Progettare per sopravvivere, di Richard Neutra - Edizioni di Comunità (estratto)

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Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza.


Edizioni di ComunitĂ 3


Richard J. Neutra, Progettare per sopravvivere © 2015 Comunità Editrice, Roma/Ivrea 1a edizione italiana © 1956 Edizioni di Comunità Titolo originale: Survival through design © 1954, 1969 by Richard J. Neutra and © 1984, 2015 by Dion Neutra This edition is an authorized translation from the English language edition published by special arrangement with Dion Neutra, 2440 Neutra Place, Los Angeles, CA. 90039 La presente edizione riprende la traduzione originale di Glauco Cambon per la 1ª edizione ISBN 978-88-98220-25-0 Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino Redazione: Angela Ricci Progetto grafico: BeccoGiallo Lab facebook.com/edizionidicomunita twitter.com/edcomunita www.edizionidicomunita.it info@edizionidicomunita.it


Richard J. Neutra

Progettare per sopravvivere


Prefazione a un ciclo di scritti indipendenti, eppur collegati, raccolti nel corso di tutta una vita, o poco meno.

L’ideazione di strutture precise, se non la prendiamo astrattamente, si risolve soprattutto in lavoro per gli esseri umani e con loro. Gli esseri umani devono essere serviti, e raggiunti, dall’attività progettuale non solo come consumatori, al termine del ciclo; ma devono essere coinvolti anche in corso d’opera in quanto collaboratori e maestranze. Ogni passo deve essere accettabile, comprensibile, convincente, tanto da assicurare la cooperazione necessaria, e la soluzione finale deve esercitare un prestigio razionale ed emotivo. Deve avere il massimo raggio di apertura, per evitare molteplici forme di attrito e collisione; va infatti prevista la portata delle reazioni individuali. Animali cerebralmente meno attrezzati non hanno simili problemi. Non sono impegnati a convincersi l’un l’altro. E per lo più evitano di occuparsi di cose che potrebbero risultare loro fatali. L’uomo è diverso, tende a voler riparare e migliorare le cose. Modifica il suo ambiente naturale, mentre altri animali ci vivono in pace. Essi sopravvivono adattandosi ai mutamenti naturali nel corso di lunghe epoche biologiche, oppure periscono. L’uomo invece potrebbe anche restare vittima delle sue stesse invenzioni esplosive e insidiose. Per adattarsi alle medesime egli si riserva ben poco tempo, anzi sempre meno, man mano che aumenta lo slancio folle della sua magia tecnologica. Se egli vuole davvero sopravvivere, non potrà farlo attraverso un lento adattamento. Dovrà raggiungere questo obiettivo mediante l’esercizio di maggior sottigliezza e circospezione nei suoi progetti, e mediante piani preventivi più cauti. L’autore sente un gran debito verso gli uomini letterariamente e filosoficamente dotati che hanno illuminato la storia della cultura e il teatro della vita contemporanea mediante la comprensione del passato. Quando parliamo del passato o del presente, non intendiamo sezioni di tempo astratto. Vogliamo dire, naturalmente, i processi svoltisi nel loro quadro. E dei processi tecnici in particolar modo possiamo dire che si vanno sviluppando a ritmo sempre più accelerato, con il risultato che presente e futuro si differenziano dal passato in modo più acuto e progressivo. Paralleli e confronti diventano perciò straordinariamente inattendibili. In questo libro cito occasionalmente scienziati, noti per le loro ricerche originali, che per loro etica professionale esiterebbero a trarre conclusioni troppo affrettate da reperti ancora incompleti. I miei argomenti non hanno alcuna pretesa di condividere tutta la esauriente sistematicità della scienza. Avevo solo il profondo desiderio di far rilevare quanto giovamento abbia tratto, ai fini di una progettistica sana, dalle scienze contemporanee che hanno osservato il funzionamento organico alle minime distanze, per mettere così in evidenza in che vasta misura se ne possa avvantaggiare l’intero campo della progettistica, quest’arte fatale. Alla luce di tale conoscenza aggiornata, le risposte non possono essere brevi e comode, come le avrebbe forse ridotte la speculazione astratta del passato. Ma è di grande stimolo vedere all’orizzonte qualche risposta, quand’anche in vista delle continue correzioni che si susseguiranno finché si


continuerà a ricercare un approfondimento e un progresso dell’osservazione. Il lettore, come tutti noi, è un consumatore di progetti fisici, di prodotti disegnati*, e di un ambiente pianificato e costruito nel complesso. Ogni sforzo di chiarificazione tenderà in ultima analisi ad aiutare lui e noi con i nostri comuni problemi di consumatori. Abbiamo tutti bisogno di criteri sicuri per giudicare e per essere giudiziosi, per accettare e respingere. Così come stanno le cose, in tutto il globo terracqueo l’umanità, sempre più artificialmente rifornita e quindi spesso coartata, appare oggi alla mercé di una tecnologia industriale sfrenata ed esageratamente propagandata, che con la sua alluvione ci sta strappando ai nostri ormeggi fisiologici e, come a volte può sembrare, minaccia di annegare tutta la razza umana come una cucciolata di gattini indifesi. A questo punto siamo forse arrivati per via di un dualismo che scinde la nostra produzione e progettistica in una sfera utilitaria e in una sfera non utilitaria. Tale dualismo è qualcosa di più che un semplice abuso di parole. Semplicemente non ha basi reali nella natura esterna o nella nostra fisiologia. Una tale estraneità alla natura reale ci fa sospettare che possa rivelarsi altamente distruttivo. Alle prese con la sua opera pratica, l’autore è stato costretto a ponderare per molti anni questo importantissimo argomento. Egli non avrebbe saputo resistere nella lotta per la vita se non fosse stato per la fede di poter modestamente contribuire, da architetto, alla preservazione della specie e dell’esistenza umana, cioè a un valore obiettivo. Fra noi aumentano sempre coloro i quali sono convinti che si possano trovare e si debbano applicare sistemi di riferimento e unità di misura per giudicare la progettistica in questo senso. Negarlo sarebbe nichilismo bello e buono. Al pari di memorie che investono decenni di storia di una mente, quella che si offre qui è una raccolta di pensieri, scaturiti a volte dalle fatiche quotidiane della progettistica, e spesso da quelle numerose e necessarie conversazioni con i clienti sull’opportunità di farla accettare mediante la convinzione e la fiducia. I miei ringraziamenti sinceri vanno ai molti che mi hanno dato aiuto e conforto, sebbene talvolta, dopo tanti anni, la memoria mi tradisca riguardo ai loro nomi o alle parole esatte che di essi mi colpirono. Vorrei poter compilare un elenco esauriente di fonti suggestive o una bibliografia completa di quanto mi è stato concesso di assorbire profondamente, anche se spesso senza durevole consapevolezza. Ma questa finirebbe allora per essere una specie di autobiografia, e rimarrebbe incompleta come sempre sono le autobiografie. R. J. N. Los Angeles, Giugno 1953

* Il sostantivo inglese design (con relativo verbo to design) equivale al nostro progetto, progettare, attività progettistica, e traduco in conformità. In determinati contesti però mi è parso opportuno ravvivare il senso classico del nostro disegno, disegnare, che oltre all’idea primaria di espressione grafica comporta anche quella di “progetto” in senso lato; senza contare che una fase essenziale del design consiste appunto nel disegno come precisazione grafica del progetto. (N. d. T.)


Ringraziamenti

L’autore ringrazia qui la cara compagna della sua vita, Dione Neutra. Lei, con le sue liete fatiche, e altri ancora lo hanno aiutato attraverso i molti anni in cui s’è preparato il manoscritto per ridurlo alla sua forma definitiva: Regula Thorston, Eva Heymann e John Blanton, che pure varcarono un mare di bozze impaginate. La Oxford University Press, specialmente nella persona di John Begg, ci ha dato molta cooperazione necessaria e apprezzata.


Capitolo 1

L’ambiente naturale viene continuamente alterato e limitato dagli atti del cervello umano.

Troppo a lungo si è arrecato oltraggio alla natura ideando anelli da naso, busti, e metropolitane soffocanti. Forse i nostri odierni fabbricanti di prodotti in serie si sono particolarmente allontanati dalla natura. Ma fin dai tempi di Sodoma e Gomorra, la normalità organica è stata reiteratamente violata dall’uomo, questo super-animale che ancora lotta per trovare il suo equilibrio. Ci sono stati ammonitori, profeti, diluvi e nuovi esordi. Ciò che qui possiamo brevemente chiamare natura comprende tutte le esigenze e caratteristiche degli organismi viventi. Tutto questo mondo di fenomeni organici, nelle follie della nostra immaturità tuttora palese, è spesso trattato contro “l’andamento naturale” e in modo contrario al “piano supremo”, quello della coerenza e dell’esigenza biologica. In altre epoche ciò era peccato, e per siffatte mancanze la divinità minacciava di liquidare i peccatori. Sarà pur vero che noi abbiamo lasciato perdere, forse con troppa noncuranza, l’accento morale. Ma anche per noi sussiste l’alternativa di sopravvivere in virtù d’una sana integrità, o di dannarci e morire per nostra colpa. Nell’attività progettistica umana potremmo ragionevolmente vedere il proseguimento dell’evoluzione organica, che si estende fino a immaginare un futuro forgiato dall’uomo. Ad ogni modo, lo sviluppo fenomenale che ha assunto nella parte superiore del cervello umano la corteccia, con i suoi molteplici strati, non si è ancora dimostrato con certezza un vicolo cieco o un grave fallimento. Sì, questo cervello peculiare all’uomo genera guai, ma può anche fornire uno straordinario sostegno alla sopravvivenza. Noi siamo stati alquanto tardivi nel fare appello a tutte le nostre facoltà e risorse potenziali per disporre in modo sopportabile uno spazio d’abitazione individuale e comunitario. I velenosi detriti delle nostre negligenze e cattiverie, vecchie e nuove, si ammucchiano tutt’intorno a noi nel nostro ambiente fisico. I rottami confusi di secoli e secoli, privi di ogni corrente finalità pratica, frastornano in modo quanto mai preoccupante i nostri tentativi di creare ordine, deboli e arbitrari come spesso sono. L’ideazione di progetti organicamente orientati potrebbe, speriamo, controbattere il disordine del nostro ambiente lasciato in balia del caso. La fisiologia deve dirigere e all’occasione frenare il progresso tecnico nell’ambiente costruito. Questo nostro teatro d’azione è immenso; comprende tutto ciò che l’uomo confeziona per rifornire l’uomo, dall’astuccio aerato del nostro spazzolino da denti all’illuminazione di un nodo stradale, o dell’asilo diurno rionale. Gran parte di ciò che vagamente si è chiamato bellezza sarà coinvolta in questo vigile riesame che proponiamo dell’ambiente fatto dall’uomo. Entrerà in questione forse molto più spesso di quanto si pos-


sa immaginare nello squallido disordine in cui oggi viviamo. Ma la specie di bellezza a cui qui alludiamo avrà rinunciato a fondamenti di autodifesa diventati ormai troppo precari. I progettisti riconosceranno che a poco a poco, ma con certezza, essi devono costruire le loro proposte e composizioni su fondamenti fisiologici più solidi, anziché basarle su semplici conversazioni speculative o considerazioni commerciali. In questo campo ci potrà sempre essere un eterno residuo di mistero, eppure il regno della ricerca, del collaudo e della dimostrabilità si accresce di giorno in giorno. Tutti i nostri dispendiosi investimenti a lunga scadenza nelle costruzioni ambientali saranno considerati legittimi soltanto se i progetti relativi avranno un alto e dimostrabile indice di vivibilità. Tali progetti dovranno essere concepiti da un ordine professionale allevato in un clima di responsabilità sociale, competente e intento a promuovere la sopravvivenza di una razza che corre grave pericolo di autodistruggersi. La progettazione è il mezzo principale con cui gli esseri umani hanno a lungo tentato di modificare il loro ambiente naturale, nei particolari e nel complesso. L’ambiente fisico andava reso più abitabile e più consono alle crescenti aspirazioni. Ogni progetto diviene l’antenato di gran numero di altri progetti e ingenera una nuova messe di aspirazioni. In passato ci furono molti insuccessi. Città come Roma sono state chiamate eterne solo per diventare monumenti, non tanto di stabilità quanto di un continuo bisogno di rifacimento. Roma e molti suoi edifici hanno subito crudeli riassetti da parte di barbari interni ed esterni. La Città Eterna porta un’impressionante testimonianza al naufragio di una folla di piani e progetti rimasti per sempre allo stato di frammenti anchilosati. Attualmente, le cose potranno essere diverse da quello che erano in passato, magari, ma non certo migliori. Il carattere controverso e calamitoso delle città contemporanee, dalle moderne Mexico, Milano e Manila giù fino a Middletown, USA, è noto a tutti noi: basta attraversare la strada uscendo dall’ufficio per andare al posteggio automobili. Attraverso il lavoro mentale della progettazione, che dovrebbe migliorare la nostra vita, la razza umana mostra in genere di allontanarsi sempre più dallo scenario naturale. L’ambiente paradisiaco dell’uomo primitivo è oggi considerato un mito, e può ben darsi che a lui la situazione naturale ponesse problemi abbastanza aspri. Eppure i problemi dell’ambiente disegnato e costruito dall’uomo mettono spesso a più dura prova la nostra resistenza naturale. Le anchilosate creazioni dell’uomo, dalle fognature alle metropolitane sotterranee, alle brutte strozzature del cielo sopra le nostre teste, incastrato in un intrico irritante di fili elettrici, non dovrebbero essere ineludibili come il fato. Il fulmine e la peste, un tempo così formidabili, sono stati neutralizzati con opportune misure; e proprio qui, dunque, dobbiamo trovarci nell’impotenza? Dobbiamo rimanere strangolati e soffocati dalla nostra stessa attività progettistica che ci ha circondato di metropoli antropofaghe, di squallide cittadine improntate a una mancanza d’ordine esiziale per l’anima, di campagne mortificate lungo le ferrovie e le autostrade, costellate di meschine costruzioni puramente utilitarie, ombreggiate di pali telegrafici e appestate da esalazioni di benzina? La progettistica, l’atto di porre le costruzioni in un dato ordine, o disordine, sembra essere il destino umano. Sembra essere la via dei guai, e può essere la via d’uscita dai medesimi. È la responsabilità specifica a cui è maturata la nostra specie, e costituisce l’unica possibilità, per quella specie animale pensante, preveggente e costruente che noi siamo, di preservare la vita su questo pianeta rimpicciolito e sopravvivere con grazia. Tale sopravvivenza è indubbiamente il nostro grande obiettivo, conforme a una struttura innata del sentimento. È questione della massima urgenza per tutti, dal più elevato filosofo al più realistico uomo d’affari. Una progettazione che contribuisca alla sopravvivenza della razza umana è qualcosa di più che


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