Poesia politica e fiori. Scritti su Adriano Olivetti - di Geno Pampaloni (estratto)

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Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza.


Indice

Premessa 9 Un’idea di vita 13 Un anno all’Unrra-Casas 31 Oltre la morte 55 Una natura di riformatore 59 L’umanista che ha comperato la Underwood 63 Dieci anni dopo 79 Utopista positivo 87 Un servizio televisivo su Adriano Olivetti 91 Architettura e urbanistica alla Olivetti 99 Tra utopia, eresia e profezia 115 La saga degli Olivetti 127 Il mito e l’eredità di Adriano Olivetti 135 Poesia, politica e fiori 145


Premessa

Sono qui raccolti gli articoli che in un ventennio mi è occorso di scrivere su Adriano Olivetti: il primo risale alle ultime settimane della sua vita ed era stato da lui accolto come prefazione al suo volume Città dell’uomo, l’ultimo è un capitoletto delle “Memorie inattuali” che scrivo di tanto in tanto nei ritagli di tempo con l’illusione di farne un libro. Sono articoli occasionali nel senso più modesto del termine; vale a dire occasionati da ricorrenze, stimoli di cronaca, curiosità di direttori di giornali. Sono articoli giornalistici, caratterizzati quindi dalla fretta, dalle limitazioni di spazio, dalla ripetitività e in generale dall’accantonamento del rigore che sono propri del lavoro giornalistico. Perché dunque non mi sono sottratto all’iniziativa di questa ripubblicazione, se sono pienamente consapevole dell’esiguità culturale del mio contributo? Per alcune ragioni soggettive e una, forse, oggettiva. Tra le prime porrei il desiderio di non opporre un rifiuto agli amici della Fondazione Olivetti e delle Edizioni di Comunità, e di adempiere a un dovere di presenza tra di loro, nel momento in cui si apprestano a ricordare il ventesimo anniversario della morte di Adriano Olivetti.


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E vi porrei anche il piacere di dare un’ultima e generale testimonianza. Gli scritti qui raccolti, riletti oggi, mostrano qualche oscillazione di giudizio, abbastanza comprensibile dati gli eventi che dalla seconda metà degli anni Cinquanta (dall’incubazione del centrosinistra e della distensione internazionale) si sono succeduti in Italia e nel mondo. L’interpretazione del mio stesso passato può essere stata via via influenzata dall’interpretazione che ero indotto a dare di ciò che via via accadeva. Così come pecca in organicità e in approfondimento, questo libretto può essere qua e là colto in peccato di incoerenza. Ma verso il pensiero, l’opera e la figura di Adriano Olivetti conferma in ogni pagina la fedeltà e il senso di un’esperienza né tradita né dimenticata. La ragione che spero oggettiva è che, con tutte le possibili lacune, si tratta di un documento di innegabile autenticità, di un documento di “prima generazione”, se è lecito usare qui questo termine apostolico; e potrà essere utile in quanto tale, fatta la giusta tara alle mie inadeguatezze, agli studiosi e ai politici che vorranno ripercorrere la storia e il significato, non valutati sinora nel giusto merito, del Movimento Comunità. È mia ferma opinione che il disegno olivettiano di un nuovo rapporto tra società e politica abbia tutt’altro che esaurito la sua razionale forza di indicazione e la sua carica di futuro. In questo caso anche una pur modesta memoria di vita, qual è quella che qui si offre, può illuminare il cammino nel tempo di “un’idea di vita”. Agosto 1980


Felici coloro che costruiranno la città dell’uomo. Charles Péguy


Un’idea di vita

Via Jervis a Ivrea è una via che, per molte ore del giorno, conserva un aspetto quieto, di appartato angolo di provincia. Percorre i duri selci grigi, per attraversarla, qualche operaio o qualche impiegata, affacciandosi di tra le macchine silenziose ai parcheggi, o una fila di giovani allievi della scuola di fabbrica, con la vivace macchia blu delle tute, trasferendosi da un’aula a un esercizio di officina. Il cielo che si rispecchia sulle ininterrotte mura di vetro della fabbrica sembra darle una dimensione più chiara e senza limiti, in uno spazio in cui il battere sordo delle macchine che vibrano nei grandi saloni riverbera sulla via un ronzio familiare e senza mistero, come di una calma navigazione: e l’uomo della pesa conversa con il guardiano, davanti a un cancello secondario, aspettando l’arrivo degli autocarri. Dall’altro lato, lungo l’opposto marciapiede, un portico leggero e una distesa teoria di bianche terrazze si contrappongono ai precisi volumi della fabbrica: è l’edificio dei Servizi sociali. In fondo alla via, si intravede ancora un breve orizzonte di cielo e di verde, e d’inverno l’alba si infiamma sui gioghi lucenti e nevosi delle montagne. La via prende nome da un uomo che lavorò nella fabbrica e probabilmente vi aveva trovato una sua ve-


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rità di doveri, di amicizie e di gioia, così come la trovò poi, al momento dovuto, nella Resistenza, nella silenziosa prigionia e nella morte: il suo ultimo, breve messaggio fu scritto con il sangue. Il basso, ormai proverbiale edificio di mattoni rossi, ove ebbe la sua prima sede la fabbrica di macchine per scrivere, rievoca l’inizio del secolo e la patriarcale figura del fondatore della Società; e ancora vivono quelli che ricordano i campi di grano che digradavano dal bosco di Monte Navale e verdeggiavano al sole là dove ora si allineano le complesse attrezzature industriali. La via sembra non aver rifiutato del tutto questa sua antica memoria umana, quando la imboccano, percorrendo per l’intera sua fronte la prestigiosa roccaforte della tecnica, nota in tutto il mondo, i camioncini, i tricicli, i vecchi furgoni che segnano il traffico di Ivrea con la sua periferia, o i festosi pullman che accompagnano a scuola i bambini delle ville e dei casolari nascosti nella vicina campagna. Questa è la via nella quale sorgono gli stabilimenti Olivetti, cresciuti in un cinquantennio di conquistato progresso: nonostante l’ansia di perfezione che li ha disegnati, essi non impongono una presenza esclusiva, intimidatoria, sembrano addirittura nascondere le migliaia di lavoratori che li abitano e che nell’ora dell’uscita si riversano nella via come una ribollente fiumana; ma, al contrario, si inseriscono ancora in un paesaggio naturale e in una vicenda umana. Ecco il quadro ove va collocato il puntuale disegno teorico dello “Stato delle Comunità” che Adriano Olivetti ha elaborato quando si apriva sull’Europa il secondo, tor-


Geno Pampaloni, Poesia, politica e fiori © 2016 Comunità Editrice, Roma/Ivrea © 1980 Un’idea di democrazia, Edizioni di Comunità ISBN 978-88-98220-46-5 L’editore ringrazia la famiglia Pampaloni per aver gentilmente concesso l’utilizzo del testo Redazione: Angela Ricci Impaginazione e ebook: Studio Akhu Progetto grafico: BeccoGiallo Lab

Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino

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