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La spalla
LA CAVIGLIA E IL PIEDE
Prima di vedere i principali infortuni che possono interessare le caviglie e i piedi, è bene comprendere le caratteristiche tecniche delle calzature da arrampicata.
Le scarpette da arrampicata
La scarpetta consente di aggrapparsi al più piccolo appoggio e di portare il peso corporeo in modo ottimale sulla superficie del battistrada senza scivolare. Essa possiede caratteristiche uniche: la tomaia – in pelle o sintetica – deve avvolgere il piede come un guanto stretto, per consentire una maggior sensibilità propriocettiva; l’intersuola e la suola in gomma aumentano l’aderenza tra la scarpa e la roccia. Le proprietà non elastiche del materiale e la misura ridotta costringono il piede a conformarsi alla scarpa piuttosto che viceversa.
La calzata aderente delle scarpette, le dimensioni troppo piccole (riduzione media della misura di 1 o 2 taglie) e la forma innaturale “a banana” (con il lato laterale più lungo del lato mediale) costringono il piede a posizioni non fisiologiche. Viene modificata in modo drammatico la biomeccanica del piede, portando un maggior carico sull’avampiede e convogliando tutta la forza verso gli alluci. Il piede all’interno è costretto ad accorciarsi attraverso la supinazione e la contrazione delle dita. Le articolazioni metatarso-falangee sono in iperestensione e le articolazioni interfalangee prossimali e distali sono in flessione per consentire il massimo carico sulle falangi distali. Alcune scarpette hanno anche la suola un po’ arcuata verso il basso che costringe l’avampiede in rotazione interna e in flessione, accentuando le posizioni in precedenza descritte delle dita dei piedi.
Gli atleti di alto livello e i climber esperti, con il piede già abituato a sostenere il peso corporeo su una superficie piccolissima, possono avere bisogno di una scarpetta super aderente e con suola morbida per avere maggior sensibilità e flessibilità, tali da garantire prese più precise. Invece la maggior parte degli arrampicatori amatoriali ha bisogno di una scarpa comoda, che sostenga il piede: • Sicuramente fasciante (con sensazione di compressione sul piede) ma che non faccia male; • Non troppo curva, ma più “piatta”; • Non troppo piccola; • Soprattutto con suola più rigida, poiché è proprio la rigidità a garantire l’ottimo sostegno.
Cenni di anatomia
La struttura ossea della caviglia e del piede ha un’architettura straordinaria capace di assorbire il peso del corpo e che ci permette di camminare o correre. L’arrampicatore utilizza le mani per tenersi alla parete e nello stesso tempo deve posizionare i suoi piedi su punti d’appoggio (sporgenze o rientranze della parete) che supportano una percentuale del peso corporeo e che, spingendo con le gambe, aiutano nella progressione.
Ossa
Le ossa del piede sono 26, e sono divisibili in tre gruppi: • Ossa del tarso (più vicine alla caviglia); • Ossa del metatarso (la zona intermedia del piede che finisce prima delle dita); • Ossa delle dita (falangi). L’articolazione della caviglia (definita anche articolazione tibio-tarsica), con cui il piede si unisce alla parte inferiore della gamba, è composta dalle estremità distali della tibia e del perone (che formano la così detta pinza malleolare) e dalla parte superiore dell’astragalo. L’astragalo, che appartiene invece alle ossa del tarso, si articola inferiormente con il calcagno, formando l’articolazione sotto-astragalica. Grazie all’articolazione tibio-tarsica, il piede è in grado di compiere i movimenti di flessione plantare (punta del piede verso il basso) e di estensione dorsale (punta del piede verso l’alto). Grazie all’articolazione sotto-astragalica il piede può invece eseguire i movimenti di eversione e inversione (rotazione e inclinazione esterna e interna). Le ossa del tarso (che comprendono anche il cuboide, il navicolare e i tre cuneiformi) proseguono a formare il piede, articolandosi con le cinque ossa metatarsali; da queste ultime originano poi le dita, formate a loro volta dalle falangi.
falangi distali falangi intermedie falangi prossimali metatarsi tarso: 1 – cuneiformi 2 – cuboide 3 – navicolare 4 – astragalo 5 – calcagno
Legamenti
La stabilità della caviglia è resa possibile dalla presenza di un complesso capsulo-legamentoso composto da fibre di tessuto connettivo fibroso. La loro funzione non è di garantire la sola stabilità meccanica articolare durante il movimento ma di fornire costantemente informazioni propriocettive sulla posizione articolare e i cambi di direzione della caviglia che consentono, tramite rapide risposte adattive da parte dei muscoli, il mantenimento della corretta postura corporea in rapporto all’ambiente circostante. Ci sono due formazioni legamentose: 1. Legamento mediale (o legamento deltoideo) formato da quattro fasci separati, che originano dal malleolo interno o tibiale e si attaccano all’astragalo, al calcagno e alle ossa navicolari; 2. Legamento laterale composto da tre legamenti distinti e separati che originano dal malleolo esterno o peroneale e si attaccano all’astragalo e al calcagno.
Nel piede, la fascia plantare è uno spesso e lungo legamento simile a un arco che decorre dall’osso del tallone (calcagno) alle ossa delle dita creando la curvatura plantare del piede e in grado, allungandosi, di assorbire gli shock di una camminata, di una corsa e di un salto, restituendo energia propulsiva nella fase successiva di accorciamento.
calcagno tibia perone legamento tibioperoneale posteriore legamento peroneoastragalico posteriore legamento tibioperoneale anteriore legamento peroneoastragalico anteriore
legamento peroneocalcaneare fascia plantare
Muscoli e tendini
La maggior parte del movimento del piede e della caviglia è prodotta dai dodici muscoli estrinseci che hanno origine nella gamba e si inseriscono nel piede, contenuti in quattro scomparti. 1. Il compartimento anteriore è costituito da quattro muscoli: • Tibiale anteriore (TA) ed estensore lungo dell’alluce (ELA) che producono flessione dorsale e inversione del piede e sono eccellenti per eseguire i ganci con la punta del piede; • Peroneo anteriore (PA) che produce flessione dorsale ed eversione del piede; • Estensore lungo delle dita (EDL) che produce solo flessione dorsale del piede; 2. Il compartimento laterale è composto da due muscoli che producono flessione plantare ed eversione del piede. • Peroneo lungo (PL); • Peroneo breve (PB).
I loro tendini scorrono lateralmente al malleolo peroneale; 3. Il compartimento posteriore è composto da tre muscoli: • Gastrocnemio (i gemelli); • Soleo che insieme al gastrocnemio forma il tricipite surale; • Plantare.
Tutti contribuiscono alla flessione plantare del piede. Il gastrocnemio, che partecipa anche alla flessione del ginocchio, si unisce con il soleo all’osso calcaneale tramite il tendine d’Achille. Quest’ultimo è il tendine più voluminoso del corpo ed è fondamentale per camminare, correre e saltare; 4. Il compartimento posteriore profondo è composto da tre muscoli che producono flessione plantare e inversione del piede: • Tibiale posteriore (TP); • Flessore lungo delle dita (FLD); • Flessore lungo dell’alluce (FLA). I muscoli intrinseci, che si trovano totalmente nel piede, si possono suddividere in due categorie: 1. Dorsali; 2. Plantari. Essi garantiscono, rispettivamente, la flessione dorsale e la flessione plantare delle dita.
gastrocnemio
peroneo lungo
tibiale anteriore
soleo estensore lungo delle dita estensore lungo dell’alluce
peroneo breve retinacolo estensori inferiore
Muscoli della gamba rotula
tibia
perone
retinacolo estensori superiore
astragalo
Borse sinoviali
Le borse di maggior interesse, più soggette a infiammazione, sono quella retro-calcaneare del tendine d’Achille e quella metatarso-falangea dell’alluce.
Nervi
• Lo sciatico popliteo esterno (SPE) – o nervo peroneo comune – innerva il muscolo tibiale anteriore, l’estensore lungo dell’alluce, il lungo e il breve delle dita del piede.
Controlla la punta del piede, che in caso di deficit non si solleva dal suolo, ostacolando il cammino; • Lo sciatico popliteo interno (SPI) – o nervo tibiale – innerva l’intero compartimento posteriore dei muscoli della gamba che comprende i flessori delle dita e i flessori plantari del piede. Prosegue a livello della caviglia, nel tunnel tarsale insieme ai tendini dei muscoli estrinseci, innervando la muscolatura intrinseca e la cute plantare del piede e delle dita.
Gli infortuni più frequenti
Quasi il 50% delle lesioni acute nell’arrampicata coinvolge la parte inferiore della gamba, la caviglia e il piede. I traumi sono causati da cadute che schematizzando avvengono con due modalità diverse: 1. Caduta a terra su un piano più o meno orizzontale: sono nettamente in aumento per la crescita del boulder. La caduta è parte fondamentale del fare boulder, poiché l’arrampicatore passa molto del suo tempo a provare sequenze di movimenti cadendo! Spesso, in seguito a caduta, il piede rimane incastrato tra 2 materassi. Ma è anche abbastanza frequente in falesia tra gli arrampicatori che cadono prima di aver raggiunto il primo spit, senza una protezione da parte del proprio assicuratore o altri amici presenti. Nella caduta a terra i piedi toccano di solito per primi il suolo e assorbono gran parte dell’impatto; 2. Caduta in parete più o meno verticale/strapiombante: quando la corda diventa tesa, l’arrampicatore inizierà a dondolarsi e allungherà le gambe in un movimento “di calci” per proteggere il corpo dall’impatto. Prima dell’impatto dorsiflette il piede con conseguenti lesioni capsulari e legamentose. Se non ha il tempo di dorsiflettere il piede oltre la perpendicolare, le dita già fissate in una posizione ad artiglio all’interno della scarpetta impattano dritte contro la roccia con varie fratture e lussazioni.
Caduta nel boulder
retto addominale
obliquo esterno
trasverso obliquo interno
Muscolatura addominale
Hodges e Richarson hanno dimostrato che in persone sane il trasverso dell’addome e il multifido si contraggono 30 ms prima di qualsiasi movimento con gli arti superiori e 110 ms prima di qualsiasi movimento con gli arti inferiori, con la funzione di stabilizzazione della colonna e che, in molti soggetti affetti da lombalgia, il loro timing di attivazione risulta ritardato.
Vi sono poi i muscoli che costituiscono l’unità esterna (the slings) che non svolgono una funzione di stabilizzazione ma permettono al corpo di muoversi attorno a un nucleo stabile. Quelli direttamente connessi e più prossimali al rachide lombare sono: • Il retto dell’addome; • L’obliquo esterno; • L’erettore del rachide; • Il quadrato dei lombi; • L’ileo-psoas.
GLI INFORTUNI PIÙ FREQUENTI
Le lesioni acute della colonna vertebrale e della testa rappresentano il 5% delle lesioni legate all’arrampicata (1,9%-7,1% secondo i dati della letteratura). I traumi alla testa e al collo sono lesioni da impatto in seguito a caduta o perché colpiti da scariche di sassi; provocano commozioni cerebrali e lacerazioni facciali, fino a lesioni più gravi (fratture facciali, fratture del cranio ed emorragia intracranica) che richiedono ricovero d’urgenza in ospedale.
Oltre il 60% delle fratture della colonna avvengono per compressione a livello toraco-lombare in seguito a caduta dall’alto. Vediamo ora quali sono le lesioni da sovraccarico che coinvolgono il rachide negli arrampicatori.
Trauma cranio-facciale: appena successo e dopo 15 gg
CERVICALGIA E IL “COLLO DELL’ASSICURATORE” Di cosa si tratta
Il mantenimento prolungato in iperestensione del collo (sguardo rivolto verso l’alto), sia durante la salita di una via sia durante lo studio dell’itinerario e sia soprattutto durante l’assicurazione del compagno di scalata, può causare un sovraccarico in accorciamento della muscolatura estensoria del rachide cervicale (il collo dell’assicuratore). Questa posizione inoltre può negli anni essere ulteriormente stressante a causa della marcata rigidità in ipercifosi del tratto dorsale.
Il dorso curvo rigido e la conseguente proiezione anteriore della testa con rettilinizzazione del tratto cervicale inferiore, impone, per dirigere lo sguardo in alto, una maggior estensione di quello cervicale superiore (tratto sub-occipitale).
Anche quando non guardiamo in alto, per ogni grado che la testa sporge in avanti rispetto alle spalle, il collo deve sostenere un carico maggiore. Con poco meno di 1 cm di postura della testa in avanti, ad esempio, il collo dello scalatore e la muscolatura circostante possono essere costretti a sostenere il doppio del peso della testa, creando un aumento della pressione sulle faccette articolari e sui dischi intervertebrali e favorendone la deformazione e la possibile lesione.
Proiezione anteriore della testa
Sintomi
La rigidità della muscolatura o la lesione di un disco intervertebrale cervicale provoca un dolore, più o meno intenso, nella parte posteriore del collo e della nuca. Tendenzialmente, un sovraccarico della zona cervicale alta (dischi C1-C2) provoca più facilmente un dolore alla base della testa (regione sub-occipitale) mentre un sovraccarico della zona cervicale bassa (dischi C5-C6) provoca un dolore che può irradiarsi alle spalle (trapezi) e, nei casi di più gravi, lungo il braccio con parestesie (formicolii). La contrattura muscolare determina una perdita della fisiologica lordosi cervicale con immagine radiografica di rettilineizzazione della colonna.
RX cervicale Rettilineizzazione fisiologia curvatura
Trattamento
Quando il dolore è provocato dalla tensione dei muscoli posteriori del collo il trattamento è incentrato sul rilassamento e l’allungamento della muscolatura con: • Massaggi, trazioni cervicali manuali (pompage) eseguiti dal fisioterapista; • Esercizi di stretching, di auto-allungamento dei muscoli estensori nella parte posteriore del collo e rinforzo dei muscoli flessori antagonisti nella parte anteriore; • Impacchi caldi e tecarterapia nella regione dolorosa; • Assunzione di integratore a base di magnesio.
Nella gestione della sintomatologia dolorosa acuta possono essere utili farmaci antinfiammatori e antidolorifici.
Molte persone preferiscono invece non mangiare nulla o consumare solo qualche snack durante il giorno e fare poi una cena abbondante e completa. Ma non è la scelta più indicata: rischiamo di avere carenze energetiche durante la giornata e di assumere troppe calorie nel pasto serale che è buona abitudine tenere sotto controllo.
Va ricordato inoltre che un’eccessiva carenza di scorte energetiche stimola, oltre che l’affaticamento muscolare, anche un affaticamento cerebrale con diminuzione di concentrazione e attenzione, doti pressoché indispensabili per il climber. Da non dimenticare, come detto in precedenza, anche il giusto reintegro idrico per mantenersi sempre ben idratati.
Cosa posso portare in una via multipitch?
Per le vie lunghe invece si affronta un discorso diverso: non possiamo di certo pensare di portarci un piatto di pasta da mangiare durante la salita! È meglio giocare di anticipo, quindi impostare una colazione ben sostanziosa ed equilibrata e fare un ulteriore spuntino prima di attaccare la via. Durante l’ascesa sono utili alimenti che occupano poco spazio, che siano pratici e che diano energie, come ad esempio barrette ai cereali, biscotti secchi, cereali, frutta secca, frutta disidratata, toast con la marmellata... Sarà poi a fine giornata che recupereremo con una merenda più completa come un panino con affettato magro o con formaggio magro o un’insalatona mista con fonte proteica adeguata.
INTEGRATORI UTILI
Una volta impostata la giusta dieta, in base a ciò che ci manca possiamo assumere degli integratori (come dice il nome, gli integratori integrano). Quali possono essere gli integratori utili per il climber? Vediamoli insieme.
Proteine in polvere
Gli integratori di proteine sono molto utilizzati negli sport di potenza per stimolare la crescita muscolare e la forza, forniscono tutti gli amminoacidi di cui il nostro corpo ha bisogno, ottimizzano la riparazione dei tessuti muscolari danneggiati e stimolano i processi di recupero muscolare. Possono entrare in gioco anche semplicemente per aumentare la quota proteica della dieta contenendo così l’assunzione di alimenti proteici e per non abusare ad esempio di alimenti di origine animale come carne e pesce. Le proteine in polvere hanno diverse caratteristiche interessanti: sono pratiche e comode, hanno un’ottima digeribilità e un’ottima biodisponibilità amminoacidica. Ne troviamo in commercio di svariati tipi e da diverse fonti (sia animali che vegetali) ma le proteine del siero del latte (o whey protein) sono di sicuro quelle più conosciute e utilizzate dagli atleti. Tra le proteine di origine vegetale una buona scelta possono essere quelle derivanti dalla soia. È utile assumerle nel post-esercizio, soprattutto dopo sedute di allenamento intense, per stimolare la sintesi proteica muscolare e un buon recupero. La quantità da assumere non deve superare i 20-40 g a somministrazione; quantità superiori allungano i tempi digestivi e rischiano di non essere adeguatamente assorbite dall’intestino.
EAA
Gli Amminoacidi Essenziali (EAA) sono sostanze che l’organismo non è in grado di produrre a partire da altri nutrienti e devono essere introdotti con la dieta. Entrano in gioco nella regolazione della sintesi proteica, nella stimolazione dei meccanismi di riparazione muscolare e nel velocizzare il recupero muscolare. Sono ottimi da inserire nel post-esercizio e, se non ci serve l’effetto saziante dato dalle proteine in polvere, avendone le stesse funzioni ne sono un valido sostitutivo. L’effetto anabolico viene potenziato dopo l’allenamento se agli EAA (o alle proteine) associamo una quota di carboidrati. L’apporto indicato per l’assunzione di EAA varia tra i 4-8 g post-allenamento.
Creatina
È una molecola di natura amminoacidica sintetizzata nel fegato ed è per il 95% concentrata nei muscoli. Per il 50% la sintetizziamo noi e per l’altro 50% la introduciamo con la dieta tramite alimenti di origine animale. La sua supplementazione migliora la capacità esplosiva negli allenamenti di potenza e la massa muscolare negli allenamenti di forza (quindi utile in specialità come il boulder). La migliore è la Creatina Monoidrato in dosaggio da personalizzare in base all’obiettivo. Una buona posologia può essere 8 g da posizionare a ridosso dell’attività sportiva, meglio se frazionata in 2 momenti (4 g pre- e 4 g post-allenamento).
Probiotici
Il microbiota intestinale (ossia i batteri che popolano il nostro intestino) svolge moltissime importanti funzioni: stimola il sistema immunitario, sintetizza vitamine, è coinvolto nell’assorbimento dei nutrienti, digerisce le fibre, produce acidi grassi a catena corta. Vista la sua importanza dobbiamo prendercene molta cura soprattutto se si svolge attività sportiva intensa che può interferire con lo stato di salute del nostro intestino. Vengono in nostro aiuto i probiotici, ossia miscele di microrganismi vivi, in grado di colonizzare l’intestino esercitando un’azione positiva sulla funzionalità intestinale e sulla salute in generale.
Curcuma longa: antinfiammatorio naturale
La curcuma è una pianta erbacea di origine asiatica. Dalla sua radice si ricava il principale principio attivo, la curcumina, che ha interessanti proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antiossidanti. Svolge inoltre un’azione depurativa e stimolante sul fegato, stimola il sistema immunitario ed è utile per la digestione. La possiamo utilizzare come radice fresca o in polvere, ma per avere un effetto più importante è preferibile optare per integratori a base di curcuma.
Grande appassionata di montagna fin da ragazzina, dopo l’esperienza come medico responsabile nelle prime gare di arrampicata a Bardonecchia e la mia tesi sulla forza muscolare dell’arto superiore negli arrampicatori, il lavoro come medico sportivo mi ha portato a creare un Centro di Medicina dello sport, oggi punto di riferimento per gli amanti della montagna e in particolare per gli arrampicatori. In quest’attività collaboro costantemente con Luca, fisioterapista specializzato nella riabilitazione della mano, e insieme abbiamo scritto questo libro incentrato sui più frequenti infortuni legati alla pratica di questo sport.
Con un po’ di anatomia (molto noiosa, ma necessaria per identificare le strutture interessate) e di descrizione delle patologie e dei traumi più frequenti (con i loro segni e sintomi principali) abbiamo cercato di darvi qualche indicazione su come riconoscerli e comprenderli.
La prima domanda che gli arrampicatori fanno durante una visita è quando possono allenarsi e la seconda cosa devono prendere. Le cure (terapie farmacologiche, terapie fisiche e fisioterapia) non sono volutamente precise, sia nel tipo che nella posologia, perché vanno sempre adattate al singolo arrampicatore (età, sesso, anni e livello di arrampicata, patologie pregresse, terapie in atto, ecc.).
Lo scopo di questo libro non è assolutamente quello di farsi da soli la diagnosi e il trattamento, bensì di comprendere meglio se è il caso di ridurre i carichi di allenamento o osservare un periodo di riposo; oppure se è il caso di rivolgersi a un medico specialista o a un fisioterapista (magari anche arrampicatore, capace di comprendere i movimenti dell’arrampicata), per ricevere una diagnosi precisa che, a volte, richiede l’esecuzione di esami approfonditi.
35,00 €
IVA inclusa ISBN: 978 88 55470 742