PENNAVALLEY Trek

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GIANNI AMERIO

PENNAVALLEY

Trek

Un trekking in 4 tappe e 17 itinerari

alla scoperta della Val Pennavaire

Prima edizione ottobre 2024

ISBN 978 88 55471 671

Copyright © 2024 VERSANTE SUD – Milano, via Rosso di San Secondo, 1. Tel. +39 02 7490163 www.versantesud.it

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Copertina © Gianni Amerio

Testi Gianni Amerio

Fotografie Gianni Amerio, tranne ove indicato

Cartine Tommaso Bacciocchi. © Mapbox, © Open Street Map

Simbologia Tommaso Bacciocchi

Impaginazione Miriam Romeo

Stampa Press Grafica s.r.l. – Gravellona Toce (VB)

È

una guida a KM ZERO!

Cosa significa?

Che è più sana e ha più sapore, perché fatta da autori locali.

Come i pomodori a Km 0?

Certo! E la genuinità non è un’opinione.

Gli autori locali fanno bene a chi cammina: – hanno le notizie più fresche e più aggiornate; – non rifilano solo i sentieri più commerciali; – reinvestono il ricavato nella manutenzione dei sentieri.

Gli autori locali fanno bene al territorio: – pubblicano col buonsenso di chi ama il proprio territorio; – sono attenti a promuovere tutte le località; – sono in rete con la realtà locale.

E infine la cosa più importante: sui loro sentieri, c’è un pezzetto del loro cuore

Nota

Il trekking è un’attività potenzialmente pericolosa, chi la pratica lo fa a suo rischio e pericolo.

Tutte le notizie riportate in quest’opera sono state aggiornate in base alle informazioni disponibili al momento, ma vanno verificate e valutate sul posto e di volta in volta, da persone esperte prima di intraprendere qualsiasi escursione.

Guida fatta da autori che vivono e sviluppano i sentieri sul territorio

Km ZERO

GIANNI AMERIO

PENNAVALLEY TREK

Un trekking in 4 tappe e 17 itinerari alla scoperta della Val Pennavaire

Guida fatta da autori che vivono e sviluppano i sentieri sul territorio

S ommario

domande a... Fabio Negrino

Quattro domande a... Aldo Acquarone 24

domande a... Marina Caramellino .

TAPPA 1 - DA CISANO SUL NEVA

1.1. Cisano sul Neva – Forte di Rocca Livernà ......................... 52

1.2. Forte di Rocca Livernà – Castell’Ermo 55

1.3. Castell’Ermo – Colle di San Giacomo 60

1.4. Colle di San Giacomo – Aquila di Arroscia 64

TAPPA 2 - DA AQUILA DI ARROSCIA

2.1. Aquila di Arroscia – Deviazione per Alto 72

2.2. Deviazione per Alto – Deviazione per Madonna del Monte ............... 72

2.3. Deviazione per Madonna del Monte –Chiesa dei S.S. Cosma e Damiano 77

TAPPA 3 - DA CAPRAUNA A NASINO ITINERARIO ALTO (principale) 98

3.1. Rifugio Pian dell’Arma –Monte Armetta 102

3.2. Monte Armetta – Colle di San Bartolomeo ....................

3.3. Colle di San Bartolomeo – Colle del Prione

3.4. Colle del Prione – Passo delle Caranche

3.5. Passo delle Caranche – Nasino

CAPRAUNA A NASINO

3.6. Caprauna – Colle di San Bartolomeo

3.7. Colle di San Bartolomeo – Madonna del Lago

3.8. Madonna del Lago – Nasino .......

TAPPA 4 - DA NASINO A CISANO SUL NEVA

4.1. Nasino – Colletta ................

4.2. Colletta – Veravo

4.3. Veravo – Sella innominata

4.4. Sella innominata – Conscente

2.4. Chiesa dei S.S. Cosma e Damiano –Rifugio Pian dell’Arma 78 Quattro domande a... Giulia Rolando 84 DA NASINO A CAPRAUNA (alternativa) 86 Quattro domande a... Sergio Giusto e Lorenzo Rossi 90

01. Da Nasino a Colla d’Onzo (e Castell’Ermo)

02. Da Conscente al Forte di Rocca Livernà e ritorno

03. Martinetto – Forte di Monte Arena –Monte Arena e ritorno ............

04. Nasino – Colla di Peragallo – Oresine –Colletta – Nasino 150

04.1 – Nasino – Madonna della Neve

04.2 – Madonna della Neve – Colla di Peragallo

04.3 – Colla di Peragallo – Colletta

04.4 – Colletta – Nasino

05. Nasino – Passo delle Caranche –Monte Galero – Colle del Prione –Nasino 154

05.1 – Nasino – Monte Galero – Colle del Prione

05.2 – Colle del Prione – Nasino

06. Madonna Del Lago – Monte Dubasso –Colle San Bartolomeo – Madonna del Lago 158

07. Alto – Val Ferraia e grotte – Alto 160

08. Alto – Arma Crosa – Caprauna e ritorno 164

09. Caprauna – Rifugio Pian dell’Arma –Madonna dI Guarnero – Caprauna 166

10. Rifugio Pian dell’Arma – Monte della Guardia, Armetta e Dubasso 170

11. Caprauna – sentiero dei Sii – Pian del Colle – Madonna di Guarnero 172

12. Colle San Bernardo – Bocchino delle

Meraviglie – Monte Galero – Colle San Bernardo 176

12.1 – Colle di San Bernardo – Passo delle Caranche

12.2 – Passo delle Caranche – Monte Galero

12.3 – Monte Galero – Colle di San Bernardo

13. Giro delle borgate di Nasino 180

14. Madonna del Lago e ritorno 184

15. Giro delle borgate di Castelbianco 186

16. Veravo – Monte Alpe e ritorno 190

17. Ormea – Monte Armetta – Monte della Guardia – Balma del Messere –Ormea 192

IN MOUNTAIN BIKE

198

Scala STS 199

01. Da Cisano sul Neva a Caprauna 200

02. Da Caprauna a Cisano sul Neva 201

APPENDICE - ALBENGA 202

01. Tour di Albenga 204

02. Via Julia Augusta 210

03. Conscente – Albenga (tappa di collegamento) 214

– Conscente – Incrocio sentiero Salea

– Incrocio sentiero Salea – Pizzo Ceresa

– Percorso diretto per Campochiesa

– Pizzo Ceresa – Campochiesa

– Campochiesa – Albenga

04. Albenga – Andora 222

– Albenga – Monte Bignone

– Monte Bignone – Santuario Madonna della Guardia

– Santuario Madonna della Guardia –Poggio Brea

– Poggio Brea – Colla Micheri

– Colla Micheri – Andora

La ristorazione, la locanda e tutta la struttura Scola si “muove” in Green Energy ed è il luogo ideale per chi è alla ricerca di un soggiorno lontano dal caos cittadino, dove godere dell’effetto distensivo del verde della Val Pennavaire e quello più tonificante dei numerosi sentieri per il trekking, rimanendo comunque sempre a una manciata di chilometri dalle più belle spiagge della riviera Ligure di Ponente.

Naturalmente Scola è un’azienda agricola nata nel 2018 per proporvi prodotti naturali, fortemente radicati nel territorio ligure: birra, olio e tanto altro. Abbiamo tutto l’entusiasmo di chi ha trovato un motivo per cui alzarsi felici la mattina. La mattina presto, molto presto. Studiamo e sperimentiamo con calma, coltiviamo i nostri prodotti in modo naturale, per lo più a mano, e ve li proponiamo solo quando ne siamo pienamente soddisfatti.

l’azienda agricola

il ristorante

Nasce in Castelbianco nella primavera del 1926 dalla determinazione dei nonni Manuelin e Angiolina che, appena più che ventenni, decisero di concentrare ogni sforzo in questa attività, fatica e sacrifici che novanta anni e tre generazioni dopo avrebbero portato questa locanda a diventare un ristorante dall’atmosfera elegante e riservata.

Via Pennavaire 166, 17030 Castelbianco (SV)

S imbologia

Gli itinerari sono stati tutti percorsi o controllati alla data di pubblicazione della guida. Le informazioni e i dati riportati possono essere però soggetti a cambiamenti per fattori esterni non prevedibili e che si potrebbero verificare con il tempo e il susseguirsi delle stagioni. Eventi meteorici intensi, fenomeni di dissesto o l’intervento dell’uomo possono modificare anche radicalmente le condizioni e le caratteristiche del tracciato.

Indica la località dalla quale inizia l’itinerario.

Indica la località raggiunta al termine di ogni itinerario.

distanza

Qui troverete indicati i chilometri totali dell’itinerario dall’inizio alla fine; se si tratta di un anello la lunghezza è complessiva, altresì indica la distanza da percorrere solo per la salita.

dislivello positivo/negativo

Per valutare il dislivello positivo sono stati considerati tutti i tratti in salita di ogni itinerario; è un valore arrotondato ma che permette di valutare l’impegno fisico necessario per concludere il percorso.

È un valore medio ricavato tenendo conto della lunghezza e del dislivello dell’itinerario procedendo con un passo regolare e non veloce; all’aumentare della difficoltà del percorso è stata considerata una migliore forma fisica. Come per la distanza, il valore è complessivo solo se si tratta di un anello.

Indica le quote altimetriche massime e minime, espresse in metri sul livello del mare, raggiunte in ogni itinerario.

Indica il grado di difficoltà secondo la tabella di pagina 9.

Sono indicati i punti di approvvigionamento idrico.

segnavia

Sono indicati quali segnavia si possono incontrare lungo il percorso.

Inquadra il qrcode con il tuo smartphone per raggiungere il parcheggio.

difficoltà
qrcode parcheggio

CLASSIFICAZIONE DEL CLUB ALPINO

T

E

T = turistico

Itinerari su stradine, mulattiere o comodi sentieri, con percorsi ben evidenti e che non pongono incertezze o problemi di orientamento. Si svolgono in genere sotto i 2.000 m e costituiscono di solito l’accesso ad alpeggi o rifugi. Richiedono una certa conoscenza dell’ambiente montano e una preparazione fisica alla camminata.

E = escursionistico

Itinerari che si svolgono quasi sempre su sentieri, oppure su tracce di passaggio in terreno vario (pascoli, detriti, pietraie), di solito con segnalazioni; possono esservi brevi tratti pianeggianti o lievemente inclinati di neve residua, quando, in caso di caduta, la scivolata si arresta in breve spazio e senza pericoli. Si sviluppano a volte su terreni aperti, senza sentieri ma non problematici, sempre con segnalazioni adeguate. Possono svolgersi su pendii ripidi; i tratti esposti sono in genere protetti (barriere) o assicurati (cavi). Possono avere singoli passaggi su roccia, non esposti, o tratti brevi e non faticosi né impegnativi grazie ad attrezzature (scalette, pioli, cavi) che però non necessitano l’uso di equipaggiamento specifico (imbragatura, moschettoni, ecc.). Richiedono un certo senso di orientamento, come pure una certa esperienza e conoscenza del territorio montagnoso, allenamento alla camminata, oltre a calzature ed equipaggiamento adeguati.

EE EE = per escursionisti esperti

Itinerari generalmente segnalati ma che implicano una capacità di muoversi su terreni particolari. Sentieri o tracce su terreno impervio e infido (pendii ripidi e/o scivolosi di erba, o misti di rocce ed erba, o di roccia e detriti). Terreno vario, a quote relativamente elevate (pietraie, brevi nevai non ripidi, pendii aperti senza punti di riferimento, ecc.). Tratti rocciosi, con lievi difficoltà tecniche (percorsi attrezzati, vie ferrate fra quelle di minor impegno). Rimangono invece esclusi i percorsi su ghiacciai, anche se pianeggianti e/o all’apparenza senza crepacci (perché il loro attraversamento richiederebbe l’uso della corda e della piccozza e la conoscenza delle relative manovre di assicurazione). Necessitano: esperienza di montagna in generale e buona conoscenza dell’ambiente alpino; passo sicuro e assenza di vertigini; equipaggiamento, attrezzatura e preparazione fisica adeguati.

EEA

EAI

EEA = per escursionisti esperti con attrezzatura

Percorsi attrezzati o vie ferrate per i quali è necessario l’uso dei dispositivi di autoassicurazione (imbragatura, dissipatore, moschettoni, cordini) e di equipaggiamento di protezione personale (casco, guanti).

EAI = escursionismo in ambiente innevato

Itinerari in ambiente innevato che richiedono l’utilizzo di racchette da neve, con percorsi evidenti e riconoscibili, con facili vie di accesso, di fondo valle o in zone boschive non impervie o su crinali aperti e poco esposti, con dislivelli e difficoltà generalmente contenuti che garantiscano sicurezza di percorribilità.

F ATTENZIONE: Qualsiasi difficoltà alpinistica è da considerare superiore a quelle escursionistiche

F = Facile, non presenta particolari difficoltà

È il grado più semplice dell’arrampicata, si deve saper scegliere l’appoggio per i piedi e spesso è necessario utilizzare le mani per mantenere l’equilibrio; si possono incontrare passaggi di I e II grado e la progressione potrebbe essere non facile per chi soffre di vertigini.

PD PD = Poco difficile, presenta qualche difficoltà alpinistica su roccia

I singoli passaggi su roccia possono arrivare fino al III grado e spesso è necessaria la progressione alpinistica. Si deve muovere un arto alla volta e l’uso delle mani è continuo su buone prese e appigli.

I ntroduzione

Capita a volte di percorrere territori sconosciuti che tuttavia, dal primo contatto, risvegliano sensazioni ataviche e un senso di appartenenza che trascende la nostra apparente estraneità al luogo.

Sono sufficienti unicamente alcuni segni, che sul momento neanche raggiungono la soglia della coscienza, veicolati da ciascuno dei nostri sensi: le onde che disegna il vento sugli steli ormai secchi di un prato d’altura, l’eco del verso di un volatile nascosto nel fitto della boscaglia che si propaga tra i rami, il verde intenso delle foglie del capelvenere che ammicca solitario, sorvegliante silenzioso di quella spaccatura nella roccia che fa da vestibolo a misteriose cavità sotterranee.

Oppure il profumo dell’erica, che danza fra i sentieri come carezza leggera o ancora la superficie rugosa e vissuta del tronco d’ulivo a contatto con la mano, che tramanda attraverso le dita una storia scolpita di stagioni passate. Il luogo sconosciuto cessa di essere estraneo, subentra un rapporto di vicinanza che fa da tramite tra ignoto e conosciuto.

Ciò che prima appariva diverso entra adesso a far parte della tua storia.

Mi sono interrogato molto sul perché una valle, della quale fino a qualche anno fa nemmeno sospettavo l’esistenza, mi abbia stregato e coinvolto così tanto dal punto di vista emotivo.

Percorrendone e ripercorrendone i sentieri, sono pian piano giunto alla consapevolezza che il mio non era solo un viaggio nelle tre dimensioni spaziali, ma anche nella quarta, quella del tempo. Sì, perché camminando in Pennavaire il tempo si ferma, anzi, scorre all’indietro.

Si ferma quando percorrendo lunghi percorsi in cresta, con il Mar Ligure da una parte e la Pianura Padana e l’arco alpino dall’altra, tutto giù in basso, il mare, i paesi, le attività umane, appaiono ferme e cristallizzate. Scorre indietro, fino a decenni e secoli fa, transitando per antiche borgate, sostando davanti a cappelle campestri, entrando in antiche fortificazioni, percorrendo terrazzamenti, “fasce” come le definiscono qui, un tempo coltivate con il sudore quotidiano e ora inghiottite dal silenzio inesorabile del bosco. Retrocede d’un balzo a millenni passati quando ti tuffi nel fondovalle, dove le rocciose pareti a picco e la vegetazione lussureggiante sottraggono non solo la luce del sole, ma ogni riferimento a spazio e tempo, trasportandoti in un viaggio remoto, che culmina al tuo ingresso in una delle tante grotte qui chiamate “arme”, dimora domestica dei nostri lontani antenati.

Negli anfratti delle rocce, tra le pietre di antiche costruzioni, lungo il corso superficiale e sotterraneo delle acque, negli sterminati boschi, la Val Pennavaire nasconde una storia millenaria, e la tiene orgogliosamente celata ai più. La racconta, disvelandola adagio solo a chi decide di percorrerla con rispetto, a passo lento, captandone la sommessa voce con riguardoso silenzio.

Una storia intessuta di colossali vicende geologiche, di primi abitanti preistorici che la scelsero come sicura dimora, di eserciti e signorie, di popolazioni che trovarono il modo di vivere in simbiosi con essa, di convivenza di estremi.

Non sarà facile trovare un territorio dove l’antitesi trova una sintesi: la marmotta scava le proprie tane a pochi chilometri di distanza da piantagioni d’ulivo, stelle alpine e lavanda condividono il medesimo prato, un torrente che nasce in Piemonte si getta nel Mar Ligure, il timo e la sassifraga a foglie opposite (specie che alberga in Groenlandia!) sono coinquilini nella medesima fessura rocciosa.

Questa guida ha l’ambizione di condurci alla scoperta di un luogo straordinario, dove la natura selvaggia e l’antica cultura si fondono per creare un’esperienza unica, da vivere percorrendo sentieri antichi, da riscoprire con un cammino attento e rispettoso.

Val Pennavaire: la valle dei monti da cui scende l’acqua

Grotte abitate dall’uomo preistorico, cascate, panoramiche cime montuose, antichi abitati, tradizioni ataviche, una flora e una fauna stupefacente, antiche fortificazioni, lunghe cavalcate su e giù per aperti crinali, boschi magici, antichi luoghi sacri ci attendono, per svelarci i loro misteri.

Ponte sul Pennavaire

S coprire la valle camminando

È la proposta di questa guida perché, secondo chi l’ha scritta, non esiste modo migliore per scoprire questa valle: “entrarvi” dentro per coglierne le suggestioni e i misteri.

Numerose ed eterogenee sono le strade che la percorrono. Dimentichiamo pure la provinciale che scorre nel fondovalle, attuale unica via di grande comunicazione, che poco interesse ha per l’escursionista. Numerose sono invece le antiche mulattiere, un tempo battute vie di comunicazione e di transito, che permettevano commerci con le vallate adiacenti o conducevano ai pascoli alti, percorse da uomini e armenti. Altre vie sono semplici sentieri, che portavano a luoghi meno frequentati o più remoti, percorsi da cacciatori o proprietari di fondi.

Non più mandrie da condurre al pascolo, non più prati da fienagione, i commerci ormai si fanno con i furgoni che percorrono il fondovalle. E così mulattiere e sentieri, se non inglobati in qualche itinerario a lunga percorrenza o diretti a qualche cima o meta rinomata, diventano percorsi occasionali, che in alcuni tratti sopravvivono all’avanzare del bosco e dell’erba grazie al lavoro di qualche volenteroso, in altri ne vengono sopraffatti, e la traccia si restringe fino a diventare appena percettibile o a sparire del tutto.

Ma è forse anche questo il fascino della valle per l’escursionista che, oltre a sentieri ben segnalati e tracciati, può trovare percorsi non addomesticati dove riscoprire la forza e il fascino della natura.

Nella guida vengono proposti due modi per conoscere la valle. Il primo è quello di un trekking di quattro giorni ad anello, che percorre in gran parte lo spartiacque della Pennavaire sulle due catene che la dividono dalla Valle Arroscia e dalla Val Tanaro, non disdegnando però qualche puntata verso il fondovalle, alla conoscenza dei borghi e delle grotte che lo popolano. Un trekking di un certo impegno, per la lunghezza di alcune tappe, la scarsità di fonti d’acqua, la necessità di senso di orientamento, ma assolutamente gratificante e inusuale, così diverso da alcuni percorsi escursionistici ormai “di moda”.

Il secondo, per chi ha meno tempo a disposizione o preferisce avere un unico punto di appoggio, è quello di effettuare itinerari giornalieri, cogliendo aspetti particolari della valle a seconda delle proprie preferenze con un’ampia gamma di percorsi: dalle tranquille passeggiate per le famiglie ai sentieri più impegnativi, adatti a escursionisti esperti.

Rio Pennavaire
Antico ponte

G eografia

La Val Pennavaire, insieme alla Val Lerrone, la Valle Arroscia e la Val Neva, fa parte del bacino idrogeologico del fiume Centa, il più esteso della Liguria di Ponente, che dà origine all’ampia piana di Albenga. Geograficamente fa parte delle Alpi Liguri, mentre amministrativamente appartiene a tre province: quella di Cuneo – piemontese – e di Imperia e Savona, liguri. Dal punto di vista ambientale e politico la valle può essere suddivisa in alta, con i comuni piemontesi di Caprauna e Alto, facenti parte della provincia di Cuneo, e in bassa, cui fanno capo i comuni savonesi e liguri di Nasino e Castelbianco. Si aggiunge un quinto comune, Aquila di Arroscia, appartenente alla Provincia di Imperia, che ha una parte del proprio territorio senza nuclei abitativi ricadente nella valle. L’orientamento principale della valle non è nord-sud come verrebbe logico pensare, bensì ad asse ovest-est, confinante a settentrione con l’alta Val Tanaro e la Val Bormida, mentre a ovest con le principali vallate del Ponente Ligure. L’omonimo torrente che la percorre ha una lunghezza di circa 20km e un bacino idrografico di 68Km2, con una caratteristica unica, che condivide con il Neva: sono gli unici corsi d’acqua che, nascendo in Piemonte, non appartengono al bacino del Po, ma le cui acque confluiscono con un breve percorso nel Mar Ligure. Le acque del fiume Tanaro, che nasce non lontano da qui e la cui asta è la più lunga d’Italia, impiegheranno invece ben 700 chilometri prima di gettarsi nell’Adriatico.

L’alta valle ha una marcata pendenza complessiva, che determina una forte erosione da parte dei corsi d’acqua, i quali scorrono profondamente incassati tra le rocce e per lunghi tratti nascosti dalla vegetazione lussureggiante, se non addirittura inghiottiti dalle rocce carsiche. Nel periodo Quaternario, i fiumi delle vallate ingaune sfociavano in maniera indipendente in un grande golfo, che venne poi gradualmente colmato da depositi alluvionali, con la formazione di vasti acquitrini responsabili di un ambiente malsano. Il processo di espansione avvenne in modo rapido anche in tempi storici, basti pensare che alla fondazione in epoca romana, la città di Albenga si trovava sulla costa, mentre ora il centro storico ne è distante circa un chilometro.

Due poderose dorsali montuose delimitano la Val Pennavaire, a meridione dalla Valle Arroscia e a settentrione dall’Alta Val Tanaro. Rappresentanti emblematici di queste due catene sono sul lato destro orografico il massiccio di Castell’Ermo o Peso Grande, dalle caratteristiche dolomitiche e, dall’altro lato, il Monte Galero, che con i suoi 1.708m è la punta più elevata della valle, oltre che della Provincia di Savona.

Il principale valico – attraversato dalla strada provinciale 216 – è il Colle di Caprauna, situato a 1.379m, che tecnicamente collega la Val Pennavaire con la Valle Arroscia e vista la vicinanza con il Passo di Prale, che conduce a Ormea, risulta via di collegamento con la Val Tanaro. Altra via di connessione su asfalto con la Valle Arroscia è il Colle di San Giacomo, che porta ad Aquila di Arroscia. Per la Val Tanaro sono presenti altri passi utilizzati in tempi più remoti: Colle di San Bartolomeo, Colle del Prione e Passo delle Caranche, ma nessuno di essi è carrabile.

GEO: Val Pennavaire

G eologia

Parlare della geologia di un territorio è un po’ come narrarne la storia più antica, quella che l’ha portato ad avere le caratteristiche che oggi possiamo osservare, non solo come morfologia e rilievo, ma anche come vegetazione e fauna.

INQUADRAMENTO GENERALE

La superficie terrestre, che a noi sembra statica e immobile (tranne nel caso dei terremoti) è in realtà in continuo, seppur lento, movimento. Possiamo immaginare la crosta terrestre come una sottile pelle che riveste una sfera incandescente di rocce fuse, che si spostano e muovono come le correnti dell’oceano, seppur molto più lente. Moltissimi anni fa, al posto degli attuali, esistevano due “paleocontinenti”, quello europeo e quello africano, separati da un mare chiamato oceano piemontese-ligure. Sul fondale, dal pavimento costituito da basalto, roccia effusiva di origine vulcanica, si andavano depositando nel corso dei secoli sedimenti (conchiglie, resti di animali, ecc.).

In geologia, un dominio è una regione della crosta terrestre che ha una storia geologica distintiva. I domini sono spesso definiti in base all’età, alla composizione e alla struttura delle rocce che li compongono. In Europa, i principali sono quello delfinese-provenzale, il brianzonese e il piemontese.

Le placche tettoniche, i “pezzi” del puzzle di cui è costituita la superficie terrestre, muovendosi si scontrano tra loro, scorrendo una sotto l’altra oppure dando origine a gigantesche “pieghe”, che portano in alto il materiale compreso tra le due placche, sollevando così i fondali degli oceani e chiarendo il perché in alta montagna, tra le rocce, possiamo ritrovare fossili di conchiglie marine. Questo processo spiega inoltre la differenza osservabile nella disposizione dei vari strati rocciosi. In archeologia siamo portati a dare per scontato che la datazione dei reperti vada indietro nel tempo passando dagli strati superficiali a quelli più profondi.

Un esempio l’abbiamo nella vicina Albenga, dove sarà sufficiente passeggiare per il centro storico per osservare come gli edifici più antichi, di epoca romana o bizantina, si trovino anche alcuni metri sotto il piano stradale attuale. Anche nelle zone della terra dove non si sono mai verificati sommovimenti importanti della crosta terrestre, si assiste a una disposizione simile, con le rocce più vecchie che fanno da zoccolo a quelle più giovani.

Vi sarà anche un rapporto tra la natura delle rocce e l’età della loro formazione: le antiche rocce metamorfiche faranno da base, mentre le più giovani rocce sedimentarie e vulcaniche saranno più superficiali. Ma in geologia i processi di sollevamento possono deformare la stratigrafia, facendole assumere un orientamento verticale, come possiamo osservare nel vicino Massiccio del Marguareis, col quale andiamo indietro nel tempo non nella direzione “alto-basso”, ma “est-ovest” o addirittura rovesciando gli strati, come una gigantesca ondata. È quanto si verifica in alcuni settori della Val Pennavaire.

Tutto ciò premesso, vediamo cosa successe nel territorio di nostro interesse. Tra 90 e 40 milioni di anni fa, i due antichi continenti europeo e africano si avvicinarono fino a scontrarsi, sollevando i loro bordi e il fondo oceanico interposto, dando origine alla cosiddetta orogenesi alpina. Circa 50 milioni di anni fa, nell’Eocene all’inizio dell’Era Terziaria, i sedimenti oceanici del mare piemontese-ligure, detti flysch a elmintoidi, con uno spessore di due chilometri, furono trasportati per un centinaio di chilometri in direzione sud-ovest sopra il brianzonese, ricoprendo gran parte dell’attuale provincia di Imperia. La Val Pennavaire è pertanto contraddistinta da terreni di origine post paleozoica, a predominanza di dolomie e calcari, di dominio brianzonese. L’unità tettonica di Caprauna-Armetta, sotto la spinta di questa enorme massa di materiale, venne deformata in una serie di pieghe suborizzontali molto complesse sovrapposte rovesciate (gli strati più recenti sono in alto), a testimonianza delle incredibili forze che si misero in gioco. Le rinomate falesie della valle corrispondono al fianco di una piega, tagliato dalle evoluzioni successive del territorio.

Per la particolare conformazione rocciosa del territorio, nella valle sono osservabili fenomeni carsici, comuni a molte parti delle Alpi Liguri, che la rendono uno dei territori europei più interessanti da questo punto di vista. Il calcare è una roccia formata da carbonato di calcio (CaCO3), che può racchiudere al suo interno detriti organici, normalmente fossili (il corallo è una particolare forma di calcare con organismi viventi). Nel caso sia presente anche carbonato di magnesio (MgCO3) parliamo di dolomia.

Le rocce carbonatiche a contatto con la pioggia, specie se acida, reagiscono producendo un sale solubile, il bicarbonato di calcio, formula chimica Ca(HCO3)2. La roccia viene, per così dire, sciolta, e si formano fessurazioni, superficiali o profonde, che permettono il passaggio dell’acqua nel sottosuolo. Altri tipici fenomeni carsici sono le doline, avvallamenti anch’essi dovuti allo scioglimento del carbonato di calcio. Nella rete sotterranea che si forma scorre l’acqua, che emerge poi più a valle dalle risorgive, quando trova strati rocciosi impermeabili.

In Val Pennavaire sono presenti aree carsiche di media quota, dove le aree di alimentazione non appaiono sempre evidenti, essendo i substrati rocciosi ricoperti da vegetazione e quindi protetti da evidenti fenomeni erosivi, oppure prendono forma di ampi avvallamenti, non sempre immediatamente identificabili come doline carsiche.

Possiamo osservare tali fenomeni nel sistema idrogeologico del rio Croso – risorgente di rio Ravinazzo e in quello del Ponte delle Carpe. I maggiori sistemi carsici si trovano nel settore piemontese della valle, in particolare nel sistema Armetta-Pesauto-Tamburla, con una capacità di assorbimento molto elevata e una superficie che risulta tra le più vaste delle Alpi Liguri (circa 3km2).

La zona di assorbimento è situata a sud-ovest rispetto al Monte Armetta, lungo vasti pianori boschivi come quello di Pian del Colle, del pianoro della Gandia e le conche sotto colle San Bartolomeo. Chiuso al pubblico, rappresenta il più significativo sistema ipogeo della valle, con una lunghezza esplorata di oltre quattro chilometri. L’emergenza del sistema è costituita da quattro grotte: Grotta inferiore della Taramburla, Grotta minore dell’acqua, Arma Taramburla, Grotta superiore della Taramburla. Quest’ultima si apre poco sotto la provinciale da Alto a Caprauna, a 860m con forte pericolo di allagamento. Proprio per questo balzò agli onori della cronaca nel 1981, quando alcuni speleologi restarono intrappolati all’interno a causa di una violenta piena, e vennero recuperati solo dopo tre giorni. Altro complesso carsico di rilievo è quello chiamato Tequila Bum Bum – Foglie Volanti. La prima cavità si apre poco sotto la cresta di Monte San Bartolomeo a 1.390m, mentre Foglie Volanti poco sopra la sterrata da Madonna del Lago (1.205m). Il nome curioso di quest’ultima si deve alla sua scoperta: nel 2005 si trovò un buco nella roccia di un ripido canale, dal quale usciva una forte corrente d’aria capace, per l’appunto, di far volare le foglie che si trovavano a terra. Allargando l’apertura si scoprì così l’accesso alla grotta.

Sul versante imperiese invece prevalgono le acque di superficie. Il percorso del Pennavaire e del rio Ferraia risulta in alcuni tratti fortemente inciso e scavato nei calcari formatisi nel Giurassico, e dà origine a una serie di fenomeni erosivi come cascate, forre e marmitte. Anche se in scala ridotta, ci troviamo quindi alla presenza di un sistema carsico complesso e non ancora del tutto compreso, simile a quello, certamente più famoso, del Massiccio del Marguareis.

La grotta della Taramburla
La Val Pennavaire e i suoi gioielli

S toria

La Val Pennavaire, per la sua conformazione e le sue peculiari caratteristiche, ha da tempo immemore facilitato la presenza dell’uomo anzi, possiamo affermare che sia uno dei pochi luoghi dove l’attività umana sia documentata con continuità dalle epoche più remote fino ai giorni nostri. L’esistenza dei progenitori della specie umana attuale (Homo Sapiens) è comprovata nei territori che si affacciano sul Mar Ligure. Nota era la presenza dell’Homo Erectus, risalente a un milione di anni fa, e delle sue successive tappe evolutive, rintracciate nella Grotta del Principe ai Balzi Rossi di Ventimiglia, fino a giungere al più recente Uomo di Neanderthal, circa 100.000 anni fa. Quello che può essere considerato il primo vero progenitore dell’uomo attuale scompare misteriosamente 40.000 anni fa e, dopo un periodo buio, si assiste alla comparsa dell’Homo di Cro-Magnon, datata 36.000-10.000 anni fa.

Ed ecco comparire l’Homo Sapiens, circa 10.000 anni fa: presenti le sue tracce a San Romolo, alla Mortola, a Triora, in Val Pennavaire, ad Albenga e alle “Manie” di Finale Ligure.

La Val Pennavaire è considerata dagli studiosi una delle prime aree di insediamento dei Liguri. Popolazione la cui origine rimane tuttora avvolta nel mistero, in epoca storica si estendevano in un vasto territorio, ben oltre i confini dell’attuale Liguria, che spaziava dalla Provenza all’Appennino tosco-emiliano, con vaste aree in Val Padana a sud del Po. Purtroppo l’assenza della scrittura non ci ha permesso di avere riscontri approfonditi sulla loro cultura, a cui possiamo risalire solo con reperti e testimonianze indirette.

Caprauna foto storica (© Museo etnografico di Caprauna) 

La Liguria, specie quella di Ponente, ha la particolarità di avere pochissimi territori pianeggianti dove possono conservarsi con più facilità reperti, con la pressoché unica eccezione della piana di Albenga, che oltretutto è di formazione antica, databile al Pliocene e Quaternario antico. Purtroppo, della sua frequentazione da parte dei primi esseri umani abbiamo scarsissime tracce, e gli unici elementi di rilievo derivano dai ritrovamenti situati in grotte o cavità naturali. L’abbondanza di queste ultime nella Val Pennavaire, con la loro caratteristica intrinseca di ambiente propizio alla conservazione di reperti, ha permesso la salvaguardia di preziose testimonianze. Un altro fattore che ha giocato positivamente in tal senso è stata la natura calcarea del suolo: nel Neolitico superiore, depositi di carbonato di calcio sotto forma di stalattiti hanno sigillato il materiale sottostante. Non ultimo, la loro lontananza da vie di comunicazione, la non immediata accessibilità e l’ambiente selvaggio circostante le hanno rese oggetto di una frequentazione turistica sporadica, tanto da poter tuttora permettere al visitatore di restare immerso in un’atmosfera evocativa dei tempi dei nostri progenitori. Verosimilmente, i primi segni di antropizzazione si possono far risalire alle prime fasi neolitiche, a cui seguì, nel periodo Subboreale, una fase di rimodellamento del suolo con disboscamento e regimentazione delle acque.

Delle vallate che confluiscono nella piana di Albenga, quella solcata dal torrente Pennavaire è sicuramente la più impervia, con un fondovalle stretto e incassato tra ripide pareti e impenetrabili boschi, ma è altresì la via più breve per l’accesso ai pascoli alti e alla valle del Tanaro e, con essa, alla Pianura Padana. Per la sua conformazione geologica è ricca di grotte, di cui è ben documentata la frequentazione umana in epoche remote. Mentre i siti archeologici situati nella piana o lungo la costa di Albenga hanno portato alla luce pochi resti, la Val Pennavaire è stata più prodiga di tracce e reperti. A una “archeologa per caso”, Milli Leali Anfossi, si devono le prime scoperte e indagini preistoriche nella valle, a partire dagli anni ’50. Suo il merito di aver salvato da probabile dispersione, vandalismo o trafugazione, importanti tracce della storia passata, oltretutto finanziando in prima persona le ricerche e impostando un corretto procedimento di indagine multidisciplinare, avvalendosi di studiosi ferrati nel campo. Ulteriori ricerche sono state poi portate avanti dalla Sopraintendenza Archeologica della Liguria.

Le grotte della valle furono abitate per più di dieci millenni dall’uomo, ma poco sappiamo di questo lungo arco di tempo, in particolare per quanto riguarda le credenze religiose. Non è comunque difficile intuire che le antiche popolazioni potessero considerare sacre alcune delle vette che cingono la valle. Proprio ai piedi di quella che senza dubbio è la più iconica, Castell’Ermo, è situata una cappella dedicata a un protomartire cristiano, verosimilmente edificata proprio per cristianizzare un luogo di precedente culto pagano. I reperti riportano la capacità di addomesticare e sfruttare a proprio vantaggio l’allevamento di animali, la realizzazione di utensili elaborati e monili, la confezione di capi di abbigliamento con la tessitura e, non ultima, la tecnica di conservazione degli alimenti tramite la salatura, che sfruttiamo ancora oggi.

Da tecniche di datazione radiocarbonica su ossa sappiamo che la valle fu abitata nel periodo Epigravettiano finale, con presenza di cacciatori di stambecchi. A questo periodo risalgono i reperti rinvenuti nell’Arma di Nasino, con utensili litici, vasi e ceramiche impresse, aghi e punteruoli in osso. È anche possibile risalire alla strategia di caccia degli abitanti preistorici. Le prede venivano macellate e consumate in parte nelle grotte; le porzioni migliori venivano invece trasportate a valle.

La cacciagione era quella tipica di climi freddi: castori, marmotte, stambecchi, cervi e orsi. A questo periodo seguì quello della Cultura della Ceramica Impressa, quando le grotte vennero usate come stalle e ricoveri per animali domestici. Siamo nell’Età del Rame (6.000-3.000 a.C.) e resti di conchiglie conservati nelle grotte del Pertusello e delle Camere (dove furono rinvenute undici sepolture) testimoniano traffici con le regioni costiere che, occorre ricordarlo, a quell’epoca erano molto più prossimali all’imboccatura della valle.

All’Età del Ferro appartengono invece alcuni monili ritrovati, assieme a resti umani, nella Tana dei Carbonai, tra cui un’interessante fibula bronzea decorata con l’effige di due teste d’anatra, reperto unico sul territorio italiano, databile al V secolo a.C. Sempre a quell’epoca storica appartiene una schiera di muri a secco sovrapposti che appaiono proteggere un’area interna. Tali strutture, rinvenute anche in altri territori liguri, vengono definiti “castellari” e rappresentano un segnale del passaggio da una forma di esistenza itinerante a una più stanziale, che diventerà effettiva dopo il V secolo a.C. con gli insediamenti delle tribù delle popolazioni liguri ingaune, a cui si deve la fondazione di Albium Ingaunum, che diventerà poi l’Albingaunium romana e l’Albenga odierna.

Gli Ingauni praticavano una religione politeistica, ricca di ispirazioni derivanti da elementi naturali. In particolare, le montagne venivano considerate dimora delle divinità ed era adorato un dio di pietra, chiamato Penn. Lo storico Tito Livio narra come, verosimile adattamento di una preesistente divinità celtica, venissero venerati frammenti di roccia. Il nome stesso, Penn, significa cima o sommità, e rimane ancor oggi in molti toponimi alpini (monti Penna, Penice, Pentema, Alpi Pennine, Appennini), tra cui, ça va sans dire, Pennavaire. Quest’ultimo termine sarebbe pertanto composto dal termine “penn” e “var”, che significa “acqua” in linguaggio celtico: “montagna ricca di acqua”, quindi. Quello che conosciamo degli Ingauni e più in generale delle genti Liguri lo dobbiamo al loro contatto con i Romani, che avvenne a partire dal III secolo a.C. Sappiamo per esempio che nel 180 a.C. il console Lucio Emilio Paolo stipulò in Albenga un foedus (patto), che si pone all’origine della romanizzazione del territorio e della valle.

Nei secoli a venire si hanno poche o nulle testimonianze sulla vita umana nella valle. Le parti elevate della Pennavaire, corrispondenti agli attuali comuni piemontesi di Alto e Caprauna, vennero occupate dalle tribù dei Liguri, in competizione con quelle degli Ingauni, che si insediarono nella parte costiera. E qui entra in gioco anche Annibale con i suoi famosi elefanti.

La seconda guerra punica vide infatti gli Ingauni schierarsi con il condottiero cartaginese, mentre i Liguri preferirono stare dalla parte romana, con esito a loro favorevole. Verosimilmente, nell’Alto Medioevo questa era terra di confine dell’impero bizantino, come potrebbe suggerire il nome di Cisano sul Neva, anticamente “Chiusano”, da sbarramento, in particolare riguardo a invasioni da parte dei Longobardi in discesa dalla Val Bormida. Dopo l’anno mille vennero edificati castelli, ormai scomparsi, sul crinale che separa la Valle Arroscia dalla Pennavaire: il più famoso è quello da cui prende il nome il monte Castell’Ermo.

La storia scritta della valle coincide con l’avvento del dominio dei Marchesi di Clavesana. Il capostipite della dinastia era Ugo, uno dei figli di Bonifacio il Vasto, di stirpe Aleramica. Il regno del padre, che comprendeva un territorio approssimativamente corrispondente all’attuale Provincia di Cuneo, venne diviso tra i figli. Ugo divenne marchese di Clavesana nel 1142. Oltre ai territori di pertinenza padana, a sud il suo dominio si estendeva in quella che è oggi la Val Neva, la Val Pennavaire e parte di quella d’Arroscia. I vassalli del marchese si insediarono nelle vallate, e tra questi ricordiamo i Cepolla, i Cazzulini e i Carlo. Questi ultimi edificarono sopra Nasino un forte, poi distrutto, che prese il loro nome. I Clavesana vanno ricordati per la concessione di “statuti” nei confronti della popolazione. Tali scritti del 1281 non devono essere intesi come un’avanguardia democratica, paragonabile al ben più noto Statuto Albertino, quanto piuttosto finalizzati a ingraziarsi i favori della gente e tutelarsi da rivolte o tradimenti.

Con un matrimonio avvenuto all’inizio del XIV secolo, quello tra Caterina di Clavesana ed Enrico II Del Carretto di Finale, cessa il dominio sul territorio da parte dei Clavesana a favore della dinastia dei Del Carretto, anch’essi di origine Aleramica. Venne fondato il Marchesato di Zuccarello, ufficialmente nel 1397, con Carlo I, padre della ben più nota Ilaria, morta precocemente di parto, per la quale Jacopo della Quercia realizzò l’opera che lo portò al successo: il sarcofago funerario che si può ammirare nella Cattedrale di San Martino a Lucca.

Il territorio del marchesato comprendeva la Val di Neva, la parte orientale della Valle Arroscia e, appunto, la Val Pennavaire. Qui si trovavano il castello di Castelbianco con le sue quattro frazioni attuali, i nuclei abitativi e il castello di Nasino, dove era presente come subfeudatario un ramo dei Cepollini di Albenga, e il castello di Alto, cui facevano riferimento gli abitati di Alto e Caprauna, anch’essi retti da un altro ramo dei conti Cepollini. È necessario evidenziare come il territorio della Pennavaire, per lo sbocco su una parte più a monte della Val Tanaro rispetto alla Val di Neva, rimase a margine dei commerci che passavano da Zuccarello verso il Piemonte. Il Marchesato di Zuccarello ebbe vita tormentata, posto com’era in un territorio conteso sia dal Ducato di Savoia che dalla Repubblica di Genova, senza contare le guerre tra Francia e Spagna. Le simpatie dei Del Carretto erano rivolte verso Milano, con i Visconti prima e gli Sforza poi. Il Marchesato venne diviso in due rami nel 1545, tra quello che faceva capo a Zuccarello e l’altro a Balestrino. Una decina d’anni dopo, la Repubblica di Genova acquistò parte del feudo, con diritto di prelazione sul restante. Nel 1588 la vendita della rimanente quota al Ducato di Savoia innescò una serrata disputa con i genovesi, che durò per decenni, e si risolse alla fine a favore di questi ultimi. È del 1738, con il Trattato di Vienna, la divisione della valle in due regioni, con la parte alta che toccò ai Savoia, mentre quella bassa alla Repubblica di Genova, suddivisione che permane ancora oggi. Il territorio fu coinvolto negli anni a venire in battaglie nell’ambito della guerra di successione austriaca e alla fine del XVIII secolo vide il passaggio delle truppe napoleoniche impegnate nella campagna d’Italia. Il Marchesato infine confluì nell’anno 1815 nel Regno di Sardegna e poi in quello d’Italia nel 1861.

Come molti territori della penisola, nel corso del XX secolo si assistette a un importante spopolamento, per l’abbandono dell’agricoltura a favore del lavoro in fabbrica presso i grandi centri urbani. La natura presto si riappropriò dei manufatti umani, avvolgendo di vegetazione case e costruzioni, cancellando sentieri, nascondendo tutte le immani opere di terrazzamento, rendendo così la valle in molte sue parti più selvaggia e inaccessibile di quanto non fosse un tempo. Attualmente si assiste a un accenno di controtendenza, grazie allo sviluppo del settore turistico e di un’agricoltura selettiva e di qualità.

Antichi macchinari 

Quattro domande a...

Fabio Negrino

Professore associato di Preistoria e Protostoria

Direttore della Scuola di Specializzazione

in Beni Archeologici – Università di Genova.

Fabio Negrino è professore presso l’Ateneo genovese, dove insegna Preistoria e Protostoria. Ha conseguito il dottorato di ricerca in archeologia preistorica presso l’Università degli Studi di Roma

La Sapienza. Si è laureato in lettere classiche e specializzato in archeologia, e ha ottenuto una borsa postdottorale alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa. Si è occupato di differenti aspetti della ricerca preistorica e protostorica, dal Paleolitico inferiore all’età dei metalli, approfondendo sia le problematiche più prettamente culturali sia quelle di carattere ambientale.

Perché la Val Pennavaire è importante dal punto di vista archeologico?

La Val Pennavaire, grazie soprattutto alle ricerche di Milli Leale Anfossi, ha rivelato come numerose delle sue cavità carsiche conservino depositi archeologici stratificati che testimoniano la presenza dell’uomo a partire dalla fine del Paleolitico superiore (17.000-12.000 anni fa) in poi. Sono infatti presenti anche tracce dei cacciatori-raccoglitori del Mesolitico (12.000-8.000 anni fa), nonché dei pastori e agricoltori del Neolitico (8.000-5.700 anni fa) e delle successive età dei metalli.

Ci può far viaggiare nel tempo e descrivere l’ambiente della valle in cui vivevano i nostri antenati?

Le evidenze archeologiche più antiche ci raccontano della fine dell’ultima glaciazione, quando i ghiacciai erano più estesi degli attuali e gli stambecchi scendevano fino quasi alla piana di Albenga; le praterie alpine e le foreste a conifere dominavano il paesaggio. Con il passaggio al successivo interglaciale e la risalita del limite del bosco, gli ultimi cacciatori-raccoglitori si spinsero fino nel cuore delle Alpi, seguendo gli spostamenti degli animali in alta quota. Con il VI millennio a.C. la valle vide l’arrivo via mare dei primi agricoltori e allevatori, che contribuirono in maniera più massiccia, attraverso incendi controllati e disboscamenti, alla progressiva trasformazione ambientale del comprensorio.

Tra le grotte della valle, qual è la sua “preferita”?

Sicuramente l’Arma dello Stefanin, con una stratigrafia che documenta la presenza dell’uomo dalla fine del Paleolitico fino ad almeno tutto il Neolitico medio (V millennio a.C. circa). Di grande interesse e fascino è inoltre l’Arma di Nasino, con importanti rinvenimenti riferibili all’Età del Rame (5.700-4.200 anni fa), sito purtroppo in gran parte distrutto e attualmente inaccessibile.

Che futuro, dal suo punto di vista di studioso e ricercatore, auspica per il territorio? Il potenziale archeologico e quindi storico della valle è enorme; restano inesplorate ancora numerose cavità, e nuovi siti potrebbero venire alla luce anche all’aperto. Le nostre recenti indagini archeologiche all’Arma della Nina (Caprauna) hanno

permesso per la prima volta di identificare tracce di cacciatori-raccoglitori del Mesolitico recente (VII millennio a.C.) nel territorio dell’alta valle, a 1.400m di altitudine, ed è la prima segnalazione per tutte le Alpi Marittime.

Arma di Porta B 

Quattro domande a...

Nato a Ormea, geologo, guida escursionistica ambientale, appassionato di fotografia naturalistica, speleologo, conoscitore del territorio nei suoi aspetti naturalistici e ambientali, interessato alla storia, agli usi e alle tradizioni locali.

Sei sicuramente una persona poliedrica: geologo, guida naturalistica, appassionato di storia. Qual è l’aspetto prevalente?

La geologia è il lavoro, quello che mi ha permesso di vivere nelle mie valli e sulle montagne tra Liguria e Piemonte. È stata passione pura perché mi ha fatto conoscere aspetti del territorio di mio grande interesse. Diventare guida naturalistica ha arricchito di molto le mie conoscenze. Affrontare questa avventura è stato un grande piacere, senza farlo per professione ma soltanto per avere un occhio più attento a percepire il mondo che ci circonda. La passione per la storia è arrivata quasi per caso. Ho sempre odiato la storia che si insegna nelle scuole, ma sono sempre stato attento a quello che i vecchi raccontavano sulla vita del passato nelle nostre valli e sugli scambi tra territori vicini. La transumanza, la raccolta delle castagne, l’olivicoltura, la produzione del carbone, le cave di marmo hanno portato a un costante scambio di genti e di saperi tra territori vicini. E sentir parlare di luoghi dall’altra parte delle montagne ha sempre generato in me un interesse per ritrovare percorsi, rifugi, insediamenti. L’interesse per la storia è nato quando mi sono accorto che su tutte queste vicissitudini delle genti d’un tempo c’è una marea di documentazione presso archivi pubblici e privati che va solo riscoperta.

Qual è, a tuo giudizio, l’aspetto più significativo della Val Pennavaire dal punto di vista geologico?

La geologia della valle è caratterizzata da successioni di rocce sedimentarie con caratteristiche e comportamento molto differente. Il paesaggio ha come chiave di lettura principale la geologia del sottosuolo e il modellamento avvenuto in tempi recenti (in senso geologico) da parte dell’erosione, l’esarazione glaciale e il carsismo che ha interessato in modo marcato le rocce carbonatiche (formate prevalentemente da carbonato di calcio) che costituiscono buona parte del nostro territorio.

Lo sviluppo del carsismo ipogeo comporta la presenza di molte grotte e di veri e propri circuiti carsici di grande interesse, con zone di assorbimento delle acque e grandi sorgenti (la Sorgente della Taramburla è uno degli esempi più conosciuti).

Ma è proprio il carsismo, associato alla presenza di livelli di rocce facilmente erodibili, che ha favorito la presenza di grandi caverne a cielo aperto, conosciute nell’entroterra ligure col temine di “arme”. Queste caverne sono state utilizzate da sempre dall’uomo e hanno favorito la conservazione delle tracce della vita preistorica.

Raccontaci un aneddoto curioso della storia della vallata.

La storia delle macine! L’attività agricola che ha caratterizzato per secoli la vita delle comunità rurali della vallata ha comportato la coltivazione di cereali sui terrazzamenti ricavati in ogni angolo che si prestava al rimodellamento. L’utilizzo e la conservazione dei cereali necessitavano di lavorazioni di molitura che avvenivano nei mulini, posti sempre lungo il fondovalle, in vicinanza del torrente che forniva la forza motrice dell’acqua.

Per la costruzione dei molini serviva un posto adatto vicino al fiume ma non soggetto ai danneggiamenti delle piene stagionali.

Poi quello che serviva ancora, oltre al sistema idraulico, erano le macine. Queste dovevano essere costituite da pietra dura, adatta a essere lavorata nella giusta forma ma di un litotipo (tipo di roccia, NdA) duro, non facilmente usurabile.

Lungo i versanti della vallata, spesso a molti chilometri di distanza rispetto ai mulini, affiorano rocce adatte alla costruzione delle macine. Venivano infatti usate le quarziti, rocce costituite prevalentemente da quarzo, minerale durissimo.

Nei siti di cava non è raro trovare resti di lavorazioni come forme rotondeggianti di incavi da cui sono stati estratti gli utensili oppure frammenti di vere e proprie macine abbandonate perché lesionate dalle lavorazioni o durante i trasporti.

Caprauna, per esempio, era obbligata a fornire ogni anno un certo numero di macine all’unico mulino comune presente sul territorio di Alto.

Presso il monte Pesaudo, nella zona del Pian del Colle e in altre zone vicine, sono numerose le “cave delle macine”, oggi testimonianza di una storia passata ormai dimenticata.

F lora e fauna

Si è detto di come il territorio della Val Pennavaire faccia parte della catena montuosa delle Alpi Liguri. Quest’ultimo aggettivo – liguri – richiama immediatamente, nella mente dei più, immagini di spiagge assolate e di mare, portando a dimenticare che la Liguria è soprattutto terra di monti e non di mare. Lo spopolamento dell’entroterra a favore della riviera ha fatto sì che la natura si sia progressivamente rimpadronita di spazi che le erano propri, ricoprendo le aspre pendici dei monti di fitti e intricati boschi, resi ancora più inaccessibili all’uomo da un invasivo sottobosco che ha cancellato gli antichi sentieri.

Se a questo dato uniamo la varietà di ambienti ecologici, dovuta alla particolare collocazione geografica che risente di influssi eterogenei, non sarà difficile credere che si siano verificate le condizioni per la sopravvivenza e la riconquista da parte di un patrimonio faunistico e vegetale estremamente ricco e diversificato. Non a caso, l’abbandono del territorio da parte dell’uomo, che esercitava un’attività agro-pastorale, ha creato le condizioni ottimali per il ritorno del lupo.

La particolare collocazione e disposizione della Val Pennavaire contribuisce a creare un ambiente unico. Come in altre vallate alpine mediterranee, si assiste alla mescolanza di elementi caratteristici di un ambito costiero a clima temperato con altri di stampo decisamente montano. Ma qui è decisamente tutto più compresso e situato a una distanza ridotta dal mare.

Altro fenomeno interessante è la discesa di specie tipiche di quote o latitudini elevate a bassi livelli, così come la risalita in quota di essenze di stampo mediterraneo, tanto da poter assistere alla coabitazione di specie vegetali contraddistinte da esigenze ecologiche estremamente diversificate. Come precedentemente accennato, caratteristica è anche la particolare disposizione della vallata, con un orientamento est-ovest, che la rende apportatrice di una spiccata dicotomia tra i rilievi collocati sul lato destro e sinistro orografico.

Narcisi (Narcissus L.) 

Sul primo si estende la dorsale che divide la Valle Arroscia dalla Val Pennavaire. Il versante che si affaccia su quest’ultima, rivolto a nord e quindi quasi sempre in ombra, assume caratteristiche scenografiche con pareti di stampo dolomitico, strapiombanti su fitti boschi misti, interrotto da una serie di falesie calcaree, con faggi, roverelle (Quercus Pubescens), leccio (Quercus Ilex), carpino nero (Ostrya Carpinifolia), oltre a frassino, nocciolo, acero, orniello (Fraxinus Ornus).

Ricco anche il sottobosco, con pungitopo (Ruscus Aculeatus), agrifoglio (Ilex Aquifolium), elleboro (Helleborus). Sono presenti specie endemiche vegetali, quali la Campanula di Savona (Campanula Sabatia), l’Eliantemo Ligure (Helianthemum Lunulatum) e animali come la Cicindela Maroccana Pseudomaroccana, un coleottero dalle elitre punteggiate di bianco. Questo insetto ha la caratteristica di essere attivo in primavera e autunno, mentre nelle stagioni fredde e calde va incontro a ibernazione ed estivazione, fenomeno quest’ultimo forse meno conosciuto del primo, ma che ha anch’esso lo scopo di permettere all’animale di superare condizioni avverse. Una pianta ben conosciuta, il rosmarino, va incontro anch’essa a un processo di estivazione, avendo una fase di riposo vegetativo in estate.

Le inaccessibili rocce offrono rifugio per la nidificazione a rapaci come l’aquila reale (Aquila Chrysaetos), il falco (Falco Linnaeus), il biancone (Circaetus Gallicus), il gheppio (Falco Tinnunculus), la poiana (Buteo Buteo), e a particolari specie vegetali, come la Primula impolverata (Primula Marginata Curtis), con i fiori rosa-violetto che appaiono tra aprile e giugno.

Da non dimenticare la popolazione che alligna nelle grotte, anche se queste sono caratterizzate in prevalenza da ampie aperture e scarsa profondità.

Possiamo suddividere la popolazione che le abita in troglobi, ossia animali che vivono esclusivamente in ambiente sotterraneo; troglofili, che possono anche uscire all’aperto in rare circostanze e

Asfodelo montano (Asphodelus albus Mill) 
Fiordaliso ovoide (Rhaponticum coniferum) 

troglosseni, per i quali le grotte costituiscono un habitat saltuario. Numericamente, la popolazione ipogea più rappresentata è quella degli artropodi, fra cui per diffusione spicca una particolare cavalletta depigmentata, caratterizzata da lunghi arti e assenza di ali, la Dolichopoda Ligustica Troviamo poi tra i troglofili il ragno Meta Menardi, che realizza tele orbicolari e le cui uova si ritrovano racchiuse in bozzoli bianchi, lo pseudoscorpione neobiside (Roncus Antrorum Ligusticus) appartenente alla classe degli aracnidi e privo di coda con pungiglione. Salendo di dimensioni, abbiamo un vero e proprio fossile vivente, una salamandra che è stata individuata in molte grotte della valle, il Geotritone di Strinati (Speleomantes Strinatii), dalle estremità degli arti palmate, che si nutre di invertebrati catturati con la lingua. Ma gli animali più iconici delle grotte sono sicuramente loro: i pipistrelli. Sicura in alcune grotte la presenza del Ferro di cavallo minore (Rhinolophus Hipposideros), piccolo animale della lunghezza di 4 cm; pare invece scomparso il Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus Ferrum Equinum).

Il lato sinistro vallivo presenta rilievi più elevati, che si affacciano sulla Val Tanaro. L’antropizzazione è praticamente esclusiva di questo versante, registrando la presenza di quasi tutti gli insediamenti abitativi e delle aree coltive, dovuta sia alla migliore esposizione che alla minor pendenza dei terreni. I pendii di questo lato, esposti a sud e quindi solati, sono generalmente meno irti, anche se falesie e grotte non mancano anche su questo versante. Nella parte ligure, all’imboccatura della valle, predomina la classica macchia mediterranea, con le essenze tipiche, quali l’erica (Erica Arborea), i vari cisti (Cistus Salvifolius, Cistus Albidus), il lentisco (Pistacia Lentiscus), la ginestra (Cytisus Scoparius), inframmezzate da pini marittimi (Pinus Pinaster) e roverelle (Quercus Pubescens).

Proseguendo, da Castelbianco a Nasino sono presenti estesi terrazzamenti – dove in passato veniva coltivato in maniera intensiva l’ulivo – che in parte sono stati colonizzati da bosco misto. Le vallate laterali che ne dipartono, ormai abbandonate, sono divenute regno della fauna selvatica: non solo l’onnipresente cinghiale (Sus Scrofa), ma anche daini (Dama Dama) e caprioli (Capreolus Capreolus), che vivrebbero indisturbati, se non fosse per la presenza dell’uomo e di un predatore ricomparso anche in questa vallata, il lupo (Canis Lupus).

Altri più piccoli predatori sono presenti, come i tassi (Meles Meles), le volpi (Vulpes Vulpes) e le faine (Martes Foina): difficilmente potrete scorgere quest’ultima, ma più facile sarà incrociare qualche suo escremento su una pietra, a marcare il territorio.

Stelle Alpine (Leontopodium Nivale Alpinum)

Più in alto, in territorio piemontese, si può osservare come la copertura vegetale sia in parte di derivazione antropica. Le zone prossime al fondovalle sono ricoperte da ampi boschi dove importante è la presenza del castagno, mentre più in alto, dove il pendio si fa meno aspro, si aprono praterie montane, che rivestono pianori e conche, sede di pascolo.

Più in alto ancora, la flora si fa praticamente alpina, con esemplari che non ci aspetterebbe di trovare a pochi chilometri in linea d’aria dalla costa, come la nigritella (Gymnadenia), il rododendro (Rhododendron L.) e, addirittura, la stella alpina (Leontopodium Alpinum). Durante l’era quaternaria, i ghiacciai arrivavano a lambire quest’area: a testimonianza rimangono specie vegetali relitte, ossia resti di essenze che prima si estendevano su un’areale molto più vasto e che sono riuscite a sopravvivere come naufraghi su un’isola. Non mancano ovviamente boschi di conifere, spontanei o artificiali. Troviamo l’abete rosso o peccio (Picea Abies), dalla caratteristica chioma conica e stretta, l’albero di Natale per antonomasia. È riconoscibile, oltre che per la forma, dagli aghi pungenti inseriti singolarmente sui rami. Non mancano poi pini silvestri (Pinus Sylvestris) – facilmente individuabili per la corteccia rossastra che si desquama e gli aghi disposti in mazzetti di due – e larici (Larix Lyallii), riconoscibili dagli aghi riuniti in ciuffetti che ingialliscono e poi cadono durante la stagione invernale. Qui anche la fauna è quella che ci si aspetterebbe di trovare più a nord, come le marmotte (Marmota Marmota), delle quali non sarà difficile sentire i fischi, ma anche specie più rare come le lepri variabili (Lepus Varibilis) o addirittura i galli forcelli (Tetrao Tetrix), specie relitta delle glaciazioni del Quaternario. Caratteristica comune a tutta la vallata è sia la risalita in quota di specie termofile mediterranee, come ginestra e roverella, sia la discesa di entità orofile microterme. Può capitare così di ritrovare a 500m di quota essenze che solitamente allignano tra i 1.000m e i 2.000m, come la Saxifraga Lingulata, la Primula Marginata e il giglio martagone.

Occorre poi menzionare la fauna ittica, che gode di acque non contaminate da attività industriali e inaccessibili all’uomo per lunghi tratti. Sono il regno dell’anguilla (Auguilla Auguilla), del gambero di fiume (Astropotamobius Pallipes) e della trota fario (Salmo Trutta sub. Fario), conosciuta anche come trota di montagna, che può raggiungere la considerevole lunghezza di mezzo metro. Anche gli anfibi sono ben rappresentati, andando dal rospo comune (Rufo Rufo) alla salamandra pezzata (Salamandra Salamandra), passando per diverse specie di rana.

Meleagride piemontese (Fritillaria Meleagris)
Giglio sambucino (Orchis Sambucina)

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Marina Caramellino

Guida ambientale escursionista

Assicurata AIGAE

Guida parco delle Alpi Liguri

Guida parco Aree Protette Alpi Marittime Telefono 337 106 6940 marina.caramellino@gmail.com www.escursioniesperienze.it

Lasciamo che Marina si presenti.

Sono Marina Caramellino, un’anima avventurosa e appassionata di viaggi di scoperta. La mia vita è un mix di avventure e conoscenze ambientali, poiché mi occupo di guidare escursioni e condividere la bellezza dei luoghi che amo e che scopro a mano a mano. Come guida ambientale escursionistica e istruttrice di Nordic Walking, ho avuto il privilegio di condurre persone attraverso sentieri mozzafiato e paesaggi incontaminati. Scopro sempre percorsi nuovi e i miei gruppi vivono le emozioni della cultura e del cibo locale.

Vivo nell’entroterra ligure di ponente immersa nella storia e nella bellezza di un borgo di pietra. La passione per la natura e la cultura locale mi ha spinto ad approfondire le mie conoscenze come guida parco ed esperta di turismo ambientale. Amo raccontare le storie dei luoghi che visito, condividendo aneddoti e curiosità che rendono ogni viaggio un’esperienza unica.

Condivido con gli appassionati e i curiosi come me la magia dei viaggi, la bellezza della natura e la ricchezza della storia locale.

Qual è il tuo rapporto personale e affettivo con la Val Pennavaire?

La Val Pennavaire ha rappresentato per me non solo un luogo di lavoro, ma soprattutto una dimora affettiva e una fonte inesauribile di ispirazione. Durante gli 8 anni trascorsi come gestore del rifugio di Caprauna, ho avuto il privilegio di vivere in simbiosi con la natura selvaggia e rigogliosa che caratterizza questa valle. È stato gratificante incontrare gli escursionisti, scoprire la bellezza di questi luoghi e condividere con loro la mia passione per la montagna. Ma il legame con la Val Pennavaire va ben oltre l’aspetto lavorativo, è stata una relazione intima e profonda fatta di albe magiche tra i monti, tramonti infuocati sulle cime e notti stellate sotto il cielo limpido. Guardando indietro, sono grata per le esperienze vissute e per le cose belle realizzate in questa valle, che ho chiamato casa.

Quali sono a tuo parere gli aspetti naturalistici più interessanti della valle?

La Val Pennavaire offre una ricchezza naturale straordinaria ancora poco conosciuta, ma di grande valore per gli amanti della natura selvaggia, come la biodiversità ospita una grande varietà di flora e fauna, grazie alla sua posizione geografica e alla diversità degli habitat presenti.

La valle è interessante anche dal punto di vista geologico con formazioni rocciose che testimoniano la sua evoluzione nel corso dei millenni.

I castagneti sono un elemento caratteristico della valle e offrono non solo paesaggi suggestivi, ma anche prodotti tipici di grande valore come le castagne.

Perché un escursionista dovrebbe venire in Val Pennavaire?

La valle è un gioiello nascosto ricco di bellezze naturali, da scoprire. Ideale per chi ama la montagna e la natura selvaggia. Dai boschi di castagni ai borghi, alle cime montuose. Dai torrenti ai pascoli, ci sono percorsi adatti a tutti i livelli di esperienza.

In un mondo ideale, cosa si dovrebbe fare per valorizzare e al tempo stesso salvaguardare la straordinaria biodiversità degli ambienti vallivi?

Per valorizzare e salvaguardare la straordinaria biodiversità della valle è fondamentale adottare una serie di misure e pratiche sostenibili, fra cui l’educazione ambientale.

Promuovere programmi educativi e attività didattiche, per sensibilizzare la comunità locale e i visitatori sull’importanza della biodiversità e sui modi per proteggerla.

Condurre studi scientifici e monitorare regolarmente le specie vegetali e gli animali presenti nella valle.

Proteggere e ripristinare gli habitat naturali e favorire la sopravvivenza delle specie locali, adottando pratiche di gestione sostenibili del

territorio, minimizzando l’impatto ambientale delle attività umane e garantendo la sopravvivenza degli ecosistemi locali.

Promuovere un turismo responsabile, che rispetti e valorizzi la biodiversità locale educando i visitatori sulle norme comportamentali da seguire per ridurre l’impatto negativo sull’ambiente.

Coinvolgere la comunità locale, nella gestione e nella conservazione di questo straordinario ambiente.

In sintesi, proteggere e valorizzare la biodiversità della Val Pennavaire richiede un impegno collettivo e sinergico, da parte di tutti gli attori coinvolti al fine di garantire un futuro sostenibile per questa preziosa risorsa naturale.

Le falesie

Se nell’immaginario collettivo il termine falesia evoca pareti rocciose a picco sul mare, come le Cliffs of Moher in Irlanda o i Faraglioni di Capri, per molti appassionati free climber, che qui si radunano proveniendo da mezza Europa (e non solo), le falesie sono terreno di svago e di scoperta, dove risalire “a mani nude” su pareti verticali, danzando sulla roccia e sfidando la gravità.

La storia dell’arrampicata in valle risale agli anni ’40, quando i primi ardimentosi tentarono inesplorate vie su quelle che definirono “le Dolomiti del nord-ovest”, ossia le pareti del Castell’Ermo e del Monte Nero. Leggende narrano che su queste rocce appoggiò le mani addirittura Cesare Maestri. Ma la scarsa qualità della roccia non favorì lo sviluppo dell’arrampicata in questa zona.

La vera crescita delle salite verticali avvenne all’inizio degli anni ’90, quando, a partire dalle pareti della Rocca dell’Arma, cominciarono a essere esplorate e chiodate le numerose falesie presenti in valle. Nuove vie venivano aperte, e sempre più arrampicatori italiani e internazionali si affacciavano su queste pareti rocciose. L’apertura di nuovi percorsi richiedeva abilità tecniche, creatività e coraggio, e l’arrampicata divenne un elemento centrale nella cultura della Val Pennavaire. Nel corso degli anni, la comunità degli arrampicatori si è organizzata per preservare e proteggere le falesie. Questo sforzo ha contribuito a mantenere intatta la bellezza naturale della valle e a garantire che le generazioni future possano continuare a godere di sfide verticali in questa regione.

Oggi la Val Pennavaire è conosciuta a livello internazionale come una delle destinazioni di arrampicata più importanti d’Italia, la seconda dopo l’area di Arco di Trento per l’alta difficoltà. Le sue pareti verticali, gli spioventi spettacolari e le prese uniche attirano arrampicatori di ogni livello di abilità. La zona offre una vasta gamma di vie, dalle più facili alle più difficili, e la sua bellezza naturale continua a ispirare coloro che si avventurano in questa valle. Attualmente, il settore richiama appassionati da tutta Italia e non solo, e ha permesso un discreto indotto turistico a favore delle comunità locali. Caratteristica interessante è la possibilità di praticare l’arrampicata tutto l’anno, sia per il clima mite e la presenza di falesie a diverse quote, sia per la particolare disposizione della valle, che offre pareti disposte a sud e quindi perfette per salite invernali, così come altrettante a nord, in ombra e con ruscelli a due passi, in cui rinfrescarsi durante l’estate.

Nella valle operano associazioni (ASD Pennavalley e Roc Pennavaire) che si occupano di promuovere l’arrampicata nel territorio attrezzando nuove falesie, mantenendo in buono stato quelle esistenti e pulendo i sentieri che ne permettono l’accesso.

ASD Pennavalley: pennavalley@gmail.com Roc Pennavaire: rocpennavaire@gmail.com

Quattro domande a...

Matteo Gambaro

Matteo Gambaro è un fortissimo climber italiano. Muove i suoi primi passi verticali nell’anno 1992 sulle falesie del Cuneese e Finalese.

Arrivato dopo solo 8 mesi al grado 8, inizia una lunga esperienza competitiva che lo porta a vincere la Coppa Italia Lead 2005 con numerose esperienze internazionali, alternate a tantissime salite, tra cui Narcissus 9a/+ ad Albenga (2021).

Tracciatore Nazionale F.A.S.I. ha organizzato e tracciato numerosissime competizioni, tra cui la Coppa Italia Boulder di Cuneo 2009 e numerose competizioni regionali (TCC) oltre a raduni importanti come l’MDV, il Bloc Pennavaire e il Cervino Boulder Block. Dal 2015 vive a Cisano sul Neva iniziando una vera e propria rivoluzione verticale in Val Pennavaire: ha chiodato oltre 300 vie dall’8a al 9a+ e arricchito la valle di tante vie di alto livello che prima mancavano.

Spiega alla casalinga di Voghera cos’è l’arrampicata sportiva?

L’arrampicata sportiva è una disciplina sportiva oggi rappresentata dalla sua federazione nazionale (F.A.S.I.) riconosciuta dal CONI, e da qualche anno, data la sua sempre crescente popolarità, è addirittura diventata sport olimpico.

Le sue radici però provengono dall’alpinismo e più precisamente dalla ricerca sempre crescente di salire le cime più impervie e difficili. Gli alpinisti, per potersi allenare per le grandi salite, iniziarono ad attrezzare le pareti pedemontane denominate falesie. Su queste pareti minori, più facili da raggiungere e attrezzate con maggiore sicurezza, si iniziò così a sperimentare e ricercare vie di salita sempre più difficili. Questa continua ricerca alzò in poco tempo il livello tecnico e fisico degli alpinisti arrampicatori, molti dei quali decisero di praticare solo questa disciplina abbandonando le grandi montagne.

A questo processo seguì la nascita delle palestre indoor che aprirono al grande pubblico questa nuova disciplina oltre a diventare uno strumento potentissimo di allenamento e sviluppo tecnico di condivisione. È così che l’istinto del bambino di salire più in alto per vedere un nuovo orizzonte ci ha portato a quella che oggi è l’arrampicata!

Perché arrampicare in Val Pennavaire?

La Val Pennavaire è un territorio ricco di falesie disseminate lungo il percorso del suo omonimo torrente. La quota cresce partendo quasi dal livello del mare di Cisano sul Neva, fino ai 1.000m di Caprauna. Il clima temperato e ventilato, le diverse esposizioni delle pareti e soprattutto la qualità della roccia, la rendono unica e con un grandissimo potenziale. Storicamente le valli del Finalese sono state le prime a essere scoperte e valorizzate; per la Val Pennavaire questo è accaduto dai primi anni ’90 grazie all’opera di chiodatori molto rappresentativi che nel tempo l’hanno portata a essere oggi il terzo

polo verticale italiano subito dopo Finale Ligure e Arco di Trento. Oltre 2.000 itinerari per tutti i livelli e soprattutto le vie più difficili e moderne della Liguria attraggono oggi tantissimi appassionati da tutto il mondo, in uno scenario naturale bellissimo ancora molto selvaggio e ricco di storia.

Tu sei stato uno dei pionieri e degli artefici del fenomeno “verticale” in valle. Pensi che si possa ripetere qualcosa di simile anche in “orizzontale”, lungo i numerosi sentieri che la percorrono?

Diciamo che posso considerarmi il pioniere delle alte difficoltà, in un settore che prima mancava e che oggi qualifica la valle a livello internazionale. Ma il lavoro a più mani di tanti chiodatori che si sono succeduti e hanno dato e danno tutt’oggi il loro contributo ha fatto sì che oggi la valle sia sempre più conosciuta.

Per quanto riguarda la sentieristica, anche se non sono un esperto, credo si possa ripetere lo stesso processo. La corsa in montagna sta diventando sempre di più una disciplina a sé ed è molto in crescita. C’è bisogno di appassionati che si innamorino delle grandi potenzialità di questo territorio e che strutturino le loro attività richiamando appassionati, organizzando eventi ecc… Un po’ come nel finalese si è imposto ormai il mondo delle bike (altra risorsa ancora poco strutturata in valle).

Non si può certo sperare che le amministrazioni di

piccoli paesini possano mettere mano da soli alla grande e complessa rete di sentieri.

Per finire, una curiosità. Una cosa che colpisce chi non è addentro alla vostra disciplina sportiva sono i nomi che date alle vostre vie di arrampicata, un po’ come fanno gli speleologi con le grotte: come vi vengono in mente?

Sì, vero! A ogni falesia viene dato un nome e a ogni via vengono dato un nome e un grado di difficoltà. I nomi vengono scelti di solito dai chiodatori e le difficoltà dai primi salitori. Nella mia esperienza i nomi dei settori sono legati a esperienze personali o a collaborazioni con sponsor locali.

Nel primo caso per esempio il nome del settore “Conservatorio” da me scoperto e chiodato, è nato nella mia mente dopo essere stato invitato a una trasmissione di musica classica della Rai chiamata Petruska come ospite in una puntata sul compositore Chopin, dove la sua tecnica nell’uso delle dita veniva paragonata a quella dell’arrampicatore. Da lì l’idea… E i nomi delle vie a tema con nomi di grandi compositori e musica (Chopin, Mozart, Spartito…).

Nel secondo caso, per esempio, il nome dei settori “Cpr”, “Hop Farm”, “Uniteghin”, “El Cap” sono nati grazie alle sinergie con il negozio di articoli di montagna di Cisano sul Neva Cprfreesport, il birrificio Scola di Castelbianco, l’alimentari Ubuteghin, la casa editrice Versante Sud, e i nomi spesso a tema come promozione dei prodotti che propongono.

Matteo Gambaro su Narcissus (9a/+). Settore Erboristeria (© Klaus Dell’Orto)

I l clima

La Val Pennavarie nel complesso presenta un clima di tipo mediterraneo con influssi montani, che tendono a divenire di tipo più continentale con l’aumento dell’altitudine o dell’esposizione dei versanti. La stagione con maggiori precipitazioni è quella autunnale. L’estrema varietà della flora e della fauna della valle trova corrispondenza nel clima. La particolare collocazione geografica – che la dispone parallelamente alla costa – e la sua conformazione –con catene di monti relativamente elevate e un fondovalle incassato tra ripide pareti – determinano un clima particolare e vario, molto dinamico dal punto di vista meteorologico, con la possibilità di formazione sui rilievi montuosi di intense e improvvise nebbie dovute alla condensazione dell’aria caldo-umida di provenienza marina con correnti più fredde, oltre che di significativi temporali estivi. La piovosità risulta pertanto elevata, specie rispetto a quella della costa. Segno ne sono la lussureggiante vegetazione, specie nel fondovalle, e la presenza di cime imbiancate di neve durante la stagione invernale, insieme alla formazione di strati di ghiaccio che possono persistere fino a primavera inoltrata rendendo indispensabile una dotazione specifica (racchette da neve o ramponcini), per la percorribilità degli itinerari.

I rilievi, specie sul versante orografico sinistro della valle, sono esposti a venti che, se d’estate possono concorrere a mitigare la calura, d’inverno contribuiscono ad aumentare la sensazione di freddo percepito. Le temperature possono variare considerevolmente durante l’anno. Nella stagione invernale possono scendere al di sotto dello zero, specialmente nelle zone più elevate della valle. In quella estiva possono salire invece anche a valori considerevoli, ma le serate tendono comunque a essere fresche.

I sentieri della Val Pennavaire possono essere percorsi durante tutto l’arco dell’anno, ma nei mesi invernali occorrerà fare attenzione a neve e ghiaccio. I mesi più favorevoli sono senz’altro quelli primaverili da aprile a giugno, anche per la spettacolare e varia fioritura che si può ammirare, oltre a settembre e la prima parte di ottobre, periodo in genere più clemente dal punto di vista climatico. Da non dimenticare che l’autunno porta con sé colori speciali.

Neve primaverile in valle

P rodotti tipici e cucina

Anche se siamo a pochi passi dal mare, scordatevi di trovare nella cucina tipica il pesce: al massimo qualche trota. Come del resto accade per quella tipica Ligure, qui avrete esclusivamente specialità di terra. La cucina tradizionale è quella contadina, con ingredienti poveri ma genuini.

Anche nei piatti tradizionali della valle sperimentiamo quello che potremmo definire un melting pot gastronomico, dove prodotti tipici di montagna si fondono con quelli della Riviera.

Per le carni si va dal coniglio alla ligure, dove la carne dolce e delicata contrasta con il sapore deciso delle olive nere, dei pinoli, amalgamato il tutto dall’aroma del vino rosso, alle lumache al verde, passando poi ai piatti di selvaggina, tra cui grande rilievo ha il cinghiale.

Ma sono soprattutto le portate di verdura e la pasta a dominare la scena, con la torta verde nelle sue molteplici varianti, i pansotti ripieni, la pasta di castagne, gli gnocchi di patate al pesto.

LA RAPA DELLA VAL PENNAVAIRE

Le caratteristiche bioclimatiche e di coltivazione proprie della valle hanno dato origine nei secoli scorsi a un prodotto unico, una particolare varietà di rapa, divenuta presidio Slow Food: la rapa bianca della Val Pennavaire. Prodotto di nicchia, come purtroppo per tante altre tradizioni della nostra cultura, anch’essa ha rischiato di sparire, salvata solo dall’ostinazione di qualche coraggioso e dalla volontà di riscoperta dei sapori autentici. Già citata in alcuni documenti del 1537 e negli statuti di Caprauna, costituiva per le popolazioni della valle un alimento fresco a cui attingere durante il periodo invernale, i cui scarti venivano destinati all’alimentazione del bestiame. Il succo era somministrato ai bambini per la cura dello scorbuto, essendo ricco di vitamina C (e vitamine del gruppo B). Perse con il tempo il suo valore primario nell’alimentazione in seguito all’arrivo della patata. Un tempo coltivata sui terrazzamenti dopo che il grano veniva mietuto, la semina parte ancor oggi dalla fine dell’estate, con raccolta nei mesi freddi, da ottobre a gennaio. Di grandi dimensioni, con colore bianco tendente al giallo e sapore dolce e delicato, possono essere gustate in molte maniere, fra le quali rientra l’abbinamento con un particolare tipo di pasta fresca simile ai maltagliati, detta sciancui, che viene servita con un sugo a base di formaggi o di funghi. Tutte le trattorie della valle saranno liete di guidarvi in questa scoperta!

ALTRI PRODOTTI TIPICI CHE SI TROVANO IN VALLE

Le ciliegie, prodotte nella zona di Castelbianco, nelle varietà autoctone Cantui Giancai e Cantui Negrai. Coltivate con metodo biodinamico, sono apprezzate per il loro gusto e la loro qualità, derivante anche dal clima e dalla favorevole esposizione a sud. A giugno, nel periodo della raccolta, nel paese si celebra la Sagra della Ciliegia.

Le olive e l’olio, provenienti da ulivi situati su terrazzamenti vecchi di secoli, di qualità Taggiasca e Pignola

Lavanda, piante aromatiche in vaso e luppolo da cui si ricava dell’ottima birra artigianale (Azienda Agricola Scola – 3318399693; Il Giardino di Vanda ad Alto).

Rapa bianca (© oliodenadreis.com)

Proponiamo poi alcune ricette tipiche della vallata, ringraziando per i suggerimenti Giulia Rolando, gestore del Rifugio Pian dell’Arma di Caprauna e il sito www.cucinaligure.info

TORTA DI RAPE

Ingredienti: 300g di farina, 1kg di rape, 100g di formaggio grana, 1 bicchiere di olio extravergine di oliva, 1 bicchiere d’acqua, maggiorana, sale e pepe q.b.

Istruzioni:

Pelare e cuocere le rape in acqua per circa 15 minuti.

Impastare la farina con acqua, metà dell’olio e sale per la preparazione della sfoglia.

Stendere la pasta dopo averla resa liscia ed elastica.

Stendere due sfoglie e disporle in una teglia.

Tagliare le rape in fette sottili e condirle con olio, formaggio grattugiato, maggiorana e sale.

Dividere la pasta in tre pezzi uguali.

Ridurne due pezzi in due sfoglie, adatte a una teglia da forno di 24-26 cm.

Disporre una sfoglia sul fondo della teglia leggermente unto d’olio, ungere anche la parte superiore della sfoglia e adagiarvi la seconda, sopra versare il ripieno di rape.

Le due sfoglie, come nella pasqualina, devono superare i bordi della teglia.

Con il terzo pezzo di pasta formare la sfoglia-coperchio, su cui ripiegare i bordi delle altre due.

Alcuni preferiscono coprire il ripieno con una griglia di strisce di pasta anziché con un disco, come si fa con le crostate.

Infornare a circa 200C° per circa 30 minuti.

SCIANCUI CON SUGO DI PORRI E FUNGHI

Ingredienti per la pasta: 400g di farina, 150ml d’acqua.

Ingredienti per il condimento: 2 porri, una manciata di funghi secchi, 100ml di latte, 200ml di panna fresca, 2 patate, 1 rapa di Caprauna.

Istruzioni:

Impastare la farina con l’acqua fino a ottenere un impasto sodo. Lasciare riposare per mezz’ora.

Tagliare finemente i porri e metterli a soffriggere in abbondante olio evo fino a quando non cominciano a imbrunire.

Tagliare finemente i funghi secchi e aggiungerli ai porri. Lasciare soffriggere ancora 5 minuti.

Aggiungere il latte e la panna e far cuocere ancora per 20 minuti.

Stendere la pasta piuttosto sottile e formare delle sfoglie che dovranno essere tagliate a strisce verticali di circa 3cm.

Mettere a bollire l’acqua della pasta. Appena raggiunge il bollore aggiungere le patate sbucciate e una rapa di Caprauna tagliata a fette.

Passati 5 minuti prendere le strisce di pasta, strapparle a pezzi (dovranno essere dei quadrotti di pasta di 3-4cm circa) e buttarli nell’acqua. Appena salgono sulla superficie scolarli e aggiungere il sugo.

CASTAGNE ALLA MAGGIORANA

Ingredienti: 200g di castagne secche, olio evo q.b., maggiorana essiccata q.b.

Istruzioni:

Immergere le castagne secche in acqua fredda con un pizzico di sale grosso e cuocere per 50 minuti, fino a quando non risultano morbide e ben cotte anche all’interno.

Scolarle e lasciarle raffreddare.

Condire con olio e maggiorana.

Tappa 1: Cisano sul Neva - Aquila d’Arroscia

Tappa 3: Caprauna - Nasino

Caprauna

Tappa 2: Aquila d’Arroscia - Caprauna

Tappa 4: Nasino - Cisano sul Neva

Pennavalley Trek

DIFFICOLTÀ

Il trekking di quattro giorni che viene proposto in questa guida può essere ampiamente modificato in termini di lunghezza, difficoltà, durata, a seconda dei propri gusti, della personale preparazione o del tempo a disposizione. Nella descrizione delle singole tappe vengono indicate numerose deviazioni che possono portarlo a misura di ciascun escursionista.

Lo consigliamo anche a camminatori che abbiano già maturato una certa esperienza e vogliano affrontare un percorso affascinante e inaspettato, wild sotto alcuni aspetti.

La Val Pennavaire è ancora sconosciuta alla maggior parte degli appassionati di trekking e questo, se può avere innegabili vantaggi, porta con sé il fatto che sarà anche possibile non incrociare nessuno lungo il percorso: pertanto non è consigliabile affrontare il percorso in solitaria.

Nei tratti in cresta il cellulare solitamente trova campo, ma questo non sempre capita nei tratti di fondovalle più incassati (e ovviamente nelle grotte!). Un localizzatore satellitare, dal quale è possibile anche inviare facilmente richieste di soccorso, è sempre consigliabile.

Per i radioamatori è presente un ripetitore sul Monte Dubasso (R5 / frequenza 145,3625 MHz / shift -600 kHz / tono sub audio 110.9 / IW1GGQ).

Un consiglio sempre valido è quello di avvertire del vostro arrivo il posto-tappa dove pernotterete. Utile sia a evitare spiacevoli malintesi, ma soprattutto per avere qualcuno che possa allertare i soccorsi in caso di problemi, soprattutto se viaggiate in solitaria.

Il percorso principale suggerito in questa guida richiede sicuramente una buona preparazione fisica e una discreta esperienza, ma può essere semplificato per adattarlo a diverse esigenze.

Nella sua versione integrale presenta tappe di un certo impegno, sia per il dislivello da affrontare che per la lunghezza del percorso. Sono scarsi o del tutto assenti punti di rifornimento idrico o supporti logistici: saranno quindi da prevedere sufficienti scorte d’acqua, specie nei mesi più caldi e assolati. I tratti di cresta, e quindi praticamente quasi interamente la prima tappa e buona parte della terza, risultano privi di ombra.

Alcuni tratti, pur non presentando difficoltà tecniche eccessive, richiedono comunque attenzione per la ristrettezza del sentiero e l’esposizione verso versanti ripidi o dirupati, in particolare in caso di fondo infido, come nel caso di fango o ghiaccio.

Altri segmenti del percorso possono invece vedere la traccia del sentiero scomparire, anche a causa dell’abbondante vegetazione; sarà allora necessaria un po’ di intuizione e il prezioso aiuto delle tracce GPS. Occorrerà poi soprattutto prestare attenzione a non perdere la direzione in condizioni di scarsa visibilità.

L’abbandono di aree del territorio da parte dell’uomo ha portato la natura a riconquistarle, con la comparsa o l’aumento di specie vegetali e animali. Doverosamente segnaliamo la presenza di numerosi cinghiali – che è meglio non disturbare, specie se si tratta di femmine con prole al seguito – sia la ricomparsa del lupo. Sarà possibile osservarne le fatte o i resti di qualche cacciagione, ma difficile un incontro diretto. In ogni caso, sarà meglio non dare troppa libertà a cani di piccola taglia. Il fatto di trovarsi a due passi dal mare non deve poi far dimenticare che ci troviamo in un territorio particolare dal punto di vista climatico (vedi paragrafo specifico). Le difficoltà ovviamente aumentano in caso di maltempo, quando diventa più evidente la scarsità di punti di riparo, la presenza di lunghi tratti sui crinali maggiormente esposti alle intemperie, la possibilità di ampie escursioni termiche.

Complessivamente, se vogliamo valutare l’itinerario principale secondo la classificazione del CAI (Club Alpino Italiano), dovremmo indicarlo come E (occasionalmente EAI in caso di neve), e in taluni tratti come EE, per l’impegno fisico, la presenza di tratti leggermente esposti o che richiedono una certa tecnica e attrezzatura in caso di condizioni del suolo sfavorevoli, la necessità di una certa capacità di orientamento.

LA SEGNALETICA

Risulta purtroppo scarsa o assente in diversi tratti del percorso, e del tutto disomogenea. I sentieri vengono indicati con segnavia diversi a seconda dei settori e, ove presenti, sono indicati nella guida. Indispensabile pertanto seguire una traccia GPS, a piacimento tramite smartwatch, telefono cellulare o apposita strumentazione.

Un discreto senso dell’orientamento sarà di nostro aiuto specie nei tratti boscati, dove l’abbandono delle attività umane ha rinselvatichito e reso più selvaggio l’ambiente. Ricordiamo inoltre che, proprio nel bosco, il segnale satellitare del GPS risulta meno preciso. Il tratto meglio indicato è quello in comune con l’Alta Via dei Monti Liguri (AV in campo bianco tra due tacche rosse), un itinerario che da Ventimiglia raggiunge Ceparana per una lunghezza di 440km, che qui vede la sua decima tappa. Il percorso segue quasi sempre lo spartiacque che divide il versante tirrenico da quello padano, offrendo interessanti punti d’interesse naturalistico e storico-culturale. La seguiremo dal Colle di Caprauna al Passo delle Caranche.

Segnaletica 

pella. Se volete accorciare la lunga tappa odierna, oppure se vi ritenete soddisfatti della vista e delle cime raggiunte oggi e volete variare i punti di interesse, da qui si può prendere l’itinerario intermedio (non dopo aver fatto una piccola digressione fino al Monte Dubasso!).

MONTE ARMETTA

Medesima deviazione se intendete spezzare la tappa e pernottare, se possibile, alla Trattoria del Lago. Nel caso, il giorno seguente potete riprendere l’itinerario principale percorrendo quello più avanti indicato come → Itinerario 6

Con i suoi 1.739 metri d’altezza è la cima più elevata della Val Pennavaire e delle Prealpi Liguri. Come altre montagne della valle, assume caratteristiche marcatamente differenti a seconda del versante. Le pendici verso la Pennavaire si presentano morbide e ricoperte da vegetazione arborea e più su prativa, mentre a nord-est, verso Ormea, sono contraddistinte da una imponente bastionata calcarea. L’area si presenta come un esteso altipiano con alcuni avvallamenti. La cima è individuata da un cippo in pietre, dove è incassata una cassetta metallica con il libro di vetta. Il panorama è grandioso a 360°. A settentrione tutta la Val Tanaro con il massiccio del Marguareis e del Mongioie, il Pizzo d’Ormea, e sullo sfondo parte della Pianura Padana e l’arco alpino. A meridione la costa Ligure, con ben in evidenza la piana di Albenga, e poi tutto il resto delle Alpi Liguri. Nelle giornate più terse non è difficile scorgere i rilievi della Corsica. Il toponimo deriva dal diminutivo del termine “arma”, come in loco vengono indicate le grotte. Singolare la possibilità di ammirare in un unico sito la fioritura della lavanda e quella delle stelle alpine!

3.3 – Colle di San Bartolomeo – Colle del Prione

Tempo: 1h15’ – Lunghezza: 3,2Km

Proseguendo invece per l’itinerario alto, al colle si evitano le strade sulla sinistra e sulla destra che conducono rispettivamente a Ormea e ad Alto, e si segue il sentiero centrale tra le due, che sale per raggiungere le pendici del Monte

Dubasso (8,1Km, 1.538m), cima alla quale conduce una deviazione sulla destra, che si incontra prima di un boschetto.

MONTE DUBASSO

È una vetta posta sullo spartiacque Pennavaire/Val Tanaro, di 1.538m. Notevole il panorama dalla cima, che spazia dalle numerose cime delle Alpi Liguri alla piana di Albenga e al Mar Ligure. La sommità è costituita da un’ampia cupola, con numerosi massi e rocce che emergono dal prato. Si tratta di quarziti di Ponte di Nava, di difficile erosione da parte degli agenti atmosferici, tra le quali albergano il rododendro e il camedrio alpino. Sul più alto di questi affioramenti rocciosi è collocata la croce di vetta. Se l’accesso dal versante occidentale dal Colle di San Bartolomeo appare molto tranquillo, su morbidi pendii erbosi, il lato orientale è più articolato e impervio, contraddistinto da guglie di dolomie e solcati canaloni.

DA CONSCENTE AL FORTE DI ROCCA LIVERNÀ e ritorno

2h30’

DESCRIZIONE TAPPA. Facile percorso, sempre panoramico, che permette di visitare le fortificazioni di Rocca Livernà, con vista sul mare e passaggio nella macchia mediterranea.

 410m /  410m

 500m /  93m

5,4km E

PERCORSO. Il tracciato, che parte dalla frazione Conscente di Cisano sul Neva, ricalca la parte iniziale della prima tappa del Pennavalley Trek (tratto → 1.1).

È possibile dedicare il tempo desiderato alla visita dei resti delle fortificazioni che, nonostante lo stato di degrado, conservano ancora un notevole fascino dal punto di vista ingegneristico e storico.

Per il ritorno è possibile ripercorrere in senso inverso l’itinerario. Volendo invece effettuare una deviazione, poco dopo la garitta posta a valle del forte basso, si prende la sterrata più ampia sulla destra, anziché procedere sul sentiero dell’andata.

Si procede in direzione della Croce di Conscente, scendendo con pendenza più dolce dell’andata, in direzione est. Si mantiene la direzione est restando in cima al crinale, evitando deviazioni sulla destra. Si procede così per circa 900 metri, fino a raggiungere un colletto, dove arriva una strada proveniente da Becco. Qui si gira a sinistra e ancora subito a sinistra, procedendo questa volta con direzione nordovest sul versante sovrastante Conscente, fino a ricongiungersi alla traccia seguita all’andata.

Albenga e il mare salendo verso Rocca Livernà 

Conscente

Forte di Rocca Livernà Rocca Livernà 552 
307  Croce di Conscente
Villaggio Versolmar
Martinetto
Castello di Conscente

VIA JULIA AUGUSTA (ALB1)

3h30’

tempo di percorrenza

Affascinante itinerario lungo un’antica via, con testimonianze storiche e un affaccio costante sul mare.

dislivello positivo/negativo

 81m /  7m

quota massima/minima

10,2km T

 160m /  160m difficoltà

A Santa Croce e alla partenza

Si parte dalla centrale Piazza del Popolo di Albenga. Si oltrepassa il caratteristico ponte sul fiume Centa e si prosegue fino a giungere su Via San Calocero. Andando a destra si incontra subito una stradina in salita che porta a passare accanto al Santuario di Nostra Signora di Fatima. A breve distanza da qui sorge il complesso archeologico di San Calocero. Si prosegue a salire con due tornanti e si imbocca successivamente una strada in acciottolato in ripida salita. Sulla sinistra, purtroppo non visibili, i resti dell’anfiteatro romano.

La strada poi spiana e si prosegue con ampi scorci sul mare e sull’isola Gallinara. Stiamo percorrendo adesso quella che era l’antica Via Julia Augusta, che conserva per un breve tratto l’antico fondo stradale, mentre oggi per la maggior parte è sterrata (ma sono presenti anche tratti di asfalto e cementati).

segnavia

VIA JULIA AUGUSTA

Antica via di comunicazione romana, era un ramo della Via Aurelia. Venne fatta costruire dall’imperatore Ottaviano Augusto per collegare la Gallia Cisalpina con quella Transalpina, andando da Piacenza fino al fiume Varo, in prossimità di Nizza. Per gran parte seguiva l’andamento costiero, e pertanto si può facilmente intuire come sia ormai praticamente del tutto scomparsa. Il tratto da Albenga ad Alassio è forse quello che, per motivi storici (fu area coltivata dai benedettini) e geografici (è un tratto irto sul mare) si è meglio conservato come tracciato originario e presenta ancora, anche se in pochi tratti, il sedime stradale originario. È infatti presente il lastricato romano con segmenti trasversali rilevati per lo scolo delle acque meteoriche, oltre a pietre laterali a delimitarlo (margines). Non manca un muretto di contenimento a monte. Anche se attualmente può sembrare nulla più che una piccola stradina secondaria, a uso di escursionisti e bikers, fino all’800 rappresentava la via principale di collegamento tra Albenga e Alassio, non essendo ancora esistente la sottostante Aurelia.

Dopo un breve tratto si oltrepassa una scalinata che arriva dal basso, partendo nei pressi dell’ex Caserma Piave. Lungo la via si possono osservare sette luoghi funerari, antiche necropoli di età romana risalenti al primo secolo, indicati con le lettere da A a G, con pannelli esplicativi. Il percorso segue a mezzacosta le sinuosità del rilievo che scende rapido verso il mare, sempre affacciato su di esso, con l’isola Gallinara in evidenza.

Monte Rosso  242
Nostra Signora di Fatima
San Bernardo Ex Caserma Piave
Sant’Anna ai Monti
Santa Croce
Sant’Anna
Monte Bignone
523
San Fedele
Colombera
Monti Soprani
Canelli
Sant’Anna
Fossè Sarture
C. del Monte
Anfiteatro romano
Necropoli romana
Rovine romane
Terme romane

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