria casa un essere umano mezzo morto di fame, se ne vada senza dargli aiuto. Far sì che non soffra la fame quando si ha la possibilità di aiutarlo è dunque un obbligo eterno verso l’essere umano. Essendo quest’obbligo il più evidente esso dovrà
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servire come esempio per comporre l’elenco dei doveri eterni verso ogni essere umano. Per essere stabilito col massimo rigore, questo elenco deve procedere, per via di analogia, da questo primo esempio. Quindi l’elenco degli obblighi verso l’essere umano deve corrispondere all’elenco di quei bisogni umani che sono vitali, analoghi alla fame. Tra questi bisogni, alcuni sono fisici, come la fame. È abbastanza facile annoverarli: la protezione contro la violenza, l’abitazione, il vestiario, il caldo, l’igiene, le cure in caso di malattia. Altri invece, fra questi bisogni, non sono in rapporto con la vita fisica, bensì con la vita morale. Eppure sono terrestri come quegli altri e non posseggono una relazione diretta, che sia accessibile alla nostra intelligenza, con il destino eterno dell’uomo. Sono, come i bisogni fisici, necessità della vita terrena. Cioè, se non sono soddisfatti, l’uomo cade a poco a poco in uno stato più o meno analogo alla morte, più o meno simile a una vita puramente vegetativa. Questi bisogni sono molto più difficili da riconoscere e da enumerare di quelli del corpo. Ma ognuno ne riconosce l’esistenza. Qualsiasi crudeltà un conquistatore possa esercitare su popolazioni sottomesse, massacri, mutilazioni, carestia organizzata, schiavitù o deportazioni in massa, sono considerati in genere come riferiti a quelli, benché la libertà o il paese natale non siano necessità fisiche. Ognuno ha coscienza che vi sono crudeltà che toccano la vita dell’uomo senza toccare il suo corpo. E sono queste che privano l’uomo di un certo nutrimento necessario alla vita dell’anima. Gli obblighi, incondizionati o relativi, eterni o mutevoli, diretti o indiretti rispetto alle
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cose umane, derivano tutti, senza eccezione, dai bisogni vitali dell’essere umano. Quelli che non riguardano direttamente questo o quell’altro essere umano determinato, hanno tutti per loro oggetto cose che in rapporto all’uomo hanno una funzione analoga a quella del nutrimento. Dobbiamo rispetto a un campo di grano non in se stesso ma perché è nutrimento per gli uomini. Allo stesso modo dobbiamo rispetto a una collettività, qualunque essa sia – patria, famiglia o altro – non in se stessa ma in quanto nutrimento di un certo numero di anime umane. Quest’obbligo impone in realtà atteggiamenti e atti differenti secondo le differenti situazioni. Ma considerato di per sé, è assolutamente identico per tutti. In modo particolare è assolutamente identico per coloro che sono fuori della collettività. Il grado di rispetto dovuto alle collettività umane è molto elevato; e per vari motivi. Anzitutto, ognuna di esse è unica e non può essere sostituita se viene distrutta. Un sacco di grano può sempre essere sostituito a un altro sacco di grano. Il nutrimento che una collettività fornisce all’anima dei suoi membri non ha equivalente in tutto l’universo. Poi, con la sua durata, la collettività penetra già nell’avvenire. Contiene nutrimento non solo per le anime dei vivi, ma anche per quegli esseri non ancora nati che verranno al mondo nei secoli a venire. E finalmente, per la sua stessa durata, la collettività ha le sue radici nel passato. Essa costituisce l’unico organo di conservazione per i tesori spirituali accumulati dai morti, l’unico organo di trasmissione mediante il quale i morti possano parlare ai vivi. È la sola cosa terrestre che abbia un legame diretto con il destino eterno dell’uomo;
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Simone Weil, La prima radice © 2017 Comunità Editrice, Roma/Ivrea 1ª edizione italiana © 1954 Edizioni di Comunità Titolo originale: L’Enracinement Traduzione dal francese di Franco Fortini ISBN 978-88-98220-71-7 Redazione: Angela Ricci, Andrea Crisanti de Ascentiis Impaginazione e ebook: Studio Akhu Progetto grafico: BeccoGiallo Lab
Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino
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