Il tempo dei sogni

Page 1


IL TEMPO DEI SOGNI

Storia del bouldering mondiale

Alberto Milani

2024 © VERSANTE SUD S.r.l.

Via Rosso di San Secondo, 1 – Milano

Per l’edizione italiana tutti i diritti riservati

1ª edizione novembre 2024

www.versantesud.it

ISBN: 978 88 55471 312

ALBERTO MILANI IL TEMPO DEI SOGNI

Storia del bouldering mondiale

VERSANTE SUD EDIZIONI | COLLANA I RAMPICANTI

INDICE

Premessa 07

Introduzione 11

La “preistoria” del bouldering 17

Bouldering primordiale tra Bleau e Regno Unito 18

Bouldering preistorico in Europa 24

...E in America? 29

Oscar Eckenstein: il primo maestro del bouldering 35

Eckenstein: l’uomo 36

Eckenstein: l’alpinista e l’innovatore 40

Eckenstein: il boulderista 44

Il bouldering inglese oltre a Eckenstein 47

Fontainebleau: una storia a parte! 63

Il gruppo dei “Rochassiers” 64

Il gruppo di Bleau 71

Pierre Allain e una nuova consapevolezza 75

L’evoluzione del bouldering a Bleau

dagli anni ’50 agli anni ’80 86

Dagli anni ’90 ai giorni nostri: Bleau si “apre” al mondo! 96

John Gill: il padre del bouldering moderno 101

1952-1961: gli inizi e la Thimble 104

1961-1970: il pieno sviluppo di una nuova visione del bouldering 111

1972-1987: la maturità e l’abbandono del bouldering 113

Il contributo di Gill al bouldering 117

Il bouldering tra gli anni ’70 e ’80 131

L’eredità di Gill 132

L’avvento dei “californiani” e gli anni ’80 144

Il bouldering nel resto del mondo tra gli anni ’70 e ’80 151

Il Nuovo Mattino, il Sassismo e la nascita del bouldering italiano 153

Gli anni ’90: Fred Nicole e i nuovi pionieri! 171

L’avvento di Nicole 173

Loskot, Moffatt, Moon & Co! 177

Il bouldering in Italia negli anni ’90 181

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

Il nuovo millennio: l’avvento di una nuova era 189

Dreamtime! 191

Oltre Dreamtime... 199

Da The Story of Two Worlds a Gioia 200

L’esplosione mondiale del bouldering 206

Burden of Dreams! 209

Le ragazze del bouldering del nuovo millennio 213

Il bouldering in Italia, oltre Core e Calibani 216

Il bouldering oggi: evoluzione o massificazione? 219

I mutanti della nuova generazione 222

Le regine del bouldering 232

La “poesia” del Sassismo 234

...E gli italiani 240

Conclusioni: dove va il bouldering? 241

Ringraziamenti 244

Bibliografia 248

p REME ss A

Chi controlla il passato controlla il futuro.

Chi controlla il presente controlla il passato.

Uno slogan alla base della società distopica descritta da George Orwell in 1984. E una frase allarmante per aprire un libro che parla di storia!

Niente paura, questo libro non vuole ovviamente manipolare la Storia per veicolare qualche messaggio distorto. Ciò che ho voluto fare è ricostruire il passato del bouldering, di cui spesso si sa poco o nulla e di cui si ignora il lungo e articolato percorso che l’ha portato fino ai nostri giorni. Giorni, quelli attuali, che vedono in esso la disciplina forse più amata e praticata, per lo meno in ambito indoor. Il motivo per il quale ho voluto aprire con questa frase di 1984 è proprio per l’implicito significato che ha, perché richiede consapevolezza nell’importanza della Storia.

Da un lato un’opera di questo tipo è importante nell’ambito della “cultura” dell’arrampicata. Dalla sua genesi, la pratica del bouldering è stata inscindibilmente legata all’alpinismo stesso, tanto da costituirne un aspetto tutt’altro che marginale. Dall’altro lato è sicuramente curioso analizzare le motivazioni, i processi, le forme in cui si è sviluppata questa disciplina, all’apparenza così minimale ma in realtà profondamente visionaria, che richiede esperienza, maturità e molto anticonformismo per coglierne l’essenza più pura.

Sapere come è nato il bouldering, con quali prospettive, come si è evoluto, quali sono i valori che lo caratterizzano e come tutto ciò si sia modificato nel tempo sono domande a cui la Storia può dare una risposta. Allo stesso tempo, essa ci permette di capire chi siano stati negli anni gli esponenti più importanti del bouldering, come l’abbiano inteso e quali pietre miliari abbiano lasciato a segnarne l’evoluzione.

Al di là della cultura e dell’erudizione, la Storia ci può poi raccontare vicende umane ispiranti, drammatiche, toccanti, muovendo in infiniti modi le nostre emozioni e la nostra passione. Ci può offrire un riferimento per capire a che punto ci troviamo oggi, come ci siamo arrivati e perché.

Tuttavia, penso sia soprattutto un altro l’aspetto più importante della conoscenza storica. Mostrandoci le conquiste e gli errori del passato, la Storia ha infatti la forza di direzionare le azioni umane verso nuovi orizzonti, verso una continua evoluzione nel nostro modo di essere, vivere e agire. Come singoli e come comunità. Da essa traiamo insegnamento oltre che ispirazione e, che lo si voglia o meno, conoscendo il passato siamo inevitabilmente condizionati in ciò che facciamo nel presente e nel futuro, per la naturale tendenza dell’uomo a percorrere cammini evolutivi sempre nuovi.

Proprio per questo, nel mondo orwelliano il futuro veniva controllato alterando il passato, modificando ad hoc la Storia per indirizzare il pensiero e le azioni delle persone là dove il potere voleva.

Che cosa accade se non si conosce la Storia? La risposta appare ovvia. Nella migliore delle ipotesi si percorreranno vie già tracciate, rifacendo gli stessi errori e arrivando a traguardi che non sono innovativi. L’effettiva evoluzione di qualunque disciplina ne risulterebbe rallentata.

Nella peggiore delle ipotesi, specialmente se immersi nell’attuale mondo digitale e social con i suoi ritmi incredibilmente veloci, è più probabile che senza gli esempi del passato si arrivi a vivere in modo banale, superficiale, omologato e consumistico, perdendo quei valori che hanno sempre caratterizzato le basi dell’agire umano in ogni contesto, arrampicata inclusa.

Oggi quando si parla di Storia è facile riscontrare una certa avversione, soprattutto da parte dei più giovani. Ciò non è basato solo sulla generalizzata insofferenza delle ultime generazioni verso il riferimento costituito da quelle precedenti, spesso ritenute responsabili delle problematiche sociali e culturali in cui siamo immersi. Oltre a ciò, si tende anche spesso a confondere l’interesse per la Storia con la nostalgia dei tempi passati e con la critica verso il presente e i suoi più giovani protagonisti.

In effetti, questo preconcetto è non di rado alimentato dalle voci critiche di tanti che, appartenendo alle “vecchie generazioni”, spesso utilizzano la Storia solo come baluardo per criticare la modernità e i suoi cambiamenti. Critiche che talvolta possono avere un fondamento, ma altre volte no, e che sono legate solo alla rigidità di visione di chi non sa stare al passo con i tempi e non sa intravvedere le possibilità di crescita e di evoluzione che esistono in ogni epoca dell’umanità. La cecità di questi sostenitori del “si stava meglio un tempo” ha quindi portato i più giovani a essere intolleranti verso qualunque cosa venga dal passato.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

Proprio nella frase di Orwell troviamo invece la celebrazione del ruolo che la Storia può avere. Una conoscenza che non tiene legati al passato, ma che è invece la forza ispirante per scrivere il futuro.

Ne emerge una considerazione ancora più rilevante e che ribalta il preconcetto sopra menzionato: la Storia è per i giovani! Dalla sua conoscenza, le nuove generazioni possono ricevere spunti per capire come scrivere un futuro che sia davvero innovativo. Un libro di Storia quindi non dovrebbe essere ritenuto un’opera per “vecchi bacucchi nostalgici” che rimpiangono la loro gioventù e la sbandierano come migliore del presente. Dovrebbe essere invece d’ispirazione per i giovani che vogliono essere veramente creativi e vogliono raccogliere il testimone per fare la loro parte e portarlo più avanti.

Esistono diverse opere dedicate alla storia dell’alpinismo che descrivono non solo le imprese ma anche le caratteristiche dei personaggi che le hanno realizzate. Vicende umane a volte grandiose e illuminanti, a volte misere e drammatiche, ma che danno comunque un’idea di come si sia evoluta l’attività dell’uomo sulle montagne del pianeta.

In tal ambito però, per l’arrampicata sportiva non esiste tutt’ora un’opera completa che ne descriva l’evoluzione storica, né esisteva per il bouldering fino a questo mio libro. Di quest'ultimo nello specifico si è sempre saputo molto poco, e questo poco era estremamente frammentario, con molte discrepanze, incompleto e confuso.

Un primo tentativo di raccontarne la storia lo si deve a John Gill che, oltre ad aver giocato il ruolo di padre del bouldering moderno, è stato anche il primo a interessarsi dell’origine di questa disciplina, trovandone traccia già alla fine dell’Ottocento. La sua opera è stata fondamentale per raccontare tutta l’era che va dalle origini fino ai suoi tempi, poi descritti ulteriormente nella sua biografia a opera di Pat Ament. Non esisteva però nessun altro scritto che ne ricostruisse in modo chiaro l'evoluzione dagli anni ’60-’70 fino ai giorni nostri, se non appunto articoli e testi relativi a periodi molto limitati o a luoghi particolari come Fontainebleau.

Da ciò è emersa una storia abbozzata e disorganica, senza che i singoli episodi fossero mai stati contestualizzati in una prospettiva universale e unitaria.

La ricerca di Gill, fondamentale per il mio lavoro, è essa stessa frammentaria, sebbene la ricostruzione e il recupero delle fonti da lui effettuato sia talmente esteso da rappresentare una sorgente incredibile di informazioni.

Questo libro si inserisce quindi in questo contesto e ha l’ambizioso obiettivo di ricostruire tutta la storia del bouldering dai suoi albori a oggi.

Data la grande disconnessione temporale e geografica che ne ha caratterizzato lo sviluppo in un secolo e mezzo (!), una questione importante è stata la scelta di criteri con cui interpretare questo sviluppo storico su una scala globale e unitaria. Ho quindi cercato di adottare una visione “dall’alto” che permettesse di inquadrare queste vicende incomplete in una prospettiva unica, pur nelle sue tante articolazioni, ricostruendo i processi generali che hanno caratterizzato l’evoluzione del sassismo.

Rielaborando il quadro degli eventi ho cercato di evitare qualunque tipo di interpretazione soggettiva.

La prima domanda sorta è stata la seguente: quando si può iniziare a parlare di storia del bouldering? Così come l’invenzione della scrittura ha marcato il passaggio dalla Preistoria alla Storia, quale può essere un analogo criterio per sancire l’inizio del suo processo di evoluzione storica?

Anche in questo caso l’opera di John Gill è stata importante, avendo egli individuato alcuni personaggi a lui antecedenti che ne potevano essere considerati i primi “veri maestri”. Il criterio scelto fu la concezione che essi avevano dell’arrampicata sui massi, ritenendola valida di per sé e non solo come uno strumento di allenamento accessorio ad altre discipline.

Fu così che Gill individuò in Oscar Eckenstein e poi in Pierre Allain i primi riferimenti storici del bouldering, rispetto ad altri che ne erano invece solo un’espressione inconsapevole.

Sulla base di questo criterio ho distinto la storia del bouldering dalle sue forme “preistoriche”. Questa è stata la scelta più arbitraria nell’impostazione dell’attuale ricostruzione, ma che ho ritenuto la più opportuna nella creazione di un quadro unico e ragionato degli eventi.

Fatte queste premesse generali, non ci resta ora che partire per questo lungo viaggio...

Buona lettura a tutti!

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

INTRO duz IONE

Non so cosa bruciasse di più. Se le ginocchia scorticate o le sculacciate ricevute da mio padre per l’ennesima nota sul diario. Non che me ne fregasse molto quel giorno. Ero solo orgoglioso e raggiante, perché finalmente ero stato io il re del masso! Durante l’intervallo i bambini più grandi combattevano per raggiungerne la cima. Appoggiando i palmi, con un balzo vi montavano sopra, difensori di un castello immaginario assediato dalle truppe nemiche. Uno dopo l’altro, un nuovo sovrano spodestava il precedente, mentre noi piccoli non potevamo nemmeno tentare un tentativo d’assalto, destinato a fallire tra spintoni e sgambetti ancora prima di giungere in prossimità del sasso.

Il suono della campanella metteva fine alla battaglia e tutti si precipitavano in classe, tra le urla di richiamo delle maestre. In quei concitati momenti di transizione, per diversi giorni tentai comunque di conquistare la vetta.

Arrivando a malapena al bordo arrotondato, le mani e i piedi spalmati sul liscio granito, cercavo vanamente di spingermi in cima, scorticando braccia e gambe nelle scivolate a terra. I richiami sempre più severi della maestra mettevano fine ai tentativi, inevitabilmente rimandati ai giorni successivi.

Quel giorno però il momento arrivò. Il piede in aderenza non scivolò e con una spinta vinsi l’angolo per sollevarmi oltre il bordo. Le mani che premevano allo spasimo, il corpo goffamente spalmato sulla roccia, le gambe scalcianti nel tentativo di avanzare quel poco che restava per assicurarmi la conquista. Sulla vetta di quella minuscola montagna, al centro del prato della scuola in un piccolo paesino brianzolo, mi sentivo invincibile, inebriato da istinti primordiali che fino ad allora giacevano sopiti. Nemmeno i rimproveri attenuarono quelle sensazioni esaltanti. Nemmeno la conseguente nota, le sculacciate e i castighi.

Da adulto mi sono domandato spesso il motivo per cui tali massi fossero stati messi nei giardini di scuole, parchi e condomini degli anni ’80. Un misero surrogato naturale per decorare le abitazioni in una società che si stava distaccando sempre più dalla natura? O i residui degli scavi di costruzione, buttati lì come finti elementi decorativi per risparmiare i soldi e il tempo della rimozione?

Per quanto piccoli, questi massi avevano però un potere intrinseco sulla nostra mente primordiale. Risvegliavano qualcosa di più profondo, archetipico, radicato nella storia e nella coscienza di massa dell’uomo.

Ripensando alle sensazioni che provai quel giorno per aver raggiunto la cima di quel masso o a tutte le altre volte che vi riprovai da bambino, sento che in effetti poteva esserci qualcosa di più profondo della semplice avventura fanciullesca.

Bouldering sul Sasso Calvarone, detto anche Sasso del Diavolo, sul Lago di Como. La leggenda vuole che la croce piantata sulla cima venisse regolarmente colpita e distrutta dai fulmini, segno nefasto della presenza del maligno in quel luogo. Foto: Niky Ceria

Il rapporto dell’uomo con i massi ha un’origine antica. Sotto di essi i nostri lontani antenati trovarono un ricovero e una casa. Alcuni furono utilizzati come tombe, altri come stalle o cantine, talvolta ancora in uso. Sopra di essi hanno spesso trovato fondamenta baite e rifugi. Nell’Europa celtica i massi furono utilizzati per erigere Menhir o misteriosi Cromlech. Tutte manifestazioni dell’istintivo fascino che questi pezzi di roccia esercitano da sempre sull’uomo, oscillando tra il timore reverenziale per qualche loro legame con il soprannaturale e la bellissima sfida che offrono invece ai bambini, sempre attratti pericolosamente dalla conquista di queste “montagne”.

I massi hanno sempre popolato l’immaginario collettivo delle tradizioni locali, spesso legati a variegate leggende popolari. Chissà perché – forse come disincentivo utilizzato dai genitori preoccupati dalle pericolose avventure dei propri figlioletti – spesso i massi sono stati accostati alle figure più paurose. Sono infatti tanti i “Sassi del Diavolo” che qua e là si incontrano in molte località alpine, con le relative dicerie a giustificarne il nome. Altrettanto comuni sono i massi associati ad altre figure temibili, come per esempio il Sasso del Lupo nel Triangolo Lariano, tana di un famelico lupo che avrebbe rapito e divorato i bambini disobbedienti. Sempre vicino a Como mi sono imbattuto anche nel Sass del Prevost (Sasso del Parroco) sebbene non sia riuscito a risalire all’origine di tale nome.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

In questo contesto, possiamo citare un caso curioso e con protagonisti illustri, a rappresentare una bella connessione tra folklore e bouldering.

Nel 2018, Nalle Hukkataival e Giuliano Cameroni liberarono un boulder denominato Deal with the Devil su un grosso masso a Göschenen, adiacente all’autostrada subito all’uscita nord del traforo del Gottardo [10]. Il nome di questa linea è in relazione al nome stesso del masso: Teufelsstein, per l’appunto Sasso del Diavolo [11]!

La leggenda narra che questo masso fosse stato utilizzato dal demonio per distruggere un ponte da lui stesso costruito (non per niente chiamato Teufelsbrücke – Ponte del Diavolo) in seguito a un patto stretto con gli uomini della valle. Come compenso per la costruzione del ponte, il patto prevedeva che il diavolo avrebbe preso l’anima del primo che l’avesse attraversato.

Tuttavia, gli “ingrati” uomini fecero passare un caprone sul ponte, ingannando così il demonio e mandandolo su tutte le furie. Afferrato un grosso masso per distruggere l’opera, il diavolo vide comparire davanti a sé una fanciulla che brandiva una croce e mancò così il bersaglio. Il masso cadde nella valle, lì dove è stato poi aperto il tunnel del Gottardo. Grazie all’astuzia e all’intervento divino, gli uomini conservarono così sia il loro ponte, che il futuro parco giochi di Hukkataival e Cameroni (e i pochi altri che possono attaccarsi a un 8B)!

Questa leggenda è così radicata nel folklore locale che nel 1977, in occasione dei lavori di costruzione dell’autostrada, questo masso da 220 tonnellate fu preservato dalla distruzione, sollevato e trasportato a oltre 100 metri dalla posizione originaria, costruendo ad hoc un sistema di rotaie con costi spropositati. Che sia stato fatto per la salvaguardia di un bene naturale di importanza storico-culturale o per il timore di risvegliare ancora l’ira del Diavolo non è dato saperlo. Sta di fatto che il demonio forse si prese comunque la sua rivincita e le sue anime, essendosi verificato un grave incidente proprio nel cantiere di costruzione del tunnel.

Al di là del folklore, non c’è dubbio che salire sui massi sia un istinto quasi primigenio, irresistibile. In questa prospettiva non stupisce più di tanto che il bouldering stesso abbia un’origine lontana nel tempo, sicuramente molto più in là di quanto la media degli arrampicatori possa pensare. Quella che la maggior parte dei climber ritengono essere una specialità sviluppatasi a cavallo del nuovo millennio, in realtà si rivela una disciplina che ha accompagnato l’evoluzione dell’alpinismo stesso. Il bouldering ha origini che risalgono a molti decenni fa, molto prima che l’arrampicata “libera” e l’arrampicata sportiva vedessero il loro avvento.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI
Il Teufelsstein di Göschenen. Foto: Roland Zumbuehl

Allora quando è nato il bouldering? Chi per primo ha praticato consapevolmente questa disciplina?

Domande che ciascun lettore potrà farsi prima ancora di continuare a leggere le prossime righe e che io stesso mi sono posto immaginando di tornare a 25 anni fa, quando iniziai a dedicarmici con le conoscenze che avevo al tempo, prima di sperimentarlo per anni e dedicare molte energie allo studio della sua storia. Domande che ho posto più recentemente a diversi arrampicatori, coprendo un ampio range di età e di esperienza e spaziando da chi è cresciuto tra le mura di cemento delle attuali sale indoor a chi i 40 o 50 anni da arrampicatore li porta sulle spalle.

Inevitabile dire che i più giovani, o coloro che l’arrampicata l’hanno conosciuta nelle sale indoor, non sanno nemmeno da che parte iniziare per rispondere a queste domande. Spesso non mostrano nemmeno interesse verso questo argomento. Qualcuno tra i più arditi butta lì qualche nome, magari visto in rete: Daniel Woods, Jimmy Webb, Adam Ondra, Nalle Hukkataival...

Salendo con l’età ecco che si iniziano a sentire nomi come quelli di Christian Core, Mauro Calibani, Marzio Nardi, o di Dave Graham e Chris Sharma. Chi già scalava a inizio millennio menziona Fred Nicole e quelli più esperti anche Klem Loskot, Ben Moon, Jerry Moffatt.

Bisogna però salire ancora con l’età, sia anagrafica che soprattutto arrampicatoria, per sentire menzionati i “bleausard”, John Gill, i sassisti sondriesi o Gian Carlo Grassi, dimostrazioni dell’esistenza del bouldering prima ancora che Nicole ne diventasse il simbolo moderno.

Per anni il bouldering è stato infatti un fenomeno ancora più “underground” di quello che l’arrampicata stessa già era, destinato a esplodere poi a partire dalla fine degli anni ’90 come se fosse una novità.

Tuttavia, non è nemmeno con i bleausard o con John Gill che ha inizio la storia del bouldering!

A Fontainebleau, già agli inizi del secolo scorso si arrampicava sui massi, anche prima dell’avvento di Pierre Allain, colui che dimostrò come scalare sui sassi di Bleau potesse essere la chiave per realizzare exploit storici di alpinismo. Già dalla fine dell’Ottocento gli alpinisti parigini si allenavano su quegli splendidi massi di arenaria, in preparazione alle spedizioni estive sulle Alpi.

La storia però va indietro ancora di qualche anno ed è stato proprio merito di John Gill averne ricostruiti gli albori.

La sua ricerca in tale contesto è stata preziosissima, ed è riportata sul sito www.johngill.net, oltre che nei libri cartacei che ne sono derivati [1,2].

Grazie al materiale da lui raccolto, Gill ha individuato i primi episodi boulderistici già nel 1870, sia a Bleau che in Gran Bretagna. Fu proprio in UK, in particolare tra il Lake District e il Llanberis Pass, che visse il primo “profeta” del bouldering, un personaggio che non vide in questa disciplina solo uno strumento di allenamento, ma soprattutto una “frontiera” di innovazione del gesto, esplorando nuove tecniche di arrampicata e nuovi limiti di difficoltà. Questo maestro fu Oscar Eckenstein: un personaggio controverso, dal carattere difficile e spigoloso, un grande innovatore dell’attrezzatura alpinistica e un alpinista di rilevanza internazionale nonostante le molte inimicizie che si era procurato. Un emblema di anticonformismo e originalità, tratti che si riconoscono anche in molti boulderisti a lui posteriori.

La visione del bouldering di Eckenstein come un’attività con la propria dignità fu però destinata a rimanere solo sua e dei suoi pochi fedeli discepoli. Dopo di lui, negli anni ’30 fu appunto Pierre Allain a incarnarne il “secondo profeta”. Il francese mostrò a sua volta come questa disciplina potesse essere fine a sé stessa, seppure la sua visione si limitasse unicamente al contesto unico e irripetibile di Fontainebleau. Tuttavia, dopo di loro, negli anni ’50 arrivò “il messia” e fu inevitabilmente John Gill. Con lui il bouldering divenne universale, aveva senso di essere praticato come fine a sé stesso e ovunque nel mondo. Gill ne divenne la rappresentazione stessa, sebbene il bouldering non esplose nel mondo nei decenni successivi, rimanendo confinato nella cerchia di suoi seguaci o di realtà sempre geograficamente ridotte.

Il verbo che annunciava “il bouldering universale” profetizzato da Gill si concretizzerà infatti solo negli anni ’90 con l’opera di Fred Nicole, aprendo la strada a quell’esplosione che ci porta ai giorni nostri, pur con diverse trasformazioni nella sua stessa concezione.

Se queste sono le tappe più evidenti nella storia del bouldering, la ricostruzione accurata e ragionata di questo processo è stata molto ardua, perché fino agli anni ’90 questa disciplina è rimasta, per l’appunto, nell’ombra e ha avuto un’evoluzione storica completamente diversa da un luogo all’altro, con tempi e velocità variabili. Ad aggiungersi a questa complessità, è anche il fatto che è sempre stata considerata come “minore” da alpinisti e arrampicatori, tanto che ancora in quegli anni non era raro essere presi in giro se ci si dedicava a essa. Detto questo, alla luce di quanto verrà raccontato nelle pagine che seguono, spero che questo libro possa far ricredere chi finora ha pensato, o tuttora pensa, che scalare sui massi sia da considerarsi una forma di arte arrampicatoria inferiore e più banale rispetto ad altre.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

LA “ p REI s TORIA” d EL BO u L d ERIN g

1870. Un caos di blocchi dalle forme fantasiose e oniriche, immersi in una foresta silenziosa, magica. Alla base dei massi la sabbia bianca rende ancora più suggestivo questo luogo e gli alti alberi piantano le loro radici là dove un tempo c’era il mare. Siete nel luogo ideale per concretizzare sulla tela le vostre emozioni. Siete pittori, paesaggisti della Scuola di Barbizon, alla ricerca di ispirazione nella Foresta di Fontainebleau. Nella mistica contemplazione di questo paesaggio incantato, vi interrogate su come rendere al meglio i colori davanti a voi. Il verde degli alberi, il grigio dei massi, il bianco della sabbia, l’azzurro del cielo, il marrone, il nero, luce e ombre.

Tuttavia, all’improvviso la vostra bolla di pittorica meditazione si infrange, rotta dall’apparizione di uno strano essere sulla cima di un masso! Una creatura primordiale? Un essere demoniaco? Un bambino selvaggio che gioca? Un’allucinazione? Sgomenti cercate di scrutare meglio la creatura improvvisamente comparsa sul masso, e non passa molto prima che vi rendiate conto che si tratta di Hippolyte.

L’avete conosciuto giusto qualche sera prima nel salotto di Barbizon, dove pittori e intellettuali si ritrovano a parlare di arte e filosofia.

Hippolyte Taine. Filosofo, storico e critico letterario che da tempo ha trovato un luogo di ispirazione in questo paesino ai margini della Foresta di Fontainebleau.

Taine è considerato il padre teorico del Naturalismo e ha avuto un’influenza importante sulla successiva letteratura francese. Qui ci importa però di un altro suo aspetto ed è Jean-Baptiste Georges Gassies, acquarellista della Scuola di Barbizon, a darci una descrizione tutt’altro che austera di Taine [12]: Gli piacevano le passeggiate nei boschi. Uno dei suoi grandi divertimenti consisteva nell’accendere piccoli fuochi di legna secca. Gli piaceva arrampicarsi sulle rocce come un bambino, e un giorno si strappò così malamente i pantaloni che dovette correre a casa mia, non senza difficoltà e con tutta vergogna, per prenderne subito un altro paio. Fortunatamente, non aveva incontrato nessuno durante il tragitto!

Ecco uno dei primissimi – seppur inconsapevoli – boulderisti della storia!

BO u L d ERIN g p RIMOR d IALE TRA BLEA u E RE g NO u NITO

A parte il curioso caso di Taine, è molto difficile ricostruire la “preistoria” del bouldering. Per fortuna, buona parte di ciò che sappiamo lo dobbiamo a John Gill e al prezioso materiale da lui pubblicato sul suo sito [1] e nel libro The Origins of Bouldering [2].

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI
In arrampicata sul Bowderdale Boulder nel Regno Unito alla fine dell'Ottocento. Foto: George & Ashley Abraham

La “preistoria” del boulder non è definibile in modo geograficamente e temporalmente coerente nelle diverse aree del mondo.

Innanzitutto con questo termine intendiamo quei periodi storici in cui il bouldering era costituito da forme “ingenue” di arrampicata sui massi o era considerato come un’attività senza una sua dignità intrinseca. Normalmente, questi furono i periodi in cui venne praticato unicamente come forma di allenamento per imprese alpinistiche più serie.

Non stupisce quindi il fatto che i primi esperimenti sassisti abbiano avuto luogo in contesti geografici dove mancavano rilievi montuosi particolarmente alti, e dove i massi rappresentavano perciò l’unica possibilità per prepararsi a salite più impegnative.

In questi primordi, non venne conferito nessun altro significato al bouldering, e affermare che questa potesse essere una disciplina a sé stante sicuramente sarebbe apparso ridicolo.

In aggiunta alla scarsa considerazione per il bouldering, il fatto che a quei tempi non esistessero strumenti di comunicazione globali quali quelli che abbiamo ora fece sì che questi esperimenti boulderistici rimanessero casi isolati, senza che le relative esperienze potessero essere condivise tra arrampicatori di aree geograficamente distanti.

Bouldering nel Regno Unito a inizio Novecento. Foto: tratte da British Mountaineering di Claude E. Benson, 1909

Analogamente a quanto accadde a Fontainebleau, fu quindi prima di tutto l’esigenza di esercitarsi a portare gli inglesi al bouldering.

Solo Eckenstein e i suoi discepoli lo praticarono per spingersi oltre. Fu soltanto molti anni dopo, dagli anni ’70 e ’80, come del resto stava accadendo in altre parti del mondo, che anche nel Regno Unito il bouldering iniziò a essere considerato come una disciplina dalla sua piena dignità, anche grazie a personaggi come Ron Fawcett e altri.

La considerazione del bouldering di Eckenstein come un terreno su cui esplorare le frontiere tecniche dell’arrampicata lo nobilitano come il primo vero boulderista, anche se il suo rimane solo un episodio limitato nello spazio e nel tempo.

Fu invece a Fontainebleau, dove sbocciò in forma primordiale negli stessi anni, che questa disciplina mostrò un’evoluzione continua e ininterrotta nei decenni successivi, diventando l’effettiva culla del bouldering mondiale in una storia che ci porta fino ai giorni nostri.

Alberto Milani IL TEMPO

FONTAINEBLEA u : u NA s TORIA A pARTE!

Dopo anni di pratica, credo profondamente che arrampicare significhi mettere piedi, mani e emozioni sulla stessa linea e che, per raggiungere questo risultato, debba essere uno stile di vita.

Jo Montchaussé

Bleau. Un luogo che chi fa bouldering non può non aver visitato se vuole definirsi davvero sassista. Questo nome descrive un’ampia area situata a qualche decina di chilometri da Parigi, che si concentra tra la cittadina di Fontainebleau e le più piccole Milly-la-Forêt, Nemours, Étampes e Orsay, inglobando appunto la Foresta di Fontainebleau, quella dei Trois Pignons e altre foreste più piccole.

Un luogo importante non solo per l’arrampicata, ma anche in un più ampio contesto storico e soprattutto artistico.

“Bleau”, come da sempre la chiamano i local, o anche “Font”, come invece viene chiamata comunemente da tutti gli altri, è stato uno dei primi luoghi al

mondo in cui il bouldering è stato praticato, e il primo in cui ciò è avvenuto in una forma “condivisa” da un gruppo, non solamente per iniziativa di un singolo come Eckenstein.

Come già anticipato, furono gli alpinisti parigini del CAF guidati da Ernest Cézanne a esplorare i massi della Foresta, utilizzandoli come strumento di allenamento in preparazione alle lontane pareti alpine. In realtà non è molto chiaro il ruolo che Cézanne ebbe nel promuovere l’arrampicata su questi massi e se il suo nome sia stato menzionato solo per la sua posizione come presidente del CAF. Nel 1874, oltretutto, Cézanne era già un uomo di 44 anni, e morì di malattia solo due anni dopo. Ai tempi era quindi già avanti in età e posizione sociale per pensare che possa aver avuto un ruolo effettivamente attivo nell’arrampicata a Bleau.

Al di là di ciò, la sua estrazione sociale fu rappresentativa di quello che allora era il contesto in cui l’alpinismo trovava proseliti. Figlio di famiglia benestante, fece carriera prima come affermato ingegnere e poi come uomo politico, esponente di quella società agiata e borghese che in Europa fornì i mezzi per promuovere la conquista delle vette.

Non si sa molto di come venne vissuta l’arrampicata sui massi nei trent’anni successivi a questo fantomatico 1874. Solo all’inizio del ’900 si trovano menzioni negli annuari del CAF in cui si riporta come i boschi di Larchant fossero un abituale terreno di gioco per gli arrampicatori parigini. In quegli anni il CAF fu molto attivo nell’organizzazione di uscite con i giovani studenti della borghesia parigina e fu proprio in quel contesto che alla fine del primo decennio venne scritta la prima pagina di vera storia del bouldering a Bleau. Ne fu protagonista un gruppo informale di arrampicatori denominati “Rochassiers”, con cui nacquero i primi blocchi storici in seguito riconosciuti e ricordati. Una dimostrazione di come questi exploit non fossero più solo un semplice allenamento, ma stessero iniziando ad avere una propria rilevanza intrinseca.

Iniziamo quindi con loro questo racconto della storia di Bleau, che in forma ancora più dettagliata può essere seguita anche nel bel libro Fontainebleau –100 Ans d’Escalade di Gilles Modica e Jacky Godoffe [29].

IL g R upp O d EI “RO c HA ss IER s ”

Nel contesto del CAF e delle sue attività per i giovani, a partire dal 1907 alcuni di loro iniziarono a scalare insieme nei weekend sui massi della Foresta, guidati da studenti universitari di qualche anno più vecchi e già esperti dell’arrampicata a Bleau.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI
Gill in free solo sulla Blacktail Butte nei Tetons, 1959.
Foto: Coll. Gill

In alto, uno dei mitici esercizi ginnici di Gill, la One Arm Lever, 1969. Foto: Coll. Gill

A fianco, Jim Holloway a Flagstaff verso la fine degli anni ‘70. Foto: Pat Ament

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

Trice, il primo 8A (8A+) del boulder, liberato da Holloway nel 1975. Qui immortalata la ripetizione di Fred Nicole.

Foto: Mary Gabrieli

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI
Bouldering negli anni ‘80 tra Pian della Casa e Valle Gesso. Foto: Coll. Massari

Questi personaggi di riferimento erano Jacques Wehrlin, Pierre Le Bec e André Jacquemart.

Nel 1908, questo gruppo di studenti si organizzò informalmente nel “Groupe des Rochassiers”. Una banda di amici che oltre a Wehrlin, Le Bec e Jacquemart vide la partecipazione di arrampicatori poi diventati celebri local della Foresta e il cui nome è entrato a far parte della sua storia per le linee o i settori da loro sviluppati. Fin da subito i Rochassiers annoverarono nomi quali Paul Chevalier, Louis Prestat, Etienne Jérôme, Claude Jérôme, Jean Maunoury, André Migot, Paul Job, André Lejosne, Alice Agussol, Pierrefeu, Pottier, Chocarn, Braun, Ischwall, a cui si aggiunsero successivamente anche i fratelli de Lépiney, Maurice Damesme, Roger Allier e Georges Casella. Tutti studenti e provenienti da famiglie piuttosto agiate.

Al di là di questi nomi e dei boulder storici che tuttora sono legati ad alcuni di loro, interessanti informazioni sui Rochassiers sono riportate in un’intervista a Etienne Jérôme [30] e nell’articolo “Les débuts de l’Escalade à Fontainebleau” che Maurice Damesme pubblicò nella rivista La Montagne et Alpinisme del CAF nel giugno del 1966 [31]. Proprio in quest’ultimo articolo, Damesme ha raccontato il pittoresco primo incontro con Werhlin:

Un giorno dell’ottobre 1912, mi recai al C.A.F., la cui sede era allora nella Rue du Bac, per consultare alcuni documenti sulle Aiguilles de Chamonix. Un impiegato mi condusse attraverso un corridoio stretto e buio fino alla piccola stanza che fungeva da biblioteca. C’era così tanto fumo lì che all’inizio non riuscivo a distinguere nulla. A poco a poco mi sono abituato a questa atmosfera da “retro bottega” e ho scoperto, all’estremità di un lungo tavolo coperto da un tappeto verde, due occhi azzurri che mi fissavano incuriositi. In questa nebbia prese forma un volto, fronte barrata da una ciocca di capelli, mento ornato da una barba bionda, era il padrone del luogo che, dopo aver tirato ancora qualche boccata del suo Jacob, si informò sui miei desideri.

Gli dissi che avevo appena fatto delle salite in Tirolo, e che ora pensavo a obiettivi più importanti. Accadde che anche lui aveva percorso le Alpi di Lechtal e presto scoprimmo di avere lo stesso entusiasmo per le belle scalate. È così che ho conosciuto Wehrlin, uno dei fondatori del Gruppo Rochassiers [31].

Damesme descrive anche in modo molto chiaro quale fosse lo spirito che animava i Rochassiers nella loro libera organizzazione: Come funzionava il nostro Gruppo e chi lo gestiva? Il Gruppo Rochassiers non aveva né statuti, né presidente, né segretario, né tesoriere, poiché non c’era contributo. Per farne parte bastava appartenere al C.A.F. ed essere un fanatico delle

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI
Fred Nicole su Amandla, 8B+. Un’altra sua celebre opera a Rocklands. Foto: Mary Gabrieli
J OHN gILL: IL pA d RE d EL BO u L d ERIN g MO d ERNO
La Left Eliminator, altro famoso boulder di John Gill a Fort Collins. 1971. Foto: Coll. Gill

Se l’idea di proteggere le basi fu trascurata negli anni ’60 e ’70, l’utilizzo della corda era invece un metodo che spesso veniva utilizzato per proteggersi qualora un’eventuale caduta fosse potenzialmente pericolosa o quando si provavano degli highball.

Ne è un esempio la celebre linea di Left Eliminator all’Horsetooth Reservoir, che Gill salì con la corda nel 1967 a causa della pessima base e di una sbandierata pericolosa che si doveva trattenere in seguito a un lancio. Solo successivamente trovò un metodo meno azzardato e riuscì a ripetere il blocco senza corda.

Nonostante l’utilizzo della corda fosse accettato, anche allora le discussioni sull’etica del suo utilizzo e le relative controversie non mancavano, seppur non fossero confrontabili con le dispute accese che, per esempio, avevano portato Crowley a condannare Owen Glynne Jones per l’utilizzo della corda nella preparazione alle sue salite.

A tal proposito, sempre nei suoi Commentary [3], Gill ha proposto un’interessante denominazione per distinguere le modalità con cui ci si poteva proteggere nella salita di una linea. Per rope bouldering si potevano infatti intendere quei passaggi saliti con la protezione di una corda dall’alto. Con free bouldering o semplicemente bouldering ci si riferiva a quelle linee in cui non si utilizzava la corda ma, come ora, ci si proteggeva con pad e/o eventuali paratori (spotter). In più aggiunse anche l’ultrafree bouldering, nel caso in cui non si utilizzassero né corde né pad.

Alla luce delle esagerazioni attuali, sarebbe molto interessante riflettere sull’approccio al bouldering anche dal punto di vista della protezione, imparando a distinguere il carattere di una salita non solo sulla base della sua difficoltà, ma anche di come si è gestito l’aspetto della sicurezza.

A conclusione di questo capitolo, non possiamo che rimarcare quanto John Gill abbia rappresentato un faro nella storia del bouldering mondiale.

Un personaggio originale, coraggioso, visionario e allo stesso tempo umile e disponibile, che ha saputo intravedere fin da subito l’impatto che questa disciplina avrebbe potuto avere sull’arrampicata. Un innovatore importantissimo in molti ambiti di essa che ora riteniamo scontati!

Se può essere senza dubbio considerato il più autorevole e ispirato padre del bouldering, il suo contributo si estende ben al di là del puro sassismo: fu una delle figure centrali nella storia dell’arrampicata e dell’alpinismo in generale, sebbene raramente tale ruolo gli sia riconosciuto.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

IL BO u L d ERIN g

TRA g LI ANNI ’70 E ’80

I due decenni ’70 e ’80 sono stati i più articolati nella storia del bouldering, per molteplici motivi. Le dinamiche furono infatti diverse nei suoi due palcoscenici di allora, costituiti da Fontainebleau e dalle aree americane in Colorado e California.

Se, nel caso di Bleau, gli anni ’70 furono un periodo di stallo e solo verso la fine del decennio il bouldering riprese a evolversi, in Colorado gli anni ’70 rappresentarono invece una fase di grande fermento. Sull’onda della spinta di John Gill, allora ancora in piena attività seppur nella fase finale della sua carriera, il bouldering esplose grazie a diversi personaggi, evolvendo però anche in direzioni più competitive e di sola ricerca della difficoltà. Lo stesso Gill se ne rese conto e non si sentì più in sintonia con l’ambiente che ne derivò, ritirandosi gradualmente dalla scena.

In quegli anni fu proprio in Colorado che vennero raggiunti traguardi incredibili, con un approccio molto attuale e sportivo, senza comunque perdere la creatività e la voglia di esplorazione. Si può dire che fu proprio qui che il bouldering moderno nacque e crebbe fino a livelli molto alti. Tuttavia, verso la fine di quel decennio l’interesse per questa disciplina iniziò a scemare,

RINGRAZIAMENTI

Per anni ho sognato di scrivere questo libro. Era già nella mia mente quando stavo preparando la seconda edizione di Yogarrampicata, insieme all'ulteriore progetto di scrivere il manuale Bouldering. Il Tempo dei Sogni era comunque già lì, a covare, maturare e infine attendere la sua realizzazione!

Da sempre, nella mia vita d’arrampicatore, ho trovato ispirazione e motivazione nelle gesta dei climber del passato e ciò è valso ovviamente anche quando mi sono dedicato al bouldering, trovando però scarso materiale per saziare la sete di conoscenza storica. Essermi trovato nel ruolo di colui che ha potuto redigere un tale resoconto è un dono per cui provo profonda gratitudine. Quindi sono inevitabilmente molti i ringraziamenti per questa opportunità!

Innanzitutto il primo grandissimo grazie va a Versante Sud, a Roberto Capucciati, Marco Pandocchi e Tommaso Bacciocchi. In un contesto come quello attuale, in cui la carta stampata sembra essere ormai dimenticata, è di grande valore tutto il lavoro che Versante Sud sta facendo, mettendo in primo piano un impegno appassionato nel promuovere progetti editoriali che siano significativi per la conoscenza, prima che per l’aspetto commerciale. Sarebbe importante che ci fosse una maggiore considerazione del significato che un libro può avere, in un mondo virtuale in cui le principali risorse di informazione sono ormai i social media, nella loro superficialità e inconsistenza. Post volant, scripta manent!

Di Versante Sud ringrazio molto anche gli altri ragazzi che mi hanno supportato in questo e negli altri lavori condivisi: Gillo Bottini, sempre un grande amico, Silvia Rialdi per l’attenta e accurata revisione dei testi, Damiano Sessa e Matteo Maraone.

A questi ringraziamenti si aggiungono quelli a tutti coloro che mi hanno supportato in quest’opera in qualche forma.

Al caro amico Giuseppe “Popi” Miotti, per le tante informazioni, le chiacchierate inerenti alla sua esperienza di Sassista e il prezioso materiale fotografico fornito, oltre che per le collaborazioni riguardo agli aspetti “spirituali” dell’arrampicata!

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

Ad Alessandro Gogna, per il piacevolissimo incontro in cui abbiamo potuto discutere di massi, storia e personaggi, beneficiando della sua immensa conoscenza storica. Grazie anche per le foto e i documenti forniti.

A Marco Bernardi, per la disponibilità e l’aiuto nel chiarire alcuni dettagli storici inerenti il bouldering piemontese negli anni ’70 e ’80.

A Giovannino Massari, per la bellissima intervista che abbiamo registrato per Climbing Radio, grazie alla quale oltre a conoscere tante vicende storiche del boulder cuneese tutti hanno potuto conoscere un personaggio dall’incredibile passione per l’arrampicata, un “Sacro Fuoco” che ispira e insegna! Anche in questo caso grazie per il materiale fotografico fornito.

A Matteo Bertolotti per l’aiuto fornito nel chiarire alcuni aspetti della storia dell’alpinismo inerenti al bouldering e nel recupero di importanti fonti in tal contesto.

A Mauro Calibani, oltre che per le foto fornite anche per il continuo supporto che da anni offre attraverso E9 alle mie attività arrampicatorie!

A Massimo Malpezzi, un caro amico ormai da decenni, sempre pronto a supportare tutti i miei progetti con la sua conoscenza e le sue eccezionali foto. Grande zio Malpe!

A tutti coloro che mi hanno fornito altro materiale fotografico per raccontare questa storia anche attraverso le immagini: dal maestro John Gill, a Fred Nicole, Stéphan Denys, Heikki Toivanen, Marzio Nardi, Christian Core, Simone Pedeferri, Filippo Manca, Max Piazza, Simone Tentori.

Un ringraziamento speciale poi a Bernd Zangerl, per l’eccezionale disponibilità di questi anni nel fornire materiale fotografico – e non solo – per la mia attività editoriale e i piacevolissimi scambi di email, oltre che per la grandissima ispirazione che riesce a dare a tutti con la sua visione del bouldering.

Un ringraziamento sempre grandissimo al mio caro amico Niky Ceria, un’altra persona con cui ho sempre modo di confrontarmi per tutto ciò che riguarda il bouldering, incluso questo lavoro. Grazie anche per le foto sempre ispiranti.

Con Niky ringrazio anche il nostro comune amico Matteo Arnodo, per i confronti quasi quotidiani relativi alla storia del bouldering.

Come sempre concludo con i ringraziamenti alla mia famiglia, quella che maggiormente ha dovuto sopportarmi in un’opera ancora più complessa delle precedenti, con tutta l’emotività che ha accompagnato la sua gestazione e creazione.

Ringrazio quindi con tutto il cuore mia moglie Cristine per la pazienza e il perenne supporto a tutti i miei progetti e i miei bambini Francesco, Elyon e Joel perché rappresentano la prima fonte di motivazione a tenere sempre duro in tutte le sfide quotidiane.

Grazie a tutti!

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

BIBLIOGRAFIA

Riporto di seguito i riferimenti bibliografici di tutte le opere e delle fonti che ho utilizzato per questo libro e che sono citate nel testo con i numeri qui indicati. Per facilitare eventuali approfondimenti, nei Riferimenti Generali sono elencate le opere sul bouldering che hanno costituito un riferimento in diversi capitoli del libro. A esse si aggiungono poi i riferimenti specifici dei singoli capitoli.

RIFERIMENTI GENERALI

[1] John Gill’s Website, https://www.johngill.net/

[2] John Gill, The Origins of Bouldering , Blurb, 2008.

[3] John Gill, Bouldering & The Vertical Path , Blurb 2008.

[4] Gian Piero Motti, La storia dell’alpinismo, Priuli & Verlucca, 2013.

[5] Bernd Zangerl, Bouldering: Climbing, No Ropes Attached, Die Gestalten Verlag, 2021.

[6] Alberto Milani, Bouldering. Il manuale completo del sassista: tecnica, sicurezza, etica ed esplorazione, Versante Sud Edizioni, 2023.

[7] John Sherman, Stone Crusade: A Historical Guide to Bouldering in America , American Alpine Club, 1996.

[8] John Sherman, Better Bouldering , Falcon, 2018.

[9] UP Climbing Bimestrale di arrampicata e alpinismo, Numero 6: “Boulder”, Versante Sud Edizioni, 2020.

INTRODUZIONE

[10] “Hukkataival e Cameroni sfidano il diavolo” in Upclimbing.com, 27/4/2018, https://www. up-climbing.com/boulder/video-boulder/hukkataival-e-cameroni-sfidano-il-diavolo-2/ [11] “Schöllenen”, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Sch%C3%B6llenen

CAPITOLO 1

[12] http://www.apophtegme.com/ALBUM/taine.htm

[13] Alessandro Gogna, Enrico Camanni, “Il Sasso Prois”, Gogna Blog, 2016, [14] Vittorio Bigio, “Il Sasso ‘Prois’ sotterrato”, Gogna Blog, 2019, https://gognablog.sherpa-gate. com/il-sasso-prois-sotterrato/

[15] Alberto Milani, “Il chiodo dell’Ivan” in Annuario UP 2018, Versante Sud Edizioni, 2018 [16] Alessandro Gogna, “I massi della Valle di san Nicolò”, Gogna Blog, 2017, https://gognablog. sherpa-gate.com/i-massi-della-valle-di-san-nicolo/ [17] Alessandro Gogna, “Extradiario – 17 – Parete nord del Cervino”, Gogna Blog, 2018, https:// gognablog.sherpa-gate.com/extradiario-17-parete-nord-del-cervino/ [18] Alessandro Gogna, Cento Nuovi Mattini, Il Guyale, 2016.

[19] Reinhold Messner, Settimo Grado, Istituto Geografico De Agostini, 1982.

Alberto Milani IL TEMPO DEI SOGNI

[20] “A History of Early Yosemite Bouldering”, https://touchstoneclimbing.com/a-history-ofearly-yosemite-bouldering/

[21] Cole Gibson, “Stoney Point: Portrait of an American Crag”, Climbing.com, 2012, https://www.climbing.com/places/portrait-of-an-american-crag/

CAPITOLO 2

[22] Aleister Crowley, Confessions , 1922.

[23] Oscar Eckenstein, 1859-1921, http://www.alpinejournal.org.uk/Contents/Contents_1960_ files/AJ%201960%2062-79%20Eckenstein.pdf

[24] Marina Morpurgo, “L’ingegnere, il rampone e la bestia”, 2021, https://grivel.com/it/blogs/ grivel-stories/the-engineer-the-crampon-and-the-beast-by-marina-morpurgo

[25] Geoffrey Winthrop Young, Snowdon Biography, 1957.

[26] Eric Newby, A Short Walk in the Hindu Kush , 1958.

[27] Geoffrey Winthrop Young, Mountain Craft , 1920.

[28] Harold Raeburn, Mountaineering Art , 1918.

CAPITOLO 3

[29] Gilles Modica, Jacky Godoffe, Fontainebleau 100 Ans d’Escalade, Les Editions du MontBlanc, 2017.

[30] Intervista a Etienne Jérôme, https://lio323.skyrock.com/2084684295-45-SI-BLEAU-METAIT-CONTE.html

[31] Maurice Damesme, Les débuts de l’Escalade à Fontainebleau , La Montagne et Alpinisme, Giugno, 1966. https://www.cosiroc.fr/index.php/histoire/les-debuts-de-l-escalade-1912

[33] Pierre Allain, Alpinisme et Competition , Arthaud, 1949.

[34] Emmanuel Ratouis, “Fontainebleau” in Alpinist, Numero 12, 2005.

[35] The Real Thing , https://youtu.be/brbxoKEgsw0

CAPITOLO 4

[36] Pat Ament, John Gill. Il Signore del Boulder, Versante Sud Edizioni, 2002.

[37] John Gill, “The Art of Bouldering” in American Alpine Journal, 1969

[38] John Gill, “Bouldering: A mystical art form” in The Mountain Spirit , Tobias & Drasdo, Overlook Press, 1979.

[39] Doug Robinson, “The Climber as a visionary” in Ascent, 1969, https://gognablog.sherpagate.com/lo-scalatore-come-visionario/

CAPITOLO 5

[40] “The Complete Pat Ament Interview”, Climbing.com, 2007, https://www.climbing.com/news/the-complete-pat-ament-interview/

[41] Andy Mann, “The Complete Jim Holloway Interview”, Climbing.com, 2007, https://www.climbing.com/news/the-complete-jim-holloway-interview/

[42] Gian Piero Motti, Enrico Camanni, I Falliti e Altri Scritti, Priuli & Verlucca, 2016.

[43] Enrico Camanni, Nuovi mattini. Il singolare Sessantotto degli alpinisti, CDA & Vivalda, 1998.

[44] Enrico Camanni, Verso un nuovo mattino. La montagna e il tramonto dell’utopia , Laterza, 2016.

Al di là del folklore, non c’è dubbio che salire sui massi sia un istinto quasi primigenio, irresistibile. In questa prospettiva non stupisce più di tanto che il bouldering stesso abbia un’origine lontana nel tempo, sicuramente molto più in là di quanto la media degli arrampicatori possa pensare.

— ALBERTO MILANI, dall’Introduzione

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.