Titolo originale: Full of myself Pubblicato da: Johnny Dawes Books Copyright © 2011 Johnny Dawes 2013 © VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi, 10 Milano Per l’edizione italiana tutti i diritti riservati 1a edizione Luglio 2013 www.versantesud.it ISBN 978-88-96634-86-8
I
R A M P I C A N T I
Johnny Dawes
IO SUPERCLIMBER Traduzione di Elena Corriero
EDIZIONI VERSANTE SUD
L’Epilogo Assoluto di George Smith
Serata discoteca al Dolbadarn. Le luci guizzano al ritmo della musica incalzante. La folla si perde nella nuvola del fumo delle sigarette. Si beve e si balla. Il DJ all’improvviso intravede una figura all’ingresso; un petto possente su vita sottile il cui profilo si staglia contro la luce retrostante. Ferma la musica per un momento e fa un annuncio al microfono. “Signore e signori… Mister Dawes.” Scherni di Llanberis. Arrivò fra di noi, in qualche modo appesantito dalla sua stessa luminosità. Ci abbagliava con le sue vie e ci confondeva con il suo cervello alla Dawes. I suoi farneticamenti erano un difficile viaggio per l’umile ascoltatore. Ci conduceva giù per lunghi, inconcludenti tunnel di complesse riflessioni, le conclusioni slegate dal punto di partenza. “Insomma”, abbiamo esclamato tutti prima o dopo: “Mettilo per iscritto, Johnny”. Così ha fatto. Quei pensieri in ascolto, quelle diatribe, adesso sono congelate sulla pagina, così che possiamo almeno sapere. Non era mai felice. Estatico talvolta, ma mai contento. Ricordo uno dei primi incontri alle cave, raggiunsi la cima di una qualche via ed eccolo lì, a bighellonare da solo sulla spianata. Faceva rotolare una botte verso il bordo della parete. “Che fai, John?” “Veramente stavo pensando di ammazzarmi”, rispose, in tono deciso. Il fusto cadde giù. Uno schianto. Una settimana dopo aveva raccolto le forze per scalare Indian Face. Lui ed io ci aggiravamo in un campo minato di incomprensioni. Da entrambi i lati. “George, sai che sei molto competitivo, senza una ragione.” Cavolo, che stronzetto pomposo poteva essere, con i suoi vestiti vistosi, i suoi modi da saputello e il suo feticcio per le macchine. Il grit era il verbo, per caso non lo sapevo?
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“Certo, Snowdonia è molto più adatta per quel tipo di scalata… scomposta.” Mi faceva quasi sentire una docile vitella che doveva affrontare un piccolo e arrabbiato giudice a un fiera di bestiame, nel giorno dell’esibizione. In questo libro, non lo vedete arrampicare. Lasciate che vi spieghi. Se mai aveste visto Johnny arrampicare, non lo avreste mai dimenticato. Eccome se sapeva muoversi sulla roccia! Non era solo questione di puro talento, era capace anche di provare duramente. La passione! La rabbia. “Cazzo, sto solo cercando di scalare un po’ ”, rimproverava la roccia. Non sono le salite inappuntabili che ricordo più vividamente, ma la galanteria dei suoi assalti all’ignoto. Provava delle manovre che nessuno aveva mai pensato di fare. E di più: in punta di piedi su una placca, saliva in tecnica da camino su un muro liscio, talloni su una lista dove tutti noi altri avremmo usato la punta. Una volta, apparentemente minuscolo nell’immensità delle infinite increspature di Strone Ulladale, osservai il piccolo uomo che saliva da primo, una spazzola in una mano, i chiodi e il martello che penzolavano, il gigantesco set del materiale sembrava non pesargli addosso; miglia al di sopra dell’ultima protezione. Laddove noi non ci saremmo sognati di andare, lui sembrava stranamente a casa. A metà di quella stessa parete lo vidi una volta su una cengia che giocherellava distrattamente con alcune pietre che aveva trovato in sosta. Non stava mai fermo. Un giorno, alle cave, lo vidi salire su una placca di ardesia grande come una macchina, in equilibrio su un pendio di detriti troppo ripido. La placca iniziò a scivolare pericolosamente. Invece di farsi sconfiggere dall’impudente, corse semplicemente su per la placca che scivolava e cerimoniosamente saltò giù dal bordo mentre quella precipitava in una nuvola di polvere e distruzione. Una volta, lasciando Stanage per Sheffield nella più fitta delle nebbie, dimostrò il suo senso della distanza contando i secondi e poi sterzando con decisione nel nulla. Era un incrocio. La sua usuale discesa delle scale di Zoë Brown in un tuffo perfetto era una prestazione straordinaria (non documentata appropriatamente nella storia dell’arrampicata). A testa in giù,
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scivolava nell’aria come uno scoiattolo volante, a braccia distese. Senza la moviola, è difficile spiegare i complessi dettagli delle procedure di atterraggio. In tutta la storia, il movimento emerge ovunque, come se non potesse essere tenuto a freno. La complessità dei movimenti e la potenza della concentrazione sono espresse in modo speciale affinché noi le possiamo assorbire. In effetti, quando finii questo libro, giuro su Dio che il mio senso dell’equilibrio… era migliorato! Il libro di Johnny è una storia d’amore sui generis. Sembra iniziare su uno strano sfondo di emarginazione in un contesto di ricchezza insoddisfacente. Poi c’è la storia con la roccia. In lei, Johnny trova una partner perfetta (anche se ultimamente la differenza di età è diventata un problema, ma speriamo che una relazione più moderata e matura possa continuare per molti anni a venire). Poi ci fu l’adorazione del mondo dell’arrampicata, l’amore irreale e distante del pubblico. La sua genialità e la sua ossessività gli diedero una strana collocazione in una cultura perlopiù riservata e modesta. “Non dovrei giudicare me stesso, no?” Noi non eravamo d’aiuto, quasi tutti sostenevamo che sì, lui era uno dei migliori scalatori al mondo, ma poteva anche evitare di parlarne in continuazione. Niente di ciò lo aiutò a navigare nella vita normale, quotidiana. Ancora oggi fa fatica a decodificare le faccende di tutti i giorni. Una volta esclamò: “Nella vita c’è sempre qualcosa che non va”. Ma davvero, Johnny? Negli anni del tramonto, non dovevi essere uno psicologo per percepire il suo sgomento nell’essere superato dagli arrampicatori più giovani, te lo diceva senza giri di parole, agonizzando per la sua abdicazione forzata. A volte piangeva come un uomo adulto. Johnny non cercava niente di nuovo. Sentiva solo la necessità di convogliare tutte le sue energie in una missione con uno scopo. Voleva la paura atavica, la lotta, e gli onori che derivano dalla caccia vittoriosa della bestia selvaggia. Tanti di noi erano impegnati nella stessa cosa, ma lui sceglieva sfide più grandi delle nostre. E regolarmente acciuffava quei mammut metaforici, spingendosi un po’ più in là, usando abilità superiori, mettendosi in situazioni
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di grande pericolo. Poi portava in trionfo i mostri domati per mostrarceli, dirigendosi verso il libro delle vie da Pete’s Eat, dove il loro fato sarebbe stato sigillato in piccole annotazioni ordinate e compiaciute che descrivevano i fatti in maniera succinta. Dopo, per poche ore potevate vedere un uomo davvero vivo, un piccolo pezzo di grandezza. “Ecco!” ridacchiava, e il suo sorriso illuminava tutto il bar. Sì, ci sono parti strane in questo libro, perché lui è fatto così. È un uomo che trova un senso nei traversi su puntine da disegno e sui battiscopa, ha scalato senza mani o con i guantoni da boxe addosso. Un tracciatore per i ragni! E sì, c’è un rapporto intimo e serio con un’ape ferita. Forse la bellezza sta davvero nell’occhio di chi la vede!
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Scala comparativa valutazioni difficoltà FRANCIA
UIAA
1-2-3
I - II - III
4a
IV-
4b
IV
4c
V-
5a
V
5a+
V
5b
V+
5b+
V+
5c
VI
5c+
VI/VI+
6a
VI+/VII-
6a+
VII
6b
VII/VII+
6b+
VII+
6c
VIII-
6c+
VIII
7a
VIII+
7a+
IX-
UK E-M-D
HVD MS S
4c
HVS
5a
E1 E2
E3
E4
7b
XI-/IX
E5
IX
E6
7c
IX/IX+ IX+
8a
IX+/X-
8a+
X-
8b
X
8b+
X+
8c
X+/XI
8c+
XI+
9a
XII
9a+
XII+
9b
XIII
4b
VS
7b+
7c+
4a
5b
5c
6a
6b
E7
6c
E8
7a
E9
7b
E10
7c 8a
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Fine della Storia Per riuscire a fare le vie dure, il grit va spazzolato, soltanto quella volta. Dopo avere pulito conosci la sequenza, e il mistero della linea in parte si è perso. L’ultima linea dura che tentai senza prima provare i movimenti fu lo spaventoso quanto essenziale spigolo di Sorrel’s Sorrow Buttress. Sembrava che offrisse troppi pochi appigli, ma un spaccatura in basso, che avrebbe amichevolmente accolto un friend, mi spinse a provarlo senza pratica. Nel 1985 scalavo un sacco con i miei amici del MUMC: Paul Clark, un dottore, cosa incoraggiante, e Matthew Gordon, il migliore autostoppista del mondo. Avevamo un’arma segreta. Matt aveva portato una corda, di provenienza ignota, talmente rigida che avrebbe limitato qualsiasi caduta. La protezione nella spaccatura era a prova di bomba, ma a soli 5 metri di altezza. Lo spigolo è alto quindici metri e poggia su uno zoccolo sopra una rupe di cinque metri. Decidiamo che in caso di caduta dovranno buttarsi giù da qui! Nick Dixon mi ha gentilmente dato un sacchetto per la magnesite fatto in casa. Non è molto utile, quando ci infilo la mano non riesco a tirarla fuori. Al primo tentativo arrivo a un riposo senza mani con aggancio di tallone, a dieci metri di altezza. Raggiungo e pinzo un’incisione sullo spigolo più in alto. È più brutta che comoda. A destra c’è una svasa, più oltre una rampa di cui ho individuato e memorizzato il punto migliore da uno sperone di roccia vicino. Tengo la piatta, pronto ad andare, ma gli spalmi sono o troppo alti o troppo bassi per arrivare con confidenza alla rampa piatta. Sono fermo da troppo tempo sulla presa pinzata che inizia a trasudare unto, come solo Curbar sa fare, anche quando la roccia è gelata. Ho i piedi troppo alti. La pinzata non è abbastanza buona per spostare adesso il peso in opposizione. La caduta sta per arrivare. Sono più alto rispetto alla protezione di quanto la protezione lo sia rispetto a terra, non c’è alto né basso, questa è terra di nessuno. La caduta non è nemmeno diritta, sulla verticale. Da un lato c’è un blocco che bisogna evitare. Mi rannicchio il più in basso possibile, ancora appeso alla roccia. Mi concentro per l’atterraggio. Assumere una posizione verticale in aria.
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Una foto dell’occasione mostra i due assicuratori in due modalità: Paul fermo, Matt che sta già correndo giù dalla collina. Durante quei secondi, il futuro della mia spina dorsale è incerto. L’eroico salto di Matt carica il camalot che avevo piazzato nella spaccatura come il peso di due persone. Il contraccolpo sull’imbrago mi sbatte con violenza in alto, la decelerazione scaglia i miei piedi contro la piattaforma rocciosa. “Grazie…. Aaaaahhhiii…” Pochi minuti dopo sto mangiando un ripugnante sandwich al prosciutto. Mi ero dimenticato quel dettaglio, ma a quanto pare a quel punto estrassi anche dalla patella del mio zaino una lattina di Long Life, dicendo: “Una birretta dovrebbe calmarmi”. Un po’ dopo riparto, mi blocco di nuovo, e tutta la storia si ripete. Due anni dopo avrei ceduto e provato il movimento dall’alto, soffiando a un altro la rivendicazione della linea, che averi salito in un tardo pomeriggio di giugno. L’atmosfera competitiva mi intristì profondamente. Era la “Fine della storia”37. Le cose vanno storte molto più rapidamente, a questo livello. Non sarei riuscito a fare il movimento come lo avevo provato. I due spalmi che avevo pensato di usare per la sezione chiave non andavano bene. Uno spalmo laterale rientrante, tra i due appoggi, era la sottile soluzione. Nick Dixon mi assicurò nella prima salita, poi fece la seconda salita tenuto da Andy Popp, che fece la terza. Così nacque la maledizione di The End of the Affair.
37 - Fine della storia, ovvero “End of the Affair”, il nome della via.
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Fives Court Arête, E5 6b, il chiave in cima, il muro laterale presentava un costolone difficile da salire in opposizione. Sul muro interno c’era un un traverso da spigolo a spigolo. Vicino all’edificio di chimica c’era Epée, 6c, uno spigolo dannatamente delicato; bisognava prendere le prese dietro lo spigolo alla cieca, dopo averle individuate prima dal basso.
Un E7 fisico e precario in opposizione sul muro del centro sportivo di Uppingham.
“Manchester… Così tante responsabilità”. Passaggio n.5. (Foto Craig Smith, quello coi pantaloni lunghi)
Lo spigolo di Stone Monkey.
MIdnight Oil, 6c. Una presa spuntata spingendo il chiodo nel cemento era sufficiente a evitare la sbandierata.
Ulysses or Bust, E5 6b, seconda salita, a vista. John Allen mi sorprese quando caddi dal passo chiave, atterrando sullo zaino. La via mi sembrava simile a Ulysses, a Stanage, così dissi a Neil Foster che perse quasi una gamba cadendo da Ulysses. Da cui il nome. Fate attenzione a chi chiedete il grado di una via…
La mini 850 davanti a Pete’s Eats. (Foto Martin Crook)
Track of the cat, E5 6a. (Foto John Kirk)
Io su Windows of Perception, E7 7a.
Windows‌ Vedi nota I.
1 - Coeur de lion E8, 7a, 6c, 6b 2 - The Quarryman E8, 6c, 6b, 6c,7a 3 - The wonderful world of Walt Disney E6, 6b, 6b, 6b, 6a
1
2
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La cava dove sale The Quarryman. Nel riquadro uno dei passi chiave risolto alla maniera di Dawes
Coeur de Lion, E8 7a, F8a+, primo tiro naturale di The Quarryman, F8a & FirĂŠ Escape, F7c. (Foto Heinz Zak)
The Crook lava il bucato. Foto George Smith. Crocifisso sul passo chiave di The Quarryman, nota J. (Foto Paul Williams)
Viziosa e precisa, ma soddisfacente. The very big and the very small conta solo quattro salite, al 2011. D’obbligo una manicure a scarpette e unghie. (Foto Heinz Zak)
Indice L’Epilogo Assoluto di George Smith
5
Scala Comparativa Valutazioni Difficoltà 9 10 Il Professor Whittaker 15 Providence 19 La Camera da Letto di Hitler 21 Le Elementari 26 Eastington 31 Beep…Beep… 34 Uppingham 44 Aperitivo di Natale 47 Vacanze Estive 57 Tutto Fila 65 Gomma Vecchia “Avon Callingˮ 67 Stufato di Cuore 69 74 Neil ed Io 79 Lover’s leap 84 Ulysse o la Spacca 90 Un Passo Oltre 93 Menopausa Adolescenziale 100 Mellow Yellow 2CV 102 L’arcobaleno 104 107 Vivian Quarry 110 Coccinelle 116 Fine della Storia 118 Le Ali della Follia 125 L’Acqua nella Ciotola 131 Gogarth
Quarryman La Caduta Indian Face Strone Ranger Buoux 22 Troll Wall In Tv India Action Directe Postfazione Una Direzione Face Mecca Una Vera Pacchia Little Wing La La Land Harrison Ford The Angel’s Share E9 Pieno di Me Tagliando le Curve Giro di Francia Uno Strano Carico Il Mio Primo Lavoro Lover Tutto È Transitorio
142 150 152 160 177 186 193 200 207 214 221 223 227 230 231 236 245 249 252 256 263 275 280 284 287 292
Note alle Foto Ringraziamenti
296 300
Quel che mi rende più orgoglioso è la sensazione di essere perfettamente in sintonia con il comportamento che la roccia può avere. È come se mi stesse rivolgendo delle domande. È una musica impersonale – non scritta in forma di musica, è come se qualche bizzarro stravolgimento geologico abbia tramutato certe rocce in uno spartito su cui, quando siamo in grado di leggerlo, possiamo danzare. E se presti davvero attenzione a questa danza, tanto più la via diventa dura, tanto meno prese o soluzioni ovvie presenta, quanto più il messaggio che ti trasmette la roccia è complesso e articolato.
e 19,00 978-88-96634-86-8