Un senso del futuro, Jacob Bronowski - Edizioni di Comunità

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Jacob Bronowski

UN senso del futuro Saggi di filosofia naturale

Edizioni di ComunitĂ


Capitolo 1

Un senso del futuro

Se, in una sera d’estate di cento anni fa, vi foste inoltrati nella campagna del Kent, appena oltre Bromley, avreste potuto assistere a un singolare spettacolo. Nella serra di una delle case più grandi e più brutte della zona, un uomo alto di oltre sessant’anni se ne stava chino su vasi di piante. Accanto a lui, altrettanto assorto, sedeva un uomo più giovane, che suonava un fagotto. Questi due uomini così concentrati erano Charles Darwin e suo figlio Frank; e stavano facendo un esperimento scientifico. Darwin voleva sapere con esattezza che cosa induce una pianta carnivora, come la drosera comune, a chiudere le foglie quando vi si posa un insetto. Stava quindi esaminando metodicamente, l’una dopo l’altra, tutte le cause possibili. Tra queste il rumore non era tra le più probabili, ma poteva anche essere quella giusta; e Darwin non era uomo da escludere qualcosa per principio. Aveva provato con la sabbia, con l’acqua e con frammenti di uovo sodo, e adesso tentava con il fagotto di Frank. Darwin non riuscì mai a scoprire che cosa porta la drosera a chiudersi. Ma ci andò vicino e la generazione successiva portò a termine il suo lavoro. E questo gli andava benissimo. Scienziato famoso, che aveva rivoluzionato l’intera nostra concezione della natura, era ancora disponibile a


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dedicarsi a piccoli esperimenti che avrebbero dato frutto in qualche luogo e in qualche momento futuro. È questo il senso del futuro di cui intendo parlare, di prima mano, come scienziato. Mi addolora vedere quanta gente abbia oggi paura del futuro e insieme della scienza. Credo che queste paure siano sbagliate. Mi sembra che derivino da un fraintendimento dei metodi scientifici e da un pessimismo su ciò che è stato fatto che non tiene assolutamente conto della realtà. Sediamo all’ombra del telegiornale della sera, crogiolandoci nella convinzione di essere ormai condannati, e siamo convinti di stare assai peggio dei nostri antenati di centosettanta anni fa, che furono in guerra con Napoleone per un’intera generazione. Ma centosettanta anni fa, la settimana di lavoro dei bambini era di ottanta ore. Il colera era più diffuso in Inghilterra dell’influenza. Il paese manteneva a stento dieci milioni di persone, ed erano meno di un milione quelli che sapevano leggere. Sapete tutti come tutto questo sia cambiato; e non permettete a nessuno di dirvi che non si è guadagnato altro che un po’ di comodità. Pensate soltanto ai progressi concernenti la vita e la salute: una popolazione che ha superato i cinquanta milioni, il tasso della mortalità infantile calato dell’ottanta o del novanta per cento e la durata media della vita accresciuta di almeno venticinque anni. È merito delle fognature e dei fertilizzanti, e anche della tipografia, dei raggi X e delle riflessioni degli statistici sull’ereditarietà. Sono stati tutti autentici liberatori. Ogni macchina è stata una liberatrice. Ci hanno liberati dalla fatica, dalla malattia, dall’ignoranza e da quella miseria, dipinta da Hogarth, che si poteva dimenticare soltanto nell’intontimento dell’ubriachezza.


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Dobbiamo questo miracolo alla scienza; perché di miracolo si tratta. Ma gli scienziati che lo hanno compiuto non erano né dèi, né stregoni. Erano uomini, uomini che avevano fede nel futuro; e non ricorrevano alla magia. Si servivano in sostanza soltanto del metodo di Darwin, perché quel metodo è la scienza. Scienza è sperimentare; scienza è verificare le cose. È verificare con intelligenza e con sistematicità tutte le alternative possibili; e scartare quelle che non vanno e accettare quelle che funzionano, per quanto possano andare contro i nostri pregiudizi. E ciò che funziona aggiunge un altro tassello alla lenta, faticosa ma trionfale comprensione del mondo in cui viviamo. Non è un progredire segreto o misterioso. Se a volte lo sembra, è solo perché il lavoro quotidiano della scienza non ha nulla di spettacolare. Per anni non si hanno notizie di chi sta facendo una ricerca, e poi all’improvviso ecco i risultati nei titoli dei giornali: la penicillina o il motore a reazione o la fissione nucleare. Nessuno parla al profano degli anni di esperimenti e d’insuccessi. Come può dunque sapere ciò che non è stato fatto o intuire quanta fatica sta dietro a ciò che si è realizzato? Che altro può fare se non meravigliarsi dell’abilità degli scienziati e temere il loro potere? Credo che questi due atteggiamenti siano egualmente dannosi: la meraviglia quanto la paura. Hanno infatti questo in comune: vogliono entrambi convincere il profano della sua totale impotenza. La scienza, gli sussurrano, è la nuova magia; sfugge al tuo controllo; nel bene o nel male, la tua salvezza o la tua condanna dipendono da altri. Per questo ho contestato la meraviglia prima della paura; perché alla base della paura c’è proprio la mera-


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viglia. Oggi per la maggior parte della gente è evidentemente la paura che prevale. Hanno paura del futuro e, se chiedi perché, ti citano ovviamente la bomba atomica. Ma la bomba atomica è solo il capro espiatorio delle nostre paure. Non è che temiamo il futuro a causa di una bomba: temiamo la bomba perché non abbiamo fede nel futuro. Non crediamo più, come individui e come nazioni, nella nostra capacità di controllare il nostro futuro. E questa sfiducia non è scaturita all’improvviso dall’invenzione di un’arma. La bomba atomica ci ha soltanto duramente presentato, come questione di vita o di morte, ciò che andava da tempo formandosi: la nostra incapacità, il nostro rifiuto di affrontare, come individui e come nazioni, il problema del ruolo della scienza nel nostro mondo. È qui la radice principale delle nostre paure. In cuor nostro sappiamo, ovviamente, che il futuro è della scienza; su questo punto non ci facciamo illusioni. Ma non vogliamo che ci si costringa a pensare scientificamente. Vogliamo rimanere aggrappati a teorie e a pregiudizi che, sbagliando, riteniamo rendessero confortevole il mondo cent’anni fa. Non ci importa del futuro; vogliamo solo che il mondo duri finché noi saremo in vita. Non ci sentiamo all’altezza delle nuove idee e ci hanno raccontato che la scienza è misteriosa e difficile. Di conseguenza lasciamo che ci sfuggano, ogni giorno un pochino di più, le nuove eccitanti scoperte, e con esse la nostra fiducia; e poi, trovandoci di fronte il senso della nostra impotenza, fingiamo che sia tutta una congiura di fisici nucleari. Ma è in nostro potere cambiare questo stato di cose nel corso della nostra generazione. Come nazioni, possiamo applicare agli affari di Stato il realismo della scienza: tenere quello che funziona e scartare quello che non


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va. Come individui, possiamo cercare di capire le idee assennate della scienza. È proprio questa la lezione più importante che dobbiamo imparare: sono le idee della scienza che stanno rivoluzionando il mondo, non le sue realizzazioni meccaniche. Una volta imparato questo, vedremo in una giusta prospettiva anche le realizzazioni. La bomba atomica non è una grande realizzazione scientifica. Ma la scienza ha fatto una grande scoperta: la scoperta fondamentale della possibilità di sfruttare l’energia atomica. E questo è un successo non di singole nazioni litigiose, ma dell’uomo. L’intera storia della scienza ci ricorda che ogni scoperta fondamentale ha fatto alla lunga agli uomini più bene che male. Ho detto “alla lunga” quasi per abitudine; lo ha fatto e basta, se siamo disposti a guardare in avanti. Gli scienziati guardano tutti in avanti; che altro è la ricerca se non dare inizio a cose che altri finiranno e godranno? E quale incentivo può soddisfarci se non questo senso del futuro? La catastrofe ci minaccia soltanto se perpetuiamo questa scissione tra la scienza e il nostro modo quotidiano di vivere e di pensare. Non permettete a nessuno di raccontarvi che la scienza è riservata agli specialisti; non è vero. Non è diversa dalla storia, dalla buona conversazione o dalla lettura di un romanzo; c’è gente che ci riesce meglio e gente che ci riesce peggio; e c’è anche chi ne fa il lavoro della propria vita; ma è alla portata di tutti. La scienza è umana come Darwin e il suo fagotto, e non è più difficile da capire. I suoi valori sono valori umani: onestà, tolleranza, indipendenza, buon senso e determinazione. Le sue realizzazioni sono tra le maggiori dell’umanità: i greci reputavano Pitagora all’altezza di Omero. E compie il suo cammino non nella segretezza


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ma attenendosi ai fatti e a essi soltanto, chiunque li abbia scoperti o li contesti. La scienza ha ascoltato nello stesso modo Newton e il suo amico Christopher Wren, Darwin e il suo critico Samuel Butler; e ascolta oggi qualunque ragazzo in gamba che abbia un’idea con la stessa pazienza con cui dà retta ai suoi professori. Se volete poi sapere cosa accade alla scienza quando si lascia dominare dall’autorità politica o scientifica, lasciate che vi conduca in un settore nel quale ho una certa competenza specifica: la ricerca in Germania durante la guerra. Noi entrammo in guerra avendo molta paura della scienza tedesca, che godeva un tempo di grande fama. E tuttavia i tedeschi, per tutta la durata del conflitto, non fecero neanche una scoperta fondamentale, né nella ricerca sui sommergibili, né nel campo dei bombardamenti radar, né nella fisica nucleare. Come mai quei professionisti della guerra si lasciarono surclassare da noi? Lo capirete da un esempio. Pressappoco nel periodo in cui noi mettevamo in funzione la prima pila atomica, l’uomo che Himmler aveva nominato responsabile delle ricerche belliche mandava un’investigatrice in Danimarca per scoprire — ci crediate o no — come lavoravano a maglia i vichinghi. E, per uno di quegli straordinari tocchi d’ironia che perseguitavano i nazisti, questa investigatrice — ci crediate o no — si chiamava Piffl*. Dar retta a tutti, non costringere al silenzio nessuno, onorare e favorire chi è nel giusto: sono queste le cose che hanno dato alla scienza umanità e potere nel mondo. Non lasciatevi fuorviare da chi sostiene che la scienza è gretta; un potere gretto e fazioso è fragile quanto quello * In inglese piffle significa “sciocchezze”, “bazzecole”.


Jacob Bronowski, Un senso del futuro © 2015 Comunità Editrice, Roma/Ivrea

1a edizione italiana © 1981 Edizioni di Comunità Titolo originale A Sense of the Future. Essays in Natural Philosophy © Rita Bronowski Trust Traduzione dall’inglese di Ettore Capriolo ISBN 978-88-98220-34-2 Redazione: Angela Ricci Impaginazione e ebook: Studio Akhu Progetto grafico: BeccoGiallo Lab

Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino

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