PERFORMA
太極山 - Tai Chi Shan
山
太極
la Montagna dell’Equilibrio Giuseppe “Popi” Miotti VERSANTE SUD
PERFORMA
collana
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EDIZIONI VERSANTE SUD
Prima edizione: ottobre 2017 ISBN 978 88 85475 038 Copyright © VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi 10, Milano - www.versantesud.it Per l’edizione italiana Tutti i diritti riservati Copertina: “La Montagna dell’Equilibrio” elaborazione grafica dell’autore Tutte le fotografie sono dell’Archivio Giuseppe “Popi” Miotti eccetto le seguenti: Pagine 99, 104 tratte dal libro L’Arte di Arrampicare di Emilio Comici, Hoepli, 1957 Pagina 98, Aleister Crowley, fonte web Pagina 102, Paul Illmer, Falkenstein 1922, foto Walter Hahn, American Alpine Cub Library. Fonte web Pagina 109, Scalatori su Self Control in Val di Mello, foto G. Maspes Pagina 114, Tavola di Ernst Platz dal manuale di Ernst Enzensperger, Bergsteigen, Berlino 1924 Pagina 119, Capri 1983, l’autore sullo spigolo S della Torre Comici al Faraglione di Terra, foto A. Gogna Pagina 132, Joseph Collier a testa in giù sull’Y Boulder, Mosedale, dal volume di Alan Hankinson, Camera on Crags a portfolio of early rock climbing photographs by the Abraham Brothers, 1975. Pagina 157, John Bachar su Midnight Lightning, Camp 4, Yosemite, foto Phil Bard. Fonte web. Disegni e logo del Tai Chi Shan © Giuseppe “Popi” Miotti Stampa: Monotipia Cremonese – Cremona
Giuseppe “Popi” Miotti
太極山 - Tai Chi shan La Montagna dell’Equilibrio Sulle montagne s’impara a riposare faticando. Anonimo bergamasco
EDIZIONI VERSANTE SUD
INDICE 1 - Introduzione
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3 - La Spirale degli Opposti
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4 - Punti di Partenza
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5 - Un Tai Chi per la Montagna?
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6 - I Dieci Princìpi
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7 - Sul Camminare
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8 - Strane Cose che Funzionano
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9 - Sull’Arrampicata
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10 - Le Basi
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11 - Esercizi Roccia
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12 - Paraphernalia
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APPENDICI Ringraziamenti Bibliografia Siti Web
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INTRODUZIONE
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POSTFAZIONE «L’esperienza non è ciò che accade a un uomo: è ciò che un uomo fa con quel che gli accade.» Aldous Huxley
Più si avvicinava la conclusione di questa ricerca e più mi ponevo la domanda del perché l’avessi iniziata, del suo reale valore e, infine, del motivo che mi aveva spinto a metterla nero su bianco. Essì, perché, in fin dei conti, lo scopo di ciò che ho scritto non era farne una guida o un manuale e mi sto sempre più convincendo che sia solo la conclusione del libro autobiografico “Gliarchiviritrovati” che ho scritto qualche anno fa. Diciamo che una serie di circostanze mi ha spinto, nonostante le mie resistenze, a dare sostanza alle elucubrazioni fatte in anni e anni di esperienze dirette, meditate, filtrate e certamente arricchite da nuove conoscenze. Il lettore prenda pertanto questo come una sorta di taccuino di appunti ai quali ho cercato di dare un ordine logico e dai quali magari potrà ricavare qualche utile indicazione da applicare nella sua attività; ma anche no. Raramente in queste pagine ci sono considerazioni basate su tabelle o statistiche, così come ci sono poche descrizioni tecniche anche se, a volte un po’ riluttante, le ho dovute inserire. Per quanto mantenute in un alveo ben scavato, volevo che le informazioni fluissero “liquide” e libere. Ricordo che una delle più grandi preoccupazioni che ebbi all’inizio di questo percorso fu quella di evitare qualcosa che potesse essere interpretato come esoterico o assimilabile ad una certa scadente New Age. Per questo motivo, pur riconoscendo che le discipline che accosto alla Montagna hanno senza dubbio
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degli echi esoterici (ma anche la Montagna un po’ esoterica è), ho cercato di avvicinare il più possibile ad un largo pubblico quello che volevo proporre. Non è stato per niente facile e spesso ho dubitato della possibilità di farcela, ma alla fine credo di esserci riuscito. Ho avuto cura di evitare il più possibile riferimenti e nomi troppo specialistici anche per non cadere in qualche banale errore, ma lascio ai lettori ogni giudizio. Ho comunque dedicato molta cura alla descrizione degli Esercizi, cercando di essere sintetico, per non stancare, ma al tempo stesso chiaro. Pur ritenendoli una appendice di grande utilità, ma non determinante, a chi li volesse provare consiglio vivamente di attenersi scrupolosamente alla loro procedura e, soprattutto agli inizi, sarebbe meglio esercitarsi in coppia o, meglio, frequentare un breve corso di Tai Chi e Qi Gong. Ma state attenti! Queste Scienze, perchè di Scienze in realtà si tratta, hanno un forte potere di fascinazione: potreste anche decidere di scendere dalle cime per dedicarvi completamente ad esse. La soluzione migliore è di tenere il piede in due scarpe, anzi, per essere precisi, in tre: per quanto complicato in altre situazioni, in questo caso la cosa è fattibilissima. Ho messo tutto ciò che volevo? Mi pare di sì, ma son sicuro che, una volta stampato il volume, troverò decine di lacune, cose non dette o mal specificate. Pazienza! Sicuramente l’operazione non è propriamente in linea con
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l’immagine della Montagna che attualmente va per la maggiore. Il mio “prodotto” non vuole rientrare fra i beni di maggior consumo e per questo ringrazio Versante Sud per la decisione di dare spazio alle mie parole. Sto propinando una nuova visione dell’andare sui monti o di scalare pareti? Non direi: contraddirei la mia visione etica se tentassi di fare una cosa simile. Ognuno ha le sue motivazioni e queste cambiano anche col passare del tempo. Inoltre so bene di essere solo uno dei tanti che si son posti le medesime domande e che, per vie diverse, son giunti più o meno alle stesse considerazioni che faccio qui. Forse qualcuno ne ha già scritto, forse il primo a cercare di farlo sono io, ma non è certo al primato che ambisco. In ogni caso, mi piacerebbe che il percorso costruito possa essere uno stimolo e un punto di partenza per altri “esploratori”. Proprio l’altro giorno ho preso la decisione di scrollarmi di dosso le ultime scaglie di una vecchia pelle ormai morta e di dedicare tutte le mie energie allo studio del Tai Chi. Non è un abbandono dei monti, delle scalate, delle rocce e dei ghiacci, della loro storia, degli scenari grandi e piccoli che ancora riescono a commuovermi, ma è di sicuro una loro nuova e diversa considerazione che in questi anni si è estesa e arricchita di prospettive. L’immagine che mi è apparsa è stata quella di un fiume che dopo un percorso vario, e a volte tormentato, sia alla fine sfociato in un grande lago.
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Introduzione
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Introduzione «Sul monte Miao-ku-yeh dimorano degli uomini sovrannaturali, i quali hanno la carne liscia come il ghiaccio e la pelle bianca come la neve, sono gentili e riservati come vergini. Non mangiano i cinque cereali ma aspirano il vento e bevono la rugiada. Montando le nubi e i vapori e guidando i draghi volanti vagano al di là dei quattro mari.»
Nel mio archivio ci sono ancora alcune diapositive che scattai quando ero agli esordi come scalatore e alpinista. Riguardandole, seppure con i limiti dovuti alla qualità della pellicola e della macchina fotografica che usavo, percepisco una bellezza d’immagine che negli anni successivi rarissimamente sono riuscito ad ottenere. Ho pensato molte volte alla causa di questa curiosa involuzione nonostante tecniche e apparecchi di ripresa siano nel frattempo immensamente migliorati e credo di aver trovato la risposta: nelle prime foto vedo un entusiasmo, una spontaneità, un’ingenuità, un inconscio trasporto che in qualche modo si sono impressi nella pellicola e che più tardi, forse anche per il fatto di essere quasi obbligato a scattare immagini come corollario della mia professione, si sono affievoliti. Quei sentimenti e quelle emozioni che traspaiono sulla pellicola hanno permeato anche i miei primi anni fra le vette e, come per le foto, non mi ha mai abbandonato la sensazione che presto o tardi avrei dovuto cercare di “tornare indietro” per provare a recuperare quella freschezza interiore diluitasi nel tempo. Oggi credo di essere in parte riuscito nell’impresa grazie alla pratica del Tai Chi e del Qi Gong che hanno notevolmente influenzato la mia Mente e il fisico. Pertanto, avendone apprezzato gli effetti positivi anche sul modo di affrontare sentieri e pareti, ho iniziato a pensare che forse era possibile distillare dalla mia esperienza alcuni principi e insegnamenti, utili non solo per chi arrampica,
ma anche per chi affronta una semplice escursione. L’origine del Tai Chi affonda in epoche remotissime ed è il fondamento del Taoismo, una filosofia e anche un tentativo estremamente semplice, ma raffinatissimo, di dare risposta ai fenomeni universali. Il Tai Chi non è altro che il Tao, la sfera in cui gli opposti poli, Yin e Yang, si fondono quando è ferma e si generano quando è in movimento. Basando l’Arte marziale su questi principi nacque il Tai Chi Quan o “Combattimento della Grande Polarità”. Dunque, per questo mio intento dovevo per prima cosa sostituire il termine di riferimento marziale con uno più attinente all’argomento che volevo trattare. Pensai dapprima a Tai Chi Pandeng, Arrampicata della Grande Polarità, ma poiché il messaggio non doveva essere rivolto solo ai frequentatori di pareti più o meno difficili e verticali, ho pensato che fosse più adatto Tai Chi Shan, Montagna della Grande Polarità, a cui ho poi preferito la meno impegnativa traduzione di Montagna dell’Equilibrio, termine che fra l’altro ben s’addice ad un’attività che ci vede spesso sospesi sull’abisso. Proprio mentre elaboravo l’estensione di prospettiva che aveva portato al cambiamento del titolo, la mia attenzione si è casualmente rivolta verso l’elemento fisico oggetto di questo Tai Chi: la Montagna. Fui sorpreso nel realizzare come sia difficile trovare sulla Terra un luogo che esprima meglio il concetto di Yin e Yang e della loro mutevolezza. Sulla Montagna un versante è esposto alla calda luce solare e il suo opposto è nella fredda
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ombra, ma col passare delle ore la condizione si sovverte. La cresta, spesso sinuosa, che li divide resta immutabile, mentre gradualmente l’ombra occupa lo spazio che prima era della luce e viceversa. Questa specie di “ispirazione” mi giunse un giorno, mentre per l’ennesima volta tentavo di trovare un inizio a questo progetto, osservando una foto del versante settentrionale del Pizzo Badile al tramonto. Il messaggio era chiaro e ne ebbi ulteriore conferma tempo dopo: avere come teatro d’azione la stessa espressione simbolica che ritroviamo nella cultura che ha originato il Tai Chi, non poteva che essermi d’aiuto. Del resto, la filosofia che sta alla base delle discipline a cui mi riferisco è nata fra le montagne della Cina e molte sue tecniche di allenamento mentale e fisico, poi entrate nelle Arti marziali, sono molto probabilmente state influenzate proprio dal dover confrontarsi quotidianamente con questo ambiente. Potremmo quasi azzardare che sia proprio stata la Montagna a favorire l’origine del Taoismo, oggi tornato di grande attualità anche per le sue curiose analogie con gli aspetti più avanzati della moderna fisica quantistica. Ciò che scrivo, e ogni tanto lo ribadirò, non è vangelo e sono sicuro che vi siano molti modi per ottenere ottimi risultati seguendo altre vie. Anche la contadina o il pastore che hanno imparato a misurare il passo, a dargli ritmo ed equilibrio, a distribuire bene i pesi che portano, a dosare le energie, a prendersi le giuste pause, magari riuscendo anche ad apprezzare la natura circostante, stanno praticando un Tai Chi Shan. Costoro non hanno avuto bisogno di manuali, hanno solo seguito gli insegnamenti antichi di chi è venuto prima e hanno imparato, ascoltando e ascoltandosi, come convivere il meglio possibile con la fatica e con un ambiente non sempre amichevole. Questa considera-
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zione fatta in umiltà, riporta al concetto base su cui dovremmo imperniare tutto ciò che facciamo e quindi anche il nostro andar per monti: la Consapevolezza. Per svariate ragioni ciò che propongo può essere più utile allo scalatore, diciamo così, maturo; ma credo che possa essere apprezzato anche da chi è giovane e orientato verso aspetti più dinamici e sportivi. Non sto suggerendo l’abbandono degli allenamenti specifici senza i quali sarebbe difficile raggiungere i massimi livelli, voglio solo parlare di una possibile diversa Visione che può benissimo integrarsi con quella agonistica, più o meno palese, che oggi va molto di moda, ma che può far perdere di vista aspetti più importanti e meno legati alla “numerologia”. Si tratta di un insieme di pensieri e di esercizi tesi a migliorare non solo il modo di salire (e scendere) le montagne, ma anche il nostro rapporto interiore e quello con l’ambiente. Immagino già che non saranno molti quelli che li prenderanno con la serietà che sarebbe necessaria e capisco benissimo. Invece, chi vorrà provare e avrà costanza, sarà sorpreso, ad esempio, degli incredibili effetti prodotti dallo stare semplicemente fermi in determinate posture. Altri forse scopriranno che non sanno camminare; infatti, spesso noi deambuliamo un po’ come quando andiamo in bicicletta, sfruttando in parte la velocità con cui il nostro cervello gestisce il baricentro. Tuttavia, se rallentiamo l’azione, o la sospendiamo all’improvviso tenendo un piede a mezz’aria, ecco che ci troviamo in difficoltà: il nostro passo non è controllato e qualsiasi interferenza può generare squilibrio. Le pur semplici tecniche che derivano da Tai Chi e Qi Gong hanno come scopo proprio quello di migliorare la postura, l’equilibrio, la propriocettività, la gestione del movimento, il totale controllo della muscolatu-
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ra e, cosa assai più importante, la Respirazione e l’efficienza del sistema cardiocircolatorio. Il volume è diviso in due grandi argomenti. Una parte, secondo me la più importante, è riservata agli aspetti più generali riguardanti Escursionismo e Arrampicata. In essa, più che indicazioni tecniche precise, si trova un insieme di considerazioni e spunti di riflessione derivanti dalla mia storia personale: sarete voi, se vorrete, ad applicarli a vostra misura. Nella seconda parte descrivo alcuni esercizi di Tai Chi e Qi Gong che ho trovato particolarmente validi anche per uno scalatore, termine con cui, lo vedrete, identifico chiunque frequenti le montagne. I vantaggi più immediati che offrono sono quelli di non richiedere attrezzature specifiche e di essere praticabili quasi ovunque. Concludendo, rubo per un attimo ancora la pazienza al lettore con un simpatico quanto significativo aneddoto. Molti anni fa, mentre con i
miei allievi ero in vetta al ciclopico Sasso Remenno, in Val Masino, fui testimone di un episodio che mi fece riflettere molto. Guardando giù vidi salire lungo le non facili placche della Via Fiorelli un signore di mezza età, solitario e slegato. Non calzava le nostre morbide e leggere scarpette, ma un paio di pedule, rigide e poco sensibili. Procedeva lento ma implacabile: lo stile di “chi sa”. Aveva un discreto girovita, eppure si muoveva leggero come una piuma; sul volto un soave sorriso lo accompagnò per tutta la salita fino a che, guadagnata la sommità, sfiorandomi, quasi irridente salutò e scomparve. Ancora oggi penso ogni tanto a quel misterioso scalatore di mezza età e al suo esempio. Credo che, in fin dei conti, questa ricerca debba essere dedicata a lui.
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La SPIRALE degli OPPOSTI
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La Spirale degli Opposti
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La Spirale degli Opposti
«Il Tao generò l’Uno, l’Uno generò il Due, il Due generò il Tre e il Tre generò i Diecimila Esseri.» Lao Tze (Tao Te Ching)
Ho chiamato questo libro Tai Chi Shan 太極山 - La Montagna dell’equilibrio, ma poi ho pensato che era un titolo troppo ambizioso e che un po’ squilibrata fosse invece la mia idea, anche perché andava contro corrente rispetto a come, in genere, viene proposta la Montagna oggi. Fra l’altro, prima di affrontare il pur non facile nucleo principale del testo, quello della pratica, si ponevano davanti ai miei occhi ostacoli più impervi ed insidiosi sul versante del pensiero. Avevo in animo un difficile connubio che, alla luce delle mie esperienze poteva essere proposto, ma tutto ciò che mi accingevo a scrivere aveva anche delle imprescindibili basi storiche e filosofiche delle quali, secondo me, era impossibile non fare cenno. Poiché l’intento era quello di mettere in cordata due antiche discipline taoiste, il Tai Chi ed il Qi Gong con la Scalata, e poiché mi rivolgevo essenzialmente agli appassionati di quest’ultima attività, sentivo assolutamente necessario raccontare qualcosa di più sulle prime due: materia che si presta a molte interpretazioni, è vastissima, complessa e non sempre facile. Ero consapevole di avventurarmi in spazi a me poco usuali, ma dopo aver studiato molte autorevoli fonti, invece di uno sterile copia-incolla ho deciso di osare una mia breve interpretazione del Taoismo, focalizzando l’attenzione in particolare sul simbolo da cui la dottrina prende il nome. In fin dei conti vedevo chiaramente che tutto il mio pensiero si riconduceva e si
poteva spiegare nel Tao. La sfida non è stata facile ma, fortunatamente, a conforto di quello che mi appariva un vero azzardo, mi sono imbattuto in molte conferme, dirette e indirette, che nel corso del tempo mi hanno convinto sempre più della bontà del tentativo. Infine, a rendermi pienamente cosciente di non essere fuori strada, sono giunte, sicuramente non per caso, le parole di Aldo Tagliaferri che nel suo libro Il Taoismo, così scrive: «La dottrina dello Yang e dello Yin riflette, anche da un punto di vista storico, modi di procedere caratteristici di una filosofia naturalistica. Probabilmente desunti, in origine, da osservazioni sull’ambiente e in particolare dalla opposizione tra la parte soleggiata e quella ombrosa delle montagne, tra le vette e le valli.» Ecco trovato il nesso, il collegamento, seppure incerto, fra pratiche apparentemente tanto distanti! Ritrovavo in quelle parole più o meno gli stessi concetti che, senza aver ancora letto Tagliaferri, avevo focalizzato all’inizio di questa avventura (e che trovate alle pagine 11-12) con l’idea di proporre un approccio alle vette più leggero, meno “aggressivo”, più consapevole e, se vogliamo, meditativo. Un Alpinismo maturato dal mio cambiamento negli anni, con il passaggio da scalatore ambizioso in attore ironico e distaccato. Unire la Montagna a queste millenarie Tecniche del Corpo orientali poteva senza dubbio avere un senso, che ben conoscevo per averne fatto esperienza diretta, ma per molto
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I DIECI PRINCÃŒPI
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I Dieci Princìpi
«Muovendoti secondo le onde dell’energia, sei un drago. Inspirando ed espirando naturalmente quieto entri nella legge di ogni moto. Pratica in armonia con l’ora e la stagione e la tua propria abilità, la tua propria, verrà in piena luce. Mentre muovendoti avrai il balzo della tigre, quieto in te riposerà il drago.» Wang Xiang Zhai
Prima di addentrarmi nella parte più specifica di questo mio lavoro, trovo che, sia a livello di informazione generale, sia come importante compendio per tutto ciò che leggerete, possa essere utile proporre i Dieci Princìpi del Tai Chi Quan. Infatti, secondo me, depurati da ogni riferimento alla specifica azione marziale, possono essere benissimo letti anche come i Dieci Princìpi del Tai Chi Shan. Si tratta di dieci consigli tecnico-posturali, ma anche di atteggiamento mentale, che costituiscono una preziosa collana di perle alla cui realizzazione hanno lavorato molti saggi maestri nel corso di un’esperienza secolare. Nella loro versione originale sono ovviamente assai più articolati e mirati all’ottenimento del miglior risultato nel Tai Chi Quan. Quindi, nel nostro caso, invito il lettore a un piccolo sforzo per adattarli alla sua personale condizione e al suo modo di andare in Montagna. Non ne ho voluto fare una versione occidentalizzata e per questo certi suggerimenti, scaturiti da una cultura che si è sviluppata completamente staccata dal pensiero indoeuropeo, vi potranno sembrare inverosimili e un po’ fantasiosi; purtroppo solo l’esperienza diretta tramite la pratica potrà renderceli convincenti. A titolo di curiosità, troverete alcune affinità con i Dieci Princìpi in alcune affermazioni contenute nello storico libro di Patrick Edlinger Arrampicare!, con riferimento particolare alle pagine da 33 a 41.
PRIMO PRINCIPIO Con Mente vuota e ricettiva, allinea la testa verso l’alto senza forzare e guida gentilmente l’Energia alla sommità Questo Principio invita ad assumere una posizione dritta di testa e collo, cosa che di conseguenza contribuirà a distendere la colonna vertebrale attenuando le tensioni ed i vizi posturali. La distensione delle vertebre cervicali favorisce il fluire dell’energia verso la sommità del capo. Il Principio ci invita inoltre a svuotare la Mente (cosa non semplice) e ad essere attenti. La testa diritta è un requisito indispensabile per l’attivazione quello che i cinesi chiamano Shen, l’insieme delle emozioni mentali e spirituali presenti in noi e nei nostri organi. SECONDO PRINCIPIO Affondare il torace arrotondando la schiena Questa posizione, con il torace leggermente concavo verso l’interno, allunga leggermente e naturalmente le vertebre dorsali facilitando la discesa e la concentrazione dell’Energia (Qi) nel Tan Tien inferiore, il nostro centro di gravità posto nell’addome approssimativamente tre/quattro dita sotto l’ombelico e tre/quattro dita all’interno. Viceversa, gonfiando il torace, il Qi si concentrerebbe nel petto facendo perdere stabilità ai piedi. Affondiamo il torace portandolo un po’ all’indietro, spingiamo in
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alto il vertice della testa (come se un filo la tirasse dall’alto) e teniamo il bacino retroverso: la schiena si stirerà, e il Qi scorrerà liberamente. In questo modo sarà anche possibile avere una corretta Respirazione diaframmatica. TERZO PRINCIPIO Rilassare la vita e le anche Se la vita e le anche sono rilassate (Song), i piedi sono saldi e il bacino è stabile. I passaggi da pieno a vuoto e viceversa sono impostati dalla vita che comanda ogni movimento: se non è rilassata non c’è continuità tra la parte superiore e quella inferiore. Se durante la pratica non vi sentite a vostro agio, cercatene la causa nella posizione della vita e delle gambe. Tutta la struttura deve essere Song, ma in particolare la vita che rende fluido e continuo il movimento. Se durante la pratica dello Zhan Zhuang avvertiamo tensioni nelle parti superiori è segno che prima di tutto c’è qualcosa che non va nella posizione delle gambe e della vita. Se si bloccano la vita, la schiena o le anche, si blocca tutto il Corpo. QUARTO PRINCIPIO Distinguere il vuoto e il pieno, il sostanziale dall’insostanziale La distinzione fra vuoto e pieno è il principio fondamentale del Tai Chi Quan, ma direi anche del Tai Chi Shan. Una gamba, è piena (potremmo dire in uno stato Yang) quando il nostro peso grava su di essa mentre la gamba opposta è vuota (Yin), quasi libera, ma durante il movimento questa condizione muta continuamente da destra a sinistra e viceversa. Senza distinzione tra Yin e Yang non c’è Tai Chi. Dovremmo affinare sempre più la percezione di
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questi due stati iniziando dalle gambe per poi passare a tutte le altre parti del Corpo. QUINTO PRINCIPIO Abbassare le spalle e far cadere i gomiti Questo principio è particolarmente rivolto alla pratica del Tai Chi come Arte marziale. Tuttavia torna a focalizzare l’attenzione sul Rilassamento, fattore sicuramente utile anche per chi va in Montagna. Se non rilassiamo le spalle queste saranno sollevate, provocando una salita del Qi che diminuirà la nostra energia. D’altra parte anche i gomiti vanno tenuti bassi e rilassati per rendere possibile l’abbassamento delle spalle. Le spalle alte sono il sintomo e al tempo stesso causa di un Corpo non rilassato, condizione che a sua volta porta ad una Respirazione toracica invece che addominale, impedendo al Qi di concentrarsi nel Tan Tien. È un circolo vizioso che possiamo spezzare facendo cadere i gomiti per potere poi abbassare le spalle che a loro volta, affondando, si rilassano. Con le spalle alte non si può avere una corretta Respirazione addominale. SESTO PRINCIPIO Usare l’Intenzione e non la forza Sia nel Tai Chi Quan che nel Tai Chi Shan bisognerebbe eliminare ogni emissione di forza bruta o “rettiliana” che favorisce blocchi nei legamenti, nelle ossa, nei vasi, ma soprattutto nei meridiani energetici, ostacolando ogni movimento. Se i canali sono aperti il Qi può circolare liberamente. D’altra parte, se invece della forza muscolare, favoriamo l’Intenzione, tramite il Rilassamento potremo far giungere il Qi in tutto il Corpo senza interruzioni e persino guidarlo ove occorre: dove va l’Intenzione
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va il Qi. Abbandoniamo gli insegnamenti che consigliano di “non mollare mai” e, compatibilmente con la situazione in cui ci troviamo, cerchiamo di “lasciare andare” il più possibile. La cosa non è facile già quando stiamo fermi, ma diventa impresa titanica, che richiede tempo e molta pratica se si vuole mantenere questa condizione durante il movimento. SETTIMO PRINCIPIO Sincronizzare tutto il Corpo Secondo i maestri taoisti, la forza interna (Jing) ha radice nei piedi, si sviluppa nelle gambe, è controllata dalla vita e si manifesta nelle dita. Quindi per una perfetta armonizzazione del flusso del Qi, tutte le parti del nostro Corpo devono agire in sintonia e lavorare assieme all’Intenzione. Ogni gesto deve essere condotto tenendo presenti, sguardo (che dirige l’Intenzione), spostamento del peso, e tecnica. Ogni parte è collegata a tutte le altre e dobbiamo studiare come le singole parti interagiscono fra loro. Provate a sentire il Qi che circola in tutto l’Organismo e lo unifica. OTTAVO PRINCIPIO Armonizzare interno ed esterno Dicono i testi taoisti che «La Mente (Shen) è il padrone, mentre il Corpo è il servitore.» Ciò significa che ogni movimento deve essere diretto dall’Intenzione consapevole, accompagnata dal conseguente atteggiamento del fisico: così l’interno e l’esterno concorderanno. Tale condizione non è facile da ottenere e può richiedere molto lavoro senza scoraggiarsi subito dicendo: «Non mi riesce.» Ovviamente se ci mettiamo su questa via lo dobbiamo fare stimolati anche dal fatto che quel che stiamo
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facendo ci piace e ha un cuore. Come dice il Maestro Yoda di Guerre Stellari: «Provare no! Fare o non fare! Non c’è provare!» Ma per fare occorre impegnarsi ripetendo magari anche diecimila volte la pratica. NONO PRINCIPIO Continuità senza interruzione Il movimento dovrebbe fluire senza interruzioni adeguandosi al flusso del nostro Qi che deve scorrere ininterrotto, sia spazialmente che temporalmente. Nella Camminata come nell’Arrampicata, riuscire a mantenere un flusso costante durante l’azione, diminuendo il più possibile brusche interruzioni, oltre che esteticamente apprezzabile è anche energeticamente vantaggioso. DECIMO PRINCIPIO Cercare la tranquillità nel movimento Questo Principio riprende e approfondisce i concetti espressi dall’ottavo Principio. Essenziale per la nostra attività, in particolare per l’Arrampicata, è una condizione mentale centrata e tranquilla. Tale condizione è facilmente soggetta ad essere perturbata e quindi richiede la nostra massima attenzione e presenza. Rimanere tranquilli all’interno di uno stato di agitazione permette, governandola, di controllare il movimento. Porre attenzione verso il baricentro (Tan Tien) del nostro Corpo durante la Scalata, ci aiuta a trovare un punto fermo, un’oasi di stabilità anche mentale. Di riflesso una maggiore tranquillità porta a più Rilassamento, a miglior equilibrio e stabilità, a un uso più economico della forza, a un lucido e quindi più efficace controllo della situazione.
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«Arrampica, se ami la sensazione della roccia fra le dita, la sua forma, il suo calore, il freddo, la ruvidezza, il colore e l’odore. Arrampica se apprezzi quel leggero senso di gioia che dà il riuscire a vincere l’inesorabile attrazione verso il basso. Arrampica se ogni tanto ti piace mettere alla prova i tuoi muscoli e la tua intelligenza in un campo sicuramente impegnativo e vario sotto molti aspetti. Non pensare al grado che fai pensa solo ad essere presente con tutto te stesso».
Già pochi anni dopo la nascita dell’Alpinismo e quella quasi contemporanea dell’Arrampicata, dapprima in modo un po’ rudimentale e poi con sempre maggiore scientificità, piccole pareti, muri a secco di case e baite, massi erratici, furono utilizzati come “attrezzi” per prepararsi a salite più impegnative. Tuttavia, già sul finire del XIX secolo, soprattutto in Gran Bretagna erano molti quelli che si dedicavano quasi esclusivamente a questo genere di “nuovo gioco”. Fra i pionieri della Scalata sui massi o Bouldering, è opportuno ricordare Oscar Heckenstein (l’inventore del rampone a dieci punte) e Aleister Crowley, il Mago scalatore. Amici per lungo tempo, durante le giornate di bouldering, i due sperimentarono sicuramente anche tecniche di concentrazione e di Rilassamento mutuate dalle pratiche Yoga di cui erano buoni conoscitori, Crowley in particolare. Per molti anni questi loro sconfinamenti sul piano mentale sembrarono dimenticati e arrampicare si fece più una questione di buoni muscoli e buona tecnica sebbene, è chiaro, autocontrollo e concentrazione non dovessero mai mancare. Chi forse manteneva viva quella dimensione intravista forse solo da Heckenstein e Crowley, furono i pochi che, disprezzati dai “veri” alpinisti, vedevano nell’Arrampicata su basse strutture uno sport, ma anche un piacevole mezzo di Meditazione. Qualcosa mutò a partire dagli anni 80 del secolo scorso, solo quando questa attività prese una sua direzio-
ne allontanandosi progressivamente dall’Alpinismo. A dire il vero, il primissimo stadio di questo processo si ebbe attorno agli anni 70, con l’affermarsi dell’Arrampicata Libera o Free Climbing, stile di progressione su roccia che considerava più etico cercare di evitare l’uso dell’Arrampicata Artificiale, sistema allora assai in voga di superare una difficoltà grazie a chiodi normali o a pressione. La nuova etica, che i realtà si rifaceva anche alle idee di alcuni rocciatori di inizio Novecento come Paul Preuss, chiedeva allo scalatore di avvalersi solo delle sue abilità e delle possibilità offerte dalla roccia: gli ancoraggi dovevano essere utilizzati solo per ridurre le conseguenze di una caduta. Per diversi anni tutte le vie di Scalata che avevano tratti superabili in Artificiale furono prese di mira dai giovani arrampicatori e tutte o quasi furono “liberate”, in una rincorsa allo stile più puro, ma anche alla difficoltà sempre più elevata. Purtroppo, in alcuni casi, la bellezza di questa sfida si è trasformata in una sorta di stupida e arrogante Crociata contro le vie aperte con l’uso dell’Artificiale e di riflesso anche contro gli apritori delle stesse. Il caso più eclatante a cui riferisco è quello della ripetizione in Libera della via Maestri al Cerro Torre in cui il comportamento degli scalatori dopo la salita è giustificabile solo dalla loro giovane età. Poiché questo stile d’Arrampicata richiede il massimo impegno psico-fisico, inizialmente
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Sopra, Aleister Crowley, il Mago scalatore. Sotto, Bortolo Sertori a piedi nudi durante la prima alla punta che prenderà il suo nome, 1900.
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ha trovato il suo terreno d’azione migliore in quelle strutture rocciose allora dette Palestre d’Arrampicata e sulle basse falesie, dove la minore influenza dei fattori ambientali consentiva le migliori prestazioni. Queste pareti conoscevano una nuova importanza e assumevano maggiore dignità anche i piccoli massi sui quali era possibile esprimere il gesto ai massimi livelli, sperimentando nuove tecniche e soluzioni di salita. La sempre più grande enfatizzazione degli aspetti atletici di questo tipo di Scalata, portò in poco tempo all’affermarsi dell’Arrampicata Sportiva, che è “Libera” solo in parte e che ha come terreno di gioco sia pareti naturali, sia pareti artificiali, sulle quali l’atleta trova il percorso già tracciato, in genere molto lineare e reso sicuro da ancoraggi fissi in loco. Negli anni post 1968, una più spiccata sensibilità ambientale e il progressivo affermarsi
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delle filosofie orientali, favorito anche del fenomeno Hippie, influenzarono notevolmente la giovane Arrampicata Libera, portando alla riscoperta della dimensione mentale come elemento di grande importanza per il conseguimento del risultato. Probabilmente ignari delle “esplorazioni” di Crowley e Heckenstein, molti free climbers si rimisero sulle loro piste e andarono oltre. Del resto, fare Alpinismo, scalare una roccia o una parete ghiacciata ha sempre richiesto una partecipazione che non è solo atletica: tutti gli arrampicatori, a cominciare dai pionieri dell’Ottocento, concordano nell’affermare che senza la “testa” si va poco lontano e anch’io ritengo che almeno il settanta percento di una prestazione riuscita risieda in questa qualità. L’introduzione di pratiche Yoga, di tecniche di Respirazione, dello stretching, della Meditazione, di attenzione a equilibrio e coordinazione nel gesto, di ricerca della propriocettività, hanno contribuito a migliorare notevolmente il livello generale. Tali fattori non hanno tuttavia eliminato la componente fisica che in ogni caso è necessaria per raggiungere livelli accettabili e per potersi divertire anche su difficoltà di tipo classico che oggi possiamo comprendere fra il V° ed il VII° grado UIAA (nella scala francese 4a - 6b). Con gli anni 90 la tendenza verso una preparazione puramente atletica è tornata a prevalere sulla ricerca della componente mentale e la mia impressione è che ciò avvenga perché, fra le due, è quella che richiede paradossalmente un minore impegno. Vorrei chiarire però che non è mia intenzione denigrare o sottovalutare questo aspetto che, quando appartiene ad un arrampicatore completo, maturo ed esperto lo rende veramente spettacolare ed efficace alla massima potenza.
EVOLUZIONE POSTURALE dello SCALATORE su ROCCIA Nel corso degli eventi sommariamente descritti poc’anzi, l’uomo arrampicatore ha subito una trasformazione mentale, ma anche posturale, quest’ultima fortemente influenzata dall’evoluzione della scarpa. Da subito fu chiaro che lo scarpone chiodato, normalmente adottato per andare in Montagna, era poco efficiente per la Scalata tecnica su roccia. Non solo era pesante e dava scarsa sensibilità, ma il metallo aveva anche poca aderenza sulla pietra. Ai primi due inconvenienti si pose rimedio quasi subito, creando delle calzature simili a robuste
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scarpe da città, meglio sagomate anatomicamente, ma ancora gravate dall’inconveniente della suola ferrata. Verso il 1850 in Inghilterra era stata creata una scarpa sportiva in tela, con suola in gomma, la Plimsoll (foto a pagina 155), e fu probabilmente più di cinquant’anni dopo che qualche scalatore britannico, constatò, forse per puro caso, l’efficacia delle di tali calzature in Arrampicata. Anche sul continente europeo gli alpinisti di punta, alla ricerca di vie sempre più ardite, cominciarono ad introdurre l’uso delle morbide pedule usate dagli scalatori puri, in particolare quelli che si cimentavano sulle difficili torri d’arenaria della Boemia e dell’Elbstaingebirge. Infatti, la soffice pietra delle torri boeme aveva imposto fin da subito
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di abbandonare le calzature chiodate che oltre a danneggiare seriamente la roccia erano assolutamente imprecise per le difficoltà rilevanti che già si affrontavano. Fotografie d’epoca mostrano il pioniere americano dell’Elbsandstein, Oliver Perry Smith, e il suo mentore locale Rudolph Fehrmann che indossano leggere pedule da roccia, superando passaggi di VI° grado già nel 1903! Così, negli anni 20 e 30 del Novecento, si affermarono anche in campo alpinistico le scarpette con suola in manchon, un feltro fortemente pressato, oppure in para. Tutti i grandi scalatori usavano queste calzature, da Comici a Vinatzer, da Solleder a Cassin. La suola poco strutturata e poco precisa, forse perché inizialmente pensata per i larghi e rotondeggianti appoggi delle torri d’arenaria, aveva però scarso sostegno laterale, obbligando ad una progressione frontale e assai atletica. Infatti, per mantenere l’aderenza, si doveva scalare prevalentemente con il Corpo molto arcuato all’infuori e le suole in pressione sulla roccia. Va da sé che la velocità di esecuzione era un elemento fondamentale: si tendeva a “correre” da un punto di riposo ad un altro intravisto più avanti. A cavallo della Seconda Guerra Mondiale lo scalatore milanese Vitale Bramani, forse dopo aver notato dei montanari che sotto le loro calzature applicavano strisce di copertone d’auto per aumentare l’aderenza su roccia, inventò le suole in gomma scolpita diventate famose come Vibram. Tale soluzione soppiantava in breve le vecchie suole chiodate degli scarponi, dando vita ad un perfetto compromesso: una calzatura calda e robusta, al tempo stesso adatta alla Arrampicata su roccia per l’ottima aderenza della suola, ma efficace anche sulla neve. Lo scarpone con le Vibram portò ad un cambio nella postura dell’arrampicatore; la sua rigidezza consentiva, infatti, di
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sostenere il peso del Corpo anche affidandosi a piccoli appoggi, evitando la faticosissima posizione arcuata di Comici e compagni con un notevole risparmio di energie. Il Corpo è verticale, in equilibrio, e il peso ben distribuito sui piedi; le braccia non sono mai tese, ma sono più o meno all’altezza del viso. Durante la progressione, come su una scala mentre un braccio rimane fermo, l’altro si porta all’appiglio successivo e, salendo, il peso del Corpo passa da una gamba all’altra. I talloni sono abbassati per evitare il più possibile sforzi inutili al polpaccio. Sebbene poco dispendiosa energeticamente questa tecnica, ancora in voga fino a metà degli anni 70, risulta molto contratta, rigida e poco flessibile similmente alle suole degli scarponi.
La terza grande mutazione posturale dello scalatore si ebbe con la reintroduzione delle pedule morbide, dotate questa volta di una suola in gomma che, essendo più rigida, risolveva l’inconveniente delle vecchie scarpette usate dai grandi del VI° grado. La possibilità di sfruttare l’appoggio laterale del piede cambiava completamente l’assetto del Corpo che, anche quando lo scalatore è disposto frontalmente assume una posizione quasi esattamente contraria a quella di un suo simile degli anni 30. In posizione di riposo, il bacino si avvicina alla roccia, con un movimento di Retroversione che spinge in avanti il coccige, per far sì che il peso del Corpo possa scaricarsi il più possibile sulle suole, mentre il busto si mantiene leggermente arcuato all’indietro per permettere la visione della parete soprastante. Durante il movimento il bacino si allontana dalla roccia riportandosi in postura normale e anche le ginocchia si allontanano dalla parete, per consentire l’ispezione degli appoggi. La progressione avviene generalmente con l’appoggio laterale e interno del piede piuttosto che con la punta e si compone di una serie fluida di oscillazioni e di rotazioni del Corpo, che a volte si trova persino in posizione laterale rispetto alla parete. Il lavoro delle braccia, che in genere vengono tenute il più possibile estese, usando l’espediente di abbassare il baricentro, è ridotto al minimo. Spesso l’innalzamento del braccio si ottiene con un contemporaneo abbassamento della spalla opposta facendo lavorare i più forti muscoli dorsali piuttosto che con una flessione del bicipite. Questo stile fu inizialmente definito “a rana” per la somiglianza che assumevano gli arti inferiori con quelli del simpatico anfibio. Il sistema di tenere il più possibile le braccia distese e di sfruttare i movimenti oscillatori per ridurre l’uso delle tra-
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«Ero sfinito: avevo perforato la roccia strapiombante per tutta la notte al lume della lampada frontale. Il giorno mi accolse lassù, in cima alla via del Nose; e mentre la prima luce definiva i contorni delle cose, faticavo a capire chi fosse il conquistatore e chi il conquistato. Ma di certo El Cap sembrava essere in condizioni migliori delle mie». Warren Harding
Durante questi anni di apprendimento e di contaminazione continua fra le Tecniche del Corpo taoiste e il mio andare in Montagna, seguendo la mia indole, a volte curiosa fino all’eccesso, mi sono impegnato nel vedere se riuscivo a trasferire alcuni metodi di allenamento di Tai Chi, Yi Quan e Qi Gong adattandoli all’Arrampicata. Avevo una chiara idea dei favorevoli effetti prodotti dallo Zhan Zhuang o dalle tecniche di Camminata, così come di altre pratiche come Il Gioco dei 5 Animali (che vi consiglio di andare a vedere anche solo per curiosità); tuttavia volevo provare a spingermi oltre. In questo capitolo ho riprendo alcuni concetti come il Rilassamento e la Respirazione, focalizzandoli maggiormente sull’atto di arrampicare; ma ho anche aggiunto alcuni facili allenamenti in parte ideati da me, utili per l’elasticità e il rafforzamento degli arti inferiori. Nel finale, e a titolo assolutamente sperimentale, propongo poi una serie di tecniche derivate concettualmente dalle Arti marziali interne, ma adattate all’argomento Arrampicata. Alcuni potranno essere noiosi, ma hanno il vantaggio di essere praticabili sempre e ovunque. Bastano pochi minuti sparsi a piacere lungo la giornata. Come gli Esercizi generali descritti nelle pagine precedenti anche questi allenamenti sono caratterizzati da una forte componente mentale. Del resto il fattore mentale è anche quello che, principalmente, garantisce il successo di un’impresa.
Il Rilassamento 2.0 Di questo importante aspetto ho già parlato diffusamente i varie parti del libro ma, in riferimento all’azione su roccia o ghiaccio indifferentemente, vale la pena di aggiungere alcune considerazioni. Rilassarsi durante una Ascensione non è facile e la difficoltà cresce con il crescere dell’impegno e della potenziale pericolosità del tratto sul quale siamo impegnati. Prendiamo dapprima in esame la situazione più semplice e cioè quella di una salita ampiamente alla nostra portata. In questo caso muoversi sciolti e rilassati ogni volta che ci appare possibile è abbastanza facile. Qui possiamo mettere a frutto gli esercizi di Zhan Zhuang, attraverso la cui pratica si giunge ad una sempre maggiore Consapevolezza di ogni più piccola parte della nostra struttura e si impara ad intervenire localmente per togliere tensione nel muscolo (Esercizi a pagina 75). Un’arrampicata facile o appena al di sotto del nostro limite, eseguita ricercando volutamente e insistentemente il minor impegno fisico e il maggior Rilassamento è la miglior scuola possibile. Man mano che la possibilità di cadere e/o la pericolosità della Ascensione aumenta, come nel caso di un tratto friabile, il fattore mentale diventa sempre più determinante per gestire il Rilassamento. Personalmente sono sempre stato contrario a un volo, fosse anche ben pro-
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grammato; non mi va di danneggiare le corde - che costano - e stressare i materiali e poi l’idea di potermi fare del male non mi è mai piaciuta, neppure in gioventù. Diciamo che mi son sempre comportato quasi come se dovessi salire slegato, tenendomi dunque tendenzialmente un po’ sotto il mio limite. Eppure ci sono momenti in cui l’eventualità di cadere è da prendersi seriamente in considerazione nostro malgrado. Per abitudine, in questi casi più che badare alla Respirazione come molti suggeriscono, io preferisco entrare in uno stato di profonda concentrazione, da cui deriva conseguentemente una Respirazione calma e una maggiore precisione nel gesto. Sicuramente si può anche fare l’inverso ed ecco riaffacciarsi il concetto di gestione consapevole e senza forzature delle proprie caratteristiche psico-fisi-
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che. In questi casi rilassarsi è difficile e occorre richiamare tutta l’abilità maturata attraverso le esperienze vissute nelle imprese più facili, a cui possiamo aggiungere il tesoro di quelle portate dallo Zhan Zhuang. Rilassare l’azione porta a un notevole risparmio di energie e durante l’esecuzione di uno o più movimenti fatti in rapida successione predispone ad una più veloce reazione muscolare. Un esempio calzante potrebbe essere quello del gatto che è sempre in uno stato di vigile Rilassamento e che inopinatamente passa a scatti... felini, è il caso di dirlo, senza alcun preavviso. Come già detto la grande difficoltà consiste nel poter raggiungere questa condizione anche durante il movimento: facile, o abbastanza facile, è farlo seduti, nella posizione del loto o sdraiati; un’altra cosa è nel pieno dell’azione.
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Durante l’azione il Rilassamento si dovrebbe concentrare particolarmente a livello delle articolazioni. Quelle superiori sono le più deboli, ma anche quelle che spesso devono svolgere il compito più importante: i muscoli della mano e dell’avambraccio servono a tenerci aggrappati alla parete mentre quelli dell’omero e per estensione i pettorali e i dorsali hanno sia la funzione di integrare e potenziare il lavoro della mano, sia quello di aiutarci nel sollevamento del corpo. Una efficace posizione per rilassare questo complesso di muscoli consiste nell’imitare il comportamento delle scimmie appese ai rami. Come si può notare osservando questi arrampicatori naturali, in generale il loro braccio è lasciato teso risparmiando il più possibile il lavoro di bicipite e tricipite; restano operativi i muscoli dell’avambraccio e della mano. Poiché, in Arrampicata, i piedi possono quasi sempre poggiare, anche se a volte su minuscole sporgenze, è utilissimo allenarsi a sentire la tenuta sull’appoggio e a scaricarvi più peso possibile, diminuendo l’impegno delle dita e della mano. Spesso, infatti, impieghiamo più forza del necessario e questo “in più” cresce con l’aumentare della tensione psicologica. Cerchiamo una Respirazione profonda e tranquilla, ma soprattutto concentriamoci sulla ricerca della migliore disposizione sulla roccia, quella che già permette il risparmio di energie e poi proviamo a spostare l’attenzione sugli arti che ci sostengono, diminuendo, magari anche solo di poco lo sforzo che compiono. Anche durante la fase di progressione (sollevamento) piuttosto che fare intervenire i muscoli omerali è utile, almeno nella prima fase del movimento, coinvolgere maggiormente i muscoli, sotto scapolare, rotondo e dorsale, abbassando quindi la spalla e tenendo ancora il braccio praticamente teso. In questa posizione
di riposo è spesso agevole staccare l’altro arto dalla roccia e rilassarlo verso il basso scuotendolo per fare affluire sangue verso avambraccio e mano affaticati. La Respirazione 2.0 Non c’è Rilassamento se non c’è una giusta Respirazione, ma poiché parto dal presupposto che l’Arrampicata, oltre che connaturata, sia anche molto soggettiva, lo stesso vale per l’atto di immagazzinare ossigeno (una componente del Qi), non tutti, infatti, respiriamo allo stesso modo. Anche in questo caso mi voglio
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allontanare un po’ dalla concezione più comune circa l’uso della Respirazione durante l’azione. Benché sia raccomandato di espirare durante lo sforzo (Yang) e inspirare in fase di recupero (Yin), non è il caso di distrarre la Mente nel tentativo di adattarsi a tutti i costi a questa indicazione. In linea generale tali concetti sono esattissimi, ma eviterei di disperdere parte della mia concentrazione nell’imporre e magari nel forzare gli atti respiratori, adattandoli a uno schema e, pur tenendo sempre presente la regola, lascerei fare al mio corpo. La Respirazione sia dunque la più naturale e connaturata possibile; alla fine probabilmente coinciderà esattamente allo schema canonico, ma non l’avremo imposta al nostro corpo, sarà lui a capire che questo è il modo migliore per immagazzinare e usare l’Energia dell’aria. E’ inoltre assodato che la Respirazione toracica è la meno efficace non solo perché contrariamente a quanto si può pensare, s’immagazzina poca aria e quindi poco “carburante”, ma anche in quanto è in sé ansiogena e produce quindi esattamente l’effetto opposto di quanto desiderato se ci si vuole rilassare e risparmiare energie. Viceversa una Respirazione addominale calma e profonda induce naturalmente un maggiore stato di “abbandono” muscolare che può ulteriormente essere incrementato dall’intervento cosciente ottenuto tramite l’esperienza dello Zhang Zhuang. Questo atto respiratorio sia in inspirazione, sia in espirazione aumenta il senso di radicamento con la terra (o la parete), induce calma e tranquillità. Una breve digressione merita anche l’apnea, stato di breve sospensione del respiro a cui spesso fanno riferimenti i testi di Meditazione, e che, se ben utilizzata, è anche un utile strumento per distribuire il Qi in tutto il corpo e dirigerlo nei punti ove più richiesto.
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ARTI INFERIORI Essendo i nostri arti più forti, curiosamente, durante l’arrampicata è meno usuale provare a rilassare gambe e piedi, eppure, per il concetto del risparmio energetico, sarebbe sempre opportuno pensarci. A parte quando ci si trova su appoggi tanto spaziosi da poter sistemare tutta la pianta del piede, la parte che dobbiamo cercare di rilassare meglio è proprio il sistema caviglia-piede che, più piccoli sono le superfici e maggiormente viene chiamato in causa. Ho già spiegato che il metodo per evitare di affaticare queste articolazioni consiste nel procedere cercando di tenere il tallone più basso della punta del piede, al limite anche quando si richiede una spinta. In questo caso è però difficile parlare di Rilassamento vero e proprio; quest’ultimo si ottiene solo quando è possibile trovare una sporgenza, dove collocare almeno parte dell’avanpiede. Contando sull’appoggio del metatarso e tenendo basso il tallone si allenta il lavoro dell’alluce e delle altre dita, abbandonandosi sull’appoggio quasi a voler sprofondare nella roccia, ma senza afflosciarsi (vedi anche pagina 125). Il piede può essere sfruttato in appoggio esterno o in appoggio interno, soluzione percentualmente più frequente perché più naturale. Con la pratica il corpo capirà quale è la posizione di riposo migliore per noi. Sempre derivando dal Tai Chi ho adattato alcuni esercizi per gambe e piedi agli scopi di questo lavoro. Anche in questo caso, dopo avere appreso, è possibile provare aggiungendo estrema lentezza nel movimento e mantenendo le posture per tempi più prolungati. Probabilmente i muscoli non ne saranno troppo felici, ma come usava dire spesso uno dei miei maestri di Scalata: «È tutto allenamento.»
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ora il piede a 90° rispetto all’altro, trasferirvi il peso e ripetere l’esercizio; ruotare ora il piede verso l’interno con la punta diretta verso il sinistro e ripetere l’esercizio di carico e flessione della caviglia. Ripetere la sequenza anche con l’altro piede. Intensità e durata dell’impegno a piacere. Busto dritto, testa sospesa e peso ben spostato. Ampiezza fra i piedi aumentabile, lentezza. 2) Passo controllato di lato
1) Rotazione di un piede (senso orario e antiorario) con spostamento peso Con i piedi paralleli e distanziati fra loro almeno quanto la larghezza delle spalle caricare il peso, ad esempio sul destro, flettendo la caviglia fino alla sua massima tensione. Mantenere qualche secondo e tornare in posizione di partenza; facendo perno sul tallone ruotare
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Dalla posizione di partenza si trasferisce tutto il peso su una gamba e di allarga l’altra di lato. Maggiore è la flessione della gamba sotto carico e più ampia sarà l’apertura. Si tocca terra prima con la punta e poi con tutta la pianta del piede ma è possibile farlo anche in simultanea. Attenzione: il passo deve essere totalmente controllato e quindi finché tutta la pianta del piede non è a terra, il peso deve rimanere rigorosamente sulla gamba d’appoggio. Nel Tai Chi questo passo fa parte del movimento chiamato “Mani come Nuvole”. Anche in questo caso potete divertirvi a sperimentare diverse ampiezze conservando sempre i principi di base. L’appoggio del piede a terra non dovrebbe fare rumore; all’inizio, per verificare calzate magari delle scarpe con la suola un po’ dura in modo che un’eventuale imprecisione venga enfatizzata. 3) In punta di piedi in 4 fasi Dalla posizione di partenza sollevarsi sulla punta dei piedi dividendo il movimento in quattro fasi, da talloni a terra fino alla massima estensione. Per ogni stadio è possibile mantenere la posizione per un tempo a piacere ma almeno per un minimo di dieci secondi.
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4) In punta di piedi con spostamento del peso Dalla posizione di partenza mettersi in punta di piedi e spostare gradualmente il peso su una gamba in modo che almeno il 70% gravi su di essa mentre il restante 30% rimane sull’altra. Restate nella posizione il tempo che ritenete opportuno e poi cambiate gamba. L’esercizio può essere eseguito anche con una gamba avanti rispetto all’altra. In questo caso si sposta il peso prima sul piede avanzato e poi su quello posteriore. Stessa distribuzione 70/30 del peso, tempo di mantenimento a discrezione. ESERCIZI per gli ARTI SUPERIORI Di seguito ecco la proposta di alcuni esercizi di ginnastica che potremmo definire “Ideo-isometrica”. Si tratta di movimenti che contemplano contrazioni muscolari senza che vi sia una reale resistenza esterna come attrezzi o punti ove applicare la forza. Si deve invece utilizzare la tecnica della Visualizzazione simulando ad esempio di stringere un appiglio, di sollevarsi, di tirare o di spingersi. La sensazione dovrebbe avvicinarsi a quella di compiere i movimenti immersi in un denso liquido oppure di avere degli elastici che oppongono resistenza sia nella fase concentrica (contrazione e accorciamento muscolare) sia in quella eccentrica (distensione e allungamento). La pratica “Ideo-isomerica” è uno stadio più intenso di Allenamento Ideomotorio (pagina 72). Le evidenze scientifiche circa l’utilità di questo tipo di esercizio, sostengono che dopo circa sei settimane di lavoro si riscontra un aumento della forza massimale isometrica non indifferente. Lo stesso Alessandro ‘Jolly’ Lamberti scrive: «Ormai sono numerosi gli studi che confermano come un allenamento “ideomotorio”, ossia
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l’esecuzione soltanto immaginata di un movimento, possa aumentare la forza reale, anche in maniera considerevole. Per esempio, un gruppo di ricercatori americani ha riscontrato un aumento del 35% della forza nella flessione del mignolo, in un esperimento condotto su un gruppo di volontari che si allenavano soltanto immaginando di eseguire un esercizio[i].» Decidete voi l’impegno da mettere che comunque deve essere abbastanza intenso e molto coinvolgente dal punto di vista mentale. Potreste portare la simulazione al punto di “immaginare” lo sforzo anche nella mimica facciale. Per questo motivo è consigliabile praticare lontano dagli sguardi altrui perché ci potrebbero prendere per degli squilibrati che fanno smorfie e gesticolano in aria. Dopo averli provati, posso dire che ho riscontrato una maggiore resistenza psico-fisica allo sforzo. Sono però certo che questi esercizi possono produrre, come del resto le ricerche stanno dimostrando, anche un incremento della forza. Constatata l’efficacia la loro efficacia, ho pensato che si sarebbe potuto sostituire un gesto pensato a scopi marziali con uno tipico invece dell’arrampicata. Devo dire che mi si è aperto un mondo perché tutti voi sapete quante sono le diverse azioni motorie prodotte da uno scalatore. La fantasia e la creatività di inventare le lascio al lettore e mi limito ad elencare i movimenti che mi sono sembrati i più comuni e che ho provato io stesso a simulare. Purtroppo mi devo fermare a questo stadio: conoscere e applicare l’Energia Jing sarebbe il passo successivo, ma credo ci sia ancora molto lavoro da fare per capire come utilizzarla in arrampicata. Però già un buon Rilassamento profondo (vedi pagina 87), liberando i canali energetici, consente al Qi di circolare e al Jing di liberarsi più facilmente.
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Braccia 1) Movimento in opposizione (tecnica Piaz o Dülfer che dir si voglia) 2) Trazione (non superare altezza spalle); aggiungere eventualmente anche un leggero tiraggio verso il busto mentre le braccia scendono); accompagnabile anche con salita in punta di piedi mentre le mani scendono. 3) Trazione con un braccio e pressione dal basso con mano rovesciata con l’altro 4) Compressione o trazione laterale. 5) Spinta (camino) 6) Ristabilimento (può essere abbinato al n°3 abbassando le mani sotto le spalle e trasformando la trazione in spinta verso l’alto mentre le mani scendono). Mano/dita Sono allenamenti fattibili sia a sé stanti che applicati ai primi quattro del precedente elenco. 1) Trazione con dita serrate e ravvicinate 2) Trazione a dita aperte (come se si avesse una pallina in mano) 3) Incastro di mano L’esecuzione è apparentemente semplicissima: basta ripetere “nell’aria” il gesto che si farebbe nella realtà. Questa ripetizione vuota va però riempita di due contenuti l’Intenzione/ partecipazione mentale e l’attivazione della muscolatura. Il gesto va anche accompagnato da espirazione in azione e inspirazione in recupero. Se ad esempio immaginate di impegnarvi in una Dülfer dovete immedesimarvi nello sforzo e impegnare la muscolatura delle braccia come se realmente stessero tirando una lama rocciosa. Potete anche simulare una
parziale progressione alternando la posizione delle mani come se saliste realmente in parete. Il lavoro che mettete nell’esercizio dipende da voi: potete fingere di essere su una facile fessura oppure su uno strapiombo. In alternativa potete fingere di sollevarvi su delle reglettes: decidete voi la larghezza. In questo caso farete entrare in gioco i muscoli delle spalle, delle braccia e delle mani. La tensione delle dita dipende della larghezza e dalla forma dell’appiglio: non c’è limite alla vostra creatività. Per qualunque situazione si visualizzi, il fattore mentale è decisivo: tutto, ma proprio tutto, dipende da questo. Non per nulla uno dei problemi legati ad una programmazione scientifica dell’Allenamento ideomotorio viene dall’incapacità o dalla limitata capacità di alcuni soggetti a visualizzare in maniera efficace il gesto. La partecipazione mentale richiesta è elevatissima e io stesso, nonostante sia abituato, fatico a protrarre un singolo esercizio per oltre cinque minuti. Consiglio quindi di procedere per gradi per non “bruciarsi le valvole” e credo che un paio di minuti ben condotti, per ogni tipo di movimento, possono essere sufficienti: possiamo pensare a circa quindici minuti anche non consecutivi di lavoro. Frequenza e intensità dell’allenamento sono a vostra scelta; personalmente lascio spazio al mio stato psico-fisico facendo decidere a lui. Un vantaggio di questo tipo di ginnastica sta nel fatto che, mancando un qualsivoglia supporto materiale, si può modulare ogni fase di contrazione, rilascio controllato e Rilassamento, con effetti importanti sulla resa complessiva, perché tensione e Rilassamento sono due facce della stessa medaglia. Non a caso alcuni dicono, forse in maniera non proprio corretta, che: «Coloro che hanno questo tipo di completo controllo dei muscoli possiedono il Chi».
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Un viaggio nella Consapevolezza dell’andar in montagna, nell’equilibrio interiore ed esteriore, nella capacità del restare nel “Qui ed Ora” mentre il nostro corpo procede in unione con la natura. Camminando, arrampicando… la forma non importa e non modifica il contenuto. Il Tai Chi Shan, la Montagna dell’Equilibrio, è proprio questo. Non un semplice libro, ma un distillato da assaporare pagina dopo pagina, dove l’esperienza e la passione di un notevole e originale alpinista ritrovano un filo conduttore nei principi del Tai Chi e del Qi Gong, per recuperare quel significato ancestrale e profondo che, spesso inconsapevolmente, ricerchiamo in montagna. Con grande competenza e fluidità, condite da episodi di vita vissuta e dalla sua piacevolissima ironia, il Popi ci guida nella conoscenza di questa magnifica disciplina: i suoi principi, le sue tecniche e gli esercizi che possiamo utilizzare nella nostra attività di arrampicatori, escursionisti o praticanti della montagna. Strumenti potenti e innumerevoli spunti di riflessione, che come torrenti fluiscono lungo la lettura, mentre le meravigliose foto raccolte durante un’intera vita ci catapultano al di là delle pagine di questo libro. Per chi ama la montagna e le attività che la caratterizzano, questa è un libro da leggere e da avere, per imparare ad andare oltre, dentro e fuori di noi. Alberto Milani
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