Lorenzo Tassi
C A MÓS prefazione di Simone Moro
EDIZIONI VERSANTE SUD | I RAMPICANTI
L O R E N Z O TA S S I
C AMÓS
EDIZIONI VERSANTE SUD | COLLANA I RAMPICANTI
2017 Š VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi, 10 Milano Tutti i diritti riservati 1a edizione dicembre 2017
www.versantesud.it ISBN: 978 88 85475 168
“Tutto quello che facciamo nella nostra vita lo lasciamo dietro di noi, rimane con chi ha vissuto con noi questo viaggio e per questo ci fa vivere ancora”. Bruno Tassi Camós
INDICE Prefazione di Simone Moro 11 Introduzione 19 Prologo 21
PRIMA PARTE
IL BRUNO
Lorenzo Tassi CAMÓS 6
Infanzia 29 Il kayak 32 A cavallo del 78-81 34 Il militare 35 La Presolana 36 I fratelli “Francia” 37 Nel 1979 col peggio del Cai di Zogno in Civetta 38 “Nel cervello an ghèra i bödèi” con Gianandrea Tiraboschi 39 Il mangili 46 Lele Di Noia 46 Paolo Panzeri 46 Il Verdon 49 Vito amigoni 50 Il Baruntse (7.056m) 54 Campo base 54 Armonia 55 I sentieri della solitudine 58 Mamma 59 Mamma solo per te la mia canzone vola 59 La neve 60 Adesso si aspetta 61 I lama 61 Il pensiero 61 Non scendere 62 L’uomo 62 Dopo la cima e le fatiche 62 L’alba 62 Finalmente un po’ di verde 63 Il passo scandito del tempo 63 Con la protezione dei monaci 63 I speak bergamàsch-english di Marta Torriani 65
SECONDA PARTE
ALTRI AMICI
TERZA PARTE
I SUOI PENSIERI E LE SUE POESIE
Il Momi Il Cherri Ennio Spiranelli Emilio Previtali Yuri Parimbelli Michelangelo Oprandi Daniele Calegari Piera Vitali Roberto Cavagna Alessandro Gherardi
71 73 75 76 80 82 83 83 84 85
Scritti alpinistici Scalatori per sempre Ricordo La convinzione La parete Che cosa è il coraggio? Mentre sali Sono solo Laggiù Istinto di sopravvivenza
93 93 94 94 95 96 97 97 98 98
Scritti filosofici La cosa vera Preghiera alla madonna La vita Tu Vai lontano Quante volte I coraggiosi Natura Gli uomini I poeti e gli artisti Vite Maliconconia La voglia di cose grandiose Lungo le strade delle nostre valli Crisi Cavalca l’onda Situazioni Lasciale correre Il tempo Le galassie Sensazioni
101 101 101 102 102 103 104 105 105 106 106 107 107 108 108 108 109 109 109 110 110 110
Indice 7
Lorenzo Tassi CAMÓS 8
QUARTA PARTE APPENDICI
Forse Nebbie (1989) Le tue tracce Trascende Amici Pensieri Altre dimensioni Tracce di incertezze Citazioni raccolte dal Bruno nei suoi appunti
111 111 111 112 113 114 114 114 115
Scritti d’amore Giardino d’autunno Per te Nascerà l’amore Illusione Ti lascio Vattene Perchè Forse Anche tu Sei bella Disperazione Sei splendida Piccola donna! Ti amo Basta poco
117 117 118 118 119 119 119 120 120 121 121 122 122 123 124 124
Ciao Bruno
127
Postfazione di Emilio Previtali 149 Ciao Camós di Maurizio ‘Manolo’ Zanolla 155 Un ricordo di Mauro Corona 156
A sinistra, il Camós su FBL, 8a+, Cornalba (© G. Besana)
Indice 9
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PREFAZIONE
di Simone Moro
È stato davvero un privilegio, una fortuna sfacciata aver trovato Camós sul mio cammino. I maestri non bisogna aspettare di trovarli, bisogna cercarseli, avere l’umiltà di capire che se ne ha bisogno e bisogna ascoltarli. Non bisogna curarsi di cosa dice la gente di loro e tanto meno preoccuparsi se il tuo maestro è tanto diverso da te o più avvezzo a farti notare i tuoi errori piuttosto che decantare i tuoi pregi e risultati. Camós è stato il più forte arrampicatore sportivo bergamasco e uno dei più forti in assoluto in Italia durante gli anni ’80. Io forse sono stato il suo vero unico allievo e “discepolo” (come diceva lui), seppur abbia scalato e intrattenuto rapporti di amicizia con molti climbers orobici e non solo. Mi ha preso sotto le sue ali quando avevo 15 anni, mi ha portato ad arrampicare con le sue macchine scassate, mi riportava a casa mettendo il mio motorino inguardabile dentro il suo bagagliaio, lasciando sporgere fuori la ruota posteriore, mentre fuori la pioggia cadeva copiosa. Lui mi voleva bene, cazzo se me ne voleva. Diceva che mi sarei fatto male ad andare a casa stanco, al buio e con l’asfalto scivoloso. Era un fratello maggiore, talentuoso e visionario quando si trattava di arrampicare e chiodare vie o falesie
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intere, al tempo stesso dolce e profondo se parlava di bambini, di stelle o fisica quantistica. Eppure lui per molti era l’ubriacone, quello che da alticcio aveva fatto casino o offeso qualcuno. La gente è sempre frettolosa e paurosamente ignorante quando si tratta di definire qualcuno. Nessuno si prendeva la briga di conoscere chi era Camós, cosa c’era dentro quel cuore e quella testa. L’ho visto comunque scalare anche vie di 8b da ubriaco, quando chi parlava male di lui non sa ancora oggi stare attaccato a quegli appigli. Quante volte ho dormito a casa sua, mangiato al tavolo con Bepino e la Emma, i suoi genitori, o chiacchierato con Gerry, suo fratello, di come il “very Camós”, come lo chiamava lui, era davvero un mago del verticale. Abbiamo chiodato, viaggiato, festeggiato, discusso, sognato e imprecato assieme. Abbiamo passato degli anni magici dove non c’erano tempo, né stagioni, né variabili meteo. La nostra quotidianità era scalare, trovare falesie nuove e allenarci per avere dita sempre più forti e resistenti. Lui però era il maestro e io l’allievo, e ho imparato un sacco di cose da lui. Mi ha sempre spronato a migliorare, ad allenarmi, a “imparare a usare i piedi”, questa è la frase che mi ha ripetuto allo sfinimento dicendo che i migliori climber del mondo erano quelli che sapevano camminare sugli appoggi e non tirare come degli animali di braccia. Mi ha messo in guardia su quali potevano essere le brutte frequentazioni arrampicatorie, a non curarmi di cosa dice e pensa chi “non sa salire in alto come te e deve tirarti in basso”. Questi suoi insegnamenti non sono solo serviti a tenermi sugli appigli piccoli, che allora teneva solo lui, ma a camminare poi sulla mia nuova strada di alpinista d’alta quota. Aveva proprio ragione il Camós e quello che abbiamo fatto assieme è stato fondamentalmente un bellissimo ed entusiasmante viaggio durato quasi venticinque anni. Ha saputo ispirare molti ragazzi e ragazze e messo in moto un movimento di appassionati della scalata come non si era mai visto prima nella bergamasca. Il viaggio di Camós con me e i climbers orobici si è interrotto in quel maledetto incidente stradale del 24 dicembre 2007, quando Bruno non era nemmeno alla guida. Se ne è andata una leggenda, un personaggio carismatico, per alcuni anche scomodo e ingombrante, perché scalava meglio e parlava guardandoti negli occhi, dicendoti anche le cose scomode che nessuno aveva il fegato di dirti. Mi era rimasto solo lui come Grande Maestro e compagno di cordata perché esattamente dieci anni prima avevo perso un
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altro gigante e maestro di nome Anatoli Boukreev, scomparso sotto la valanga che risparmiò solo me all’Annapurna. Tutti e due erano diventate delle leggende viventi, in ambiti e con notorietà diverse, ma quando se ne vanno persone così si sente ancora più forte la loro mancanza. Nel caso di Camós il vuoto è talmente grande, che appare evidente quanto il movimento arrampicatorio nella bergamasca si sia un pò fermato. Camós chiodava falesie, coinvolgeva giovani, contagiava tutti a provare i tiri più duri o quelli che ancora non erano stati liberati. Proprio in questo era stato visionario, anticipando anche di 20 anni il livello tecnico che poi è stato raggiunto. Vie come Settimo senso o Goldrake sono state chiodate quando neppure si immaginava possibile riuscire a tenersi su appigli e tacche così piccole, ma poi il tempo gli ha dato ragione. Ho voluto e potuto ringraziare a modo mio il “very Camós” invitandolo a partecipare alle uniche due spedizioni alpinistiche della sua vita, nel 2004 e l’anno successivo. Prima di questi viaggi di neve e ghiaccio era stato oltre oceano sul granito della Yosemite valley nel 1986, dove con l’amico Gianandrea Tiraboschi aveva effettuato la prima ripetizione italiana di Zodiac sul Capitan, valutata A4. I miei inviti a partecipare a un’avventura alpinistica non erano stati degli azzardi, motivati solo dall’affetto e la riconoscenza che avevo per lui, ma sapevo semplicemente che sapeva muoversi bene su ogni terreno, roccia, ghiaccio e misto. Con lui infatti avevamo arrampicato spesso anche su cascate di ghiaccio e vie di dry tooling, apprezzando anche in quelle salite la sua naturalezza e maestria. La prima spedizione alpinistica di Camós fu dunque con me nel 2004 e l’obbiettivo prefissato e che raggiungemmo fu la salita dell’inviolata parete nord ovest del Khali Himal, o Baruntse north, di 7057 metri. Una parete impressionante di oltre 2000 metri, di fronte alla sud del Lhotse. Furono quattro giorni di scalata e bivacchi che, a parte un primo giorno in cui tornammo al campo base, superammo tutti in stile alpino, con difficoltà fino al M7 e con 50 tiri di corda. Camós non smise di fumare neanche durante le soste o i bivacchi e persino in vetta il giorno del suo compleanno, si mise in bocca la sua inseparabile e fumante compagna di vita. Quella salita sbalordì il mondo alpinistico e vinse numerosi riconoscimenti internazionali tra cui i campionati d’alpinismo russo grazie al fatto che assieme a noi in cordata c’era stato anche il kazako Denis Urubko. In Italia quella salita secondo me non l’hanno mai capita o forse volutamente
Prefazione 13
Prima parte
IL BRUNO
Nelle pagine precedenti, il Camós fuori dalla tenda dell’ultimo campo al Baruntse North (© S. Moro)
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INFANZIA Sono nato qui in questa casa di fine Ottocento, dove i miei nonni vennero ad abitare da Olmo al Brembo e dove tuttora abito (a Ruspino frazione di San Pellegrino Terme).
Ricordo vagamente i primi anni della mia vita.
Ricordo quanto i prati fossero tanto verdi, quando mia mamma e mia nonna portavano me e mio fratello a fare i pic-nic in mezzo ai fiori.
Mi mandarono all’asilo di San Pellegrino, ero una peste, ho sempre creduto che le suore mi odiassero con quello che combinavo con altri bambini della mia età.
Bruno nasce il 4 maggio 1956 proprio nella casa dove vivrà fino a quella fatidica vigilia di Natale. La mamma Emma Albani (San Pellegrino Terme, 19 luglio 1929 – 19 ottobre 2015) e il papà Giuseppe si sposano nella cittadina termale il 30 dicembre 1954 e, acquisito e sistemato l’appartamento del nonno paterno Angelo, poco più di un anno dopo nasce Bruno e dopo 15 mesi il fratello Elio, per tutti Gerry (San Pellegrino Terme, 30 agosto 1957 – Carona 11 settembre 2006). Emma ha un fratello più giovane di lei, Daniele, mentre il Bepino è il terzo di cinque fratelli maschi (Angelo, Luigi, Domenico e Adriano, quest’ultimo è mio papà).
Il Bruno 29
Tutta la famiglia Tassi porta in eredità da mio bisnonno Angelo il soprannome “Camós” perché si racconta che avesse ucciso tre camosci in un giorno. Un soprannome di cui ci vantiamo di portarcelo appresso e che il Bruno ha saputo valorizzare nel modo più assoluto. La mamma Emma lavora da diversi anni alla Sanpellegrino poi, in attesa del Bruno e maturato il minimo degli anni per potersi ritirare (che bei tempi…), lascia il posto di lavoro al marito Giuseppe (per tutti Bepino), obbligandolo di fatto a interrompere le trasferte di 10 mesi all’anno nei boschi della Provenza in Francia a tagliar legna con i fratelli e il loro padre Felino (nostro nonno). Il Bepino, nato a San Pellegrino Terme il 31 gennaio del 1928, rientra definitivamente in Valle Brembana ed entra da subito a far parte della squadra di atletica della Sanpellegrino dimostrandosi in breve un campione di prim’ordine: nel primo anno di gara nella corsa a piedi vincerà ben 20 gare su 25. Con mio padre vinceranno il campionato italiano a staffetta di corsa in montagna nel 1961. Mia zia è una donna molto solare, me la ricordo sempre sorridente e disponibile, è la mia madrina alla comunione e alla cresima: è la zia prediletta e adorata. Dedita alla famiglia e alle faccende domestiche me la ricordo spesso in diverse escursioni in montagna e soprattutto nei numerosi pellegrinaggi organizzati negli anni Ottanta dall’edicolante del paese, la signora Nilde, viaggi ai quali è presente sempre anche mia mamma e io d’obbligo. Purtroppo all’inizio del 2000 la malattia inizia a dare i suoi terribili segni: Alzheimer. Me la trovo spesso sotto casa, lungo la Strada Vecchia (via Priula) a poche centinaia di metri dalla sua abitazione, senza una destinazione, ti riconosce e capisce che si è persa, sono dei lampi di memoria, sempre più brevi. La riaccompagno a casa e il giorno dopo la scena si ripete. Per il Bepino non è facile darsi una ragione e, ormai in pensione, rinchiude le sue giornate nei bar, il Gerry col suo fare casinista dà poco a vedere la sua preoccupazione, ma Il Bruno, anche se era poco presente perché preso dalle sue spedizioni e avventure, chiama spesso mia mamma che ai tempi collabora con la casa di Riposo del paese, dove dall’inizio del 2004 Emma trova finalmente assistenza e cure. Fisicamente non ha alcun problema, ma la sua mente è diventata un libro vuoto. Ecco perché in quell’ultimo saluto al Bruno non gli ho detto di fare gli auguri alla Emma: lei non avrebbe capito.
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Il Bepino mi ha sempre voluto bene, lui interista come mio padre e tutti gli zii, mi accompagna per la prima volta allo stadio per un Atalanta - Torino del 1982 finita 2-2. Sperava mi appassionassi di calcio e magari in seguito della sua Inter: son diventato per sempre Atalantino (bella zio!). Mi chiamava sempre “animàl”, probabilmente perché da bambino non stavo mai molto fermo e poi me lo ricordo quando fianco a fianco mi ha dato una mano nel sistemare il mio appartamento, lo stesso dei nonni, ritirato da mio papà e dove anche il Bepino con gli altri fratelli è cresciuto. Oggi il Bepino si trova presso la casa anziani di San Pellegrino, alterna momenti di lucidità a momenti più difficili, ma comunque in questi ultimi anni, dopo la morte del Bruno, ha potuto essere curato e assistito con affetto anche da nostro cugino Aldo e dalla sua famiglia, ed essere in qualche modo per alcuni anni vicino alla sua Emma. Il Gerry è un altro personaggio. All’apparenza non ha nulla da condividere col fratello, ma i due, ovviamente a modo loro, si cercano e si vogliono bene. Ricordo l’Elio tutto preso (proprio in tutti i sensi) nei preparativi per festeggiare il rientro di Bruno dalla spedizione con Simone Moro in Nepal e di quanto si vantasse di essere suo fratello. Un guascone, casinista e sempre fuori dagli schemi. Per fortuna c’era il lavoro fisso alla Sanpellegrino che gli permetteva di godersi serenamente i suoi fine settimana a sciare, in montagna e soprattuto in compagnia. Siamo alla domenica del 10 settembre del 2006, Elio dopo aver trascorso la giornata in allegria presso il rifugio dei laghi Gemelli, rientra in solitaria verso Carona ormai verso sera. Nel tratto terminale del percorso, ma ancora lungo il sentiero boschivo, si stende probabilmente colto da un malore, fa in tempo a mettere i piedi nello zaino e a rannicchiarsi su un terrazzino d’erba come per trovare un comodo riposo. Non aveva il cellulare e dato il suo stile di vita completamente indipendente né il Bepino, né tantomeno il Bruno si preoccupano del non rientro a casa la domenica sera. Lunedì mattina squilla il telefono di casa, cercano Elio dal lavoro, ecco che scatta l’allarme. Verrà trovato esanime, esattamente dove ha cercato riposo, dai primi escursionisti di giornata. Bruno accorre per il riconoscimento e da quel 11 settembre 2006 riaffiorano in lui i fantasmi dello sconforto e della desolazione. Era evidente il loro profondo legame. Bruno e Elio non hanno avuto figli, di questa famiglia sopravviverà solo il ricordo.
Il Bruno 31
IL BARUNTSE (7.056m) CAMPO BASE In questo pomeriggio quasi di attesa ti penso tanto, le nebbie portano un po’ di neve.
Le meravigliose vette di queste montagne scompaiono e riappaiono nel cielo.
Lassù da qualche parte, in qualche fredda tendina qualcuno sta soffrendo il freddo, la fame, la mancanza di ossigeno. Oggi è passato un gruppo
di sherpa. Uno sherpa aveva l’edema è caduto a terra gli abbiamo dato dei medicinali, è barcollato un po’ ed è ripartito.
Questa gente del Nepal sa soffrire in silenzio, sembra quasi sempre in preghiera.
Penso a te, a Dio, alla mamma.
Oggi ho sentito mia mamma, quasi mi scendevano le lacrime, mi sono
trattenuto al pelo. Vi sento vicine, tu e mia mamma, vicino a me e vicine a Dio. Sento lontana la solita vita di casa, molto lontana. Ogni tanto guardo in alto su queste vette che sembrano lontane, in un altro mondo e ve-
do te, vedo mia mamma. Due donne coraggiose e sensibili. Vi voglio un
bene dell’anima, vi amo come la vita, come la terra e il cielo. Vi sento dentro di me come una forza della natura che mi danza intorno, che mi avvolge nel suo grande e armonico abbraccio e la solitudine fugge via.
Mi perdo col pensiero mentre sto salendo il sentiero. E tutto mi avvolge nell’immenso.
La giornata finisce, le ombre e le nebbie si susseguono sul lago ghiacciato. Io sono stanco e triste mentre torno al campo. C’è qualcosa nell’aria
che non funziona, che mi sfugge, che mi stringe il cuore. Ripenso a questi giorni mentre mi siedo a riposare. I pensieri si susseguono nella mia mente.
Ieri notte ho dormito tanto, strano. Fuori dalla tenda cadeva la neve. Dormire è stato un dono. Forse qualcuno che da lassù molto più in alto di queste montagne mi guardava.
Questa sera ho ricevuto per telefono la cattiva notizia. Uno di noi ora
Lorenzo Tassi CAMÓS 54
corre lassù libero nei cieli, libero di fuggire, di non soffrire più le pene terrene.
La preghiera nepalese che sventolerà nel vento, lassù, sarà per lui.
Il nostro Boy Bruno Vistalli (giovane climber di Cornalba strappato alla
vita da un male incurabile). Sventolerà nel vento divino che lo accoglie,
là in alto, molto più in alto di dove il nostro occhio e il nostro pensiero possono volare. Addio amico di tanti giorni, arrivederci lassù quando sarà la mia ora.
Il motivo della mia tristezza e della solitudine c’è. Sono le sofferenze che in generale mi coinvolgono. Mi sconvolgono, mi fanno pensare ad una vita migliore.
Cara piccola ti ho pensato tanto, mi manchi tanto. Però ti sento vicina certe volte. Ti sono più vicino di quanto ti sia ragionevole pensare. Ti amo.
Penso al Boy che da lassù ci guarda e ci sorride come faceva sempre. Un giorno lo rivedremo insieme e saremo tutti una grande famiglia felice. Nell’immensità della vita eterna.
La tua foto mi appare tra le pagine di questo libro. Come sei bella. Come sai essere dolce mio grande amore. Sono lontano ma il mio amore è con te.
Ti stringo forte nel mio cuore. Qui su queste montagne vorrei fare un viaggio con te. Ti porto sempre e immensamente con me amor mio.
ARMONIA Qualcosa che si ripete nel tempo o senza tempo si ripete, chissà.
Se dentro il turbine di vita si ripete, qualcosa avrà un senso per questo
nostro vivere. Se lontano o vicino si muove, dunque è vivo. Vivere è un semplice movimento. Star fermi è un semplice movimento. È il movimento fermo. Saper descrivere un movimento fermo o dinamico è più
difficile che poterlo vedere o sentire. Noi giochiamo con il nostro essere
armonico. Quello che ci circonda armoniosamente con noi. Il gioco degli elementi è fatto anche di noi stessi. Non si vince l’elemento, uno solo è il
problema, riuscire a vivere armoniosamente insieme con gli elementi naturali.
Il Bruno 55
EMILIO PREVITALI Per il Bruno ero Waldo, il soprannome deriva dal salto al ponte di Strozza e ricorda il personaggio cinematografico Waldo Pepper (il temerario
aviatore). Ci lanciavamo da 40 metri, erano tuonate allo stato puro, è lì che il Bruno – che si lanciava sempre per primo – mi ha visto volare e chissà che associazione mentale ha fatto ed è scaturito lo pseudonimo con cui sempre mi ha chiamato. Addirittura a Scalvino c’è una via a me dedicata chiamata proprio Waldo Pepper.
Il Bruno l’ho conosciuto in Cornalba nei primi anni ’80. Io arrampicavo
in cava a Nembro praticamente tutto l’anno e lì tramite il Vito Amigoni sono salito per la prima volta in Val Serina. Me lo ricordo che si allenava
di brutto e che era alla ricerca sempre di “bòce” (ragazzi) che gli facessero sicura e che non rompessero i coglioni. Marco Cavenati, Marco Raimondi
e pure io, pian piano ci avvicinammo a lui in questo modo. Con lui ho
scalato in diversi luoghi: a Finale Ligure, a Montecarlo e soprattuto in Verdon dove su un 7c ci è mancato poco di farla grossa. Il Bruno si cala e
gli dico di legarsi ad un albero per farmi sicurezza, io arrivo quasi in cima alla sosta e volo, lui stava pisciando con la sigaretta in bocca, mi rim-
balza praticamente sopra la testa in una serie infinita di bestemmie. Stessa scena in Cornalba mentre stavamo facendo una serie di ripetute su Magic Moment, all’undicesima ripetuta faccio un volo con lui che non
mi dà sicura, poco dopo mi cala come se niente fosse e guai a dirgli qual-
cosa, lo rispettavi comunque.
In Verdon mi ricordo di Beat Kammerlander, un arrampicatore austriaco che aveva la fama di avere sempre super-fighe diverse ad ogni occasione.
Il Bruno conosceva il Beat e lo salutava sempre, in realtà voleva sempre le sue ragazze. Un pomeriggio eravamo tutti nudi, a fare il bagno nella valle, c’era anche il Vito che scende con noi e c’era la morosa del Beat; Bruno
si siede in parte a lei e inizia a gridarmi ridendo: “Gó est la brèta che la ségna só”7. La festa nudista durerà poco perché evacuata dalla gendarmerie francese.
In quella fase il Bruno era piuttosto irrequieto, addirittura mi impressionava il fatto che spesso dormiva vestito.
7.
Le ho visto le parti intime.
Lorenzo Tassi CAMÓS 76
Io con il Simone Moro frequentavo l’ISEF a Milano e nel mondo dei climber orobici, allora esistevano solo Romilde, Sonia e Stella; pian piano dal-
la città iniziamo a portare a Cornalba amici e soprattutto amiche nuove
e il bar Vico diventa un luogo di festa sempre più allargata. In sostanza in quegli anni (fine anni Ottanta, inizio anni Novanta) stava diventando
figo essere un climber e il Bruno in questi momenti di festa, quando ve-
deva una bella ragazza, sempre me la proponeva: “Waldo chèsta l’è la tò”. Era sempre attento ai limiti di ognuno di noi, ricordo che alla palestra di
Zogno – un’opera molto avveniristica per l’epoca realizzata con la colla-
borazione di Mario Roversi e con la ditta KONG grazie alla quale si era fatto predisporre il primo set di prese – eravamo io, lui, il Simone ed
Emanuele Zambelli ed era una fase in cui si testavano i materiali più leg-
geri. Ad un certo punto un moschettone si apre e il Simone fa un volo di 4-5 metri buoni cadendo a terra di botto. Il Bruno, realizzando che non
aveva alcuna responsabilità, anziché accertarsi delle condizioni del Simone lo insacca di imprecazioni: “Té sét ü bìgol, adèss i ghé fa serà fò i
palestre!”8. Di corsa all’ospedale Matteo Rota di Bergamo e il medico chie-
de dell’accaduto e di fronte a un Simone dolorante e molto provato, il
Bruno continua nella sua serie infinita di imprecazioni contro la sua ricerca di leggerezza.
Ero presente anche a Erto agli incontri con Mauro Corona. Il Bruno credo
l’avesse conosciuto anni prima durante qualche ascensione in Dolomiti, ma in quei giorni ho constato che il loro feeling era sincero e andava ben oltre il fiasco di vino.
Il Bruno era conosciuto da tutti e andava a dormire a casa dello stesso Corona.
Lui aveva il suo laboratorio con le sculture in legno e trascorrevamo parecchio tempo lì in conversazioni di tutti i tipi e spesso stendendoci tra i
trucioli. Un giorno loro se ne vanno a Longarone a piedi, sono stati via tre giorni, credo siano stati tre giorni di demolizione poiché poi han dormito per altrettanti giorni prima che potessimo rientrare a casa. Sò che si
sono incontrati in altre occasioni ad Arco e soprattutto mi va di sottolineare che tutte le volte che Mauro Corona viene in terra bergamasca per
qualche sua serata, la prima cosa che fa è sempre quella di ricordare il suo vero amico Bruno.
8.
Non capisci nulla, adesso ci faranno chiudere le palestre.
Altri amici 77
IL TEMPO (24 gennaio 2007) Cosa c’è da dire?
C’è poco da dire. Il tempo scorre.
Ma il tempo ha o non ha tempo? Il tempo l’ha creato l’uomo. Niente ha tempo!
Il cosmo non ha tempo,
non si può scegliere la freccia del tempo: nelle sue direzioni infinite
segue velocità sconosciute.
Il pensiero incredibilmente si muove, come più veloce del tempo. Il pensiero spazia.
Perchè con il pensiero
si può vagare per sempre? Il pensiero è la forza,
la forza immensa del creato.
LE GALASSIE In un giorno d’inverno guardo le stelle, il freddo mi punge le dita,
le galassie sono calde sirene
che ci coccolano, ci scaldano:
il loro sorriso è l’immensità di Dio!
SENSAZIONI Felicità e disperazione amore e odio
paura e rimorso.
Cos’è poi questa vita?
Solo ora sto imparando a viverla.
Lorenzo Tassi CAMÓS 110
FORSE Forse hai avuto troppo
forse non hai mai dato niente
forse non riceverai mai niente forse sei il più bravo forse l’amore
forse domani, dopo, mai forse, forse, forse....
quanti forse ci sono
nella vita di un uomo!!!
NEBBIE (1989) Nebbie di un autunno strano
si aprono e ci lasciano vedere con tristezza
nella notte come barbari viaggiano incontro ad immagini di storia antica. Perplessi nella vita come nella morte.
Canti antichi discendono con i venti del nord, tracce di vita ci portano lontano.
Poco a est del sole hanno lanciato un grido di odio e di dolore. Quando nei canti del nord gli uomini hanno gridato lunghe ombre hanno lasciato presagi di nuova vita
e i lontani orizzonti continuano a darci ragione di vita o di morte.
LE TUE TRACCE Delle tue lacrime non avrai ricordo
dentro gli anni che verranno seguirai nuove mete torture e violenze non ti faranno paura. Le tue tracce si perderanno lungo sentieri mai percorsi
dentro di te il sogno si avvererà lasciandosi dietro ricordi di battaglie
e quando verso sera volgerai lo sguardo ad occidente ti apparirà la vita come nelle lunghe sere d’estate.
Immagini senza tempo ti condurranno verso spazi nuovi visti dentro orbite di strane sensazioni.
I suoi pensieri e le sue poesie 111
da Maria Francesca Tassi Ciao Bruno.
L’ultima volta che ci siamo visti ridevamo dei nostri mestieri. Tu che scali le montagne e io che le disegno.
Continuo a studiare le stelle e cercherò la costellazione dei camosci.
Il “giro facile” che dicevi avremmo fatto insieme è rimandato, quindi continuerò a immaginarlo a matita.
da Claudio Armati Hai vinto vie impossibili. Ci apparivi in grado di superare ogni pericolo, quasi fossi invincibile. Ci hai stupito mille volte. Ci hai conquistato con il
tuo sorriso, la tua disponibilità, la tua generosità, la tua ironia… Ci mancherai, ma il ricordo di te ci accompagnerà ogni qual volta poseremo le mani su di una roccia.
da Gabriele Ci siamo sentiti pochi giorni fa, sei sempre stato un re, ci mancherai… ma le tue linee sulla roccia ci saranno per sempre e tu con loro… ciao Bruno
da Paolo Rossini Ciao Bruno, quando arrampicavamo cercavo di carpire i segreti della tua arte e quasi rimanevo deluso quando mi ripetevi solo di usare i piedi…
Caro Bruno peccato che la vita ti abbia concesso meno appigli di quelli che tu hai regalato a noi… Grazie
Lorenzo Tassi CAMÓS 138
da Paolo Cattaneo Ciao maestro
La mente mi dice: “tieniti stretto tutto questo nella tua memoria, ponilo sotto vetro nel tuo scrigno spirituale, questo è oro puro” (Reinhard Karl).
E in questo attimo mi sento straordinariamente ricco. Leggo e rileggo
questa frase da due giorni e solo in questo modo arrivo a capire quanto vale il tuo “oro puro”, tutto quello che hai saputo dare semplicemente con la tua gioia di vivere. Grazie Camós,
è stato bello conoscerti...
da Paolo Musco Eri una persona che lascia il segno, chi ti ha conosciuto rimarrà segnato
dalla forza della tua voce, dalla voglia di essere vivo, dalla sincerità dei tuoi occhi e del tuo pensiero, dalla sensibilità che ti aiutava nelle sfide verticali ma che alimentava le inquietudini che avevi dentro. Grazie Bruno per il segno indelebile che ci hai lasciato.
da Sarah Come ricordare una persona così...uno delle poche persone che, anche se
le incrociavi per poco o avevo modo di parlare con lui anche pochi istanti, ti lasciava “qualcosa”… e quel qualcosa resterà sempre nel cuore di chi
ha avuto la fortuna di incontrarti, anche se per qualche istante… e il vuoto lasciato nei cuori di tutti diventa davvero tangibile… Forse può valere poco… ma sei e sarai sempre un mito… ciao Camós!!
Ciao Bruno 139
APPENDICI
Nelle pagine precedenti, durante il tentativo di salita invernale al Cerro Torre lungo la Via Maestri. (Š S. Moro)
Lorenzo Tassi CAMĂ“S 148
POSTFAZIONE
di Emilio Previtali
Vivo. Bruno non era solo arrampicatore o alpinista, questo è il punto: era un uomo di montagna, nel senso più ampio e nobile che possiamo dare alla parola. Non per via del curriculum ma per i sentimenti che risiedevano nel profondo del suo animo e per le sue abitudini. Per il suo modo di fare e di vivere. Accontentandoci di un curriculum o di una lista con i nomi delle vie mancherebbe l’essenza dell’essere alpinista di Bruno che non aveva tanto a che fare con le vie salite, con le cime o con le difficoltà tecniche superate, quanto piuttosto con la sua curiosità e con il suo desiderio di mettersi alla prova. Con l’andare, avanti, sempre. Ovunque. Con l’avventura, appunto. Per Bruno andare in montagna e fare alpinismo era il tentativo di usare l’arrampicata in funzione di qualcos’altro, restava da capire cosa. Alpinismo in funzione di cosa? Per scrivere questo ultimo pezzettino di libro, per riuscirci, è stato necessario un altro giro di incontri e di telefonate, uno ancora, nel tentativo di capire meglio e di non tralasciare niente che fosse importante ricordare.
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A mano a mano che il tempo passava e gli incontri o le telefonate si succedevano, mano a mano che le avventure si componevano in una timeline di salite ed esperienze sempre meno disordinata e oscura, diventava sempre più evidente che ciascuno di noi custodisce anche senza saperlo, inconsapevolmente, una storia di alpinismo vissuta con Bruno. Almeno una. Poteva essere la salita del Baruntse per Simone Moro (con il quale Bruno ha condiviso quasi tutte le avventure alpinistiche extraeuropee, sia in Nepal che in Patagonia), ma anche l’andare alla scoperta di una nuova parete in quota sulle Orobie con Yuri Parimbelli o con Momi Previtali, al Corno Branchino o al Pizzo del Becco in Alta Valle Brembana; Il Capitain con GianAndrea Tiraboschi, oppure il rendersi disponibile a trasportare del materiale alla base del Pilone Centrale per la trilogia di Renato Casarotto, un compito umile e di fatica insieme all’inossidabile Gigi Rota. Molta attività alpinistica di Bruno è avvenuta nel periodo iniziale della sua carriera e in quello di preparazione al Corso Guide, che frequentò quando non era più giovanissimo e quando l’alpinismo e l’arrampicata gli erano già passati attraverso. Bruno prima di essere alpinista era arrampicatore, salire per lui significava essenzialmente scalare, non camminare. L’arrampicata, prima di tutto. Tutte le avventure di cui siamo venuti a capo e che siamo riusciti a ricostruire nella memoria meriterebbero di essere raccontate a parte una per una, forse bisognerebbe scrivere un altro libro o forse servirà farlo dal vivo, incontrandoci da qualche parte in falesia o in qualche teatro o in qualche bar (come sarebbe piaciuto a lui) raccontando in prima persona le storie che ci sono capitate. Ogni volta che si parla di Bruno si finisce sempre inevitabilmente per ricordare e raccontare qualcuna delle sue storie: è il modo che abbiamo di tenerlo con noi. Quello che hanno in comune tutte le avventure alpinistiche di Bruno è il senso dell’andare e del viaggio. Bruno aveva questa idea dello spingersi in verticale che aveva a che fare con il conoscere, con l’andare a vedere, con il superare la gravità e con il misurarsi. Con il creare. Con la sfida sportiva anche, con il mettersi in gioco: non tutte le avventure che ha vissuto in montagna cominciavano con la certezza matematica della riuscita e del successo, anzi quasi mai. Quello su cui contava Bruno era la determinazione e la tenacia, che non gli sono mai mancate. Quasi sempre al principio lo stimolo per mettersi in moto era una cosa letta su una rivista o raccontata da qualcun altro. Il Pilone Centrale del Monte Bianco, l’Ideale in Marmolada, la Yosemite Valley,
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perfino il Verdon che adesso potremmo elencare nella attività arrampicatoria ordinaria più che in quella alpinistica vera e propria, una volta, agli inizi, quando sapere dove calarsi e fino a che punto farlo significava accettare l’incognita di una eventuale risalita sui prusik, erano tutti modi diversi di fare alpinismo. Perfino preparare una calata sull’orlo di uscita di una nuova falesia per andare a esplorare potenziali linee da attrezzare dall’alto, era alpinismo. Era incognita, scoperta, ingegno, rischio, improvvisazione, lavoro di squadra e quindi a pieno titolo alpinismo. Bruno aveva dalla sua, come una delle carte migliori da giocare, tanta vita vissuta. Tante svariate esperienze di lavoro, di sport, di avventura, in montagna, sui fiumi, nei boschi, in falesia, insomma ovunque si potesse andare a cacciarsi per scoprire. Per vèt, come diceva lui in dialetto bergamasco, per vedere. Bruno arrivava lì dove andava a cacciarsi e con i suoi metodi, con la sua capacità di ricondurre tutta la questione della sicurezza e della sopravvivenza a degli elementi semplici e ricorrenti, governabili, si organizzava per procedere. Poteva essere per andare da terra verso l’alto, arrampicando, o dall’alto verso il basso per calarsi nel vuoto e chiodare una nuova via. Poteva essere in ghiacciaio per un avvicinamento a una salita in quota o per una gita con gli sci e le pelli di foca. Poteva essere ovunque, l’alpinismo di Bruno era ovunque. Le sue tecniche fino al corso guide erano dettate dall’esperienza, erano a volte apparentemente poco ortodosse, ma sempre efficaci, concrete, pratiche, dettate dal buon senso e dalle migliaia di ore di pratica. A guidare tutto era sempre la capacità innata di Bruno di tenersi sempre aperta una possibilità alternativa, una seconda possibilità di riserva, quella che oggi gli esperti di management del rischio chiamano pomposamente “una soluzione di backup”. Bruno la chiamava la soluzione “se n’vèt che n’sé metìc mìa tàt bé” (se vediamo che non siamo messi tanto bene). Come quella volta al Baruntse che a 3/4 della parete, in cordata con due mostri sacri dell’himalaysmo come Simone Moro e Denis Urubko lui, il nostro Bruno, il novellino dell’altissima quota e dell’alpinismo sulle più grandi montagne della terra con il suo fiuto e con il suo senso pratico dopo tre giorni di bivacchi e di battaglia in parete, senza essere un super-atleta d’alta quota, ma anzi continuando a fumare qualcuna delle sue immancabili Marlboro, aveva suggerito una geniale deviazione in traverso verso sinistra, verso la cresta Nord, verso la sicurezza e il successo alpinistico. Erano arrivati in cima al Baruntse proprio il giorno del suo
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“Segui sempre la tua strada, le tue idee, i tuoi sogni il tuo amore per lei e per la vita”. Bruno Tassi “Camós”
€ 19,90
ISBN 978 88 85475 168