Salto Angel

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R A M P I C A N T I

Stéphanie Bodet

S a lt o A n g e l

EDIZIONI VERSANTE SUD


Titolo originale: Salto Angel Pubblicato da Édition Guérin, Chamonix, France Copyright © Édition Guérin, 2008 2011 © VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi, 10 Milano Per l’edizione italiana tutti i diritti riservati 1a edizione Maggio 2011 www.versantesud.it ISBN 978-88-87890-97-6


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R A M P I C A N T I

Stéphanie Bodet

SALTO ANGEL Traduzione di Anna Maria Foli

EDIZIONI VERSANTE SUD



«Se perdessi il mio tempo, lui sarebbe anche capace di ritrovarmi» Valérie Rouzeau

A Marie-Laure



Ultimo campo, 200 metri sotto la cima.



Gennaio 2006 Mentre una bruma persistente e ghiacciata avvolge le umide falesie di arenaria di Siurana, noi stiamo seduti a un tavolo nell’accogliente sala comune del campeggio, sfogliando riviste di arrampicata, l’attività preferita degli scalatori costretti all’inazione. «Tempo maledetto!» Sbotta improvvisamente Nicolas, esasperato. «Ne ho abbastanza, se non migliora torno a Tolosa!» Quest’anno la Spagna in inverno non è molto meglio del sud della Francia, e disperiamo di poter approfittare della bella roccia che ci circonda. «Scalare sotto la pioggia potrebbe essere un buon allenamento per quello che ci aspetta!» Risponde Arnaud con un sorriso. «Comunque ha l’aria di essere piuttosto umido, soprattutto nei primi tiri… La cascata tocca proprio l’inizio della via!» Aggiunge, mettendoci sotto il naso il suo numero feticcio della rivista Alpinist, che da due mesi porta sempre con sé. Nell’articolo, l’alpinista inglese John Arran racconta la sua ascensione di diciannove giorni sulla parete del Salto Angel, situata nel profondo Venezuela. Nelle foto si vedono gli scalatori affrontare una serie di strapiombi interminabili assicurandosi con dei micro-friend. Solo un mese e mezzo ci separa dalla partenza per il Salto Angel. Qualche anno prima Arnaud si era interessato a questa parete poco esplorata. Aveva sognato di aprirvi una nuova via, ma la logistica troppo complessa, legata a un’apertura in libera di una big wall di più di ottocento metri, aveva messo fine al suo progetto. Io comunque non avevo cercato di motivarlo: il trapano da ricaricare con un gruppo elettrogeno,

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l’enorme quantità di spit da portare in parete e la qualità probabilmente mediocre della roccia che faceva presagire lunghe giornate di pulizia, in poche parole, il cantiere che nel vero senso della parola rischiavamo di dover costruire l’aveva scoraggiato. Eppure il Venezuela gli era tornato in mente quando aveva sentito parlare dell’ascensione realizzata al Salto Angel da John Arran, uno dei migliori specialisti al mondo della scalata d’avventura. A capo di una squadra cosmopolita composta da sette membri reclutati dalla moglie Anne, anche lei eccellente scalatrice, John era riuscito a liberare l’unica via della parete, aperta in artificiale da alpinisti senza pari, Jesus Galvez e Adolfo Medinabeitia nel marzo del 1990, durante una vera e propria epopea in parete durata ventotto giorni. Sempre attenti a quello che succedeva sulle pareti più belle del pianeta, eravamo rimasti davvero impressionati da quell’impresa. «Ma ti rendi conto – avevo detto ad Arnaud – la parete è tutta strapiombante e sulla via non c’è nemmeno uno spit!» L’interessato prese la palla al balzo. «Perché non proviamo a ripeterla? Sarebbe un bel progetto, eh?» Arnaud aveva appena fatto conoscenza con Nicolas Kalisz. Avevano scalato insieme a Ordesa, nei Pirenei, uno dei posti preferiti del bravo scalatore di Tolosa, ed era rimasto colpito dalla sua disinvoltura nella scalata dove bisogna proteggersi. «Ho visto raramente qualcuno salire così veloce con quello stile, mi aveva detto. Non è facile mettere le protezioni in quella roccia, una specie di arenaria calcarea che si presenta sotto forma di grossi cubi rovesciati, fatti apposta per far perdere l’equilibrio a chi scala! Lo stesso per la gestione del tiraggio delle corde. Mette sempre una fettuccia della

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lunghezza giusta ed è impressionante, perché le vie sono tutte a zigzag.» Di conseguenza, quando cominciò a prender forma l’idea di una spedizione in Venezuela, Arnaud aveva subito pensato a lui, tanto più che la parete del Salto Angel presentava caratteristiche simili a quelle di Ordesa, anche se in scala ben più ampia. «Dobbiamo proprio andarci. L’ambiente sembra incredibile! Scalare di fianco alla cascata più alta del mondo dev’essere impressionante! Pensa, Ordesa alla decima potenza! E poi, ripetere una via, quando ha l’aria di essere fantastica come quella, è bello come aprirne una nuova. Inoltre non capita spesso l’occasione di scalare su tiri estremi in trad!» Arnaud non aveva avuto bisogno di aggiungere ulteriori argomenti. Chino sulla sua tazzina di caffè, dopo aver borbottato tra i baffi qualcosa di incomprensibile, Nicolas ritrova il sorriso quando sente parlare della nostra prossima meta. Particolarmente focalizzato sull’allenamento e sul futuro obiettivo, teme di non farne abbastanza, eppure, dotato di una resistenza poco comune, ogni giorno si obbliga a scalare sempre un po’ di più, sommando lunghezze di corda come giri di pista. Strano personaggio, mi dico, osservandolo con la coda dell’occhio. Spero che in Venezuela sarà più comunicativo, perché in quei pochi giorni di scalate in Spagna mi è sembrato chiuso in se stesso, e questo aspetto del suo carattere mi preoccupa un po’. Dovremo comunque vivere insieme per un mese e mezzo… Arnaud, meno preoccupato della sua preparazione fisica, si impegna completamente nell’organizzazione, nella pianificazione e nel coordinamento della spedizione.

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Corde, friend, moschettoni, fettucce, viveri, sacchi a pelo, radio, aerei, piroghe, scartoffie, dollari, sponsor… Ormai tutte queste cose gli girano nella testa giorno e notte. Sento che è preoccupato e deluso per non essere riuscito a convincere il nostro amico di Chamonix, Titi Gentet, alpinista tanto efficiente quanto ottimista. Alcuni mesi prima avevano realizzato insieme una magnifica via nuova nelle Gole di Taghia, in Marocco. Sappiamo fin d’ora che saremo accompagnati da Evrard Wendenbaum, giovane fotografo e combattente intrepido a cui Arnaud ha proposto di venire a filmare l’ascensione, e da Igor Martinez, scalatore venezuelano che si occuperà perlopiù della logistica sul posto. Ho incontrato quest’ultimo a Aixen-Provence, in occasione di una sessione di preparazione al brevetto di scalata. La sua figura alta e dinoccolata, poco comune tra gli scalatori, il suo eterno sorriso e il suo buon umore mi hanno affascinato. Abbiamo subito simpatizzato e mi ha mostrato alcune fotografie del suo paese. Perciò, quando il progetto ha cominciato a concretizzarsi, ho pensato subito a lui. Da parte mia, sono un po’ preoccupata. Ho scalato così poco, negli ultimi mesi. Al contrario di Nico e di Arnaud che erano scalatori a tempo pieno, quando abbiamo progettato questo viaggio insegnavo ancora francese. A Natale avevo finalmente lasciato la scuola media di Saint-Alban-Leysse, vicino a Chambéry. Non potevo concepire di perdermi un’avventura come questa. Di fronte a quella parete straordinaria che avevo ammirato in fotografia, a quel monolito di rocce tendente all’arancione, striate di venature bluastre, dalla cui cima si lancia la cascata più alta e impressionante del mondo, la grammatica non reggeva proprio il confronto!

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Speravo che i due mesi che mi separavano dalla grande partenza sarebbero bastati per rimettermi in forma. Una delle mie classi di prima media mi aveva rivolto un saluto commovente dopo la messa in scena di Le preziose ridicole di Molière, lasciandomi come ricordo un biglietto pieno di paroline simpatiche, ma piene zeppe di errori di ortografia! Lasciai la scuola pubblica come un attore si libera della pelle del personaggio che ha indossato durante una tournée. Avevo svolto il mio ruolo. Con la piacevole impressione di aver eseguito seriamente il mio lavoro, chiusi quella parentesi della mia esistenza, lasciando Molière per riprendere quella che consideravo la mia vera vita, una migrazione da parete a parete. Avevo ottenuto l’abilitazione per l’insegnamento nel 2001, per assicurarmi un futuro, dopo aver abbandonato le gare di arrampicata. Dopo un anno di insegnamento a tempo pieno, mi ero resa conto che non riuscivo più a investire tutte le mie energie nella scalata come prima, tenuto conto della mole di lavoro che deve affrontare una giovane professoressa. Mia madre, però, ce l’aveva messa tutta per sensibilizzarmi, fin dall’adolescenza, sulla scelta del mio futuro. “Come insegnante, potrai dedicarti alla famiglia, organizzarti la vita e il tempo libero, esercitando allo stesso tempo un’attività entusiasmante”. Le sue intenzioni erano buone, ma da molto tempo, ormai, la mia passione andava al di là di un semplice passatempo. Infatti avevo smesso con le gare perché mi sentivo imprigionata dal peso di un calendario di eventi che non avevo scelto, ritrovandomi però pizzicata tra date e costrizioni che, come avevo presto intuito, mi avrebbero impedito di seguire la mia via. Da più di dieci anni Arnaud e io condividevamo tutto.

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Mi sentivo frustrata nel constatare che lui proseguiva la vita di un tempo, fatta di periodi più o meno lunghi passati sulle pareti di tutto il mondo. I nostri desideri riguardo alle ascensioni coincidevano, e poterli realizzare insieme era un’esperienza privilegiata. L’estate precedente, in Pakistan, avevamo raggiunto la cima della Torre di Trango seguendo un itinerario purissimo. Al solo ripensarci, mi brillavano ancora gli occhi. Che fortuna poter scalare quella formidabile guglia! Immaginate i Drus piantati sulla cima del Monte Bianco, un granito scolpito come quello della Corsica, bivacchi da sogno, appesi in mezzo a giganti himalayani, e un piccolo gruppo unito e simpatico. Avevo appena cominciato a sperimentare la vita in parete e scoprivo che mi si adattava bene. Il progetto dell’ascensione del Salto Angel mi aiutò a vederci più chiaro. Perché fermarsi, una volta intrapresa una strada così buona? Senza contare che da qualche anno avevamo compagni fedeli che si fidavano di noi. Avevo stupidamente abbandonato una condizione di scalatrice professionista che, permettendomi di vivacchiare, mi offriva la libertà che sognavo. Realizzai improvvisamente che l’esistenza che amavo si riassumeva quasi interamente nella scalata e in una vita semplice in mezzo alla natura. Che fosse un piccolo blocco o una grande parete, ero attirata da tutto ciò che si può scalare. Solo quello mi rendeva completamente felice. Sopportavo le costrizioni soltanto se legate alla mia passione. Di che cosa avevamo davvero bisogno per vivere, tutti e due, se non del materiale da scalata e di un po’ di soldi per partire? Pensierosa, lancio un’occhiata alla rivista che mi tende Arnaud. Le immagini delle portaledge sospese nel vuoto

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mi colpiscono e non riesco a non rabbrividire osservando le fotografie degli scalatori che mostrano sguardo ansioso e barba di parecchi giorni. Nemmeno il racconto è molto allettante. La quarzite di cui parla John è di una qualità piuttosto mediocre e le fessure vere e proprie sono molto rare. Al contrario del granito delle nostre Alpi, non permette una facile protezione. Fino ad allora avevamo privilegiato i progetti in cui potevamo avere un certo margine, ma adesso non ci stavamo imbarcando in un’impresa troppo rischiosa, troppo difficile per noi? «Se solo riuscissimo a trovare un quarto scalatore per formare due cordate solide – sospirai. In quel caso correremmo comunque meno rischi. Gli inglesi erano numerosi, mentre noi siamo solo cinque, senza contare che le riprese rischiano di rallentarci.» «È vero – dice Arnaud. – Gli inglesi effettivamente erano in sette: tre super scalatori in libera. John fa dell’8a a vista su tutti i terreni, Ben dell’8a in solitaria e Miles è riuscito a concatenare più 8c+! Ivan il venezuelano e Alex il russo sono dei veri duri, oltre che straordinari scalatori di artificiale. Hanno salito vie estreme a El Capitan, nello Yosemite. E gli altri due si occupavano solo del recupero degli zaini e del cibo.» «Inoltre, era la terza volta che John e Anne ci andavano. Hanno fallito i primi due anni, quindi dovevano conoscere il terreno più che bene!» Ho aggiunto io. «Eh sì – ha borbottato Nico – ma non è proprio facile!» Cominciamo a passare in rassegna gli scalatori che conosciamo. Titi Gentet ci sembra davvero insostituibile, Nicolas ha ragione. Difficile trovare un compagno di squadra, allo stesso tempo alpinista e climber eccellente, in più disponibile per un viaggio di cinque settimane nel

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