Camillo Olivetti, Tre scritti sulla fabbrica la formazione la solidarietà (estratto)

Page 1

via jervis/7

Camillo Olivetti

Tre scritti

sulla fabbrica, la formazione e la solidarietà

“È necessario che i capi stiano in officina almeno un’ora in più degli operai per studiare il lavoro. La vita di chi si dedica all’industria con un certo grado di idealismo è ingrata e difficile”

Edizioni di Comunità


Camillo Olivetti, Tre scritti sulla fabbrica, la formazione e la solidarietà © 2016 Comunità Editrice, Roma/Ivrea Per il testo Alle origini di una grande industria moderna l’Editore ringrazia il professor Carlo G. Lacaita ISBN 978-88-98220-53-3 Redazione: Angela Ricci Impaginazione e ebook: Studio Akhu Progetto grafico: BeccoGiallo Lab

Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino

facebook.com/edizionidicomunita twitter.com/edcomunita www.edizionidicomunita.it info@edizionidicomunita.it


Organizzazione industriale, tecnica e commerciale

L’industria degli strumenti elettrici è un’industria speciale nella quale è necessario adoperare criteri speciali sia nella fabbricazione, sia nelle vendite. Per me è un assioma che per poter vendere è necessario avere qualcosa da vendere che risponda a quanto si offre ed il cliente può ragionevolmente pretendere. Ora il cliente di strumenti elettrici è un cliente speciale. Non si può nella nostra industria fare una concorrenza basata soltanto sul prezzo, perché sono numerosi i consumatori abbastanza intelligenti e conoscitori coi quali è necessario basarsi sovratutto sulla qualità, dando naturalmente la merce a prezzi non inferiori a quelli del merito, che per la merce di qualità superiore sono ancora remunerativi alla sola condizione che l’industria abbia buoni tipi e la fabbricazione sia bene organizzata. Anzitutto noi dobbiamo domandarci: che cosa dobbiamo fare? A questo punto io debbo dichiarare che quando parlo del futuro, parlo di un futuro prossimo, due o tre anni al massimo. Al futuro più remoto si deve pensare solo nel senso di non far nulla che ci possa ipotecare l’avvenire. Noi dobbiamo fare soltanto quello che possiamo fare. Noi siamo in grado, o lo saremo in breve, se non ci


8

mancheranno le circostanze favorevoli, di fare pochi tipi di strumenti da quadro e pochi tipi di apparecchi registratori. Naturalmente la scelta dei tipi sarà la prima cosa. Abbiamo alcuni tipi della Olivetti & C. assai buoni ed alcuni tipi del Tecnomasio pure assai buoni. Io credo che con una scelta fatta senza preconcetti dei tipi si può facilmente avere quanto è necessario. Perché la fabbricazione di tali apparecchi sia industriale è necessario che sia industriale il disegno, cioè che il disegno non solo sia ben concepito, ma anche sia praticamente eseguito in modo che l’apparecchio si possa fabbricare economicamente, sia per la materia prima, sia per la lavorazione, adattando questa ultima alle macchine ed agli uomini che abbiamo o possiamo facilmente procurarci. Da un buon disegno si può facilmente passare a una buona lavorazione, ma questa deve essere studiata con cura adattando a ciascun pezzo il minimo mezzo. Io mi sono trovato bene assai adattando tutte le volte che mi è stato possibile il metodo americano delle parti permutabili. Ecco in breve in che cosa consiste: ogni pezzo viene seguito separatamente in modo più esatto possibile dipendentemente dalle altri parti dell’oggetto completo. Le parti devono senza bisogno di aggiustaggio andare insieme. Per ottenere questo, che sembra semplice cosa, è necessario uno studio accurato di ogni pezzo, l’uso di macchine perfette e di un attrezzaggio costosissimo e speciale, tanto che non conviene quando pochi oggetti soltanto di un tipo si debbono fabbricare.


9

Questo metodo però ha la superiorità enorme sugli altri di rendersi fino ad un certo punto indipendente dalla bravura degli operai e nello stesso tempo offre garanzia della costanza dello standard di lavorazione. Un primo postulato per accogliere questo metodo è che i tipi siano pochi e tali da non doversi cambiar di sovente. Un secondo postulato è che sia possibile avere degli operai di mediocre intelligenza, di mediocre abilità, ma molto coscienziosi e pazienti. Devono però essere molto ben guardati ed il lavoro deve essere distribuito bene; onde la necessità di un’organizzazione del lavoro, organizzazione che si poggia sovratutto sui capiofficina che devono distribuire agli operai il lavoro dato loro dal direttore da cui dipendono. Qui ritengo opportuno accennare incidentalmente alla ragione per cui credo necessario, almeno per ora, di mantenere due abitudini che possono forse essere interpretate come una mania di differenziarsi da quanto si fa nelle altre officine, ma che sono invece un portato diretto del tipo di organizzazione della nostra azienda, almeno allo stato attuale, voglio dire le ore di lavoro ordinario, che sono 9, e la abolizione dei cottimi sotto qualunque forma. In un’organizzazione basata sovratutto sui capiofficina è impossibile, almeno fin che le cose non camminano da sé, pretendere che i capi lavorino con buon rendimento più di 10 o 12 ore. Ora, è praticamente necessario che i capi stiano almeno un’ora di più degli operai per studiare il lavoro da distribuirsi nelle ore successive, onde la necessità di un orario limitato. Il tempo si gua-


10

dagna esuberantemente con una buona coordinazione di lavoro e con maggior intensità di applicazione da parte degli operai, i quali d’altronde, stante la poca varietà delle mansioni loro, non possono essere obbligati a troppe ore di lavoro esauriente e noioso. L’altra riguarda i cottimi. Io credo che è già abbastanza difficile sorvegliare il lavoro di operai quando questi non hanno interesse a farlo male. Resterebbe assai più difficile il sorvegliarlo quando vi è un incentivo diretto a buttar giù la roba. Inoltre, siccome sarebbe troppo pericoloso di dar a cottimo le operazioni più delicate di taratura e montatura, si avrebbe che otterrebbero il vantaggio del cottimo solo gli operai addetti alle lavorazioni correnti, cioè si compenserebbero solo gli operai meno distinti. Per le lavorazioni poi in cui la distribuzione del cottimo resterebbe facile, abbiamo constatato che una buona e continua visione degli ordini di lavoro ed una graduazione di paghe basata su questa è sufficiente ad ottenere una velocità grande di lavoro. Parlo naturalmente di lavoro ottenuto su macchine perfette e di alto rendimento. Le altre macchine non le vogliamo. Un’ultima qualità del cottimo è di compensare in via straordinaria degli operai che per qualche ragione se ne rendono meritevoli. Questo scopo, che d’altronde può dar luogo a deplorevoli abusi ed esser fonte di disordini, e perciò deve essere affatto eccezionale, noi usiamo raggiungerlo col far fare a questi operai, che per essere i più bravi in genere non hanno bisogno di essere sorvegliati molto, alcune ore straordinarie pagate a tariffa speciale.


11

Nella distribuzione del lavoro ha una parte importante il magazzino, vero cuore dell’officina, che riceve da questa i pezzi lavorati e li distribuisce al laboratorio, e riceve da questo gli oggetti finiti e li invia ai clienti. L’ordinamento e l’organizzazione del magazzino è uno dei punti più difficili ed importanti, ma non ha quel valore di attualità che ha l’organizzazione del lavoro. Perciò per il momento accenno soltanto la cosa. Organizzazione del lavoro L’ordinamento generale del lavoro deve essere dato da chi ha la responsabilità dell’azienda, chiamatelo direttore generale, o come volete, purché la sostanza non muti. È per me un canone d’un’azienda ben organizzata che là vi deve essere il potere dove vi è la responsabilità o viceversa. Il direttore generale (chiamiamolo per ora così) deve anzitutto determinare quello che si deve fare e come si deve fare, distribuendo sotto la sua responsabilità il lavoro al personale e dando loro le norme e vigilando che queste siano eseguite. Così si potrà ottenere, se non mancheranno le capacità e la costanza di chi dirige, che il direttore dei lavori e il direttore amministrativo tecnico lavorino d’accordo fra di loro, in modo che la direttiva sia unica. Al direttore tecnico spetterà la creazione e lo studio dei tipi e la direzione tecnica dell’azienda. Perciò dovrà anzitutto tenersi al corrente con gli studi tecnici e pratici dell’elettricità e della meccanica, dovrà d’intesa


60

con il neonato Partito Socialista Italiano e ad accorrere nel maggio 1898 a Milano contro la linea repressiva dei governi del tempo. Subito dopo, intervenendo su vari giornali e riviste, in assemblee civiche e di partito, sostenne una serie di riforme ad un tempo concrete e di largo respiro. Affrontò i problemi dell’acqua potabile, dell’illuminazione elettrica, della costruzione di nuovi edifici scolastici e dei sussidi agli alunni bisognosi, della diffusione dell’istruzione tecnica e professionale, dell’ampliamento della viabilità urbana e dello sviluppo delle comunicazioni con le valli del Canavese e, più oltre, con tutto il Piemonte, la Lombardia, la Svizzera e la Francia mediante una rete di nuove vie, che dovevano culminare - diceva - nel traforo del Monte Bianco. Sempre a sostegno di una politica di riforme, chiamò “L’Azione riformista” e ‘Tempi Nuovi” i settimanali da lui fondati nel 1919 e nel 1922 col proposito di aggregare le forze dinamiche a favore di un effettivo allargamento della base sociale dello Stato e del rinnovamento della classe al potere, dalla cui qualità a suo giudizio dipendeva la qualità dell’intera vita democratica del paese. Insieme ai riformisti italiani ed europei sostenne, fra l’altro, la municipalizzazione dei servizi pubblici essenziali, che durante il suo soggiorno in Inghilterra aveva visto applicata, dopo la battaglia condotta dalla Fabian Society, dai Webb e da altri economisti e scrittori contro i monopoli privati. Con il trasferimento della loro gestione ai municipi - sosteneva - non solo i servizi pubblici avrebbero potuto soddisfare meglio le esigenze della popolazione e insieme incrementare


61

gli introiti dei comuni, ma avrebbero anche sollecitato i cittadini a scegliere i migliori amministratori locali e contribuito a irrobustire il costume democratico, che si nutre essenzialmente di partecipazione consapevole e responsabile alla vita collettiva. Sempre in una prospettiva democratica si atteggiò di fronte alla grande crisi del primo dopoguerra, destinata a sfociare nella dittatura fascista. Come molti altri democratici, si pronunciò a favore di un ordinamento federale di tipo americano ed elvetico (in grado - diceva - di realizzare il “massimo decentramento funzionale” e di imprimere al tempo stesso la maggiore unità di direzione “a tutta la compagine dello Stato”), e si adoperò, contro le tendenze rivoluzionarie e reazionarie del periodo, per un’alleanza di forze produttive e culturali moderne capace di coniugare rigore industriale e democrazia, efficienza economica ed equità sociale, rendimento del denaro e valori etici. E a sostegno di un rapido ricambio della classe dirigente, ammoniva alla vigilia della marcia su Roma: “Una democrazia che non sia capace di affidare ai migliori il governo della cosa pubblica non è una democrazia, ma una demagogia che finisce per degenerare nella tirannia di pochi più violenti e più furbi”. Anche di queste parole è fatto il retaggio olivettiano che è da conservare e trasmettere alle future generazioni.

Alle origini di una grande industria moderna è apparso per la prima volta in: La misura di un sogno: l’avventura di Camillo Olivetti, Gruppo Loccioni/Associazione Archivio Storico Olivetti, 2009.

*


Tre scritti per comprendere le radici dell’impresa diventata grande sotto la guida di Adriano Olivetti ma che ebbe origine dal genio, dalla competenza tecnica e dal senso di responsabilità sociale di suo padre Camillo. Un’eredità di riflessioni sulla vita di una fabbrica, capace ancora oggi di ispirare e porre domande su quale sia il ruolo di un vero imprenditore. Camillo Olivetti (1868-1943) Attivista socialista, eclettico inventore e fine progettista, dopo aver insegnato ingegneria all’università di Stanford fondò nel 1908 a Ivrea la “Prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”. Non rinunciò mai a occuparsi in prima persona delle questioni di progettistica e di formazione tecnica, fino alla morte avvenuta in clandestinità a Biella durante la guerra.

via jervis

I contributi fondamentali per conoscere da vicino il cuore dell’impresa di Adriano Olivetti. Via Jervis, secondo Le Corbusier “la strada più bella del mondo”.

ISBN 978-88-98220-53-3

€ 8,00


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.