Alpenverein Südtirol / Le falesie di arrampicata in Sicilia e i fondi pubblici
Memoria e cultura Il sale della scalata. Ogni tiro è un calice di vino / Partire da storia, etica e cultura / La perdita della memoria
Istruzione e pedagogia Questione di cultura tecnica e dell’arrampicata
Ecologia Climbers, falesie e ambiente
Sicurezza Sulle protezioni in falesia a Finale Ligure / Sicurezza in falesia
social: le falesie fra aggregazione, sport e loisir / All you can eat, all you can climb? / L’arrampicata è un’attività di massa? Pubblico e privato …E io pago! Le falesie tra Proprietà, Business e Volontariato Casi di Aree Fanculo all’arrampicata. Il caso Finale
Scialpinismo La scelta della gita migliore
Introduzione Orme verticali Tavola Rotonda Falesie: quale presente, quale futuro? Prospettive Il futuro in bilico tra rocce e plastica / Sono le emozioni che rendono speciale l’arrampicata / Tutto muta: un nuovo mondo verticale / Caratteri, desideri e aspettative dei frequentatori delle falesie oggi / Per un impegno comune: la Fasi e l’arrampicata in falesia Climbing e società La libertà di mettersi nei guai / Vecchie volpi e giovani leoni / Arrampicare: imprinting e scelta cosciente di possibilità / L’aspetto
Ligure / Val del SarcaNo Man’s Land / Il caso lecchese /
Arrampicando sulla nuova falesia di San Giuseppe Jato, Sicilia. Foto: M. Caminati/Rock Experience
Sommario
004 Editoriale di Eugenio Pesci
INTRODUZIONE
006 Orme verticali di Bruno Vitale
TAVOLA ROTONDA
010 Falesie: quale presente, quale futuro? a cura di Eugenio Pesci
PROSPETTIVE
018 Il futuro in bilico tra rocce e plastica di Andrea Gennari Daneri
022 Sono le emozioni che rendono speciale l'arrampicata di Maurizio "Manolo" Zanolla
024 Tutto muta: un nuovo mondo verticale di Michele Guerrini e Umberto Tilomelli
030 Caratteri, desideri e aspettative dei frequentatori delle falesie oggi: presente e passato di Giovanni Massari
034 Per un impegno comune: la Fasi e l’arrampicata in falesia di Davide Battistella - Presidente della Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (Fasi)
CLIMBING E SOCIETÀ
036 La libertà di mettersi nei guai Dei diritti e doveri dell’essere “sport climbers” o presunti tali di Richard Felderer
040 Vecchie volpi e giovani leoni Una riflessione critica... (e un interessante invito) di Alessandro Larcher
042 Arrampicare: imprinting e scelta cosciente di possibilità. di Mirko Masè
046 L’aspetto social: le falesie fra aggregazione, sport e loisir. di Samuele Mazzolini
052 All you can eat, all you can climb? di Eugenio Pesci
056 L’arrampicata è un’attività di massa? di Beppe Vidali
PUBBLICO E PRIVATO
060 …E io pago! Le falesie tra Proprietà, Business e Volontariato di Roberto Capucciati
CASI DI AREE
064 Fanculo all’arrampicata Il caso Finale Ligure di Andrea Gallo
070 Val del Sarca - No Man’s Land di Crazy Horse
072 Il caso lecchese di Eugenio Pesci
078 Alpenverein Südtirol La gestione delle falesie in provincia di Bolzano di Ernesto Scarperi
082 Le falesie di arrampicata in Sicilia e i fondi pubblici di Massimo Cappuccio
MEMORIA E CULTURA
086 Il sale della scalata Ogni tiro è un calice di vino di Roberto Capucciati
090 Partire da storia, etica e cultura per gestire il problema dell’over-climbing in falesia di Alessandro "Jolly" Lamberti
092 La perdita della memoria Chi si ricorderà della storia dell’arrampicata e dei suoi miti? di Alberto Milani
ISTRUZIONE E PEDAGOGIA
098 Questione di cultura tecnica e dell’arrampicata Il ruolo delle scuole, delle guide e degli istruttori di arrampicata nella costruzione di una cultura della sicurezza in falesia di Samuele Mazzolini
ECOLOGIA E LUOGHI
100 Climbers, falesie e ambiente I problemi di etica ambientale e di rispetto dei luoghi in arrampicata di Alberto Milani
SICUREZZA
106 Sulle protezioni in falesia a Finale Ligure di Marco “Thomas” Tomassini
110 Sicurezza in falesia: una panoramica critica di Nicola Tondini
SCIALPINISMO
114 Scialpinismo... la scelta della gita migliore di Omar Oprandi
VETRINA
118 Proposte prodotti
Dove va l’arrampicata?
La Grotta dell’Edera, Finale Ligure. Foto: A. Gallo
Editoriale
Testo Eugenio Pesci
Sono passati quasi quarantacinque anni dalla nascita dell’arrampicata sportiva: intendendo, per quest’ultima, l’arrampicata su monotiri protetti integralmente a spit, in falesie naturali.
In quasi mezzo secolo, l’evoluzione è stata lenta ma progressiva, con diverse fasi, ormai facilmente identificabili, a partire da quella pionieristica, che possiamo collocare fra il 1982 e il 1995 circa. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito e stiamo assistendo ad una accelerazione impressionante, che si esprime nella moltiplicazione esponenziale del numero dei praticanti, in nuove forme di frequentazione delle falesie, nel complesso rapporto fra arrampicata indoor e outdoor, nella differenza fra arrampicata sportiva e arrampicata agonistica, per citare solo alcuni aspetti fondamentali.
Questo fenomeno, in gran parte prevedibile, ha profonde radici, che vanno ben al di là dell’arrampicata stessa, e anche della sua eventuale matrice alpinistica pregressa: sono matrici di carattere sociale, economico, culturale.
Il presente dell’arrampicata sportiva in falesia appare,per molti versi, notevolmente problematico, e suggerisce la necessità di una riflessione, possibilmente articolata, e proiettata sul futuro della disciplina. Vi sono molte criticità, a partire dal problema della sicurezza, intesa a 360°, proseguendo con quello della attrezzatura privata o pubblica delle falesie, continuando con il fondamentale tema di una cultura dei luoghi e della storia umana e tecnica dei medesimi.
Ma possiamo proseguire, citando la tematica dell’istruzione e della pedagogia dell’arrampicata, così come quella della perdita della memoria storica.
Vi sono anche molti aspetti positivi: l’avvicinarsi di grandi masse di giovani entusiasti, l’evoluzione delle metodiche di allenamento, la sempre maggiore presenza di bambini e bambine che amano arrampicare.
I temi di discussione sono davvero molti: ecco il senso di questo numero,di Up climbing a nostro parere particolarmente importante: aprire un dibattito costruttivo, attraverso le voci di alcuni dei più rappresentativi e storici arrampicatori sportivi italiani, attivi da tempo entro diverse prospettive, che vanno ovviamente al di là del mero aspetto tecnico. Partiremo con una tavola rotonda, per sondare il terreno, proseguendo poi con una serie di interventi mirati, divisi per grandi aree: un’area di temi generali introduttivi, una seconda dedicata agli aspetti sociali, mediatici e al rapporto pubblico/privato, per concludere infine con un’analisi tecnica dei problemi legati proprio alla sicurezza.
L’obiettivo È quello di comprendere la situazione presente, attraverso critiche e proposte costruttive, in un momento particolarmente complesso – e per molti versi preoccupante- della storia dell’arrampicata in falesia.
Intro
ORME VERTICALI
Testo Bruno Vitale
Era da un po’ di tempo che avvertivo l’irrefrenabile desiderio di render note talune mie riflessioni sul nostro ambiente dell’arrampicata. Con le sue sorprendenti evoluzioni, le sue ineludibili trasformazioni, i suoi fenomeni più o meno passeggeri, ma anche con le sue immancabili zone d’ombra.
Introduzione
Inizialmente all’incirca nei primi anni Ottanta, periodo che possiamo definire degli “alchimisti”, si riteneva che il nostro terreno di gioco, rappresentato da moltissime storiche vie classiche e di riflesso dalle falesie (che all’origine venivano chiamate Palestre di Roccia ed oggi, con espressione meno romantica e suggestiva, Siti di Arrampicata), fosse un mondo infinito tale da dover consentire a chiunque di fare quel che voleva. Dunque, uno spazio rinnovabile, illimitato e regno indiscusso dell’anarchia.
All’inizio la mancanza di determinati itinerari sportivi (in quel periodo tutti gli itinerari avevano un’esclusiva e naturale impronta alpinistica) su cui confrontarsi ci costrinse a trasformarci, malgrado noi, in funambolici ed aspiranti apprendisti chiodatori, sempre accompagnati da inevitabili errori e da esilaranti ed estenuati situazioni.
Negli ultimi anni abbiamo avuto la dimostrazione e la consapevolezza che la realtà verticale non è poi così sterminata ed è un bene che noi abbiamo ricevuto e che dobbiamo preservare nel modo migliore, per consegnarlo come eredità alle generazioni future. Partendo dal presupposto che le falesie non ci appartengono. Sarebbe divertente soffermarsi su alcune rare ed infinite storiche polemiche provocate, a volte, da improbabili e presunti proprietari-spittatori. Anzi è proprio la falesia, l’itinerario che con abile strategia invisibile ci imprigiona, ci seduce obbligandoci a movenze ora armoniose ora goffe. In definitiva, volenti o nolenti, siamo semplicemente ospiti del verticale. Dunque, il binomio ambiente-arrampicata è del tutto indissolubile ma più delle volte, purtroppo, diamo per scontato che il rispetto della natura sia nostro bagaglio inseparabile. In conclusione, le possibilità che la roccia ci offre sono tante ma non tantissime. Ogni forma di antropizzazione comporta un’alterazione irreversibile più o meno evidente; dunque, è compito fondamentale far sì che tali piccole modificazioni, dai sentieri alla roccia (non voglio nemmeno soffermarmi sulle orribili e devastanti prese scavate), siano il più possibile in armonia con la realtà circostante. Ogni qual volta decidiamo di valorizzare (espressione intesa nel senso più alto) una struttura rocciosa dobbiamo sempre partire da un’attenta e adeguata valutazione dell’impatto ambientale. Tenendo sempre presenti alcuni aspetti che vanno dalla geologia alla vegetazione, dalla fauna e (non ultima) alla recente storia del luogo. A maggior ragione se le pareti sorgono in una proprietà privata o in un Parco, o che esse siano una ZPS o un SIC, è necessaria un’approfondita conoscenza, una sempre maggiore sensibilità ed una costante presenza di tutti, soggetti istituzionali e non. Da qui, l’impegno
affinché il nostro terreno di gioco sia sempre più vissuto con coscienza del senso del limite, affinché ci si indirizzi anche verso un’intelligente regolamentazione, così da eludere qualsiasi politica basata su divieti indiscriminati ed ottusi; dunque, la necessità di sensibilità condivise sia su un piano teorico che reale. Sensibilità che dovrebbero trarre spunto sia da un percorso individuale, che dalle innumerevoli realtà formative (palestre, corsi, letture, dibattiti e confronti). Qui nasce il sospetto o forse la certezza che la mia generazione, spinta più dallo sviluppo che dal progresso, non abbia fatto abbastanza per trasferire idee, conoscenza e consapevolezza ai giovani climber. Sembra arrivato il momento per una necessaria e sempre maggiore comprensione delle cose, di una sempre più profonda sensibilizzazione di fronte ai molteplici aspetti dell’arrampicata, che non può e non deve essere ridotta solo ed unicamente ad un’infinità di appigli sempre più piccoli e lontani, ad una eccessiva ed asfissiante considerazione data al grado.
Uno
Luigi Filocamo Monte Moneta Foto: B. Vitale
Roberto Ferrante
dei padri storici della chiodatura moderna. Foto: B. Vitale
Tavola Rotonda Falesie: quale presente, quale futuro?
Tecnica magistrale
Heinz Mariacher, La signora degli appigli, 7c, Spiaggia delle lucertole, Arco di Trento, anni ottanta
Foto: Arch. H. Mariacher
e vissuta non esisterà più. Considerando poi la superficialità comunicativa che va per la maggiore ora, dove la principale fonte di informazione sono i post di Instagram senza che la massa legga altro, non aspettiamoci che l’opera di salvaguardia della cultura dell’arrampicata che molti di noi cercano faticosamente di portare avanti possa da sola risolvere la situazione.
BRUNO VITALE
Il filo invisibile che lega queste ultime due domande richiederebbe un’analisi molto più complessa e forse interminabile. Ho il timore che tutti noi siamo un po’ troppo imprigionati dal “grado”, da un numero a volte effimero. Condizione che non ci spinge oltre un’agevole e superficiale concezione del gioco-sport. Cultura, innovazione ed evoluzione sono questioni inestricabilmente collegate. A volte ho il dubbio che la cultura, l’ambiente e la formazione abbiano ancora un senso…. presi come siamo a consumare freneticamente il tutto... appiglio dopo appiglio. Senza accorgerci del passaggio silenzioso delle nuvole.
NICOLA TONDINI
È fondamentale rendere consapevoli gli arrampicatori di nuova generazione dei rischi insiti nella frequentazione dei siti naturali per l’arrampicata e del rispetto che tali ambienti necessitano (es. non lasciare immondizia, parcheggi su proprietà private).
Falesie, etica ambientale, educazione... Anche qui vi sono diversi problemi legati ad un approccio spesso poco rispettoso dei luoghi in cui si svolge l’arrampicata: quali sono le vostre opinioni al proposito?
GIOVANNI MASSARI
La diversificazione del tipo di falesie, quelle alla “moda” di ultima generazione e quelle più “esigenti” nel solco della tradizione, ha portato anche ad un diverso tipo di approccio e relative problematiche divergenti. Le falesie meno frequentate non necessitano di particolari attenzioni, se non la buona educazione del singolo climber. In quelle molto affollate non si potrà fare a meno di monitorare gli ingressi o prevedere norme specifiche, a tutela sia dell’ambiente che del benessere di tutti i fruitori. In questo secondo caso, dovranno essere le amministrazioni locali a farsi carico della gestione, dal momento che la frequentazione è anche fonte di ricchezza per le strutture ricettive sul territorio; purtroppo un fatto, questo, spesso poco considerato.
ALESSANDRO LAMBERTI
Di recente ho organizzato un workshop federale dove abbiamo parlato molto di questo tema. Per citare due illustri relatori, Dal Prà ha affermato che “le falesie sono un bene comune, vanno preservate per le generazioni future”. E Andrea Gennari Daneri: “Se arrivo in una falesia con 30 tiri, e ci sono già 20 macchine al parcheggio, me ne devo andare”. Bisogna fare una sorta di decalogo (Andrea l’ha fatto) e non imporlo, ma fare in modo che la comunità scalatoria si senta fiera di ottemperarlo.
ANDREA GENNARI DANERI
Nella testa del climber il sovraffollamento non esiste. A Tessari ogni domenica sbarcano, da 100 auto, circa 300 culi. È sufficiente come immagine per valutare l’impatto ambientale?
“PER QUANTO RIGUARDA L’ETICA
IO METTEREI IN DISCUSSIONE UN 50% DELLE ONSIGHT E UN 30% DELLE RP, MA ALLA MIA ETÀ HO LASCIATO PERDERE: MI
ACCONTENTO CHE NON SCAVINO PRESE SUI TIRI GIÀ LIBERATI, COME È SUCCESSO ALLE MIE VIE
A BISMANTOVA O RECENTEMENTE SU PAPY IN VERDON.
ALBERTO MILANI
L’approccio assolutamente irrispettoso e l’impatto negativo sull’ambiente naturale e sui luoghi sono sempre più evidenti in molte falesie e sono la chiara dimostrazione della crisi etica dell’arrampicata attuale, come inevitabile conseguenza di tutto ciò di cui si è parlato nei precedenti punti. Problemi che diventeranno sempre più evidenti e esplosivi in svariati contesti, con tutte le conseguenze anche drastiche che ne deriveranno...
BRUNO VITALE
Rimando alla mia risposta data alla domanda precedente
NICOLA TONDINI
Questo aspetto si risolve con il punto precedente: fare la dovuta comunicazione e istruzione a chi si approccia alle falesie.
Tavola Rotonda Falesie: quale presente, quale futuro?
Il futuro in bilico tra rocce e plastica
Testo Andrea Gennari Daneri
Andrea Gennari
Daneri su Volaverùn 8a, falesia di Loja, provincia di Granada, Spagna.
Foto: Laura Giunta
Trent’anni fa, quando ho aperto la prima grande sala commerciale d’Italia, il Rock Dome di Parma, poi diventato Pareti Sport Center, ero un pioniere e fondamentalmente avevo ben chiara l’idea che fosse l’unica strada praticabile per tenere allenate le dita e le braccia padane; creare una parete di plastica che sostituisse, da lunedì a venerdì, le pareti di roccia, per noi troppo lontane per una frequentazione infrasettimanale. La gente sarebbe venuta in palestra per allenarsi e andare più forte sulla roccia nei weekends.
Climbing e società
La libertà di mettersi nei guai Dei diritti e doveri dell’essere
“sport climbers” o presunti tali
Ormai scalo da un terzo di secolo, e posso dire di averne viste tante, ma anche di averne combinate tante, soprattutto in gioventù. Per mia fortuna mi è sempre andata bene. E non ho mai chiamato i soccorsi, me la sono sempre cavata con le mie gambe, talvolta al prezzo di molti spaventi o di qualche rinvio o moschettone abbandonato. Mai di una maglia rapida. Non ne possiedo se non per quando attrezzo vie nuove. Giudico malissimo chi le porta all’imbrago.
Bene, una numerosissima generazione di nuovi sport climbers si sta avvicendando nelle nostre falesie, e non giudico il fatto, mi limito ad osservarne il dato oggettivo. E sempre a tal riguardo mi diverto ad ascoltare e talvolta a partecipare ad alcune discussioni. A volte sterili, a volte interessanti. Cosa che dipende dall’interlocutore, non dall’argomento. Nello specifico mi innervosisco molto quando si nomina la parola “sicurezza”, termine woke adatto a perbenisti dell’ultima decade di rompitasche.
Testo Richard Felderer
La chiodatura e l’attrezzare itinerari sportivi è ovviamente oggetto di grandi critiche, anche da parte mia. Lo ammetto. Parlo male anche dei tiri che ho chiodato io! E poi è facile, diciamocelo! Quando il muscolo si ghisa e la paura cresce, dare la colpa al chiodatore è quasi doveroso!
Ma in un’ondata di “regolamentazioni” e giustizialismi facili e degni solo di essere argomentati nei peggiori bar, ricordo una serie di punti fondamentali che tutti dovrebbero tenere a mente.
Primo: che scalare non è una cosa che ci prescrive il medico. Anzi, è logorante per il fisico e la psiche, soprattutto nei gradi medi (nello specifico dal 7a all’8b).
Secondo: se scali non devi per forza farlo sapere e capire a tutti, appendendo le scarpe fuori dallo zaino.
Ma questa è una cosa mia.
Andiamo avanti: grazie a Dio... no, non grazie a Lui! È un’affermazione estremamente autoironica, sono molto ateo. Quindi dicevo: senza ringraziare nessuno, l’arrampicata e soprattutto la chiodatura sono (ancora)
Celebri grotte Eva Hammelmueller, Le Lion de Panshir, 8b+, Grotta di Millennium, Cala Gonone, Sardegna. Foto: R. Felderer
L’arrampicata è un’attività di massa?
Testo Beppe Vidali
Sicuramente, in considerazione dei numeri dei frequentatori che in questi ultimi anni si sono avvicinati a questa disciplina, ed hanno innescato il fenomeno dell’overtourism. Questo termine definisce una determinata località dove il numero di turisti, visitatori ecc. è sproporzionato rispetto alla capacità di quella destinazione di gestire in modo sostenibile i flussi turistici.
Chi l’avrebbe detto che anche l’arrampicata e un certo tipo di alpinismo, attività rimaste per anni inserite in contesti circoscritti a pochi appasionati, tali da essere riconosciuti come clan o tribù arrampicatorie, ora subisce in maniera massiccia questo fenomeno negativo... Fenomeno molto più vasto e globale se si considera il mondo dell’outdoor e del turismo vacanziero, che porta ad una continua richiesta di nuove aree plaisir.
Le Dolomiti e in particolare i passi Sella, Pordoi, Gardena, Falzarego ecc. sono il palcoscenico più gettonato per questo tipo di attività, il continuo proliferare di itinerari plaisir, e comunque con chiodatura logica e sportiva sono piacevoli e appettibili, in verità molti di questi itinerari di arrampicata meritano una visita, avendo tutte le caratteristiche positive per una salita su roccia gratificante.
Ma è nelle valli e nelle regioni prealpine confinanti con le città che il fenomeno è diventato ingestibile sotto molti aspetti. Un discorso a parte andrebbe fatto su Arco e la Valle del Laghi, e su tutte le località alpine che da anni convivono con questo turismo di massa affrontandolo per tempo. Prendo invece ad esempio la Valle dell’Adige in territorio veronese, luogo in cui vivo e vedo con i miei occhi il cambiamento in atto. Sono le piccole realtà di provincia, le comunità, i comuni stessi,
le amministrazioni locali incaricate nella gestione del territorio, le meno preparate a questo cambiamento, investite improvvisamente da queste dinamiche mai affrontate prima e mai messe in programma. Non nego che le attività arrampicatorie siano sempre esistite in valle, ne sono anch’io artefice, ma sempre cresciute lentamente e senza clamori mediatici, senza mai una programmazione nel divenire da parte dei locals, e in special modo senza finalità popolari.
Si può dire che le nostre azioni sono sempre state governate da una sorta di istinto responsabile che ha contenuto gli accessi, chiodando falesie o vie a più tiri, che per il loro carattere, difficoltà, logistica facevano selezione già da sole. Ammetto anche che negli anni Ottanta si arrampicavano e si chiodavano itinerari per puro piacere e voglia di avventura, senza dogmi imposti e preoccupazioni di chi veniva dopo di noi. Non è così adesso, le pubblicazioni, le guide e i social hanno dato visibilità a tutto questo spingendo nuovi protagonisti a riempire i vuoti che noi volutamente abbiamo lasciato, creando nuovi parchi giochi per una arrampicata popolare e alla portata del principiante.
E qui nasce il vero paradosso. Il mio interesse cade sulla frazione dei Tessari, in provincia di Verona e all’interno del comune di Rivoli Veronese in Val d’Adige, fulgido esempio dei veloci cambiamenti in
corso. Frazione di non più di cento abitanti che vivono di agricoltura e viticoltura, nelle mezze stagioni, nei fine settimana e, nelle assolate giornate invernali, si assiste ad un assalto smisurato di climbers (più di centocinquanta macchine durante i corsi), parcheggi selvaggi nei vigneti, code sulle vie e alla base della parete, rifiuti ecc. Tutto questo per un rapporto sbilanciato di domanda e offerta, un numero di itinerari chiodati addirittura su pareti vegetate con opere di disboscamento radicali e in eccesso rispetto allo spazio naturale, e la totale mancanza di infrastrutture necessarie alla ricreazione.
LE RESPONSABILITÀ
Che cosa viene meno e crea scompenso in realtà come queste? La responsabilità principale ricade sui chiodatori, specialmente se non sono del luogo e non si pongono in relazione con i locals: la programmazione e la chiodatura di un sito d’arrampicata, specialmente se la finalità d’uso è popolare, è necessaria e deve essere condivisa con gli enti predisposti, che metteranno in progetto le strutture necessarie. Saltare questo passaggio per un puro bisogno narcisistico di affermazione porta sicuramente del male alla comunità e agli stessi arrampicatori (anche se estranei alle dinamiche interne tra chiodatori).
Foto: B. Vidali
Istruzione e pedagogia
Questione di cultura tecnica e dell’arrampicata Il ruolo delle scuole, delle guide e degli istruttori di arrampicata nella costruzione di una cultura della sicurezza in falesia
L’arrampicata sportiva in falesia non è più ormai da tempo uno sport di nicchia legato al mondo della montagna, come era nata e lo era stata in passato. Pertanto, per mantenere intatta la storia di questa disciplina e assicurare la sicurezza di chi la pratica, è fondamentale il ruolo delle scuole di alpinismo del CAI, degli istruttori di arrampicata FASI e delle guide alpine.
Infatti, per la costruzione di una cultura della sicurezza e del rispetto in falesia queste figure sono fondamentali, in quanto in prima linea
nel trasmettere le conoscenze e le competenze per praticare la scalata in modo sicuro e consapevole. Perché la consapevolezza con cui si affronta una arrampicata non dipende solo dai materiali più sicuri o da una chiodatura più ravvicinata, bensì soprattutto dall’esperienza acquisita sul campo, che è la sola che permette una attenta valutazione della via, della qualità della roccia e della chiodatura, e gli istruttori e le guide sono fondamentali per l’acquisizione di tale bagaglio di esperienza. Perché la cultura della sicurezza non deve essere a senso unico, dimenticando la storia dell’arrampicata e sfociando solo nell’alterazione degli itinerari storici, modificandoli con una chiodatura più fitta, ma deve essere una presa di coscienza di ogni singolo arrampicatore, che conosce bene le proprie capacità per usarle in modo responsabile. Inoltre, l’importanza di un approccio sicuro in falesia si inserisce anche nel contesto della crescente popolarità di questo sport, che spesso si svolge su pareti che insistono su terreni privati, in cui un banale incidente o la semplice maleducazione degli scalatori può portare alla chiusura definitiva del sito.
Testo Samuele Mazzolini
Formare gli arrampicatori, dal principiante all’esperto, non solo sulle tecniche di scalata ma anche sulle normative di sicurezza e sul comportamento da adottare in falesia, è una questione fondamentale.
Saper utilizzare correttamente l’attrezzatura, saper fare assicurazione al primo di cordata e anche al secondo (in relazione al tipo di terreno, sia esso strapiombo, placca o placca appoggiata), saper riconoscere lo stato delle protezioni in parete, saper valutare gli ancoraggi di calata, sono i presupposti fondamentali per evitare in modo drastico potenziali incidenti.
Le guide e gli istruttori non devono poi essere solo tecnici, ma anche educatori e mentori. La loro influenza va oltre la trasmissione delle conoscenze tecniche, poiché sono parte imprescindibile alla costruzione della cultura del rispetto e della sicurezza e, per far questo, è auspicabile una collaborazione e una intesa disinteressati, ciascuno nell’assoluto rispetto dei propri ruoli. Per questo devono essere sempre di esempio, mostrando comportamenti responsabili, educati e sicuri anche nella pratica dell’attività personale.
Allo stesso modo devono anche essere responsabili di instillare nel principiante la cultura della consapevolezza, che significa educare i neofiti a prendere decisioni informate e responsabili, non solo in base alla propria abilità fisica, ma anche alla valutazione dei rischi e delle condizioni ambientali; anche come gestire eventuali emergenze è fondamentale: essere preparati a intervenire in caso di incidente, con le competenze necessarie ad un primo soccorso, è un concetto da trasmettere a corsi base ed anche a quelli avanzati.
Essendo il mondo dell’arrampicata sportiva in continua evoluzione, le scuole di alpinismo, la FASI e le guide devono collaborare fra loro e con le autorità locali, che non sempre sono a conoscenza di come viene svolta questa attività. Devono essere un ponte fra chi scala e chi gestisce il territorio, in modo da evitare danni naturalistici ma anche insensati divieti. La sensibilizzazione verso un comportamento rispettoso (non lasciare rifiuti, non danneggiare strutture di uso comune, rispettare eventuali divieti, ecc.) è fondamentale per mantenere questo delicato equilibrio fra scalatori e ambiente. Perché una falesia non può contenere tanta gente quanta una spiaggia e, proprio per questo motivo, solo una fruizione responsabile ed educata può evitare il danneggiamento dei siti esistenti e/o la loro chiusura.
Allo stesso modo, proprio per un mantenimento sicuro, le scuole del CAI, la FASI e le guide dovrebbero, singolarmente o insieme, contribuire e aiutare
fattivamente alla richiodatura e manutenzione delle pareti, che solitamente viene fatta a spese del chiodatore. Una cooperazione in questo senso, coinvolgendo pure i fruitori stessi del sito, sarebbe sempre auspicabile anche per creare collaborazioni e amicizie che sicuramente porteranno in futuro al bene della falesia stessa.
In definitiva, la cooperazione attiva fra tutte le parti in causa e il rispetto dei siti sono secondo me i punti fondamentali per permettere una fruizione sicura delle falesie, nel rispetto della loro storia e dell’ambiente in cui sono inserite.
Foto: Arch. S. Mazzolini
Ecologia e luoghi
Testo Alberto Milani
Qualche settimana fa ha fatto discutere un episodio verificatosi a Tessari, frequentata parete nei pressi di Canale di Rivoli in Val d’Adige. Ignoti hanno rimosso le piastrine ai primi fix di una via e danneggiato altri ancoraggi, per poi riportare alla base la scritta “Climbers go Home”. Un atto che ne ha rievocato un altro avvenuto in estate, quando la scritta “Tourist go Home” è apparsa su un masso presso le Tre Cime di Lavaredo, a condanna dell’overtourism.
L’episodio di Tessari ha inevitabilmente suscitato diverse reazioni. Alcuni hanno attribuito
l’episodio a contrasti tra locals, mentre in tanti hanno condannato l’atto senza porsi altre domande. Tuttavia c’è stato anche chi ha sottolineato come questi gesti siano la dimostrazione di problematiche di “overclimbing” effettivamente esistenti.
Dopo pochi giorni è arrivata la rivendicazione del gesto, accompagnata dalla rimozione di altri spit e l’annuncio di future azioni. I responsabili sono un gruppo chiamato “Nucleo Abitanti Rivoluzionari” che, in un testo affisso in loco, hanno motivato le azioni come risposta all’invasione dei climber e al
Climbers, falesie e ambiente I problemi di etica ambientale e di rispetto dei luoghi in arrampicata
conseguente stravolgimento della vita del paese. Nel testo si sottolinea come nessun abitante sia interessato al turismo arrampicatorio, promosso solo dalla libera iniziativa di alcuni individui.
Ora, non è sicuramente la prima volta che accadono episodi del genere. Atti vandalici in siti d’arrampicata si sono verificati in più occasioni nel passato, così come l’interdizione di falesie, aree boulder o pareti.
Situazioni spesso legate a problematiche di proprietà private, vincoli ecologici o altre particolarità di specifici luoghi, dove gli attori erano singoli individui o piccoli gruppi invischiati in peculiari dinamiche locali.
Dall’altro lato, aree da sempre molto frequentate sono state caratterizzate già in passato da episodi di insofferenza degli abitanti locali verso i climber, portando certe amministrazioni locali ad intraprendere azioni atte a disincentivare la frequentazione delle aree di arrampicata nei loro territori. Ne sono un esempio la vigilanza delle forze dell’ordine e le molteplici contravvenzioni che hanno caratterizzato qualche tempo fa l’area di Finale Ligure, o tutte le vicende
Le falesie sono ambienti spesso ristretti o delicati ora molto frequentati.
L’impatto sui luoghi e sulla roccia sarà inevitabile anche tenendo un comportamento rispettoso. Foto: Coll. Milani
La scritta apparsa sulla roccia alla base della parete di Tessari. Fonte: Facebook
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Climbing Technology
ABO
ABO è l’imbracatura mono-fibbia ultraleggera, morbida e avvolgente concepita da Climbing Technology per l’arrampicata sportiva di alto livello, l’alpinismo tecnico e le competizioni. È realizzata in tessuto anisotropo che garantisce flessibilità e sostegno senza l’impiego di imbottiture. L’innovativo anello di assicurazione senza cuciture ha un ingombro ridotto per agevolare la legatura e l’utilizzo di moschettoni compatti e longe; i punti di attacco sono provvisti di fasce catarifrangenti per una legatura sicura anche in condizioni di scarsa illuminazione mentre i cosciali fissi sono provvisti di elastici di sostegno regolabili. Peso: 135 g in taglia M-L www.climbingtechnology.com
La Sportiva Trango Pro GTX
Per i professionisti della montagna, arriva la proposta de La Sportiva per affrontare gli itinerari alpinistici con sicurezza e performance. Il Trango Pro GTX, realizzato con concetti e materiali di nuova generazione, è stato studiato in ogni minimo particolare per assicurare massima tecnicità, precisione in fase di arrampicata e un peso estremamente ridotto. La nuova forma Trango-Ergo, studiata per adattarsi e fasciare al meglio diverse conformazioni di piede, l’innovativa ghetta Vortex con chiusura rapida, la suola Vibram® Cube Evo che garantisce l’assorbimento dell’impatto con il terreno e massima durabilità, la Climbing Zone in punta, la tecnologia Impact Brake System™ e la fodera impermeabile GORE-TEX Performance Comfort, lo rendono perfetto per gli utenti più evoluti ed esigenti. www.lasportiva.com
Black Diamond Hydra Ice Tool
Questa piccozza integra l’innovativo sistema BD Integrated Component Exchange (I.C.E.), che permette di configurarla per massimizzare le prestazioni su qualsiasi terreno invernale: dalle cascate di ghiaccio all’arrampicata mista tecnica. La serie completa di accessori I.C.E., tra cui picconi, martelli, paletta, pesi per la testa, punte e distanziali per l’impugnatura, consentono di personalizzare Hydra Ice Tool e adattarla a qualsiasi missione. La forma è stata ergonomicamente sviluppata per la progressione su pareti ripide, su ghiaccio di cascate sporgenti e per facilitare gli incastri su terreni misti. Inoltre, l’impugnatura può essere regolata con precisione per adattarsi alla tua mano. eu.blackdiamondequipment.com
Wild Country
Per la costruzione di soste, o la protezione su clessidre e spuntoni, le fettucce proposte da Wildcountry si adattano al meglio in ogni condizione, combinando resistenza, praticità e versatilità. Le fettucce in Dyneema, codificate per colore nelle lunghezze 60 cm, 120 cm, 180 cm e 240 cm offrono il miglior rapporto peso-resistenza tra i tessili disponibili ad oggi sul mercato. Mentre le fettucce piane in nylon da 15 mm realizzate nelle lunghezze 60, 120 e 240 cm, con codici colore-lunghezza che sfrutta i colori del logo Heritage Wildcountry offrono maggiore dinamicità rispetto al Dyneema e migliore resistenza al calore, nel caso in cui ci fossero attriti o scorrimenti in gioco.
www.wildcountry.com
Dyneema and Nylon sling
CUNEESE
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO
Gennaio 2025. Anno VI. Numero 34
Direttore responsabile
Richard Felderer
Direttore editoriale
Eugenio Pesci
Alberto Milani
Redazione
Tommaso Bacciocchi
Roberto Capucciati
Matteo Maraone
Samuele Mazzolini
Alberto Milani
Marco Pandocchi
Damiano Sessa
Copertina Folla di arrampicatori nel Parco Nazionale di Paklenica, Croazia.