UP CLIMBING #24 - CAMPANIA

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Cilento Boulder / Il Geko Festival / La FASI in Campania / Francesco del Franco, arrampicata e cultura Vertical Tales La Selva story

FOCUS Argentina: Alfajores, mondiali e fix / Nuove falesie a Cordoba Libano : Meraviglie libanesi Jollypower Arcuare o non arcuare? Questo è il problema

Campania Felix / Umberto Iorio

Arrampicata e arte / Sulle rocce del Golfo e non solo... Falesie scelte per un tour in Campania / Multipitch campane / Ischia, isola magica / Nuovi orizzonti verticali / Domenico

Costabile ITW / Napoli New Indoor Climbing / Dalle celle alle stelle / Lo sguardo apre la porta ai sogni /

EDIZIONI VERSANTE SUD
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8.00 € in edicola il 20 maggio 2023 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A. P. Aut. n° MBPA/LO-NO/048/A.P./2019 Periodico Roc -NE/VR
STORIA
#24 |
2023
CAMPANIA
DI COPERTINA

Ogni superficie ha il suo segreto : lanci di namici o incastri perfetti.

Creiamo artigianalmente gli attrezzi per ogni di sciplina verticale Dal 1928 ai piedi dei migliori atleti durante le loro salite, questo è ciò che ci ispira.

YOU FEEL, YOU CHOOSE.

Sommario

004 Editoriale di Eugenio Pesci

STORIA DI COPERTINA

006 Campania Felix di Oreste Bottiglieri

012 Umberto Iorio. Arrampicata e arte di Umberto Iorio

016 Sulle rocce del Golfo e non solo... Falesie scelte per un tour in Campania di Oreste Bottiglieri

032 Multipitch campane. Una vicenda che parte da lontano di Oreste Bottiglieri

040 Ischia, isola magica di Giuseppe Pepito Morgera

052 Nuovi orizzonti verticali di Stefano Sgobba

056 Domenico Costabile ITW a cura di Eugenio Pesci

058 Napoli New Indoor Climbing di Simone Bonaccia

062 Dalle celle alle stelle. Storia di un’esperienza nata tra le sbarre di un ospedale psichiatrico di Andrea Sgrosso

VERTICAL TALES

068 La Selva story di Cristiano Bacci

STORIA DI COPERTINA

074 Lo sguardo apre la porta ai sogni. Un colpo d’occhio. Cominciano sempre così le mie avventure. di Nicola Caiazza

078 Cilento Boulder di Diego Errico

082 Il Geko Festival. Un’esperienza unica nel cuore dell’arrampicata campana di Giulio Iannece

086 La FASI in Campania. L’arrampicata, uno schema motorio di base da non perdere di Stefano Sgobba

088 Francesco del Franco, arrampicata e cultura di Lorenza Ercolino

FOCUS ARGENTINA

092 Alfajores, mondiali e fix. Scalate nella terra dei gaucho di Marco Zanchetta

100 Nuove falesie a Cordoba. Granito e inconsueti strapiombi nel cuore della pampa. di Marco Zanchetta

FOCUS LIBANO

104 Meraviglie libanesi. Un viaggio per falesie scelte in un luogo particolare di Elisa Ghezzi

JOLLYPOWER

116 Arcuare o non arcuare? Questo è il problema. di Alessandro “Jolly” Lamberti

VETRINA

118 Proposte prodotti

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QUESTIONE DI EQUILIBRIO

Editoriale

Testo Eugenio Pesci

Si era nella seconda metà degli anni ottanta. L’arrampicata sportiva era nel pieno del suo boom nel Nord Italia come nel resto d’Europa. Già da qualche anno non era più una novità assoluta nel panorama delle discipline sportive presenti nel contesto mediatico, televisivo, giornalistico. Nel sud Italia però le cose andavano decisamente più a rilento, ad eccezione della Sicilia, dove già alcuni arrampicatori avevano iniziato a sviluppare un movimento importante sotto diversi profili.

In Campania, un giovane e vulcanico pioniere seppe però dare la scossa a un ambiente alpinistico un po' statico e forse fermo alle antiche salite ai faraglioni di Capri.

Si trattava di Umberto Iorio, di Boscotrecase, vicino a Napoli, che, reduce da brevi esperienze dolomitiche, colto da un demone verticale, iniziò ad attrezzare a sue spese e con materiali artigianali alcune falesie che poi diventeranno storiche, come il solitario Monte Faito, la mitica Punta Campanella, un vero dominio incantato, di cui si narrò quasi subito, con fotografie, anche nelle patinate pagine della rivista Alp: “ Punta Campanella, arrampicata con vista”. Umberto ebbe anche qualche fido allievo e scudiero e anche in Campania l’arrampicata sportiva iniziò a decollare.

Personalmente, ebbi il caso e la fortuna di vivere un briciolo di quella storia proprio con Umberto, in giorni lontani ma che ricordo con particolare affetto. Umberto seppe portare in Campania arrampicatori di fama come Stefano Finocchi e altri romani che lui conosceva bene, frequentando spesso Sperlonga. A lui presto si aggiunse Oreste Bottiglieri, vera anima moderna del climbing campano, poi Stefano Sgobba, sino al multiforme gruppo legato alla struttura della Selva, con Cristiano Bacci e Adriano Trombetta. E alcuni altri che non è ora qui possibile nominare singolarmente. Le falesie si moltiplicarono, la Costiera divenne una meta internazionale verticale di grande richiamo. Da Capo d’Orso a San Liberatore, da Punta d’Aglio alla Spiaggia della Molpa a Palinuro, da Positano a Punta Campanella. Lo sviluppo del climbing campano e soprattutto partenopeo aumentò

in modo costante, sino alla nascita recente di strutture indoor nella città di Napoli, non diversamente dal resto d’Italia.

Una storia particolare dunque, che merita di essere ripresa e presentata attraverso i contributi dei suoi antichi e attuali protagonisti, leggendo fra le pieghe di un ambiente certamente particolare, per certi versi inusuale, passando dalle falesie alle vie di più tiri, al boulder in Cilento, dalle meraviglie di Ischia alla biografia di un celebre alpinista campano, Francesco del Franco, proseguendo con informazioni sul Geko Festival, e molto altro. Ma questa monografia non vuole essere solo un affresco storico; anzi, al contrario, soprattutto un invito a un tour sulle rocce campane, ovviamente accompagnato alle esperienze di paesaggio e di cultura che offre una regione particolare ed unica come la Campania.

Nella parte generalista di questo numero troverete focus su luoghi lontani o relativamente lontani, ma sicuramente interessanti per gli amanti di esperienze verticali inusuali: Marco Zanchetta ci porta sulle rocce argentine, per falesie e luoghi poco noti. Un secondo viaggio nel meno lontano ma non meno affascinante Libano segue le meraviglie della Pampa e delle Cordigliere. Insomma, per concludere, un numero di Up climbing che dovrebbe, speriamo, portare in fretta a vivere nuove avventure verticali, qui è là, dove si preferisce, e dove ci porta l’immaginazione…

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Francesco Castellano durante una calata in doppia negli anni 30. Foto: Archivio Sezione di Napoli del Club Alpino Italiano.

Campania Felix

Testo Oreste Bottiglieri

Al contrario di quanto si possa immaginare per una città di mare quale è Napoli, la sezione partenopea del Club Alpino Italiano, fondata il 22 gennaio del 1871, è una delle prime a nascere in Italia. Più precisamente, dopo la costituzione del CAI a Torino il 23 ottobre 1863, quella napoletana è la settima “succursale”, così si chiamavano allora le sezioni, dopo quelle di Torino, Aosta, Varallo Sesia, Agordo, Firenze e Domodossola.

Fin da subito, le attività organizzate dalla Sezione mostrano l’intenzione di concepire la frequentazione della montagna come esplorazione, studio, conoscenza. Va detto però che, durante questa prima fase di vita, la Sezione di Napoli era molto più incline a dare respiro alle proprie indagini di ricerca scientifica più che diffondere esperienze alpinistiche in senso stretto. Tant’è vero che il primo luglio del 1892, si ebbe una sorta di divisione interna con la fondazione della Società Alpinistica Meridionale, nata dall’esigenza di scindere il piacere dell’andar per monti dall’approccio scientifico in senso assai più stretto verso cui il C.A.I. tendeva a convergere. La coesistenza delle due associazioni durò fino al 15 marzo del 1899, quando la S.A.M. confluì proprio nella sezione di Napoli del Club Alpino Italiano, pur mantenendo una propria dichiarazione di intenti e, dunque, una certa autonomia. Il Novecento rappresenta un secolo pregno di accadimenti nella storia dell’alpinismo e dell’arrampicata partenopei: si assistette ad un’attività abbastanza regolare della Sezione, sulle Alpi e sul Gran Sasso e, a partire dai primi anni Venti, tale

fervore conoscitivo in materia di arrampicata cominciò a mettere radici in Campania, dove fu per merito di Cesare Capuis, accademico del C.A.I., ingegnere livornese d’origine e veneziano d’adozione, che fu possibile dar vita alle prime ascensioni in cordata lungo le pareti di roccia della regione.

Durante la sua breve permanenza a Napoli, databile tra il 1920 e il 1926, Capuis esplorò numerose pareti campane, aprendo vie fino al IVº+ soprattutto sui Monti Lattari, la catena montuosa che costituisce l’ossatura della Penisola Amalfitano-Sorrentina, quindi sul Monte Sant’Angelo a Tre Pizzi, sulle guglie del Vallone Quisisana di Castellammare, il Monte Finestra e la Cresta della Conocchia, per citarne qualcuna; sempre a Napoli, Capuis lasciò un altro segno tangibile del suo passaggio: nel 1923, infatti, promosse proprio nella città partenopea la prima scuola di roccia della sezione C.A.I. e diede vita ad un nucleo di soci arrampicatori che iniziarono in autonomia a cimentarsi su roccia. Ma, tra tutti i luoghi campani che Capuis ebbe modo di esplorare e di cui poté innamorarsi, fu a Capri che l’ingegnere toscano lasciò il suo contributo alpinistico più importante: lì, sull’isola azzurra, Capuis fece suoi i Faraglioni e l’Arco Naturale, solo per menzionare alcune sue scalate ed è, quindi, proprio da Capri che bisogna partire per ricostruire una storia dell’arrampicata in Campania.

“L’ISOLA DI CAPRI RAPPRESENTA, SENZA ALCUN DUBBIO, UN LUOGO MAGICO, PROTAGONISTA INDISCUSSA DI NUMEROSE OPERE LETTERARIE ED ARTISTICHE, È STATA PALCOSCENICO PER PERSONAGGI CHE HANNO FATTO LA STORIA, CHE SULL’ISOLA CI HANNO VISSUTO O CHE, IMMAGINANDOLA E LASCIANDOSI AMMALIARE DAL SUO FORTE POTERE EVOCATIVO, IN QUEI LUOGHI VI HANNO

AMBIENTATO LE LORO STORIE O DATO CASA AI LORO AMORI. E COSÌ, DA OMERO A NERUDA, È TUTTO UN SUSSEGUIRSI DI VICENDE

AFFASCINANTI CHE SPESSO CONFONDONO REALTÀ E FINZIONE, ACCRESCENDO L’ATTRAZIONE CHE L’ISOLA GENERA NELL’ANIMO DI CHIUNQUE L’ABBIA INCONTRATA.

Storia 6
Arianna Veltri sulla Via della Fessura. Foto: O. Bottiglieri
Storia 7

“ HO DOVUTO TOGLIERE

I GUANTI, LE MANI SI RAFFREDDANO. ARRIVO AD UNA FESSURINA VERTICALE CHE TAGLIA UNA PLACCA LISCIA, ALTA POCO PIÙ DI DUE METRI.

QUI OCCORRE UN CHIODO. NE HO UNO SOLO, L’UNICO CHE MI È RIMASTO, E, PER GIUNTA, È PER ORIZZONTALI. LE MANI SONO FREDDE. IL MASSO SUL QUALE SONO SI MUOVE. IL CHIODO NON CANTA. LO LASCIO LO STESSO. LE MANI SONO MOLTO FREDDE, STRINGONO POCO. I POLPACCI INCOMINCIANO A TREMARE. VORREI SCENDERE... NON SO SCENDERE... LE MANI NON TENGONO... AH...UN APPIGLIO BUONO! PORCO... ATTENZIONE...

Lo strattone, seguito a quel volo, desta Castellano da quell’improvviso disorientamento e, felice, si rende conto che De Crescenzo ha gestito bene la sicura; giusto il tempo di accertare la natura di alcune abrasioni alla mano sinistra e accorgersi degli abiti, chi sa per quale ragione, ridotti a brandelli, prima di invertire la cordata e deviare su un percorso più semplice, giungere sul Molare e tornare giù, in direzione del rifugio. È tardi, lassù non si può indugiare oltre modo.

...ci precipitiamo giù. Il tempo va migliorando. Ringraziamo il cielo. Dieci minuti di sosta al rifugio per infilare gli scarponi. Sono le 18. Distinguiamo ancora le cose intorno, solo perché uno strano chiarore ci circonda. È il candore della neve!

Le luci di Castellammare, ora, sono sempre più vicine, la complessità di quell’ascensione cede il passo ad un’andatura serena che permette ai due compagni di abbandonarsi a sognanti riflessioni su ciò che hanno, poco prima, vissuto e che, chissà, altrettanto intensamente ancora vivranno.

Negli stessi anni si supera il VIº e, a riguardo, le imprese più importanti le compie sicuramente il rocciatore napoletano Antonio “Nino” De Crescenzo a Capri, che il 18 maggio 1947 apre con Adolfo Ruffini

una via diretta con uno sviluppo di 280 metri sullo spigolo SE dello sperone centrale del Castiglione ed il 3 luglio 1948, con suo fratello Giuseppe, vince lo spigolo Est del Salto di Tiberio, una parete di circa 300 metri situata sul versante Est dell’isola.

Le imprese di Ciccio Castellano e Nino De Crescenzo saranno cantate con profondo sentimentalismo dal noto poeta e pittore futurista Emilio Buccafusca, anche lui bravo alpinista, iscritto alla sezione napoletana del C.A.I., che fondò nel 1938 il Gruppo Napoletano Scrittori di Montagna.

Nel 1970 un manipolo di alpinisti romani apre le prime vie lunghe nel Cilento, l’area più meridionale della Campania, sulle pareti dei Monti Alburni. Quella più rappresentativa, probabilmente, è la Via dei pionieri di Marco Geri e Geri Steve sul Colle Marola (o Medoro). Sulle stesse pareti, nel 1973, Alberto Dorigatti e Silvio Riz dei Camosci della Val di Fassa aprono una via sul Braccio del Panormo.

Dal 1976 al 1978, l’alpinista lombardo Pino Tartagni si dedica all’apertura di alcuni impegnativi itinerari sui pilastri del Monte Bulgheria.

Nei primi anni ‘80, Alessandro Gogna e Andrea Savonitto, durante il loro viaggio esplorativo nel “Mezzogiorno di Pietra”, aprono itinerari che sfiorano il VIIº sulle pareti costiere campane e dell’entroterra del Parco del Cilento.

Dalla metà degli anni ‘80 in poi si assiste, anche in Campania, allo sviluppo dell’arrampicata sportiva, all’apertura dal basso di vie multipitch trad e a spit, ma c’è anche chi cerca di valorizzare gli itinerari classici, come il compianto Francesco del Franco, alpinista ed editore napoletano, o il sottoscritto, riscoprendo, riattrezzando e ripulendo diverse vie storiche degli anni passati.

Dalle origini fino ai giorni nostri, l’arrampicata in Campania ha segnato un tracciato importante, oggi, infatti, sulle rocce campane si contano una trentina di vie trad, circa 60 vie multipitch a spit, qualcosa come 1700 monotiri e qualche via ferrata.

La Campania credo sia una delle poche regioni dove l’arrampicata può ancora significare esplorazione: c’è tanto da fare sul calcare bianco degli Alburni, sulle falesie cilentane e sui monti Picentini, sicuramente ci sarà un po’ da lottare con la vegetazione, sicuramente sarà un po’ controcorrente, ma mi auguro che la nuova generazione di alpinisti campani possa riscoprire il gusto dell’avventura, la gioia della scoperta, e cimentarsi con questo modo romantico di intendere l’arrampicata.

10 Storia

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Ci si incontrava in falesia per scalare o per chiodare e spesso si restava giornate intere sospesi all’imbrago per tracciare delle vie che, belle o brutte che fossero, sarebbero state simbolo indiscusso di quei luoghi o, quanto meno, avrebbero rappresentato un pezzo importante della loro storia, acquisendo un ruolo fondamentale anche nelle vite di chiunque tra noi che, lì a chiodare su quelle pareti, avesse deciso di trascorrervi gran parte della propria esistenza, luoghi da intendere quasi come dei tesori da custodire e da condividere con tutta la piccola comunità locale degli arrampicatori. In quanto chiodatore abbastanza assiduo di queste zone, risulta per me un compito arduo, direi quasi utopistico, fare una selezione delle falesie campane più belle, considerando che per essere definite tali dovrebbero rispettare parametri fra i più disparati,

peculiarità dell’ambiente naturale che le ospita. Alla luce delle considerazioni appena fatte, dopo circa quarant’anni di arrampicata, con più di un migliaio di vie attrezzate all’attivo, e con la schiena che ogni giorno mi chiede pietà, posso con una certa consapevolezza affermare che soddisfare un target così variegato come quello degli arrampicatori, sarà senza alcun dubbio un’opera assai ardua scegliere la giusta linea da seguire, quell’ideale compromesso capace di indurre tutti ad apprezzare le opportunità offerte dalle falesie proposte. A dirla tutta, stavolta, io suggerirei di mettere un po’ da parte le prestazioni, i numeri, la competitività e di goderci anche il l’ambiente e la storia di questi luoghi, perché le falesie che si mostrano ai nostri occhi, tra la Costa d’Amalfi e quella Cilentana, sono tutte belle, tutte inserite in contesti paesaggistici da cartolina e poi hanno quasi tutte un valore aggiunto: il mare!

dovendo soddisfare le esigenze di un pubblico di sicuro assai ampio. Le falesie, infatti, dovrebbero, al tempo stesso, essere fruibili nel periodo richiesto, avere un’ampia scelta di vie e di ogni grado e risultare tra le più appetibili per le caratteristiche della roccia e le

“Ma come?” - si chiederà a questo punto un lettore attento – “una guida alpina che propone un tour di arrampicata che si snoda sul mare?” Sì, rispondo io, perché scalare col mare che fa da sfondo, fra tramonti mozzafiato e atmosfere mediterranee, fa da sempre

Lara Ianniello su È finita la carta
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Foto: O. Bottiglieri Storia Sulle rocce del Golfo e non solo...

parte della mia vita, fa parte di quelle cose che mi fanno stare bene e che mi rendono felice. Quindi, proviamoci, cari alpini e cari arrampicatori urbani, non ve ne pentirete. Vi assicuro, invece, che nei luoghi che a breve scopriremo vorrete ritornarci di nuovo, per assaporare ancora i profumi costieri, le atmosfere di vita contadina e la sua semplicità, i paesaggi di luce, di roccia e di mare. Vi renderete conto che in questi luoghi il tempo scorre più lento che altrove, in forte contrasto con quelli che sono i ritmi frenetici a cui ognuno, ormai, è costretto. Qui di seguito, descriverò sei falesie che presentano caratteristiche e gradi differenti, falesie che vanno bene un po’ a tutti e che, dopo aver visto, vi cattureranno con la loro bellezza, lasciandovi addosso il desiderio di ritornarci ancora...

1. Capo d’Orso

è la falesia che non delude mai, perché è una delle più belle e complete della Costa d›Amalfi. Si trova tra Erchie e Maiori, ad una decina di chilometri da Salerno. L’esposizione favorevole dei diversi settori ne fa un fresco rifugio per la calura dei mesi estivi, soprattutto al mattino e, nota assai positiva, d’inverno, qui si riesce a scalare senza soffrire troppo il freddo, dal momento che le pareti sono abbastanza riparate dai venti che soffiano da Nord. E, in aggiunta, come se i punti di forza finora elencati non fossero già sufficienti, è importante ricordare che dalla base delle vie si può godere di un’ampia e stupenda visuale sulla costa, che permette allo sguardo di perdersi lungo un panorama che spazia fino all’isola di Capri.

All’inizio degli anni ‘90, il nostro gruppetto di chiodatori, riuscì a comprare un favoloso ma pesantissimo Ryobi a benzina e chiodammo su questa falesia una manciata di tiri; poi, per diverse circostanze, per una ventina d’anni abbandonammo quel progetto a cui avevamo dato avvio, conservando in cuor nostro il desiderio di poterlo riprendere.

E così, oltre il tempo e gli eventi, con l’intento di proseguire quei lavori avviati anni prima, a partire dal 2010, ho iniziato a riattrezzare gli strapiombi della parte sinistra della falesia col pazientissimo Giovanni e, insieme a Mauro Piccione, ho rimesso le mani e le corde sulle belle placche a destra utilizzando fix, resinati, soste e moschettoni in acciaio inox; negli ultimi anni ho aperto con Miriam, Alessio e altri amici anche delle vie di più tiri, brevi ma su roccia bella e compatta: si tratta di multipitch aperti prevalentemente dal basso a fix e poi ripuliti, disgaggiati e integrati in maniera sportiva con numerosi ancoraggi e soste.

2. Punta Campanella

Area naturale marina protetta dal 1997, è l’estrema propaggine della Penisola Sorrentina. Da qui si può godere del profilo più affascinante dell’isola di Capri: nelle giornate terse la parete del Salto di Tiberio ed i Faraglioni sembra di riuscire a toccarli con le mani.

I Greci costruirono a Punta Campanella un tempio alla dea Atena; successivamente i Romani praticarono in loco il culto della dea Minerva. La presenza del tempio di Minerva è comprovata da fonti letterarie e dai ruderi, tuttora visibili, intorno alla Torre saracena, rovine che sono probabilmente dei resti del basamento di un tempio posto a sud della Torre.

Tra l’altro, sulla parete rocciosa, in fondo alla gola, a qualche metro di altezza dal sentiero, è stata rinvenuta nel 1975 un’incisione osca che attesta la costruzione (anteriore al 308 a.C.) ed il collaudo della rampa che

conduceva al tempio. Purtroppo, a causa dell’incuria e per le batterie dell’artiglieria poste dai Francesi al tempo di Murat per evitare lo sbarco degli Inglesi a Capri, è rimasto quasi nulla dei ruderi. Oggi è ancora visibile vicina al faro, ma in cattivo stato di

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Genni Carmando su Spongebob, 6a. Foto: O. Bottiglieri Storia Sulle rocce del Golfo e non solo...

conservazione, la Torre di Minerva, edificata da Roberto d’Angiò nel 1335 e rifatta nel 1566. In caso di avvistamento di pirati, sulla torre veniva fatta suonare una campana di allarme: ecco l’origine del nome di Punta Campanella.

Oltre vent’anni fa, in un giorno d’inverno, Umberto Iorio, pioniere dell’arrampicata campana, mi fece conoscere Punta Campanella e la sua arrampicata “con vista” su Capri.

Il mare si esibiva in spettacoli rumorosi e impressionanti, tanto da provocarmi un senso di paura e impotenza di fronte a quelle onde che “esplodevano”, infrangendosi sulle scogliere e a pochi metri da noi. Passando vicino ad incisioni scolpite nel calcare, arrampicammo di corsa tra le urla dei gabbiani fino in cima alla parete e, ammirando dall’alto quello spettacolo, mi resi perfettamemte conto della grandiosità di questi luoghi così misteriosi, così ricchi di storia e di natura.

All’epoca si contavano circa una trentina di vie d’arrampicata tra la scogliera Est e quella che si affaccia a Sud, proprio sotto la torre antica. Su quest’ultima vi si accedeva con una calata dall’alto, ricordo ancora

quella sensazione spiacevole del vuoto che pian piano sfumava lasciando spazio alla gioia di scalare su un calcare perfetto e col mare blu che faceva da sfondo. Ma è stato proprio il mare a cancellare quasi completamente gli ancoraggi su queste vie. La salsedine ha inesorabilmente corroso le vecchie piastrine in alluminio che si utilizzavano allora e, arrampicando oggi su queste falesie, si può scorgere ancora qualche perno solitario qua e là…

Il ripristino della chiodatura a Punta Campanella è iniziato nel 2008 per opera mia e di Stefano Sgobba, riattrezzando delle vie del settore Murene; successivamente sono intervenuti altri chiodatori (Cristiano Bacci, Francesco Galasso e c.ny) che hanno ridato vita alle vie del settore Scrittura e del Paretone. Poi, dal 2018, coi fondi del Geko Festival, abbiamo ripreso in titanio quasi tutte le vie del settore Murene, le soste e gli ancoraggi sui passi chiave del multipitch “Ragno di mare” così come gli ancoraggi della teleferica per raggiungere la base di questa via.

Devo, mio malgrado, ricordare che qui si scala in ambiente marino ed i fenomeni di corrosione sugli ancoraggi sono molto più rapidi e pericolosi rispetto alle falesie ubicate lontane dal mare, anche se sono stati utilizzati ottimi materiali inox. Considerato che manca una manutenzione costante dei materiali e visti i recenti avvenimenti e gli incidenti provocati dalla corrosione in diversi siti d’arrampicata sul mare, non si esclude la possibilità che, nel giro di pochi mesi dalla chiodatura, gli ancoraggi inox ancora presenti sulle vie di Punta Campanella non offriranno più adeguate garanzie di sicurezza.

3. Caposele

È un comune dell’Alta Irpinia e del Parco Regionale dei Monti Picentini. Qui nasce il Sele, il fiume che alimenta l’acquedotto pugliese e che sfocia a Paestum, sulla costa Cilentana.

Il paese è noto soprattutto per il santuario di San Gerardo a Maiella, ogni anno meta di più di un milione di pellegrini. Ma oltre che per il turismo religioso, Caposele sta divenendo una meta importante anche per i praticanti delle attività outdoor: il parco fluviale, i siti di arrampicata, i boschi rigogliosi e le cime dei Picentini cominciano ad attirare centinaia di escursionisti e arrampicatori ogni anno.

Grazie all’appoggio dell’amministrazione comunale, la prima zona d’arrampicata di Caposele l’abbiamo realizzata (il sottoscritto con Giuseppe Morgera nel 2021 e 2022) su un caratteristico monolite roccioso che

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Oreste Bottiglieri Monastero di S.Lara. Foto: O. Bottiglieri Storia Sulle rocce del Golfo e non solo...

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Siamo esperti della lana e pionieri della sicurezza e forniamo a chi pratica alpinismo abbigliamento sostenibile e attrezzature d’emergenza.

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32 Storia

Multipitch campane Una vicenda che parte da lontano

Come si può facilmente evincere dalla prefazione storica sull’arrampicata in Campania, le prime vie di più tiri nella nostra regione, o meglio le prime salite in cordata, risalgono ai primi anni ’20 ed hanno, quindi, origini più recenti rispetto alle imprese dei pionieri dell’arrampicata in quelle località di montagna con più forte vocazione alpinistica.

Ma, la nostra regione, seppur non possa vantare le ascensioni di gran respiro e l’offerta consistente di multipitch rispetto alle zone alpine, offre un buon numero di vie lunghe sportive e su terreno d’avventura.

Già a partire dalla fine degli anni ’30, il Salto di Tiberio, a Capri, una parete di circa 300 metri situata sul versante Est dell’isola, è teatro di imprese alpinistiche degne delle più ardite salite dolomitiche.

Una leggenda racconta che l’imperatore romano Tiberio avrebbe fatto gettare i condannati da questa rupe e, dopo essere precipitati, sarebbero stati percossi con remi e bastoni da una squadra di marinai, fino alla morte. Ma questa è un’altra storia.

Io voglio riassumere qui la descrizione dei vari tentativi di ascensione allo spigolo Est del Salto e riportare i tratti più significativi della “Relazione tecnica-storicosentimentale del Salto di Tiberio” scritta da Adolfo

33 Storia
Alessio Nunziata e Adele Pierri sul traverso dell'ultimo tiro di Ogni buco è pertuso Foto: O. Bottiglieri

Ruffini, pioniere dell’arrampicata partenopea, su una Rivista mensile del C.A.I. del 1948.

Francesco Castellano e Riccardo Luchini tentano lo spigolo per la prima volta nell’aprile del 1938. Con una traversata obliqua verso destra sulla parete Sud raggiungono e superano lo spigolo e bivaccano sulle cenge intermedie a 180 metri sul mare. Attaccano all’alba l’unico punto debole della parete: una fessura camino che scende stretta, svasata e a strapiombo dalle cenge alte, ma non riescono a superarla e battono ritirata.

Negli anni successivi, varie cordate provano a scalare il Salto senza esiti di rilievo, si dovrà, infatti, aspettare parecchi anni per assistere a dei tentativi fruttuosi.

Adolfo Ruffini nell’agosto del ’47 riesce a vincere i primi 70 metri dell’attacco diretto allo spigolo dal mare, partendo dalla volta della grotta sottostante. A settembre dello stesso anno Ruffini, Alfredo Ammendola, Raffaele Lombardi e Franco Leboffe sono di nuovo all’attacco della direttissima!

“La parete cede, lottano e vanno su dritti a tutta forza, con la speranza di vincere chiusa nel petto. Dopo sei ore di arrampicata, alle 20,30, raggiunte le cenge intermedie sono alla base della fessura-camino; ma non lo sanno, è buio pesto. Bivaccano. La notte è afosa e calda; la sete li tormenta, nuvole di zanzare venute da chi sa dove, non li lasciano riposare. Sotto a perpendicolo, le lampade scivolano sul mare nero.

Qualche pescatore canta, ma sotto il paretone del Salto, intimorito dalle ignote voci, zittisce e si piega maggiormente sui remi. Sono le voci degli schiavi uccisi da Tiberio? No, sono quattro poveri rocciatori che stanno crepando di sete. Poi un richiamo: una voce conosciuta, è un amico che salito per la stradina in vetta al Salto viene a portare loro un saluto, un incitamento, un augurio. Quando il sole, immenso e rosso come un ferro rovente, salì dal mare tutto insanguinando, li trovò già legati che studiavano la parete; una fascia compatta di strapiombi, paurosa, ed a sinistra una fessura-camino. È lì un chiodo con cordino, l’ultimo lasciato da Castellano nel 1938.”

Ammendola e Ruffini provano per diverse ore ma, tra tentativi a vuoto, piramidi umane e pendoli, dopo ventiquattro ore di lotte, quasi allo sfinimento, si ritirano. Più allenati, ritornano a maggio sulla parete, ma anche in quell’occasione non danno la possibilità a Lombardi, fisicamente più esile, di affrontare la stretta fessura e, dopo 12 ore, decidono di rinunciare e calarsi, con l’idea di ritornare e provare a forzare uno strapiombo a sinistra. Ma, il 3 luglio 1948, una settimana prima del giorno fissato, i fratelli Antonio e Giuseppe De Crescenzo li precedono, raggiungono la fessura e Antonio la attacca.

“Subito l’affrontava e riusciva a penetrarci con tutto il corpo; poi centimetro dopo centimetro, quasi soffocato per il torace compresso dalle pareti, la conquistava tutta. Rinfrancati dall’aver superato il tratto chiave della salita, esausti e felici i due fratelli si abbracciavano.”

34 Storia
Miriam Fasano sulla L3 di Aspettando Mattia Foto: O. Bottiglieri
Multipitch campane

Dopo un tratto con roccia infida ma meno impegnativo e dopo oltre 12 ore dall’attacco i fratelli raggiungono la cima del Salto!

“Intorno le tenebre si addensavano. Mentre ritornavano incontrarono Ammendola e Lombardi che andavano loro incontro. Ci fu un attimo di esitazione, poi le loro mani si unirono in una forte stretta ed i pesi dei loro equipaggiamenti passarono sulle spalle degli amici. Ci furono poi misurazioni di toraci, nodi alla gola, ragionamenti, strette di mano e grappa; ed alla cordata Ammendola Ruffini Lombardi non rimase che andare ad effettuare la ripetizione del Salto. Cosa che compirono (Lombardi capo corda nella fessura) in ottime condizioni ed in fraterno affiatamento il 10 luglio successivo.”

La fessura Antonio de Crescenzo da allora, probabilmente, non ha mai avuto ripetizioni…

Fortunatamente, la Campania può ancora annoverare la presenza di territori alpinisticamente tutt'ora poco o per nulla esplorati in ambienti aspri e selvaggi, soprattutto in diverse aree protette come il Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, il parco nazionale più esteso d’Italia, con i suoi 181.000 ettari. A quindici anni, cominciai a frequentare proprio la pietra del Cilento, seguendo le imprese di Alessandro Gogna e Andrea Savonitto. Mi affascinava, e mi affascina tuttora, lo spirito esplorativo e pioneristico che spingeva questi alpinisti a compiere delle salite, spesso anche molto impegnative, su terreni così tanto diversi dalle pareti alpine. Fondamentalmente ammiravo la determinazione e la disinvoltura con cui affrontavano la roccia solida o gli sgarrupi marci sommando le fessure, sottraendo i tetti e le placche lisce, moltiplicando per i metri… (cit. Gogna in Mezzogiorno di pietra, ed.Zanichelli).

Presenterò qui quattro multipitch, alcuni con relativa relazione “tecnico-sentimentale” in ordine di impegno, dal più facile al più difficile.

Ogni buco è pertuso Orrido di Pino (Agerola)

Il torrente Schiato nasce dai Monti Lattari, la catena dorsale della Penisola Amalfitano-Sorrentina, e passando dall’altopiano di Agerola, scende tortuoso verso il mare formando un canyon profondo e selvaggio fino a sfociare

nel famoso Fiordo di Furore, un’insenatura della costa d’Amalfi, antico porto e celebre location naturale del cinema italiano, scelta da registi del calibro di Rossellini e Fellini che lì vi ambientarono le loro sceneggiature piu note e passionali. E proprio Furore fu, in un certo senso, lo scenario del tormentato amore tra Rossellini ed Anna Magnani, tanto che, il regista romano rimasto fortemente affascinato dal Fiordo, decise nel 1948 di girarvi un film, L'Amore, con molta probabilità ispirato proprio al sentimento provato per l'allora compagna, la splendida Anna, che visse con lui a Furore.

Nella località denominata Vottara, posta sul versante roccioso che ricade nel comune di Furore, precisamente sulla destra orografica del canyon, io e Stefano Sgobba nel 1998 attrezzammo una quarantina di vie. Successivamente, intorno al 2012, il proprietario del

fondo adiacente la falesia vietò la frequentazione del sito. Negli ultimi anni sono stati chiodati numerosi monotiri da Francesco Galasso sul versante di Agerola della gola e altri progetti dello stesso chiodatore sono in corso nell’Orrido, compresa una via di più tiri sul lato furorese. Nel 2018, sulla parete che ricade nel versante agerolese, ho aperto un multipitch con Antonio Pignalosa e ripreso un itinerario del 2012 degli amici Giovanni Preghiera e Beppe Baroni. Entrambe le vie di più tiri sono state aperte dal basso a spit e successivamente integrate. Sulla stessa parete troverete anche una variante a quest’ultima via, aperta da F.Galasso.

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Anna Orefice sul terzo tiro di Ogni buco è pertuso Foto: O. Bottiglieri Storia Multipitch campane

Storia Multipitch campane

Aspettando Mattia

Monte Falerio (Cetara, Costa d’Amalfi)

Il borgo marinaro di Cetara è uno dei primi paesini che si incontrano percorrendo la famosa statale 163: la strada costiera che, partendo da Vietri sul Mare, solca in maniera tortuosa tutta la Costa d’Amalfi fino a Positano. La conca di Cetara è protetta a Nord dal Monte Falerio, in parte verdeggiante di boschi, vigne e agrumi ed in parte verticale e selvaggio.

In realtà un po' tutti i versanti del Falerio si presentano abbastanza ripidi ed il più interessante dal punto di vista alpinistico è quello occidentale, affacciato sulla vallata formata dal torrente Cannillo, che scende sinuoso verso la marina di Cetara. Al momento ci sono solo due multipitch sulla parete Ovest ma ci sono diverse possibilità di sviluppo e progetti per il futuro.

Oreste Bottiglieri, Mauro Piccione, Lara Iannielloestate 2012

Dislivello: 120m

Sviluppo: 145m (5L)

Difficoltà: 6c (6a obb.)/S1/I

Materiale: 15 rinvii lunghi

Attacco: Dal sentiero principale si prende a destra una traccia abbastanza diretta tra la vegetazione che conduce all‘attacco della via, nei pressi di un terrazzo con masso appoggiato alla parete

L1. placca con roccia un po’ instabile in partenza, poi ottima fino in sosta (5c, 35m)

L2. spigolo, placca, leggero strapiombo e ancora placca con bella roccia (6b, 30m)

L3. traverso a destra sulla cengia, breve strapiombo a canne e uscita delicata sulla placca a destra (6b+, 20m)

L4. traverso a destra, strapiombo con buone maniglie e stalattiti, camino, spigolo e traverso su bella placca a gocce (6b, 30m)

L5. placca a gocce verso destra, breve traverso deciso a sinistra e fessura estetica (6c, 30m)

Discesa: anche se la via ha un andamento obliquo verso destra, non sono state attrezzate soste di calata dirette ed indipendenti per la cattiva qualità della roccia della parte sottostante. Quindi per le calate è consigliabile usare tutte le soste di salita in questo modo:

• 2 calate oblique a sinistra da 30m. (è fondamentale lasciare qualche rinvio che recupererà l’ultimo che scende).

• 1 calata di pochi metri verso sinistra (evitabile se si usa la corda da 80m. o le mezze corde).

• 2 calate da 30m. (oppure 1 da 60m. con mezze corde).

5c 6b 6b 6c 6b+
Nicola Caiazza sulla fessura finale della L5 della via Aspettando Mattia
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Foto: O. Bottiglieri

La sottile differenza

Punta d’Aglio

È una meravigliosa falesia che si trova a Scala, nella parte alta della Riserva Naturale della Valle delle Ferriere, a monte di Amalfi. È il sito per eccellenza della costiera amalfitana, dove coesistono arrampicatori, escursionisti, capre e pastori; è il luogo dei “malopassi”, cioè dei sentieri pericolosi ed esposti, e quindi uno dei pochi posti dove l’arrampicata, per giusta causa, è entrata a farne parte sin dall’inizio. Il contesto naturale in cui è inserita la falesia è molto bello e attraente. Ci sono monotiri, vie di più lunghezze, sportive e su terreno d’avventura, in un ambiente unico, tranquillo, isolato e a dieci minuti di cammino dal paese. Nelle fredde e ventose giornate invernali, la falesia è abbastanza riparata, un po' di vento arriva alle pareti quando spira da Nord Est e dal mare.

O.Bottiglieri, S.Sgobba 1998

Sviluppo: 92 m (3L)

Difficoltà: 7c (7a obb.)/S1/I

Materiale: 14 rinvii

Una delle vie lunghe più belle e sostenute di Punta D’Aglio.

L1 Singolo impegnativo nella prima metà, poi placca con gocce dolorose (6c+, 31m., 14 spit).

L2 Canne, placche e bombamenti su roccia stupenda (7b+, 31m., 14 spit) .

L3. Una lunghezza dura, sostenuta, bella e con sorpresina finale (7c, 30m., 14 spit).

Discesa: Seguire le soste attrezzate facendo attenzione alla fine delle corde.

6c 6a+ 6a+ 6a+ 6b+ 6a+ 7a+ 7a+ 7a+ 7c 7c 7c+ 7a+ 7b+ 8? 5b+ 5b+ 5b+ 5c+ 5c+ 6c+ 6b 6b 6c+ 6c+ 6c+ 6b+ 6c+ 6c+ 7b+ 7c 5c+ 6a 6a 6a 6a 6a 6c 6c 6c 7a
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Ischia, isola magica

Tutto è cominciato con un incidente. Scalavo da poco più di un anno, quando, durante una delle mie arrampicate, un’ombra improvvisa calò davanti al mio occhio destro. La diagnosi inequivocabile: distacco di retina. Il risultato fu una pausa forzata per molto tempo.

Il morbo dell’arrampicata, intanto, si era già impossessato di me, e quella pausa fu una tragedia. Non potevo arrampicare né allenarmi. La strada da percorrere sarebbe stata lunga, letteralmente e metaforicamente buia.

All’improvviso un barlume illuminò la mia mente: perché non sfruttare quell’occasione per portare l’arrampicata a casa, nella mia isola? Un sogno o una follia?

Nonostante non avessi trovato nessuna traccia o memoria di arrampicata, né in rete né in nessuna pubblicazione, volli provarci ugualmente. E così, insieme a Fiorella, mia moglie, ci mettemmo all’opera: carta geologica alla mano, Google Earth e tante esplorazioni in lungo e largo per l’isola, finché quasi magicamente ci imbattemmo in un paio di siti appetibili.

L’isola è famosa per il suo tufo verde ma le eruzioni passate ci hanno lasciato in eredità anche delle colate laviche molto interessanti, composte da un’ottima trachite. Nel frattempo avevo contattato la guida alpina Oreste Bottiglieri, che avevo conosciuto partecipando ad uno dei suoi corsi d’arrampicata e a cui confidai il mio ambizioso progetto.

Oreste accolse con il mio stesso entusiasmo l’idea di chiodare qualche tiro in un luogo così ameno e soprattutto ancora vergine. Da qui è nata la nostra collaborazione ma soprattutto la nostra grande amicizia. Alle prime luci dell’alba di un giorno d’estate partimmo per visitare un paio di pareti.

40 Storia
Giuseppe Pepito Morgera su Fessura di Coniglio, Falesia di Monte Vezzi. Foto: Francesco Guerra
41 Storia
Claudio Barile su Super Bacterio, Falesia di Zaro. Foto: Francesco Guerra

allievi di non avventurarsi in falesia al netto di una preparazione specifica. Un numero elevato di partecipanti e la presenza discontinua (da attribuirsi, tra l’altro, alla gratuità dell’iniziativa), infatti, non possono garantire a tutti una preparazione adeguata a garantirne l’incolumità e se poco rilevante nel complesso può considerarsi una carenza tecnica sulla pratica delle lolottes, addirittura letale potrebbe

risultare un’imperizia relativa all’uso degli assicuratori. Purtroppo l’invito rimane spesso inascoltato, poiché molti, invogliati dagli amici, spinti dall’entusiasmo e non sorretti dal buon senso, iniziano a praticare l’arrampicata in falesia senza rendersi nemmeno conto dei rischi potenziali; capita quindi, di frequente, di assistere a comportamenti avventati o addirittura ad errori clamorosi, che mettono in pericolo sia il soggetto stesso che sta commettendo lo sbaglio, sia maggiormente i compagni di attività.

Anche supportato da osservazioni di questo genere, nel 2017 fui contento di essere coinvolto dall’amico Simone (ex compagno del Soccorso Alpino ed allora presidente della sezione del CAI di Napoli)

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I primi giorni di apertura della parete di arrampicata dell’ex OPG; pochi metri quadri di pannelli e poche prese ma tanta voglia di allenarsi. Storia Dalle celle alle stelle

nel progetto di fondazione della prima Scuola di Sci Alpinismo e Arrampicata Libera del Sud Italia ( Scuola Bel Sud ), fondata dalle sezioni CAI di Napoli, Piedimonte Matese, Isernia, Bari, alle quali si sono aggiunte in seguito quelle di Cava dei Tirreni, Potenza e Salerno.

Con la nascita della Scuola Bel Sud, ha avuto inizio un percorso formativo personale, approdato poi al conseguimento del titolo di Istruttore Nazionale di Arrampicata libera del CAI. Lo scambio costante con gli amici Francesco, Federico e Paola; la fiducia riposta in noi dal direttore Davide che ci ha coinvolto nei corsi della Scuola; il supporto costante di istruttori esperti come Giancarlo; tutto ciò ha consentito il conseguimento di un significativo know how tecnicodidattico. Queste nuove esperienze hanno avuto una ricaduta positiva anche sulle attività gestite per l’Ex OPG, sia per l’esperienza maturata, sia per la maggiore facilità a dirottare gli allievi della palestra su una formazione adeguata per le attività outdoor (arrampicata ed alpinismo). Con questa finalità e con la voglia di creare maggiore aggregazione tra i neofiti, vengono organizzate diverse giornate di prova dell’arrampicata per principianti, in collaborazione fra la Rotpunkt climbing project ed il CAI.

“NEL CORSO DI QUESTI ULTIMI ANNI, CON L’AIUTO DEI MIEI EX ALLIEVI (DIEGO, GENNARO, ADRIANO, FRANCESCA) LA PALESTRA È

STATA AMPLIATA, E L’AFFLUSSO DI PERSONE INTERESSATE AI CORSI

O CON LA VOGLIA DI ALLENARSI CONTINUA SEMPRE AD ESSERE

MOLTO ELEVATO. DOPO SETTE ANNI, SONO CENTINAIA GLI ALLIEVI CHE

HANNO SEGUITO I CORSI ED ALCUNI DI LORO, ORAMAI, MI “STRACCIANO”

SUI PANNELLI; È QUINDI, PER ME,

IMPOSSIBILE DISSIMULARE QUELLA

PUNTA D’ORGOGLIO CHE SI GENERA

DALLA CONSTATAZIONE CHE DAL

COMPENSATO DELL’EX OPG, IN MOLTI

HANNO FINITO COL MISURARSI CON

LE PARETI DELLE FALESIE, ED ALCUNI

ANCHE CON QUELLE DEL GRAN SASSO

E FINANCHE DELLE ALPI.

La sicurezza, questa sconosciuta; quando credi di averle viste tutte in falesia, un giorno ti ritrovi una giovane mamma che fa sicura al marito mentre prova un tiro di 7a+, con il figlio di sei mesi nel marsupio, probabilmente inconsapevole dei rischi a cui lo espone.

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LastorySelva

“I bravi ragazzi vanno in paradiso, quelli cattivi dappertutto”
68 Vertical Tales
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Vertical Tales

Via dei Trentanni

8/12/2014 Caiazza-Iadarola var. Caiazza-Brucoli 22/10/2023

Rava di Prata -Letino (CE)

Sviluppo: 196 m / S2

Avvicinamento: Parcheggiare pressappoco alla fine della strada che costeggia il lago di Letino(CE) e conduce alla diga (N41º26’50.3” E14º14’20.7”). Prendere il sentiero che sale verso la sella, fino ad arrivare alla grande croce metallica ricavata da antichi attrezzi contadini, quindi procedere a sx di questa fino alla panoramica cresta.

Calate per raggiungere L0: Al termine del sentiero, guardando il gendarme portarsi alla sua dx circa 40m, sul bordo del precipizio si noterà una catena inox omologata con anelli. La seconda, identica, 60 m più sotto.

Materiale suggerito: normale dotazione alpinistica, utili 3 micro friends.

Relazione

L1 6b 20m

Attacco al centro della parete, puntando ad un alberello, salire la placca verso sinistra.

Poco sopra l’albero S1 (2 fix)

L2 6a 18m

Seguire una logica rampa che punta verso un diedro. All’ingresso del diedro S2 (2 fix)

L3 6c 20m

Salire inizialmente il diedro, spostarsi leggermente a sinistra in placca per poi riportarsi in prossimità del diedro.(2 fix)

L4 6b 30m

Continuare su placca che tende ad appoggiarsi per poi ribaltare con passo atletico su una cengia

alla base di un diedro. NOTA: circa a metà tiro è presente una sosta intermedia con moschettone incastrato. In caso di necessità, da questa sosta è possibile tornare a terra con calata di 60 m. Altrimenti continuare e sostare alla base del diedro. (2 fix)

L5 7b 25m

Risalire l’evidente diedro. Al termine, sulla dx sosta su 2 fix. A questo punto si può decidere di continuare la via (L6) oppure seguendo la rampa a destra, uscire dalla parete fino ad una sosta con anello. Altri 30 mt (II) traversando il pendio erboso, conducono alla base di una placca (anello ,cordone e fix). Da qui con un tiro di 6b si esce sull’altopiano. (Sentiero di discesa).

L6 6c 35m

Estetica placca con passi di equilibrio, difficoltà sempre minori fino a sosta (2 Fix)

L7 IV 30m

Per facili roccette e sfasciumi si raggiunge la base del gendarme ed ivi si sosta (1 anello)

L8 6c 18m

Si attacca il gendarme per una estetica e delicata placca, poi una rampa a sx che porta fino alla vetta. Da qui calarsi verso la parete e successivamente scalare un muretto di roccia che porta all’altopiano (sentiero di discesa).

L’unica operazione effettuata poco dopo l’apertura, fu l’aggiunta di due soste inox ad anello sulla parete prospiciente , per consentire con due calate da 60 metri, l’arrivo alla base della via, evitando la discesa del canale e il traverso esposto. E così, a completare il lavoro, l’amico fraterno Luca Manni, armato di trapano e catene si lascerà calare e installerà le soste di calata.

IL RITORNO

Quasi dieci anni dopo, la svolta.

Durante un corso in Puglia, ho la fortuna di conoscere Luciano. Condividiamo idee, valori e visioni dell’arrampicata. E’ subito amalgama. Cominciamo a legarci insieme e dopo innumerevoli avventure percepisco che è la persona giusta per ritornare nella Rava di Prata. Ripetiamo la via, Luciano è entusiasta, “Nicò è estrema” mi ripete. Io rivivo i momenti dell’apertura, resto incredulo per l’energia e la determinazione avuta, allora neo trentenne.

Eh sì, trent'anni da poco compiuti, Massimo invece era appena entrato tra i quarantenni.

Un passaggio di generazione in generazione, di gesti, sudore , graffi, cuore in gola, che ancora si ripete, ora e qui con Luciano, una consegna di idee e sogni che danno un senso a tutto ciò. Qualcuno la reputa avventura, per qualcuno resta azzardo o inutile spericolatezza, io la chiamo vita.

Linea e calate

76
Storia Lo sguardo apre la porta ai sogni

Cilento Boulder

Diego Errico su Fidati di me Foto: Arch. Diego Errico
78 Storia

Il Cilento, a chi conosce questa area territoriale della provincia di Salerno, solitamente vengono in mente le zone costiere, la cucina tradizionale locale, le strade che si insinuano tra colline e montagne.

79 Storia

Quel che è attrezzato, comunque, costituisce già un insieme di alta qualità, sia per roccia, varietà di tiri e difficoltà, che per ambientazione, e se a questo uniamo le bellezze naturalistiche del Paese, la ricchezza (e lo stato incredibile di conservazione) dei suoi siti archeologici, la cultura culinaria e l’ospitalità del popolo libanese, possiamo ben pensare al Libano come una potenziale meta arrampicatoria d’eccellenza. Conosciuto fino agli anni ’70 come la Svizzera del Vicino Oriente, il Libano, poco più piccolo dell’Abruzzo e incastonato tra i confini al momento poco fruibili e a tratti contestati di Israele e Siria, presenta ancora

le vestigia di un passato recente di benessere, che convivono con il visibilissimo accentuarsi dell’attuale crisi economica e con la presenza di numerosissimi rifugiati Palestinesi e Siriani (2 milioni su una popolazione di 5 milioni di libanesi, in assoluto il Paese con il maggior numero di rifugiati al mondo).

“DIFFICILE DEFINIRE IL CARATTERE DI UNA NAZIONE CHE, PUR NELLE SUE DIMENSIONI RIDOTTE OSPITA UNA VARIETÀ DI PAESAGGI CHE SPAZIANO DALLE SPIAGGE ALLE IMMENSE METROPOLI E ANCOR PIÙ STERMINATE AREE METROPOLITANE, PER ARRIVARE ALLE FORESTE E ALLE MONTAGNE

DELLA CATENA DEL MONTE LIBANO, CON ALTITUDINI FINO AI 3000 METRI, CHE OFFRONO COMPRENSORI SCIISTICI DI TUTTO RISPETTO E POSSIBILITÀ DI SCIALPINISTICHE INTERESSANTI.

Prima di partire, eravamo comprensibilmente preoccupati per la sicurezza: le recenti instabilità e la crisi attuale, le proteste contro il settarismo come sistema di governo e l’inflazione galoppante. Sicuramente sono problemi immensi per chi vive e lavora lì, ma volevamo essere sicuri di poter gestire il viaggio in tranquillità, divertendoci e raggiungendo le falesie e i siti di interesse senza troppe apprensioni. Diciamo che non abbiamo trovato moltissime info girando sul web, se non i report sempre, diciamo così, prudenti del sito Viaggiare Sicuri della Farnesina. Fortunatamente è piuttosto semplice raggiungere le comunità di arrampicatori locali in qualunque parte del mondo, quindi grandi rassicurazioni e tanti consigli sul gruppo Facebook Rock Climbing Lebanon, dove numerosi local sono pronti a dare risposte esaustive a tutte le domande del caso e a dipanare dubbi; anche nelle città, ci dicono, la situazione è tranquilla, i disagi ci

Baalbek Foto: Elisa Ghezzi Shawarma Foto: Elisa Ghezzi
106
Focus Libano Meraviglie libanesi

sono, ma sono per chi ci vive tutti i giorni e, con qualche piccolo accorgimento, tipo non rimanere nel centro di Tripoli in prossimità del tramonto o evitare alcuni quartieri di Beirut, non dovremmo avere problemi. Ci prepariamo quindi a partire.

C’è una guida unica per l’arrampicata in Libano, pubblicata nel 2021, ben dettagliata e con accesso al download sulla app di Vertical-Life, con indicazioni di tutte le esposizioni e dei periodi indicati per fruire al meglio delle falesie dell’area. I due entusiasti autori sono ragazzi libanesi, molto attivi sul gruppo di cui sopra e disponibilissimi a rispondere a qualsiasi domanda, nonché i maggiori chiodatori della zona, sempre alla ricerca di arrampicatori disponibili ad attrezzare nuovi tiri: come abbiamo detto, il potenziale è immenso e sarebbe bello poterlo sfruttare appieno, rendendo il turismo legato all’arrampicata sportiva una fonte di sviluppo sostenibile per l’area. Ritornando all’organizzazione del viaggio, la guida “Lebanon Rock Climbing Guidebook” si può acquistare sul sito Vertical Life e sul sito della libreria parigina

Au Vieux Campeur, o in loco, presso Blue Earth, negozio di articoli sportivi a Beirut, poco lontano dal centro. Lo step successivo al biglietto aereo e al noleggio dell’auto (agevole ed economico, sui 20€ al giorno con copertura assicurativa simil Kasko) è cercare di capire come funziona la moneta locale. Come in altri contesti di inflazione galoppante, infatti, c’è un cambio ufficiale fissato dal Governo col dollaro (1USD=15.000 lire libanesi), poi c’è il cambio reale che si può trovare per strada, nei negozi o in alcuni uffici di Western Union, assolutamente più conveniente: con 1 dollaro si ricevono circa 97.000 lire libanesi. Il consiglio è di arrivare in Libano con qualche dollaro che, a differenza degli euro, viene tranquillamente accettato ovunque, con il valore che ha al mercato nero, quindi cambiare man mano gli euro per strada o nei negozi: il cambio oscilla molto, e durante i nostri 15 giorni di soggiorno in Libano il valore della moneta locale è sceso ulteriormente. Il doppio cambio espone a potenziali truffe, volontarie o meno: sui siti di prenotazione di alberghi, tipo Booking, il prezzo è spesso in lire libanesi, ma se si paga con carta di credito, il totale viene convertito con il cambio ufficiale, arrivando a pagare una stanza da 15€ quasi 100€. Vi consigliamo quindi di verificare direttamente con gli alberghi o di cercare chi segna il prezzo direttamente i n euro o dollari. Non abbiamo comunque mai speso più di 20€ per una doppia.

Finalmente arriviamo nella caotica, a tratti decadente e spesso elegante Beirut, dove dormiamo una notte. Qui familiarizziamo con i blackout programmati (praticamente dalle 23 alle 9 non c’è corrente) e con il

cibo libanese: non solo fantastici falafel (pronunciati “felefel”) e hummus, ma ceci cucinati in tutte le salse, shawarma di pollo o manzo, zuppe di fave, ricchi antipasti e golosi piatti di verdure. È una cucina assolutamente consigliata anche per vegetariani, mai troppo piccante e sempre piena di aromi tipici della cucina mediterranea, il tutto accompagnato dall’inflazione, che rende veramente economico mangiare tanto e bene. Le strade sono grandi e, a parte la cintura di Beirut, relativamente poco trafficate; di conseguenza ci si sposta con facilità, fatta eccezione per le immense

buche, la guida libanese piuttosto creativa e le pendenze talvolta proibitive, ma ci si abitua, cercando di riportare sempre a casa il semiasse intatto. Decidiamo, prima di spostarci nell’area centrale dove si concentra il maggior numero di falesie, di visitare Sidone e Tiro, nel sud del Paese e, dopo una visita al castello

Tannourine

Foto: Gentile concessione di Lea El-Medawar

107 Focus Libano Meraviglie libanesi

Patagonia

Nano-Air® Light Hybrid Hoody

Perfetta da indossare per raggiungere obiettivi ambiziosi quando il freddo si fa sentire e sentirsi sempre comodi e leggeri, la Nano-Air® Light Hybrid Hoody di Patagonia è realizzata con imbottitura

FullRange™ da 40 g/m², tessuto esterno e fodera extra-leggeri, e inserti in tessuto tecnico R1® Air per offrire calore, flessibilità ed eccellente performance traspirante in attività fisiche ad alto impatto aerobico. Con cuciture Fair Trade Certified™ eu.patagonia.com

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Italiana, non convenzionale e trasversale: la nuova capsule collection firmata Rock Experience - Spaghetti Boulder. Due brand Italiani che si uniscono per omaggiare l’Italia e l’outdoor creando una linea di abbigliamento moderna e concettuale che non vuole semplicemente rappresentare l’arrampicata ma vuole essere un vero e proprio stile di vita. Discipline sportive che contaminano il lifestyle e viceversa, per un mix vincente completo e innovativo. La t-shirt girocollo Fettuccini in cotone, fa parte di questa collezione. Taglio contemporaneo, fantasia a righe e logo a petto rendono Fettuccini perfetta per l’arrampicata ma anche da indossare per un aperitivo. rockexperience.shop

Black Diamond

Dirtbag Short

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Per chi ama la montagna e lo stile tirolese, Chillaz propone Roys Peak, una giacca a doppio strato con lana lavorata a maglia all’esterno e un tessuto fine e delicato sulla pelle, all’interno. Collo rialzato, cappuccio e polsini elasticizzati assicurano un miglior isolamento dal freddo, rendendola un capo ottimo per la mezza stagione, ma anche come strato intermedio in inverno. www.chillaz.com

Van e Onda

Per arrampicare e sentirsi al meglio anche d’estate, E9 propone per lui Van, la t-shirt a manica corta in jersey leggero di cotone biologico con stampa nella parte frontale. Vestibilità regolare, massima libertà di movimento sia nelle attività outdoor che nella vita di tutti i giorni. Per Onda Short, i pantaloncini per l’outdoor e l’arrampicata in gabardina di cotone organico elasticizzato. Tasca con tessuto a contrasto e ricamo sulla gamba posteriore. Porta-spazzolino su entrambi i lati. Vita regolabile. Buon comfort e mobilità. Vestibilità slim. Entrambe prodotti in Italia. www.e9planet.com

Vestire bene per arrampicare meglio, questa l’estrema sintesi dei nuovi Dirtbag Short di Black Diamond. Questi pantaloncini completamente elasticizzati hanno una silhouette di ispirazione vintage con tasche frontali e posteriori e vita elasticizzata con coulisse per regolare la vestibilità. Disponibili in due diversi tessuti, velluto a coste larghe e twill elasticizzato, sono resistenti, offrono una sensazione confortevole e sono anche compatibili con l’imbracatura. eu.blackdiamondequipment.com

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E9

Ortovox Rock Dock

Un importante contributo di Ortovox alla sicurezza e all’approccio responsabile alla scalata arriva con il porta magnesite Rock Dock che integra anche un kit di primo soccorso. Lo scomparto di primo soccorso è facilmente accessibile e il contenuto è pensato per le esigenze dell’arrampicata: dal cartellino d’emergenza, alle compresse di garza e alle bende, da un kit di cerotti misti, cerotti per sutura e una forbice fino ai guanti usa e getta in vinile. Un’ampia tasca elastica aggiuntiva può contenere una barretta energetica o il telefono. Perfetto per scalatori e alpinisti che si dedicano all’arrampicata veloce, spesso senza zaino. www.ortovox.com

Wild Country Flow

Per chi vuole sentirsi e mostrarsi climber anche nella vita di tutti i giorni Wild Country propone lo zaino Flow da 26 litri. Realizzato con chiusura roll-top con moschettone Astro certificato Wild Country e daisy chain, permette di ridurre o ampliare il volume secondo le varie necessità. Lo scomparto anteriore con zip ha un portachiavi integrato, mentre all’interno c’è uno scomparto per il laptop. Spallacci leggeri e regolabili e cerniera laterale per accesso diretto allo scomparto principale ne fanno il compagno perfetto per combinare l’arrampicata con il tuo stile di vita quotidiano. www.wildcountry.com

La Sportiva TX4 R

Per un avvicinamento davvero speciale arriva l’edizione R dell’iconico modello TX4 di La Sportiva. Un mix di colori storici e tecnologie moderne, con tanto di richiamo al mitico slogan “Climbing on the Moon”. Oltre al sistema di allacciatura di derivazione climbing dal modello Mythos, implementa l’inserto Resole Platform, che permette di sostituire la suola Vibram® MegaGrip con IBS e Climbing Zone nella parte anteriore, estendendo il proprio ciclo di vita rimanendo un prodotto performante, ma con una minor impatto ambientale. Disponibile nelle due versioni uomo e donna con misure dal 37 al 47,5. www.lasportiva.com

Scarpa

Mojito Planet Denim

Per gli avvicinamenti più accessibili, ma soprattutto per l’avvicinamento alla palestra e alle emozioni urbane di tutti i giorni, Scarpa propone la nuova Mojito Planet Denim, in cui il tessuto amato da tutte le generazioni incontra la coscienza ambientale dei più giovani. Il filato di cotone utilizzato sulla tomaia proviene da scarti di produzione, la suola Presa è realizzata con il 30% di materiali riciclati e i processi di lavorazione e finitura consentono di risparmiare oltre il 65% di acqua rispetto al processo tradizionale. Mojito Planet Denim è una calzatura comoda, fresca, traspirante e attenta all’ambiente. www.scarpa.com

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Per chi ricerca uno zaino da arrampicata, tecnico e funzionale, Ande propone Crack 28. Realizzato con struttura a sacco, è dotato di sistema con gancio in lega di alluminio per il trasporto della corda e apertura/chiusura rapida tramite coulisse a scorrimento. Basto ACL con design ergonomico personalizzato Ande. Il tessuto esterno è in Nylon Ripstop 420D spalmato PU e la fodera interna in Poliestere 210D spalmato PU. Dotato di due lunghe e sottili daisy chain porta materiale che corrono lungo tutta la sezione anteriore dello zaino è compatibile con Hydro Bag. Peso 630 g. ande.it

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BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO

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Damiano Sessa

Copertina

Domenico Costabile su La verità 8a/8a+ alla falesia della Severina, Palinuro.

Foto: © Sergio Morra

Grafica

Tommaso Bacciocchi

Correzione di bozze Fabrizio Rossi

Hanno collaborato

Impaginazione Francesco Rioda Disegni Eugenio Pinotti

Cristiano Bacci, Simone Bonaccia, Oreste Bottiglieri, Domenico Costabile, Lorenza Ercolino, Diego Errico, Elisa Ghezzi, Guido Iannece, Umberto Iorio, Alessandro Lamberti, Stefano Sgobba, Andrea Sgrosso, Marco Zanchetta

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© Versante Sud 2023

Maggio 2023. Anno V. Numero 24 IL

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Registrazione al Tribunale di Milano n. 58 del 27/02/2019

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