Giuseppe “Popi” Miotti
LA VIA DEL TARCI
Tarcisio Fazzini, genio del granito
EDIZIONI VERSANTE SUD | I RAMPICANTI
Adattandosi al mutare dei tempi l’alpinismo si è sempre più avvalso dei moderni mezzi di comunicazione per dare risalto a imprese grandi e piccole. In alcuni casi l’enfasi e la spettacolarizzazione con cui sono state presentate hanno superato di gran lunga il loro valore storico e sportivo, tanto che a volte è nettamente percepibile una sorta di dicotomia. Da un lato ci sono le ascensioni di grande valore tecnico ed esplorativo magari compiute su montagne sconosciute e dall’altro quelle che acquisiscono importanza anche per la bravura comunicativa dei protagonisti e per la facile presa che certe caratteristiche hanno sul grande pubblico. Da questo punto di vista, salire un 8000 anche solo per la via normale è senza dubbio più efficace che riuscire in una straordinaria e difficile ascensione su un 6000. Moltissimi sono gli scalatori che ogni anno compiono più o meno in sordina imprese di grande valore e il più delle volte le loro gesta restano purtroppo confinate nell’ambito degli addetti ai lavori, favorendo nel grande pubblico una falsa percezione dell’Alpinismo. Fra questi scalatori silenti la figura di Tarcisio Fazzini emerge in tutta la sua semplice e quindi straordinaria efficacia. In una decina d’anni Tarcisio e compagni hanno mostrato che fantasia e azione possono portare a risultati incredibili anche su pareti poste a pochi chilometri da casa, senza partire per mete lontane. Purtroppo la Via del Tarci si è conclusa troppo presto, ma il suo segno deve rimanere e questo libro, oltre che un affettuoso omaggio da parte dei suoi familiari, vuole essere il testimone di uno stile alpinistico forse inarrivabile, ma sicuramente da perseguire in ogni caso. GIUSEPPE MIOTTI (aka POPI), nato a Sondrio nel 1954, ha conosciuto la montagna giovanissimo. Dopo un periodo come cercatore di minerali si è dato all’alpinismo. Negli anni 70 del Novecento è stato fra gli esponenti storici del Nuovo Mattino, membro dei Sassisti di Sondrio. Ha sempre cercato la completezza su ogni terreno, spaziando dal boulder alle salite invernali e prediligendo gli aspetti esplorativi dell’alpinismo con l’apertura di molte vie nuove. È stato Guida alpina e ha dato al suo professionismo una visione più ampia, contemplando ogni genere di attività purché legata esclusivamente alla montagna, nel maggiore rispetto possibile del suo ambiente e della sua storia. Con Tarcisio Fazzini ha scalato in prima assoluta e prima invernale la NE del Pizzo Cengalo, ultima parete parete inviolata della Val Bondasca. Da tempo ha ridotto la sua attività di scalatore dedicandosi allo studio e alla pratica del Taiji, ma continua a frequentare assiduamente le cime e a lavorare fedele alla sua linea professionale. In collaborazione con:
Copertina: Tarcisio su La signora del tampax in Val di Mello. Foto: Sabina Gianola Retro: Foto: Arch. T. Fazzini
PIZZO BADILE. Spigolo Nord e Versante Nord-Ovest Foto: arch. Mario Sertori
I
PIZZO BADILE. PARETE EST-NORD-EST Diretta del Popolo O. e T. Fazzini, L. Gianola, 1987 600m (13L) 7a/b (in origine 6a/A1)/R3/IV Prima RP (onsight) Rossano Libèra, 2000 Foto: arch. Mario Sertori
Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI
II
PIZZO BADILE. PARETE NORD-OVEST 1. Jumar Iscariota O. e T. Fazzini, L. Gianola, 1986 500m (13L) 6c (6b obbl.)/RS4/IV Prima solitaria Gianluca Maspes, 1995 2. Galli delle Alpi T. Fazzini, N. Riva, 1989 360m (8L) fino al raccordo con la via Chiara 6b (obbl.)/S3/III
2 1
3
3. Ringo Star O. e T. Fazzini, L. Gianola, 1985 650m (17L) 5c+/6a/R2/IV Foto: arch. Mario Sertori
III
VAL DI ZOCCA. COSTIERA DELL’AVERTA Giulia Dream T. e O. Fazzini, S. Gianola, 1988 325m (8L) 6a+ (obbl.)/R3+/III Prima solitaria, Rossano Libèra, 2001 Foto: arch. Mario Sertori
Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI XIV
PICCO LUIGI AMEDEO Elettroshock T. Fazzini, S. Gianola, N. Riva, 1989 440m (12L) 7c/7c+ (6c+ obbl)/RS2+/ IV Prima RP O. Bajana e M. Heuger 1994 Prima solitaria G. Maspes 2000 Foto: arch. Mario Sertori
XV
2020 © VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi, 10 Milano Per l’edizione italiana tutti i diritti riservati Tutte le fotografie, se non diversamente indicato, sono di proprietà dell’archivio di Tarcisio Fazzini. Oltre agli amici che hanno contribuito alla realizzazione del libro, l’autore ringrazia Gianluca Maspes che ha curato la stesura e l’aggiornamento di molte delle schede relative agli itinerari. 1a edizione gennaio 2020 www.versantesud.it ISBN: 978 88 85475 960
a cura di Popi Miotti
LA VIA DEL TARCI Tarcisio Fazzini, genio del granito
EDIZIONI VERSANTE SUD | COLLANA I RAMPICANTI
INDICE Uno speciale ragazzo normale
7
Prefazione 9 Prefazione alla nuova edizione
11
Pejonasa Wall
Chi si ferma è perduto Tarcisio Fazzini: il genio del granito di Carlo Caccia 13 Antefatto 19 Dieci anni senza respiro
23
Grazie Tarci di Ottavio Fazzini 33 Tarci Forever di Andrea Savonitto 35 Tarci Peak di Ennio ‘Spira’ Spiranelli 37 No controles
40
Chi cerca trova
42
Ringo Star
44
Ringo Star di Tarcisio Fazzini 47 Tarcisio… mi ricordo di Guido Lisignoli 51 L’amica del Badile di Renata Rossi 55 Le Corna non fan peso
58
Amicizia che non muore di Giovan Battista Gianola 60 Jumar Iscariota
62
Jumar Iscariota al Badile di Tarcisio Fazzini 65 L’avventura di Livio
66
Una cordata da sogno di Gianluca Maspes 68 Divieto di Sosta
70
Carretera de la Cocia
73
Il Deserto dei Tartari
76
Champignons merveilleux
78
La Diretta del Popolo
80
Cacao Meravigliao
82
La salita perfetta di Giuseppe Miotti 84
87
Precipizio degli Asteroidi. Parete Sud-est, Pejonasa Wall di Tarcisio Fazzini 91 94
Pianeta Scingino di Tarcisio Fazzini 98 Delta Minox
104
Tarci e la bambola di Ettore Togni 109 Giulia Dream
112
Patagonia: il pilastro impossibile
115
Vuoto senza ritorno
118
La Spada nella Roccia
120
Amici rivali di Paolo Vitali 123 Black Highway
128
Elettroshock 130 Al Picco? No, grazie di Tarcisio Fazzini 133 Galli delle Alpi
138
Un modello irraggiungibile? di Simone Pedeferri 140 Tarcisio arrampicatore sportivo
143
Nuove testimonianze
147
Grande Tarci di Adriano Selva 149 Un poeta e un visionario di Luca Schiera 151 Istantanee sul granito di Pietro Buzzoni 154 Preghiera sulla Sfinge di Rossano Libera 158 Una sfida e un omaggio di Luca Schiera 160
Interviste 167
La mente mi dice: «Tieniti stretto tutto questo nella tua memoria, ponilo sotto vetro nel tuo scrigno spirituale, questo è oro puro». E in questo attimo mi sento straordinariamente ricco. Frase sottolineata da Tarcisio sulla copia del libro “Yosemite” di Reinhard Karl posseduta da Norberto Riva e che spesso egli amava ricordare a Norbi e agli altri compagni di cordata
Foto: Arch. G. Miotti
Sopra, un bel ritratto di Tarcisio pensieroso durante una delle tante scorribande verso le grandi pareti di granito della Val Masino. Sotto, “O.K sei al Rifugio Gianetti. Sei stanco? Ma no! Sono solo quattro ore dai Bagni Masino… Il lungo e caldo pomeriggio di luglio invece non passa mai, il sole è sempre lì, fermo, ti rompi le balle e… Allora che ne diresti del Dente della Vecchia: cammini poco e godi molto”.
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UNO SPECIALE RAGAZZO NORMALE
Ci siamo chiesti tante volte che senso potesse avere fare un libro per ricordare Tarcisio, a distanza di quasi dieci anni dalla sua scomparsa. Seppure con alti e bassi, l’idea è sempre stata in ciascuno di noi e pian piano si è ora concretizzata. La sua prematura ed improvvisa scomparsa, ci ha lasciato nella tristezza e nel dolore, ma ci ha uniti di più. Il tempo trascorso ha tuttavia mitigato un po’ il nostro dolore, permettendoci di decidere più serenamente come impostare il lavoro. Infine abbiamo deciso di promuovere qualcosa di originale, in cui Tarcisio fosse ricordato principalmente per quella che fu la passione della sua vita. “Il Tarci aveva un modo geniale e innovativo nell’arrampicare, e le sue vie sono tutt’ora valide e attuali”. In questa affermazione, fatta da una persona competente, è riassunto il motivo che ci ha convinti a ricordarlo attraverso le sue imprese, quelle scalate che lui ha saputo creare in un modo tutto suo e un po’ speciale, affinché gli appassionati dell’arrampicata lo possano conoscere. Questo è un libro soprattutto per loro, per chi è attratto da queste avventure. Qui sono condensate la tecnica e l’abilità di Tarcisio. Ma chi lo ha conosciuto, fra le righe troverà anche un po’ di cuore, e l’affetto di coloro che gli hanno voluto bene. Tarcisio era un ragazzo normale, nel senso vero di queste parole, e proprio come tutti i giovani, aveva aspirazioni e desideri profondi nel cuore. L’arrampicata, le sue “veloci corse in avanti”, la montagna in generale, con le sue incognite, gli permisero di realizzare le sue grandi aspirazioni, pur conservando la semplicità di carattere di un “ragazzo di montagna” che, però, non si accontentava del lavoro di fare forbici o di andare al bar con gli amici. Così è sembrato molto bello, per noi, suoi familiari, che abbiamo condiviso una parte importante della sua vita, e per i suoi amici o compagni di cordata, Premessa 7
poter realizzare qualche cosa di tangibile a suo ricordo, per non dimenticarci di lui, delle sue imprese, dei suoi pensieri, della sua vita. La morte di una persona che ti è cara, in qualche modo, rende davvero “diversa” l’esistenza e forse in questo nostro desiderio si nasconde anche il bisogno di prolungare un po’ la sua vita e rendere più fresco in noi il suo ricordo. È anche con questo pensiero che lasciamo La Via del Tarci a tutti quelli che la vorranno leggere, forse anche per poter scoprire qualche cosa di nuovo sul suo protagonista… I familiari
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PREFAZIONE
Questo libro, fortemente voluto dai familiari di Tarcisio Fazzini, regala agli appassionati della montagna tutte le vie aperte dal giovane alpinista di Premana scomparso nell’inverno del 1990. Ho però avuto molte perplessità nell’accettare l’incarico affidatomi perché, se da un lato mi sentivo onorato di ricordare l’amico, dall’altro mi rendevo conto dell’impegno che avrebbe richiesto. Molto meglio che la costruzione di un nuovo rifugio o bivacco, di cui ormai rigurgitano le nostre cime, io, come molti amici di Tarcisio, vedo in un libro lo strumento più adatto per far conoscere un personaggio per molti aspetti unico, un alpinista e uno scalatore di prima categoria. Personalità semplice e schietta, il Tarci non avrebbe però gradito essere dipinto come un martire o un santo della montagna. Non era il tipo da indulgere in tristezze e racconti strappalacrime infarciti di buoni sentimenti a tutti i costi. Per questo motivo, d’accordo con la famiglia, abbiamo puntato su un impianto narrativo che, attraverso la descrizione delle prime salite del Tarci, ne potesse fare emergere anche certi tratti del carattere e della personalità. Una volta stabilito il procedimento generale ho pensato al titolo che in origine sarebbe dovuto essere ‘Le Vie del Tarci’, ma che, francamente, mi sembrava un po’ troppo riduttivo. Avrei voluto un titolo che in poche parole riassumesse la storia di un percorso non solo alpinistico ma anche umano, di una ricerca conclusasi troppo presto. Per questo, da ‘Le Vie del Tarci’ siamo giunti a ‘La Via del Tarci’, intendendo con ciò riunire in un’unica Grande Via tutte le prime ideate e realizzate da Tarcisio Fazzini e da chi gli fu compagno. Ogni ascensione sarà quindi considerata come un tiro di corda, in totale 20, di questa metaforica Grande Via che, come vedrete, non è mai facile, nelle lunghezze più brevi come in quelle più lunghe e complesse. Ogni tiro della Grande Via ha una sua presentazione generale che precede lo schizzo originale fatto dal Tarci al termine della salita. Prefazione 9
Si tratta di schizzi precisi, caratterizzati da uno stile di disegno pulito e semplice, dai quali emana anche una certa atmosfera naif che li ha resi unici nell’ancora poco studiata arte della relazione tecnica. Oltre questa parte, che possiamo definire introduttiva, ogni via è accompagnata da altri scritti, a volte dello stesso Tarcisio, altre volte ad opera dagli amici che hanno partecipato all’impresa in questione o che l’hanno vissuta da vicino. Forse questi contributi sarebbero potuti essere di più, ma, per motivi strettamente personali, alcuni dei protagonisti delle avventure di Fazzini hanno preferito tenere per sé i ricordi e le emozioni di quei momenti. Gli scritti originali dell’alpinista premanese sono affiancati all’inizio da una piccola icona che richiama il suo profilo come compariva nella copertina della prima edizione; gli altri sono invece evidenziati da un’icona che raffigura uno scalatore. Tarcisio è stato come una meteora, è comparso un giorno fra le cime della Val Masino, ha forse deciso allora che quello era il luogo più adatto e conveniente per potere aprire la sua Via ed ha iniziato a frequentare la valle ad ogni occasione possibile. Qui, in pochissimi anni, ha risolto alcuni dei problemi alpinistici più importanti, costruendo un piccolo mito che ancor oggi, a distanza di dieci anni dalla sua scomparsa, non ha perso smalto. Le vie aperte dal Tarci restano ancor oggi dei problemi molto seri e alcune di esse sono state ripetute solo pochissime volte, a riprova del valore e dell’audacia del suo primo salitore. In fondo al volume ho inserito anche tre interessanti interviste che, a mio giudizio, potevano essere utili per meglio capire chi fosse Tarcisio. Ora, alla fine di questo lavoro, riguardando i suoi scritti e le fotografie, mi sento completamente soddisfatto. So che ci sono alcune lacune, ma ho già spiegato il perché. Forse mancherà ancora qualche cosa, ma credo siano elementi di secondaria importanza. Gli scritti degli amici sono sintetici e asciutti, come possono essere le parole degli alpinisti. Eppure, chi ha vissuto anche solo per qualche tempo la grande montagna, non potrà che coglierne tutta la profondità, riandando col pensiero alle atmosfere da egli stesso tante volte respirate durante i giorni e… le notti dell’avventura. Giuseppe “Popi” Miotti, 2000
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PREFAZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE
Eccoci qua. Fra poco sono trent’anni dalla improvvisa scomparsa di Tarcisio e la frequente richiesta della prima edizione di questo volume, quasi subito esaurita, ha trovato me e i suoi familiari d’accordo nel ridare alle stampe l’opera. Non ci sono grandi novità rispetto alla prima edizione: qualche cambiamento estetico, una revisione completa dei testi che ho snellito e l’aggiunta di alcune testimonianze di altri scalatori moderni, spesso giovanissimi, che si sono misurati con le vie aperte da Tarcisio. C’è qualche foto in più ed è cambiata anche la copertina, ma la sostanza è quella di una volta. Non ho voluto toccare più di tanto i testi di Tarcisio e degli amici, pertanto il lettore potrà notare qualche difformità nella scrittura dei punti cardinali, nell’uso della punteggiatura e nella definizione di qualche toponimo. Giuseppe “Popi” Miotti, 2019
Prefazione alla nuova edizione 11
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Carlo Caccia – Erba (CO), 1974 – lavora per la C.A.M.P. di Premana nel settore comunicazione e marketing. Ha lavorato per Alp e Rivista della montagna e collabora con Montagne 360 (rivista del Cai) e con Orobie oltre che con testate straniere (Alpinist, Climb, The American Alpine Journal). È autore di alcuni volumi tra cui Omaggio alla montagna (Mondadori, 2008), Uomini e pareti 2 (Versante Sud, 2009) e Giuseppe “Det” Alippi. La stella del cardo e il covone di fieno (Montura Editing, 2011). Membro della giuria del Karl Unterkircher Award e della sesta edizione dell’International Mountain Film Festival Domžale (Lubiana, Slovenia).
TARCISIO FAZZINI: IL GENIO DEL GRANITO Ci sono alpinisti giramondo, abituati a balzare da una montagna all’altra, e alpinisti che hanno trovato tutto in pochi chilometri quadrati, magari sulla porta di casa o appena più lontano. Ecco: senza nulla togliere ai primi, i secondi hanno sempre qualcosa di speciale, come un fuoco dentro che li ha portati oltre il primo sguardo, lungo cammini di ricerca insieme romantici e metodici. Qualche esempio? Bruno Detassis, per tutti il re del Brenta. Ma anche Patrick Gabarrou, che nel massiccio del Monte Bianco ha aperto tante vie che neppure lui sa quante sono. E ancora: Ivo Rabanser e il “suo” Sassolungo e Rossano Libera ossessionato dal Pizzo Badile e dai suoi scorbutici vicini, che per toccarli – e qualche volta anche soltanto per vederli – occorre camminare ore e ore. Eccoci dunque al cospetto dei giganti del Masino-Bregaglia: montagne speciali proprio per la loro “lontananza”, magiche per Rossano e prima di lui – in un lustro creativo che pare un’eternità, dal 1985 al 1989 – per il geniale Tarcisio Fazzini. Un genio del granito, proprio così, per la sua capacità di immaginare e realizzare scalate su quella roccia che consuma le dita, compattissima nelle sue placche o tagliata di netto a formare fessure, diedri, spigoli e persino strapiombi: mondi rovesci dove la pura tecnica non Tarcisio Fazzini: il genio del granito 13
Ottavio Fazzini, per tutti l’Ota, sembra volersi far coccolare in un momento di sosta su Pejonasa Wall. Ottavio ha partecipato non certo da comparsa, a quasi tutte le grandi vie di Tarcisio. Alla sua calma, alla sua scarsa loquacità , si univano una forza e una bravura non inferiori a quelle del cugino.
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Ottavio Fazzini è cugino di Tarcisio ed è stato forse il suo compagno più assiduo; eccellente arrampicatore, riservato e silenzioso, è uno che preferisce rispondere con i fatti. Ha risolto importanti situazioni come l’uscita di Divieto di Sosta, che richiese una lunghezza di corda di 60 metri con scarsissime protezioni. Ricordiamo anche la sua prima invernale solitaria della via Molteni sulla parete Sud-est del Pizzo Badile. Ancora oggi Ottavio continua a frequentare con passione le montagne anche se orientato di più verso l’escursionismo e la corsa su sentieri.
GRAZIE TARCI Sono trascorsi molti anni da quelle prime arrampicate in Grignetta, ma rimane sempre vivo il ricordo di quelle salite. Eravamo un bel gruppo di amici e quasi tutte le domeniche salivamo quelle torri e quei campanili, ritornando la sera stanchi e pieni di entusiasmo. In questi inizi, Tarci non faceva ancora parte del gruppo di scalatori, lui entrò dopo qualche tempo. Fu in occasione di un’uscita in dolomiti di Brenta di tutto il gruppo che lui si aggregò, salendo con determinazione (anche se da secondo) il mitico Campanil Basso. L’entusiasmo fu grande, e dopo questa uscita ne seguirono molte altre, la maggior parte nel gruppo del Masino. Nessuno di noi preparava le salite con allenamenti, arrampicavamo solo nei fine settimana, certo non erano salite troppo dure, non superavano quasi mai il V°/VI°grado. Capimmo a nostre spese che per salire vie più difficili bisognava sacrificare un po’ le baldorie e costruire qualche muscoletto in più alla trave. Di tutto il gruppo Tarci fu quello che più di tutti comprese l`importanza degli allenamenti al fine di migliorare le prestazioni in falesia e di conseguenza in montagna. In quegli anni ripetemmo molte vie, alcune delle quali Grazie Tarci 33
prime ripetizioni, poi, un po’ per gioco, un po’ sul serio provammo ad aprirle noi. Devo dire che il più convinto all’inizio era il Tarci, poi trascinò anche alcuni di noi, ma per lui era diventata una cosa seria, tanto che ci dedicava tutto il suo tempo libero per farla diventare, in quel periodo, la cosa più importante della sua vita. Molte cose ritornano alla mente di quel periodo, scalate, zaini strapieni di materiale, viaggi, notti sotto le stelle, ma soprattutto un amico prematuramente scomparso, lasciando a tutti noi il ricordo di tanti bei giorni passati assieme.
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Uno dei simboli degli anni d’oro del Sassismo, Andrea Savonitto detto il ‘Gigante’ è stato l’ispiratore di Tarcisio, colui che lo consigliò e lo spinse verso un alpinismo di ricerca, con l’apertura di vie nuove. Del resto il ‘Gigante’ è un esperto del settore per aver creato oltre 130 vie un po’ ovunque nelle Alpi centrali e nelle Prealpi lombarde. Guida alpina dal 1982, gestisce il Ristoro Circul di Uschione sopra Chiavenna. Ha pubblicato numerose guide alpinistiche ed escursionistiche e collaborato con le maggiori riviste del settore.
TARCI FOREVER Ricordo, come fosse ieri, quel pomeriggio di tarda estate che incontrai il Tarci sulla piazzetta di S. Martino Valmasino. Aveva l’espressione fresca e soddisfatta, il fisico, finalmente rilassato dopo una o più giornate spese appeso sulle placche della Valle, mostrava ancora in superficie le vene gonfie di chi ha tirato e spinto, giocando con il vuoto. La luce dei suoi occhi raccontava di vittorie recenti, sicuramente meritate. Aprii la portiera della mia possente R4 e lo invitai a salire. Probabilmente non ci vedevamo da mesi ma ero tranquillo. Sicuro che chi sedeva ora al mio fianco non aveva bisogno di essere indagato o riverito. Era un amico tra i più cari di quelli che sono di casa, di casa tua, sempre nel tempo e ovunque nello spazio. “Ho da farti vedere una cosa!”. Fermai il mezzo in corrispondenza dell’ultimo tornante della strada per i Bagni, presi da sotto il sedile di guida il binocolo e, una volta scesi, glielo misi in mano invitandolo a guardare lassù, ‘un giocattolino’ che gli stavo, volentieri, regalando… “Ci andremo insieme?”. “Può darsi… ma non ti preoccupare: io ho mille cose da fare lo sai, lontane e ormai da queste parti ci vengo raramente… non sono allenato…” e mille altre solite scuse. Tarci forever 35
JUMAR ISCARIOTA Sul Pizzo Badile, la montagna più famosa del Masino, Jumar Iscariota rappresenta un capolavoro di intuito che si fa strada sulle imperscrutabili placconate del Pilastro a Goccia della parete Nord-ovest, quel panciuto scudo di placche ripide e compatte che i Sassisti erano riusciti a salire nel 1976, lungo il suo lato destro e che attendeva una via diretta. Tarci e Ottavio ci provano nel 1986, accompagnati dall’amico Livio Gianola, alle sue prime esperienze con il mondo del grande alpinismo. Il trio attacca la parete nel punto più basso e sale con un uso limitatissimo di protezioni ad espansione, riuscendo con varie traversate a collegare i tratti superabili in arrampicata libera di questi muri rocciosi a prima vista lisci e quasi verticali. Con una funambolica serie di pendoli nella parte alta la via si sposta poi verso una serie di fessure che logicamente conducono alla sommità del pilastro. Tarci e soci valutarono severamente l’itinerario, basti pensare alla spettacolare fessura del nono tiro, da loro gradata ‘solo’ VI+, e invece valutata nettamente superiore da tutti i ripetitori successivi. I Premanesi escono sullo Spigolo Nord alle nove passate di sera, dopo ben 13 ore di fatiche che forse neppure loro si aspettavano e divallano lungo lo spigolo per rientrare in rifugio stanchi ma al settimo cielo per la gioia. La nuova via si impose subito come una delle più tecniche e selvagge dell’intero Masino-Bregaglia, sicuramente la più difficile realizzazione sulle pareti del Pizzo Badile. La sfida per eventuali ripetitori era aperta e così la prima cordata a farsi viva non si fece attendere molto. A compierla furono i fratelli Guido e Massimo Lisignoli che riuscirono nell’impresa dopo 10 ore di dura scalata e definirono l’itinerario ‘allucinante’. Negli anni seguenti le fredde placche del Pilastro a Goccia vennero visitate molto raramente, forse per via del complicato e lungo avvicinamento lungo il ghiacciaio del Trubinasca. Nell’estate 1995, a quasi dieci anni dalla prima salita, Luca Maspes ‘Rampikino’ riuscì nella prima salita solitaria dell’itinerario, in circa 8 ore di ascensione, dopo aver percorso la via con un compagno tre anni prima. A tutt’oggi Jumar Iscariota, uno degli itinerari più alpinistici del Masino-Bregaglia, conta circa una ventina di ripetizioni, tutte portate a termine dalle più preparate cordate della zona. Resta ancora in attesa di un team che si voglia dedicare alla prima salita invernale, ma l’impressione è che per questa si dovrà attendere ancora qualche anno e qualche amante della vita dura. Nell’estate del 1997 un franamento Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI 62
dello Spigolo Nord prodottosi all’apice del Pilastro a Goccia ha interessato quasi tutta la grandiosa struttura ed al momento è difficile sapere con certezza quali modificazioni possa aver subito questo splendido itinerario.
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Tarcisio Fazzini alle prime esperienze sui monti Masino. Siamo agli inizi degli anni ’80 e la foto ritrae un giovane Tarci agli esordi. Imbragatura alta, qualche staffa appesa, ecco Tarcisio in vetta alla Punta della Sfinge dopo la ripetizione della Via dei Morbegnesi.
XVII
La liscia parete Est di Quota 3228, a sinistra. Sullo sperone che la delimita a sinistra vi è una difficile e misteriosa via Agostino Parravicini (1935) ripetuta forse per la prima volta in assoluto da Tarci e compagni dimostrando grande spirito d’avventura e di raffinata ricerca storica.
Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI XVIII
Le prime vie del Tarci. In alto, la parete Est della Punta Allievi dove corre la via Chi cerca trova; a destra la Quota 3221. Sotto, parete Nord-ovest del Pizzo Badile con la panciuta architettura del Pilastro a Goccia e sotto la vetta, il ‘Magnifico’, il diedro finale di Ringo Star.
XIX
Jumar Iscariota è forse il capolavoro di Fazzini. Una via splendida e audace, in un ambiente freddo e ostile. Nel riquadro uno stranito Livio Gianola, capitato per caso su quella via impossibile che risalì interamente con le maniglie Jumar. Il nome ricorda questa impresa nell’impresa.
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Una delle prime vie aperte da Tarcisio Fazzini è stata Carretera de la Cocia, sul Precipizio degli Asteroidi. Purtroppo la via risultò piuttosto discontinua e con tante cenge erbose tanto che il suo nome, ‘strada per la macchina’ in spagnolo, sta a indicare la sua facilità.
XXVII
Placche calde e verticali, fessure perfette, roccia eccellente, tempo perfetto e una cordata affiatata. Quali ingredienti può chiedere di più un alpinista? Qui la foto della salita alla lama posta a circa metà salita, elemento strutturale attorno a cui è stata concepita la salita.
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AL PICCO? NO, GRAZIE PARENTESI STORICA La parete SUD-EST del Picco Luigi Amedeo venne salita per la prima volta nel 1959 da Vasco Taldo a comando alternato con Nando Nusdeo. Con 21 ore di arrampicata effettiva risolsero la parete in modo eccellente con pochi tratti in artificiale e libera estrema. Si dovrà aspettare ben ventuno anni per ritrovare la parete teatro di nuove salite, queste nuove realizzazioni portano la firma cecoslovacca che, nell’agosto 1980 tracciano due nuove vie, una a destra della Taldo-Nusdeo, Cecoslovacchi 80 ed una a sinistra Formaggio e Vino con difficoltà estreme sia in libera sia in artificiale. Tuttora contano pochissime ripetizioni. Dopo di che di nuovo silenzio per nove anni, fino a quando Tarci Fazzini riesce ad individuare una linea quasi immaginaria che poi concretizzerà con Norbi Riva, tracciando così la via secondo loro più sostenuta della parete se non dell’intero gruppo. Elettroshock, dodici lunghezze estreme protette da solidi spit, e soste a prova di bomba. Questa è la breve storia della parete SudEst, trent’anni per tre stili diversi di arrampicata, chissà, forse per il quarantesimo anniversario della salita di Taldo-Nusdeo, qualche giovane rampante avrà la meglio sulle placche a destra della stessa, ma per questo ci si dovrà allenare moltissimo. Al Picco? No, grazie 133
Al Picco? No grazie, voi siete matti, troppo distante perché quella parete diventi frequentata; sì, è bello però arrivarci sotto… Ben pochi scalatori parlando del Picco Luigi Amedeo non si sono lasciati scappare affermazioni di questo genere, ormai ai temerari frequentatori dell’A lpe fa più paura un’ora in più d’avvicinamento che la difficoltà sostenuta dell’arrampicata. Siamo abituati troppo bene, spegniamo il motore, freno a mano, ed eccoci alla base della parete o poco distante. Tutti ormai alleniamo bicipiti e flessori, ma per salire il Picco occorre preparare anche i quadricipiti, per far sì che il noioso esercizio che consiste nel mettere un piede davanti all’altro non diventi un calvario, su per il ripido sentiero, ma resti un divertimento, soprattutto se fatto in un ambiente come la Val Torrone. Non bastavano le celebri vie già tracciate sulle evidenti vie fessurate? Perché su di una parete dalle linee cosi perfette, dove Taldo e Nusdeo tracciarono un capolavoro d’arrampicata senza usare chiodi a pressione; perché aprirvi un tracciato seguendo una linea quasi immaginaria con abbondante uso di spit? Quesiti che mi sono posto anch’io prima della salita, all’alba del primo giorno mentre ci avvicinavamo all’attacco mi paragonavo al profanatore di questo monumento granitico, luogo sacro che non era ancora stato investito dalla spittomania moderna. Interrogativi che ora non mi pongo più, se qualcuno mi fa domande di questo tipo non posso far altro che invitarlo a ripetere la via in questione, Elettroshock, penso che la risposta la possa trovare sull’ottava o nona lunghezza, sono eccessivamente superbe. Se dunque per trovare le risposte di carattere etico bisogna salire Elettroshock, per quelle riguardanti il come e il perché al Picco posso raccontarvelo io. Questa breve storia ha inizio nell’estate del ’88, per la prima volta dopo aver tentato di dormire al rifugio Allievi su di un nudo materasso in due, vedo la mitica parete dal vivo. Ho sudato le mie sette camicie più quelle del mio socio per giungere alla base di questo gioiello granitico, ma quando raggiungo il ‘Nasel’ è proprio il massimo, la stupenda Taldo Nusdeo mi fa subito dimenticare la gelida notte insonne. Durante la scalata ci scambiamo delle battute del tipo: “erano proprio dei galli quei due”, oppure “gente dalle palle quadre”, invidiavo profondamente i primi salitori che ebbero la fortuna e l’arditezza di affrontare e risolvere una parete così ripida con uno stile a dir poco sorprendente per quegli anni. Ormai le sensazioni che provai in quel giorno erano entrate irrimediabilmente nel mio sangue. Fatto sta che la domenica dopo mi ritrovo di nuovo alla base del Picco con Ottavio per tentare di tracciare una via tutta nostra su questo monolite. Mentre salivamo il ripido sentiero l’idea di poter salire la parete per una via tutta Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI 134
indipendente mi mandava in escandescenza, bollore che si raffreddò ben presto dopo tre lunghezze, il tipo di salita che si profilava non era secondo la linea da noi adottata, volevamo salire il più possibile in libera, forzare la via facendo troppo uso di artificiale era contro le nostre idee. Quindi preferimmo scendere lasciando libero il campo ad altri pretendenti con magari altri modi di interpretare l’arrampicata. Nonostante tutto l’attrazione che provavo per questa parete rimase molto viva in me. Le favorevoli condizioni meteo dell’inverno 88/89 ci danno la possibilità di ripetere la via cecoslovacca Formaggio e Vino, dandoci l’opportunità di trovare l’ascensione in condizioni perfette, facendo uso di un’attrezzatura estiva. Non solo quest’eccellente condizione ci permette la prima ripetizione della via, ma la salita ci dà la possibilità di studiare da vicino l’itinerario tentato in precedenza, riuscendo così ad individuare una nuova linea di sicuro più arrampicabile dell’altra, immagazziniamo nella nostra mente tutto quanto riuscivamo a scoprire. Con me ed Ottavio c’è anche Norbi, con una grande esperienza nel campo dell’artificiale di cui faremo tutti prezioso tesoro. Con un… “ritorneremo”, accantoniamo per il momento il discorso via nuova al Picco, per goderci le ultime lunghezze dell’itinerario che stiamo ripetendo, se non fosse per le giornate corte si potrebbe di certo parlare di ‘estate australe’, l’aria anche se frizzante, è riscaldata da un solleone tipo ferragosto. A pomeriggio ormai inoltrato mentre riordiniamo il materiale ed i pensieri per la discesa, soddisfatti della salita e consapevoli che la nuova via è possibile, ci godiamo gli ultimi raggi di un sole ormai stanco, che pian piano scivola dietro la costiera d’Arcanzo, lasciando la Val Torrone con le sue ombre sbiadite dalla luce crepuscolare. L’autunno e l’inverno sono per me i periodi più belli per ammirare la montagna, il sole all’orizzonte coi suoi deboli raggi, dà vita a lunghe ombre, che nascondono i particolari dei paesaggi brulli, invogliando lo spettatore a scoprirne i volti, a cercare un segno di vita in quel silenzio spettrale.
[Da qui il racconto è stato scritto dagli altri componenti del gruppo]. Ci vogliono ben quattro uscite per portare a termine il capolavoro di Elettroshock. Una via molto sofferta e vissuta che ha significato per noi moltissimo Al Picco? No, grazie 135
La Mongolfiera è una delle piÚ remote strutture della Val di Mello. La sua panciuta parete orientale era rimasta una delle poche ancora inviolate. La sua soluzione non poteva spettare che alla cordata di Norbi, Ota e Tarci. Qui Tarci schioda una delle lunghezze della rampa.
Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI XXXVI
Una veduta dall’alto della parete della Mongolfiera, imponente strapiombo tondeggiante che caratterizza la piccola costiera rocciosa che divide in due rami la parte inferiore della Val Qualido. Era uno degli ultimo problemi irrisolti della Val di Mello.
XXXVII
Val Masino area del Sasso Remenno: Sperone dello Zen. Tarcisio ripete in arrampicata libera la strapiombante fessura della prima lunghezza di corda della via Amplesso di Farfalle, aperta da Ivan Guerini e compagni nel 1976.
Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI XLIV
Con Norberto Riva, il Tarci si dedicò alla ricerca di problemi vecchi e nuovi in fessura. La foto mostra Tarci che ripete la difficilissima Signora del Tampax aperta e salita in arrampicata libera pochi anni prima da Marco Pedrini.
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Pietro Buzzoni (Lecco 1963). Alpinisticamente cresciuto tra le pareti lecchesi e della Valsassina ha fatto del Masino una meta obbligata per diverse stagioni. Oltre ad aver ripetuto moltissime vie di alto livello, ha aperto numerose vie nuove sia in stile moderno che in stile trad nelle Grigne, nelle Alpi Orobie e nel massiccio dei Campelli, ha inoltre scoperto diverse falesie nuove, attrezzando oltre 200 vie sportive. È autore di diverse guide di arrampicata e di diverse pubblicazioni alpinistiche.
ISTANTANEE SUL GRANITO La prima volta che mi raccontarono del Masino, del suo granito e delle sue pareti, fu paradossalmente nella piatta e nebbiosa pianura Bresciana. Diedri geometrici, tetti squadrati, fessure sinuose e placche compattissime si alternavano nella sequenza dei racconti di Pierangelo, amico e compagno di studi di allora. Le ampie sale ottocentesche dell’autoritaria scuola superiore di agraria erano da sfondo ai suoi racconti, spesso accompagnati dal suo entusiasmo e da qualche foto di incerta definizione, che rendevano ancora più leggendaria e suggestiva la sua esposizione. Seduti da qualche parte in quel collegio perso nella pianura e nella nebbia cominciammo a tracciare ideali salite su pareti che non avevamo ancora visto se non in foto (perlomeno io). Allora era ancora possibile sognare e in quegli anni, mentre l’arrampicata e l’alpinismo cominciavano a “subire” quell’evoluzione che si affermerà in seguito in una vera e propria identificazione, noi vivevamo l’alpinismo dei “grandi”, assorbendolo dai racconti dei nuovi eroi sulle (prime) riviste patinate di arrampicata che, guarda caso, prendevano sempre più spazio tra i nostri testi scolastici. Lo studio, i primi lavori e Pierangelo ed io ci perdemmo di vista, fino a quando, inaspettatamente, arrivò un suo invito che mi proponeva una salita nella “sua” valle, la Val di Mello. Lo raggiunsi e nella piena di parole, Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI 154
convenevoli e frasi di rito mi raccontò che voleva diventare Guida alpina. Lo vidi diverso e, pur restando il vecchio compagno e amico di sempre, trovai Pierangelo Marchetti realizzato e appagato dal suo mondo e dalle sue scelte. Non so se allora fosse già noto come il “Kima”. Non ricordo molto di quella giornata, né della via che salimmo.. o, meglio, che lui salì, trascinandomi per tutte le lunghezze di corda, mentre io cercavo faticosamente (ma con scarsi risultati) di uscire in modo dignitoso da quel nuovo stile di scalata. Di fatto mi massacrò. Scendendo lungo il sentiero verso il Gatto Rosso fummo raggiunti da un ragazzo, o meglio da uno zaino enorme che pesava in modo informe su uno strano tipo: capelli arruffati, pantaloni stracciati e occhiali appannati da cui uscivano due occhi elettrizzati. Si conoscevano e infatti, dopo un parlottare di pareti e luoghi a me allora ancora sconosciuti, il tipo disse a Pierangelo di aver visto una “linea”. Gli occhi gli si accesero come fari: malgrado le lenti degli occhiali appannate mi sembrò un folle. Spesso negli anni successivi mi ci ritrovai anch’io in quella condizione di esaltante “follia”. Era la prima volta che vedevo il Tarci. Nell’ultimo tratto di sentiero rimasi qualche passo indietro, mentre i due continuarono nei loro discorsi, a me ancora del tutto oscuri, su pareti, linee, libera e chiodature. Provai una strana sensazione nell’ascoltare le loro parole, enfatizzate dal quel loro entusiasmo: non mi sentivo escluso, mi sembrava che in quel momento le cose dovessero andare così. Spesso ancora oggi ripenso a quel momento e a quelle immagini in quell’ultimo tratto di sentiero.. non ricordo ciò che si dissero e non so se il loro fu un incontro casuale come tanti o se invece si conoscessero più a fondo. Ritengo però di aver vissuto una di quelle situazioni che al momento scorrono insignificanti, poi però nel tempo e nel ricordo si compattano e assumono quell’importanza formativa che solo le grandi storie ti possono dare. Verso la fine degli anni ottanta il Sasso di Introbio era tra le falesie più note e frequentate del lecchese e, considerate la particolarità e la difficoltà di molte delle sue vie, luogo di ritrovo obbligato per i forti local. Spesso ci capitava di bazzicare da quelle parti, il più delle volte per osservare, talvolta a scalare, quando la parete non era troppo frequentata. Per noi, abitando a pochi chilometri dalla parete, passare da lì e trattenersi per delle lunghe arrampicate serali e notturne era un rituale scontato. E fu proprio alla base del Sasso che in un tardo pomeriggio primaverile rividi il Tarci e la sua “banda”. Io e il mio socio eravamo appena stati minacciati al silenzio da due clilmber corpulenti Istantanee sul granito 155
Prima di andare in stampa è giunta la notizia della notevole impresa compiuta dalla coppia Paolo Marazzi-Luca Schiera. Paolo Marazzi è Aspirante Guida alpina e membro dei Ragni di Lecco. Alpinista, scalatore e sciatore completo su tutti i terreni, come lui stesso scrive, gira il mondo alla ricerca di nuove pareti da scalare o nuove discese da sciare, tra Patagonia, Messico Cina e altri luoghi.
UNA SFIDA E UN OMAGGIO Un’idea nata nove anni fa poi rimasta per molto tempo in testa come una cosa troppo lontana dalla realtà per essere concretizzata: concatenare d’un fiato Elettroshock, la Spada nella roccia e Delta Minox, aperte da Tarcisio e Ottavio Fazzini, Sabina Gianola e Norberto Riva, fra il 1988 e il 1989, poco prima della nascita sia mia che di Paolino. Non sapevo se sarebbe stato possibile passare da una parete all’altra e non conoscevo sistemi per arrampicare in velocità, fra l’altro non avevo nemmeno ripetuto tutte e tre le vie. Il motivo della scelta è semplice, e chi conosce la zona non ha dubbi: percorrono le pareti più simboliche per l’arrampicata in alta val Masino e sono diventate le tre classiche difficili per eccellenza. Elettroshock è stata l’ultima, aperta poco prima della morte di Tarcisio; è una via fisica e diretta che collega lunghe lame e fessure fino alla cuspide del Picco Luigi Amedeo, in val Torrone. È stata anche una fra le prime vie aperte usando il trapano a batteria nel Masino. La Spada è stata la prima a raggiungere la Foglia del Qualido, una lastra di roccia alta sessanta metri appoggiata alla parete verticale ben visibile anche dal fondovalle. La parte alta sale su placche ripide con difficoltà crescenti ed è sicuramente la più ripetuta delle tre, forse solo per l’avvicinamento più breve perché non ha nulla di più facile. Giuseppe Miotti LA VIA DEL TARCI 160
Delta Minox si trova sul pilastro dello Scingino, mille metri sopra i Bagni di Masino, in una zona più isolata. Gli unici frequentatori di questi luoghi dopo l’abbandono degli alpeggi sono le rare cordate che salgono per ripeterla. La roccia è la migliore che si può trovare nel Masino, ripida ma lavorata, un capolavoro di bellezza e di coraggio nell’apertura. Tutte e tre le vie sono famose per la linea diretta ma logica su pareti compatte e per alcuni difficili runout con probabile infortunio: fino al 7a in aderenza, e per questo ancora oggi a distanza di trenta anni sono ancora un po’ temute. A parte i tratti in fessura, è un tipo di scalata che sente il tuo stato d’animo: se sei tranquillo e scali senza preoccuparti di cadere non ci saranno problemi, gli appoggi ci sono sempre anche se non sempre evidenti, se sei teso, e cerchi inutilmente di stringere gli appigli provando a correggere l’equilibrio, probabilmente sbaglierai. L’anno scorso ho deciso finalmente che avrei dovuto provarci davvero, avevo davanti una intera estate senza viaggi e mi ci sarei potuto dedicare. Non avevo mai trovato uno o più soci, ma quando ho parlato a Michi del progetto, questi era rimasto subito entusiasta salvo poi rinunciare per altri impegni. Serviva una persona di cui potersi fidare per arrampicare in conserva su difficoltà sostenute e che sapesse muoversi bene su questi terreni. A quel punto con mia grande gioia Paolino Marazzi si è fatto avanti e ho subito colto l’occasione, sapevo che avrebbe avuto la resistenza necessaria per arrivare in fondo e inoltre conosce bene il tipo di arrampicata richiesto. Per prima cosa avevamo studiato come fosse possibile passare dalla cima del Qualido alla base dello Scingino. Abbiamo quindi salito la Spada, aggiunto un tiro in traverso per arrivare in cima e scendere in val Livincina; da qui per un passo e ripidi prati siamo entrati in val del Ferro e poi ci siamo diretti sotto la parete sud del Cavalcorto, era sera e non vedendo grandi possibilità di riuscita eravamo scesi dal canale che piomba su San Martino. Altro tentativo lo facemmo dal lato opposto cercando un passaggio: il migliore che avevamo trovato passava per il camino che separa le due cime della montagna, fissando un cordino sul tiro finale il resto da salire slegati. Sapevamo che a questo punto tutta l’idea era fattibile, almeno in linea teorica, non immaginavamo che ci sarebbe voluto così tanto solo per questo trasferimento (cinque ore a passo sostenuto, senza sentiero). Dopo avere salito anche Elettroshock eravamo pronti per il tentativo. Purtroppo durante l’estate 2018 aveva Una sfida e un omaggio 161
Finito di stampare nel mese di gennaio 2020 da Tipolitografia Pagani (Brescia) per conto di Versante Sud Srl - Milano
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Quello che sorprende, in tutte le sue vie, è la purezza e naturalezza con cui sono state create, portando avanti al medesimo tempo il livello tecnico: un’evoluzione che va da ripidi passaggi in aderenza alle placche verticali di Delta Minox per giungere agli strapiombi di Elettroshock. – Simone Pedeferri
€ 19,90 ISBN 978 88 85475 960