VALLE dell'ORCO

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MATTEO E STEFANO DALLA GASPERINA

VALLE dell’ ORCO

Monotiri e multipitch dal trad all’arrampicata sportiva

Valle dell’Orco & Val Soana

EDIZIONI VERSANTE SUD | COLLANA LUOGHI VERTICALI | CLIMBING iCLIMBING APP FREE DOWNLOAD

Prima edizione Aprile 2024

ISBN 978 88 55471 329

Copyright © 2024 VERSANTE SUD – Milano, via Rosso di San Secondo, 1. Tel. +39 02 7490163 www.versantesud.it

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Copertina

Testi

Disegni

Matteo Dalla Gasperina e Luca Macchetto, Diedro del Mistero, Sergent

© Stefano Dalla Gasperina

Matteo e Stefano Dalla Gasperina

Eugenio Pinotti

Cartine Tommaso Bacciocchi. © Mapbox, © Open Street Map

Simbologia Tommaso Bacciocchi

Impaginazione

Chiara Benedetto

Stampa Tipolitografia Pagani – Passirano (BS), Italia

Km ZERO

da autori che vivono e l’arrampicatasviluppano sul territorio

Cosa significa?

È una guida a KM ZERO!

Che è più sana e ha più sapore, perché fatta da arrampicatori locali.

Come i pomodori a Km 0?

Certo! E la genuinità non è un’opinione.

Gli autori locali fanno bene a chi scala: – hanno le notizie più fresche e più aggiornate; – non rifilano solo gli spot più commerciali; – reinvestono il ricavato in nuove falesie.

Gli autori locali fanno bene al territorio: – pubblicano col buonsenso di chi ama il proprio territorio; – sono attenti a promuovere tutte le località; – sono in rete con la realtà locale. E infine la cosa più importante: sulle loro rocce, c’è un pezzetto del loro cuore

Nota

L’arrampicata è uno sport potenzialmente pericoloso, chi la pratica lo fa a suo rischio e pericolo.

Tutte le notizie riportate in quest’opera sono state aggiornate in base alle informazioni disponibili al momento, ma vanno verificate e valutate sul posto e di volta in volta, da persone esperte prima di intraprendere qualsiasi scalata.

Guida fatta

Km ZERO

Guida fatta da autori che vivono e sviluppano l’arrampicata sul territorio

Il 2% del ricavato di questa guida viene reinvestito in materiale per attrezzare vie e falesie

MATTEO E STEFANO DALLA GASPERINA

VALLE dell' ORCO

Monotiri e multipitch dal trad all’arrampicata sportiva

Valle dell’Orco & Val Soana

EDIZIONI VERSANTE SUD

Prefazione

Tra gli anni '70 e la metà degli anni '80 una generazione di rocciatori ha scelto la Valle dell’Orco come proprio luogo d’elezione, come spazio d’avventura e sperimentazione, in quel passaggio storico fondamentale che ha portato gli alpinisti a diventare arrampicatori. Fino agli anni 2000 però la valle è rimasta un territorio di nicchia, frequentato da pochi arrampicatori (più o meno sempre gli stessi), veri e propri appassionati dei luoghi, dell’ambiente circostante e del tipo di scalata. Se nel Briançonnais c’erano le code sotto le pareti, a Ceresole le uniche code erano lungo la strada tortuosa, prima del 1995 senza tunnel. Si sa però che le mode cambiano, come i jeans a vita bassa che ogni tanto ritornano… a volte con sfumature diverse, ma tornano. Così è anche per gli stili e l’etica in arrampicata. Dopo l’abbuffata di spit degli anni '90, grazie al cambiamento di mentalità degli arrampicatori (e all’evoluzione tecnica dei materiali), le rocce della valle sono diventate nuovamente un gran terreno di gioco, ideale per il nuovo stile di arrampicata TRAD(izionale).

In Valle Orco ognuno ha trovato il proprio spazio... esploratori, corsari, fortissimi, sceriffi, indiani, altruisti, ciaparat… Alcuni sono rimasti legati a questi luoghi, non solo per le soddisfazioni che gli ha regalato l’arrampicata, ma anche per il piacere di vivere un tramonto o respirare il profumo dei rododendri in fiore.

Mi auguro che le nuove generazioni siano attente e rispettose nei confronti della storia e sensibili alla “bellezza” in senso generale; che il rispetto per la roccia, per l’ambiente, facciano parte della loro formazione culturale.

Credo non sia necessario parlare di quello che si è cercato di far diventare un dibattito etico. Un conflitto che ha riempito pagine di riviste e discussioni tra arrampicatori… ma di cui oggi non restano che chiacchiere da forum (e da bar). Si è capito che l’evoluzione non passa per lo spit, ma che ci si evolve con una vera cultura arrampicatoria, una cultura che insegni a gestire la sicurezza. Si è capito che la sicurezza e il divertimento dipendono dalle nostre capacità e dalla consapevolezza di quello che siamo in grado di fare, ricordandoci che il valore dell’esperienza è fondamentale.

La storia recente ci racconta di grandi realizzazioni in libera, di tanti giovani che si sono appassionati all’arrampicata e alla storia della Valle Orco; ci racconta della valorizzazione di nuovi e vecchi settori, ma anche di cordate di “vecchiacci” che aprono itinerari tirando fuori dal cilindro vie eleganti e piacevoli.

Negli ultimi anni, due itinerari completamente diversi dal classico stile della valle, hanno portato tante persone a scoprire (o riscoprire) le pareti della Valle Orco, vie ben attrezzate che hanno attirato tanti arrampicatori. Si potrebbe pensare che a molti piaccia muoversi su terreni non particolarmente ingaggiosi o che vinca la perenne ricerca della novità, senza una vera ricerca storica o estetica. A me piace pensare che questi itinerari siano l’opportunità per tanti scalatori di visitare o ritornare in Valle Orco, di divertirsi, di farsi venire la voglia di conoscerla meglio… per poi mettersi alla prova su terreni e stili che magari incutono un po’ di timore reverenziale.

La Valle Orco non è solo per i big, sugli itinerari classici ci sono fessure che accolgo facilmente nut e friend e le soste sono a spit, spesso adatte anche alla calata.

Le grandi vie classiche sono percorribili dall’arrampicatore che abbia una mentalità “alpinistica” e che non sia condizionato dal grado massimo della via, ma abbia il piacere di ripercorrere gli itinerari storici, piuttosto anche con qualche resting e qualche passaggio in artificiale (lo so... sto dicendo un’eresia! L’arrampicata vera è solo in libera!).

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A ognuno la propria etica.

Questo è solo per dire che tutti posso scalare in Valle Orco. L’accoglienza che troverete è semplice, essenziale, ma certamente genuina e lontana dai grandi circuiti turistici “alla moda”.

Un’ampia porzione fa parte del Parco del Gran Paradiso, il più antico parco italiano, e questo la dice lunga sulla bellezza dei luoghi che attraverserete, ricchi di fauna, flora e paesaggi emozionanti. Venite a provarla, la valle è caratteristica, originale, affascinante!

Stefano Dalla Gasperina

Pierre Vezzoli, Impressioni di Settembre, Scoglio di Mroz (© Umberto Bado)
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Sommario

Prefazione ........................... 4 Mappa generale 8 Ringraziamenti 10 Il Nuovo Mattino di Ugo Manera 12 Generazione Sitting Bull, storia di una rivoluzione di Andrea Giorda 16 Informazioni utili 26 Guide alpine......................... 27 Bibliografia 27 Scale di difficoltà 30 Simbologia 32 PONT CANAVESE - LOCANA 34 01. Camporella 36 02. La Pala 38 03. Falesia di Luca 40 04. Boetti 44 05. Rogge 46 06. Sarro 48 07. Parete dei Corvi 50 08. Frachiamo 56 09. Bosco 64 VALLE DI PIANTONETTO 70 10. Scoglio di Mroz 72 Il profumo dell'Orco di Vincenzo e Rinaldo Sartore 80 11. Pillier della Scala di Teleccio 82 12. Rocci 84 13. Terrazza di San Lorenzo ........... 90 14. Valsoani 96 15. Punta Fioni 98 16. Placca del Teleccio 102 LOCANA - GRUSINER 104 17. Zeppelin 106 18. Green Spit 108 Valle Orco di Didier Berthod 110 19. Parete di Fornolosa 112 Mikakadi, un'avventura made in Valle dell'Orco di Umberto Bado 116 20. La Pala di Fornolosa 118 21. Falesia degli Inglesi 124 22. Parete dei Casetti 126 23. Rata Vuloira (ex Big Lebosky) 130 24. Fessura di Risula 132 25. Dita Belin 134 26. End of the Flare Area 136 27. Block Party Area ................ 138 28. Cippotondo 142 GRUSNIER- VERDETTA 146 29. Grusiner ....................... 148 30. Acqua Chiara 150 31. Mela Tagliata 164 32.
Nero di Seppia ......................... 166 33. Torre Chiaro di Luna 174 NOASCA 178 34. Noasca Tower 180 35. Piccolo Half Dome 186 36. Torre di Aimonin 190 37. Testa Alpe di Costantino 216 38. Parete delle Ombre 220 Gabriele Beuchod di Claudio Bernardi 232 PIANCHETTE 234 39. Rupe Tarpea 236 40. Piramide 240 41. Cubo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244 42. Placca dei Cavalieri Perdenti 250 43. L’altro Lato 254 44. Tramonto Area 260 45.
264 GOLA DEL CAPORAL 268 46. Parete dei Falchi 270 47. Parete delle Aquile 284 La Tempra dell'Anima di Federica Mingolla 292 48. Caporal 294 Itaca nel Sole di Gianni Battimelli 298 Caporal di Maurizio Oviglia 324 49. Massi del Caporal 328 6
Inflazione Strisciante e
Parete di Pianchette

Follow Your Instinct

Contemporary outdoor since 1870

Valle Orco di Bernd Zangerl

50. Paretina Infelice ................. 338

51. Piccolo Caporal 340

52. Archi Neri 342

53. Torre Paura nel Cervello 346

54. Serpente di Legno 348

Gabriele Beuchod di Giulio Beuchod .. 352

CERESOLE REALE

55. Disertore 356

56. Pietra Filosofale 364

57. Pian della Balma 366

58. Sasso del Carro 368

59. Prato Rotondo 372

60. Cornflakes 374

Ricordando Bangalore di Elio Bonfanti 378

61. Sergent ........................ 380

Robi di Stefano Dalla Gasperina 427

Sir Biss di Maurizio Oviglia 428

62. Massi del Sergent ............... 430 Mike Kosterlitz di Gianni Battimelli 438

63. San Meinerio 440

64. Droide

65. Dado 452

66. Sitting Bull ..................... 458

67. Atlantide 464

68. Parete della Grande Ala 472 VALLE DI FORZO .................... 482

69. Small Rainbow 484

70. Pagine di Pietra 488

71. Ancesieu 490

72. Alpherian 500

73. Placca Rosa 504

74. Parete del Falco 506

75. Schiappa delle Grise Neire 510 76. Parete dei Cunì 516

21 11 31 26 16 36 56 66 32 27 37 57 67 33 63 28 38 58 68 34 64 29 19 39 59 25 15 35 55 65 10 30 20 48-51 60-62 46-47 43-45 40-42 52-54 L. di Teleccio Lago di Ceresole L. di Valsoera L. Motta  3642 Ciarforon  3193 Testa del Grand Etret Tresenda  3609  2988 Gran Carro  3621 Becca di Gay 3222  Balnc Giuir  3162 Cima di Courmaon 3545  Becca si Monciair  2541 Punta di Pelousa  2939 Monte Unghiasse  2784 Cima Giardonera Monte Bessun  2908 Sommario e Mappa
336
354
448
8
01 06 02 22 12 07 17 03 23 13 08 18 04 24 14 09 69 05 70 71-76 L. d'Eugio L. di Motta L. Gelato L.Lasin  3160 Moncimur Piata di Lazin  3083 2173  Cima Ròsta  2035 Cima Loit  2848 Monte Colombo 9
Michele Caminati, Rocky Marciano, End of the Flare Area (© Michele Caminati)

Ringraziamenti

Vorremmo ringraziare in ordine sparso chi ha contribuito, in un modo o nell'altro, alla realizzazione di questa guida:

Daniela Micca

Francesco Micca

Gianni Pegoraro

Andrea Giorda

Alessandro Zuccon

Matteo Della Bordella

Bernd Zangler

Jacopo Larcher

Giulio Beuchod

Claudio Bernardi

Ugo Manera

Gianni Battimelli

Alessandro Masiero

Rinaldo Sartore

Paolo Intropido

Luca Macchetto

Paolo Blotto

Luca Ponziani

Simone Pappalia

Andrea Migliano

Federica Mingolla

Didier Berthod

Fred Moix

Michele Caminati

Matteo Michetti Savin

Rocco Perrone

Umberto Bado

Massimiliano Celano

Maurizio Zanusso

Stefano Rapelli

Davide Visconti

Chiara Benedetto

Eugenio Pinotti

Fausto Aimonino

Danilo Aimonino

Davide Facelli

Angelo Riva

Tommaso Lamantia

Manuel Bracco.

Davide Facelli, La Pala Pont Canavese (© Arch. Davide Facelli)
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Umberto Bado, Orecchio del Pachiderma, Caporal (© Stefano Dalla Gasperina)

Il Nuovo Mattino

Il 4 novembre 1972 veniva portata a termine la prima via di arrampicata sulla più appariscente struttura rocciosa dei dirupi di Balma Fiorant che sovrastano i tornanti della vecchia strada che conduceva a Ceresole Reale in Valle dell’Orco. Lo stesso giorno l’imponente scoglio riceveva il suo battesimo con lo scherzoso nome di Caporal, i promotori e realizzatori di quella impresa, Ugo Manera e Gian Piero Motti, non immaginavano certamente che quel nome, inventato quasi per gioco, sarebbe diventato celebre come lo è oggi.

La militanza comune come istruttori nella Scuola di Alpinismo offre a Motti e a me la possibilità di mettere a confronto le nostre idee ed esperienze. Presto scopriamo di avere una visione comune sull’alpinismo e su futuri obiettivi; discutiamo molto e cominciamo ad arrampicare insieme e a formulare tanti progetti.

Grandi novità erano arrivate dagli Stati Uniti. Fino ad allora l’alpinismo USA era da noi un perfetto sconosciuto, erano noti i tentativi americani sul K2 ma cosa ci fosse dietro praticamente nessuno lo sapeva con esattezza. Alla fine degli anni ‘50 giunse la notizia della scalata di una grande parete di granito, posta a quota relativamente bassa, in una valle della California, portata a termine nel novembre 1958. Ciò che colpì fu la durata dell’impresa: 17 giorni in parete per l’attacco finale ma con un impegno complessivo di 47 giorni di tentativi. A compierla degli sconosciuti: Warren Harding, Wayne Merry e George Whitmore. In Europa non si era abituati a tempi così lunghi per vincere una parete.

Non passò molto tempo che “gli americani” arrivarono sul granito del Monte Bianco a dimostrare le loro capacità tracciando nuove vie che, per difficoltà e stile, andavano oltre a quanto realizzato fino ad allora nel più importante massiccio delle Alpi.

Gian Piero Motti si interessò subito al “fenomeno” americano della scalata: leggeva tutte le riviste specializzate che arrivavano dall’America e dall’Inghilterra, interpretava con analisi attenta gli scritti più significativi e cominciò a tradurli per le riviste nostrane. Delle novità d’oltremare iniziammo a discuterne tra di noi mitizzando forse anche un po’ il fenomeno.

Tra le altre cose ci parve di scoprire che l’avventura totale la si poteva trovare non solo sulle pareti delle grandi montagne ma anche sulle strutture alla sommità delle quali crescevano ancora i pini, purché, per essere vinte, richiedessero un impegno totale. Cominciammo a considerare le strutture rocciose sui fianchi delle valli non più come “palestre” di allenamento per le “grandi” imprese ma come obiettivi fini a sé stessi. Forse inconsciamente, iniziammo a cercare la nostra piccola California. Non che l’idea fosse una novità assoluta per il nostro ambiente, una determinazione simile era già stata messa in atto dai nostri predecessori sulla Parete dei Militi in Valle Stretta. Da quel momento Gian Piero e io continuammo insieme la ricerca del nostro nuovo orizzonte. Egli conosceva ogni angolo della Val Grande di Lanzo e naturalmente ogni struttura rocciosa; la più promettente appariva indubbiamente il Bec di Mea e nel gennaio 1968 vi tracciammo la prima via. Il periodo della Val Grande di Lanzo era stato molto bello e ci eravamo divertiti ma su quelle rocce non avevamo trovato quell’impegno totale che stavamo cercando sognando la nostra piccola California: troppa poca differenza rispetto a ciò che già era stato fatto in precedenza. Nelle mie fantasie di scalata continuavo a domandarmi ove cercare un obiettivo degno, e certamente Gian Piero si poneva la stessa domanda.

Un giorno mi si accese la classica lampadina: le pareti sopra i tornanti della strada per Ceresole Reale. Tante volte le avevo guardate diretto nel Gran Paradiso ma senza formulare progetti di scalata, erroneamente immaginavo che su quei liscioni granitici si potesse progredire solo con grande impiego di chiodi a pressione, tipo di scalata che non intendevo praticare. Le esperienze fatte con

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Angelo Riva e Marco Lavatelli, Fessura della Disperazione, stile anni '80 (© Arch. A. Riva)

Gian Piero, alla ricerca di nuovi obiettivi in falesia, unitamente alle conoscenze apprese leggendo riviste americane, inglesi e francesi, cambiarono il mio punto di vista e quasi improvvisamente mi scoprii convinto che i dirupi di Balma Fiorant potevano essere scalati grazie al bagaglio tecnico da noi acquisito e senza l’indiscriminato uso del perforatore. Immediatamente fui preso dalla frenesia di passare all’azione.

Era un periodo autunnale di tempo splendido così la domenica successiva, lasciata l’auto sui tornanti della strada che sale a Ceresole Reale, ci avviammo in quattro verso i dirupi di Balma Fiorant seguendo il percorso trovato da Motti pochi giorni prima. A noi due, ideatori del progetto, si erano aggiunti Guido Morello e Ilio Pivano. Ci portammo nel punto di attacco individuato da Gian Piero e, impazienti di passare all’azione, ci legammo in cordata Gian Piero e io e iniziammo a scalare. Al momento di partire come secondo di Morello, Pivano rinunciò e noi proseguimmo in cordata da tre. Gian Piero condusse un terzo tiro poi toccò a me superare una bella e difficile lunghezza che ci portò alla base di una liscia placca compatta senza fessure. In previsione di un ostacolo di quel genere Motti si era portato un punteruolo e tre chiodi a pressione; armato di tali attrezzi si avviò lungo la placca, salì fino a quando sentì la necessità di proteggersi poi, in posizione precaria, iniziò a battere sul punteruolo per praticare un foro atto a ricevere un chiodo a pressione. Alla terza martellata il punteruolo gli sfuggì di mano e precipitò tintinnando lungo la parete. Non ci rimaneva che apprestarci a ridiscendere in corda doppia con le pive nel sacco quando udimmo una voce che ci chiamava dall’alto. Con eccezionale preveggenza Pivano era salito lungo il canalone che costeggia la parete raggiungendone la sommità e, con ammirevole intuito, si era portato appresso due corde. Legò insieme le due corde, le fissò a un larice e le calò lungo la parete nella nostra direzione. Così ingloriosamente conquistammo la sommità del dirupo con salita a mezzo nodi Prusik.

Due settimane appresso Gian Piero e io eravamo nuovamente lì per completare l’opera. Non c’erano più con noi i due amici del primo tentativo; il loro posto era stato preso da Vareno Boreatti e Flavio Leone.

Gian Piero attaccò per primo in cordata con Boreatti, io seguii legato con Leone. La salita si svolse senza intoppi, saggiamente avevamo portato un punteruolo di ricambio ma fu necessario un solo chiodo a pressione sulla placca che aveva fermato il primo tentativo. Toccammo la sommità in preda a un entusiasmo esagerato, soprattutto da parte mia e di Gian Piero, avevamo finalmente dato inizio al nostro Nuovo Mattino.

Ritornati alla base brindammo, questa volta meritatamente, con una bottiglia di Barbera portata da me fino alla base della parete. Nell’allegria generale ci proponemmo il tema di dare dei nomi alla nostra scoperta: Gian Piero aveva già in testa il nome dell’itinerario aperto: la Via dei Tempi Moderni. Io feci un piccolo scherzoso ragionamento sul nome da dare alla parete: il nostro monolite non era meno bello dello yosemitiano Capitan, era solo molto più piccolo e allora lo potevamo collocare in una scala gerarchica più bassa: se quello era Capitano, il nostro poteva benissimo essere un Caporale. La mia proposta piacque all’unanimità e Caporal fu.

Ugo Manera

Il Nuovo Mattino
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Generazione Sitting Bull, storia di una rivoluzione

Messner e il gioco dove si vince sempre

Nel 1968 sulla Rivista del Cai, Reinhold Messner visionario e controcorrente aveva scritto un articolo che era una sentenza “L’assassinio dell’impossibile”. In breve Messner denunciava lo stile di apertura delle vie Direttissime, a Filo a Piombo, aperte a forza di chiodi a pressione, forando la roccia e utilizzati con le scalette per la progressione. Basta qualche giorno di ferie per aprire una via, affermava ironico e lui non aveva nulla contro il chiodo a pressione, costa poco, ti fa salire ovunque, ha un’unica controindicazione, uccide il gioco dell’alpinismo.

Già, che gusto c’è a giocare a un gioco dove si vince sempre, se togli l’incertezza elimini l’avventura. Gli anni ‘70 decretano in Italia la fine del boom economico del Dopoguerra, dove tutto sembrava possibile. A Torino gli operai non hanno più il posto certo e vi sono spesso grandi agitazioni, i giovani sono ormai critici anche verso le guerre di spartizione del mondo, come la guerra del Vietnam. Per la prima volta le immagini in televisione buttano nelle case a ora di cena villaggi con bambini bruciati dal Napalm. Negli anni ’70 i giovani contano, sono la maggioranza della popolazione, sono anche più liberi di immaginare un mondo nuovo, mediamente sono più istruiti e non devono, come i genitori, correre dietro a bisogni primari.

In questo quadro anche il mondo dell’alpinismo o dell’arrampicata è in forte evoluzione. Nulla a che vedere con le ricostruzioni fantasiose di chi, non avendole vissute, ha scritto di frotte di scalatori con la fascia sui capelli, pronti a sfidare l’impossibile.

Prima di tutto occorre puntualizzare che il numero degli arrampicatori negli anni ’70 era assai esiguo, quelli bravi una ristrettissima élite, nulla a che vedere con gli anni ’80, quando anche grazie alle attrezzature, alle riviste e all’industria dell’outdoor il numero degli scalatori è cresciuto in modo esponenziale.

Altro fattore, il livello medio dello scalatore era il III o IV grado, nella palestra di roccia della Rocca Sbarua cara ai Torinesi, era normale mettere le staffe o salire in A0 su passaggi di difficoltà superiore. C’è da ricordare che non esistevano gli spit e ognuno doveva saper dominare il grado che voleva affrontare, cadere non era contemplato. Come sulla famosa Vena di Quarzo aperta in scarponi da Gabriele Boccalatte negli anni ’30. Venti metri su piccole ghiande di quarzo senza poter mettere nulla, su roccia compatta, caduta mortale assicurata, un capolavoro. Un chiodo a pressione quasi in cima lo mise (ironia della sorte) Gian Piero Motti alla fine degli anni ’60 e per i vecchi, tra cui mio padre, che mi portò in reverente pellegrinaggio formativo a scalarla, era giustamente uno scandalo! Il mio entusiasmo per Motti non lo condivise mai.

La riscoperta della Valle dell’Orco

Nel 1971 iniziai ad arrampicare da primo di cordata e nel 1973 conobbi Enrico Camanni alla SUCAI, Scuola di Scialpinismo di Torino. Da subito formammo una cordata di giovanissimi molto affiatata, scalammo classiche delle Dolimiti, della Val Masino e nella seconda metà degli anni ’70 fummo tra i primi, dopo i pionieri del Nuovo Mattino, ad affacciarci in Valle dell’Orco. Partivamo avvantaggiati, perché Enrico era già un redattore della Rivista della Montagna e le informazioni con gli schizzi le ebbe dallo stesso Gian Piero Motti. Gian Piero aveva da poco aperto la via Itaca nel Sole e questo era un nostro malcelato obiettivo. Cercammo di capire dalle poche indicazioni quale fosse la Torre di Aimonin, non c’era sentiero e risalimmo la pietraia, scalammo la via dello Spigolo di Alberto Re, bellissima, e la via in centro del Grande diedro sperando in una via nuova, ma scoprimmo poi che

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Ricky Conterio, Variante Perucca al Diedro Nanchez, Caporal (© Stefano Dalla Gasperina)

eravamo stati preceduti per poco da un abilissimo scalatore, Roberto Bonis. Passati i timori di una nostra inadeguatezza, prendemmo coraggio e ci portammo alla base del Caporal, o almeno quello sembrava dai pochi indizi che avevamo. In una valle assolutamente deserta, incontrammo Gabriele Beuchod e Roberto Bonelli orfano del suo socio storico Danilo Galante, morto da poco di freddo sul Gran Mantì. Beuchod ci fece una bella foto e ci consigliò di unire la via Tempi Moderni con Itaca nel Sole. Gabriele non aveva ancora salito il suo capolavoro, l’Orecchio del Pachiderma e noi scalammo la via secondo le sue indicazioni, forse fu la prima di questa notissima combinazione. Enrico nel 1978 scrisse un articolo frutto delle nostre avventure sulla rivista Scandere, annuario del CAI Torino, intitolato “Sotto il segno dell’Orco” con relazioni e consigli pratici, come utilizzare scarpette a suola liscia. Può far sorridere ma c’era in corso un grade dibattito sul loro utilizzo, specie in montagna, io stesso avevo scalato tutte le vie in scarponcini. Dopo i racconti di Motti e Manera del Nuovo Mattino la Valle dell’Orco era caduta nell’oblio, non erano stati del tutto compresi. L’articolo di Enrico fu fondamentale, fu il primo di un visitatore e dimostrò che due ragazzini sconosciuti potevano scalare queste pareti che si pensavano inaccessibili ai comuni mortali. Inutile dire che Enrico e io eravamo affascinati dagli articoli di Gian Piero Motti sull’Alpinismo Californiano, su di noi la presa fu totale. Cresciuti con il motto di Guido Rey che incitava sulla tessera del Cai alla “Lotta con l’alpe”, sposammo subito la nuova visione che metteva in soffitta i termini bellici come "assalto" e "conquista" o l’"alpinista eroe", tutti termini che l’epoca fascista aveva alimentato: ogni alpinista è un alpino e un difensore dei confini della patria.

Eroe era chi faceva i turni di notte alla Fiat Mirafiori, non certo noi privilegiati che potevamo scalare in questa valle meravigliosa, senza fretta, in sintonia con l’ambiente naturale, lasciando nel cassetto l’orpello gravoso del passato. Le vie, si diceva, portavano all’altipiano, ai prati, non vi erano vette dove piantare bandiere.

Della storia dell’alpinismo i giovani ora sanno poco o nulla, ma perché invece il mito del Nuovo Mattino è qualcosa che ancora affascina e attira tanti scalatori in Valle dell’Orco, che vogliono ripetere le grandi classiche come La Fessura della Disperazione, la via simbolo di un‘epoca?

Nel 1970 un gruppo di alpinisti illuminati fondò a Torino la Rivista della Montagna in antitesi con la paludata Rivista del Cai. Gian Piero Motti e Andrea Gobetti furono tra le firme più prestigiose e si deve a loro se le scalate in Valle dell’Orco dei primi anni ’70 sono diventate dei percorsi dove rivivere le emozioni e le visioni di un’epoca lontana, ma affascinante. Senza di loro e la diffusione di questa rivista, sarebbero state belle scalate, difficili, ma non più di alcune già fatte sulle Alpi. Gian Piero e Andrea hanno saputo leggere il loro tempo, cogliere la visione che mutava e trasferirla con parole che sono arrivate fino a noi. Si può azzardare che il Nuovo Mattino sia anche e forse soprattutto, un’invenzione letteraria sulla base di una rivoluzione che stava accadendo nel mondo dell’arrampicata e non solo, nella società intera.

La Baita di Sitting Bull

Chi di noi nella seconda metà degli anni ’70 ha iniziato a ripetere le vie della Valle dell’Orco, ha notato che alcune richiedevano un livello di arrampicata più alto e soprattutto obbligatorio. Avevano una marcia in più, tra tutte la Fessura della Disperazione, ma anche il Diedro del Mistero. Sono le vie di Danilo Galante e Roberto Bonelli.

Quelle vie, spesso su larghe fessure, che non si fermavano dove era problematico mettere un chiodo e proteggersi, furono l’ispirazione per Gabriele Beuchod, che aprì nel 1979 proprio con Bonelli l’Orecchio del Pachiderma al Caporal, e per me che scalai nello stesso anno e nello stesso stile il Diedro Maggiore alla parete dell’Inflazione Strisciante, ora rinominato Diedro Atomico. Nello stesso anno, il 1979, ormai nel tardo autunno, scovai per caso la Fessura Sitting Bull, che richiese tutte le mie forze per scalarla e anche il mio coraggio. Non esistevano i friend e feci quasi tutto l’arco finale incastrando le mani con un solo excentric di assicurazione, per poi uscire con sollievo infreddolito sui larici. Alla fine del 1979 il Diedro Atomico e l’Orecchio del Pachiderma erano probabilmente le vie più impegnative aperte in libera della Valle dell’Orco. La scala dei gradi era

Generazione Sitting Bull, storia di una rivoluzione 18

ferma al VI+. Il massimo che si dava, per pudore, era VI-. Ora il Diedro Atomico è dato 6c+. Il 6c negli anni ’70 era un grado limite. Per comprendere meglio basta ricordare che la prima italiana della Fessura Kosterlitz (6b boulder) è solo del 1978 ad opera di Roberto Bonelli. Sitting Bull era più difficile di tutte le fessure aperte fino ad allora e presentava un problema sul passo chiave: o ci stava l’excentric o la mano. I friend che verranno poi utilizzati successivamente negli anni ’80 si espandono, li metti dove vuoi, gli excentric sono come grossi nut di sezione esagonale, hanno bisogno di strozzature e spesso finivano in fondo alla corda. La fortuna volle che la splendida baita nei pressi della fessura fosse di un dipendente dell’azienda elettrica dove lavorava mio padre. Insieme a Mario Ogliengo, Enrico Pessiva e Marco Degani l’affittai per poco e in brevissimo divenne un riferimento per tantissimi scalatori alla scoperta della Valle dell’Orco e delle nuove tecniche ad incastro. Ormai tutti sapevano dove tenevamo le chiavi, ne perdemmo il controllo, e divenne un vero laboratorio della rivoluzione in atto, con a fianco il test più impegnativo, la fessura Sitting Bull.

Come era successo a La Palud in Verdon, La Baita di Sitting Bull era una tappa obbligata. Nel 1980 dopo una scalata in Val di Susa a Foresto e poi allo Scoglio di Mroz, arrivò in valle incuriosito Jean Marc Trussier, uno dei massimi esponenti dell’arrampicata in Francia. Scrisse un articolo su Alpinisme et Randonnée entusiasta della Valle dell’Orco definendola “la Yosemite italiana”, ma sottolineò che lo stile di scalata era ancora un po’ vecchio, rispetto alla libera che già si praticava in Verdon. Trussier incontrò Mario Ogliengo, che descrisse al francese i vari progetti in corso e di quanto succedesse di nuovo. Fu inviato quindi in Valle Orco Philippe Maclé, amico di Patrick Edlinger e scopritore di Céüse, un’autorità e apritore di una delle più belle linee al mondo, L’Ange en Décomposition nelle gole del Verdon.

Nel 1982 uscì un nuovo articolo su Alpinisme et Randonnée che si intitolava "Libre à l’italienne", ovvero "Scalata libera all’italiana" (!), una consacrazione e un riscatto per noi che vedevamo quei

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La Baita di Sitting Bull anni '80 (© Arch. Andrea Giorda)

personaggi inarrivabili sulle riviste. Tra le nostre varie vie laboratorio segnalate da Mario, come la Placca del Cacao (placca estrema), i Califfi (artificiale al limite), l’articolo terminava con una vera ode per la fessura, a suo dire più bella, Sitting Bull. Maclé nell’articolo chiama la Baita “bergerie retapé”, molto probabilmente anche lui come tanti si era sistemato tra quelle mura accoglienti e senza spesa. La Valle dell’Orco ha così una consacrazione e una visibilità internazionale ed è uno dei pochissimi laboratori del Sud Europa dove si sperimenta un modo di scalare che in California o nel Regno Unito è già da anni una consuetudine. Il Verdon prima di tutto, la Valle dell’Orco e la Valle di Mello con il caposcuola Ivan Guerini diventano popolari e i big vogliono esserci e farsi immortalare come Patrick Edlinger e Manolo (Maurizio Zanolla), che accompagnato da Alessandro Gogna scalerà Sitting Bull senza resting, come imponevano le nuove regole degli anni ‘80 (i singoli passaggi in libera erano già stati fatti). Sitting Bull comparve sulla doppia pagina di Rock Story, mitico libro di Alessandro del 1983. Gogna conosceva il nome, probabilmente dalle riviste francesi, ma al tempo non ne conosceva la storia e scrisse che non sapeva chi l’avesse scalata per primo. Non esistevano i social come ora e le riviste italiane non prendevano in considerazione un monotiro, per cui la sua storia era nota solo ai local. Anche il commento di Gogna fu entusiasta, per noi un’ulteriore conferma.

Generazione Sitting Bull, sono quei ragazzi che avevano intorno ai 20 anni negli anni ’70, avevano un livello di scalata notevole per l’epoca, erano scalatori naturali, non frutto di allenamento. Erano dotati di un forte autocontrollo per scalare anche lontano dalle uniche protezioni possibili, qualità che ne limitava oggettivamente il numero.

Quanti scalerebbero oggi La Fessura della Disperazione o tante altre vie senza i friend ma con pochi nut o excentric? Magari in scarpe da ginnastica, o con la gomma Airlite (famosa in Val di Mello), incollata su scarpe da tremila lire, delle ciabatte inguardabili al giorno d’oggi. Si sperimentava di tutto e ovviamente le EB Supergratton, le prime scarpette da arrampicata a diventare popolari. I capostipiti di questa generazione in Valle dell’Orco sono stati sicuramente Roberto Bonelli e Danilo Galante, che sono andati ben oltre il 6b odierno o mai avrebbero potuto fare quello che hanno fatto, le vie parlano per loro. Già, altro fattore limitante è che la scala delle difficoltà su roccia era ferma agli anni ’30, al VI+. Per cui al massimo si dava VI- (!); in Val di Mello erano più liberi da preconcetti dei piemontesi e Ivan Guerini utilizzava provocatoriamente il VII grado, che non voleva dire nulla, solo che era più del VI+, ma ancora non riconosciuto a livello internazionale. Gli scalatori di questa generazione erano tutti esploratori e costantemente ricercavano nuove pareti e nuove sfide.

La scoperta del Vallone di Forzo

Un personaggio meno noto, ma fondamentale nella storia della scalata piemontese è Isidoro Meneghin, un vero esploratore a cui si deve la scoperta di tanti siti ora famosi. Tra questi c’è il Vallone di Forzo, una valle laterale della Valle Soana. Isidoro mi coinvolse in gran segreto, come era suo solito, nella sua scoperta, portandomi alla piccola parete delle Pagine di Pietra. Sapeva che avevo scalato difficili fessure come il Diedro Atomico e Sitting Bull e mi portò nel 1980 alla base di questa via con una fessura di 60 metri. Mi disse ridendo, in tono di bonaria sfida, “vai Giordino” e la scalai dovendomi fermare verso metà su un solo excentric, perché al tempo le corde erano corte, di 40 metri. Proseguii poi con grandi rischi, incastrando delle pietre (non esistevano i friend e io non avevo per principio i bong, troppo invasivi) sempre in libera, con la soddisfazione di Isidoro che scrisse una entusiastica relazione che sottolinea la performance, “in libera”, ancora conservo il suo scritto con affetto. L’excentric martellato, usato come sosta per tre persone (c’era anche Biagio Merlo) e le pietre sono ancora in posto dopo più di 40 anni. Il grado era il VII del tempo ora intorno al 6b di fessura offwidth. Sempre nel 1980 Isidoro convocò nella sua squadra Giovanni Bosio, grande frequentatore della Baita di Sitting Bull, fortissimo, a lui si deve molto della splendida via La Strategia del Ragno all’Ancesieu. Purtroppo, Giovanni sensibile e introverso, seguì Motti nel suo triste destino togliendosi la vita pochi anni dopo. Ho il rimorso di non aver mai capito fino in fondo il suo disagio. I discorsi di sera, alla Baita, mi sembravano normali tormenti amorosi tipici di quell’età, si scalava si parlava di ragazze, anche lui sorrideva ma qualche pensiero l’ha turbato ad un punto che forse nessuno poteva più

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fermarlo. Un bel ragazzo, forte, intelligente, sarebbe diventato presto ingegnere, quando apparentemente si ha tutto nella vita qualcosa viene a mancare, l’esempio di Motti che utilizzò il tubo di scarico della sua auto gli spianò la strada per fare la stessa fine.

Scalatori inconsapevoli

Il grado oggi è tutto, negli anni ’70 no, l’avventura e l’ingaggio generale erano la misura di una via. I nuovi scalatori che sperimentano, vanno oltre, non sono una peculiarità della Valle dell’Orco. Lo stesso Manolo racconta nel suo libro come lui, a fine anni ’70, avesse iniziato a scalare in modo nuovo, ripetendo le vecchie vie in artificiale in libera con i chiodi tradizionali, in Dolomiti vuol dire spesso precari. Si scopre ora che avesse superato forse il 7a, ma la Generazione Sitting Bull, come l’abbiamo definita noi, era spesso, come mi confessò Roberto Bonelli, inconsapevole. In Valle dell’Orco intorno al 1980 è comparso poi Marco Bernardi, talento smisurato che ha aperto linee fino al 7a, anche lui incurante del fatto che le protezioni fossero assai distanti. Si ripeterà in Sardegna e nelle sue straordinarie solitarie sulle Alpi. Ma proprio Bernardi, come Manolo, in breve entrerà a far parte dei precursori di una stagione radicalmente diversa. Nell’Orrido di Foresto in Valle di Susa, nel 1980 Patrick Berhault reduce da una conferenza a Torino sul VII grado mostrerà a un gruppetto di local, Gian Carlo Grassi, Franco Salino e appunto Bernardi, come scalare senza appendersi mai ai chiodi. L’avvento dello spit farà il resto e già nel 1982 Bernardi apre e libera il monotiro Strenous all’Orrido di Foresto, lo graderà per non esagerare 7c+, oggi è sicuramente più vicino all’8a, al tempo il grado più duro al mondo. Lo spit permetteva di sbagliare, cadere e riprovare, impensabile nella scalata estrema degli anni ’70. Gary Hemming, idolo californiano anni ’70, diceva: “Di una tua scalata devono rimanere solo i ricordi e le fotografie”, predicando il Clean climbing. Noi alla Baita di Sitting Bull, sulla scia, spesso non

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Andrea Giorda su Sitting Bull anno 1981 (© Arch. A. Giorda)
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Andrea Giorda su Sitting Bull anno 1981 (© Arch. A. Giorda)

volevamo usare neanche i chiodi o i bong, ma solo i nut e gli excentric. Con gli spit cambiava tutto, cambiavano anche gli scenari, le rocce, il tipo di scalata. Gli scalatori si moltiplicavano si scopriva Bioux, Céüse, Finale Ligure, la zona del Garda, Sperlonga. Il Verdon, La Valle di Mello e la Valle dell’Orco non erano più i luoghi della sperimentazione o della rivoluzione.

1972-1982 si chiude il decennio d’oro della Valle dell’Orco

Nel 1980 era nato a Torino, grazie al vulcanico Andrea Mellano, primo italiano a scalare la Nord dell’Eiger, il Palavela, la prima grande palestra indoor aperta al pubblico in Italia. La inaugurai, da giovane promettente, insieme a Reinhold Messner e Wanda Rutkiewicz e fui scelto come istruttore per i corsi. Notai l’assenza di Gian Piero Motti, che mai fu convinto della palestra indoor. L’allenamento diventava sistematico, non c’era più posto per cavalieri dell’avventura e quel mondo anche un po’ romantico e di scoperta della Baita di Sitting Bull. Enrico Camanni già all’ora, più atten-

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to di me al costume che cambiava, mi disse: "Siamo stati gli ultimi testimoni di un modo di scalare e di un mondo che ormai è tramontato". Si apriva la strada alle gare di arrampicata, organizzate per la prima volta in Europa proprio da Mellano e dal giornalista di Tuttosport Emanuele Cassarà. Le Gare si faranno dopo mille polemiche a Bardonecchia nel 1985 e saranno un grande successo, che dura ancora ora.

Nel 1982 Franco Salino, abilissimo scalatore di Bussoleno, con Massimo Ala e Bruno Fabretto escono sul Caporal dalla splendida Rattle Snake. La combinazione Orecchio del Pachiderma, Itaca nel Sole e Rattle Snake è forse la più bella e grandiosa linea di scalata della Valle dell’Orco e una delle più belle delle Alpi su granito. Con una puntata autunnale dei ragazzi della Baita, Mario Ogliengo, il giovanissimo Roberto Perucca e io, fu aperta l’ultima grande linea naturale del Sergent, il Nautilus, oggi forse la via più ripetuta della Valle dell’Orco. Questa via chiude il decennio d’oro della Valle Orco, 1972-1982, quello della grande rivoluzione dell’arrampicata. Quei protagonisti si dedicarono poi a portare le tecniche e il nuovo livello di scalata sulle montagne, nel 1988 la Baita fu comprata, arrivò la strada e fu distrutta per sostituirla con una lussuosa villetta.

Gli anni ’80, i nuovi protagonisti e il primo 8a

La storia del Verdon, della Valle di Mello e della Valle dell’Orco non si sono fermate, ma scalare in quei posti, così come in Valle dell’Orco a partire dai primi anni ‘80, non aveva più nulla di rivoluzionario o di scoperta. Ormai con guide pubblicate, attrezzature moderne, i riflettori dell’evoluzione internazionale puntavano altrove, dove nasceva la scalata in falesia, sportiva. I libri di Alessandro Gogna, come i Cento Nuovi Mattini mostravano per la prima volta arrampicate senza montagne e scalatori che con grandi laschi e nut, superavano difficoltà notevoli. Alessandro magistralmente aveva colto lo spirito di questa generazione che aveva fatto la rivoluzione degli anni ‘70 e l’aveva immortalata in questo libro del 1981 che fu di ispirazione per le successive generazioni. Nel 1984 va assolutamente anche ricordata la prima salita femminile della Fessura Kosterlitz: Paola Mazzarelli dopo un soggiorno in Gran Bretagna, la scalò con fluidità e ottima tecnica.

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Mario Ogliengo fa le prove di aderenza sulla sua Placca del Cacao, 1981 (© Arch. A. Giorda)

Tra i nuovi protagonisti, ispirati dai Cento Nuovi Mattini, c’è sicuramente Daniele Caneparo, che scoprì delle linee stupende come Elisir d’incastro, ma per vedere un vero passo avanti nelle difficoltà, rispetto a Manolo, Edlinger o Bernardi in Valle dell’Orco, bisogna aspettare scalatori di cui si è detto troppo poco, come Roberto Mochino e Massimiliano Giri. I due compiono un capolavoro assoluto e avveniristico per chi parla ora di Trad, la libera su chiodi e nut precari della Cannabis al Sergent (1986!) un 7b ancora oggi durissimo per chi è privo di tecnica. Non contenti, Mochino chioda e poi libera sempre con Giri, l’estrema, per l’epoca, Gli Angeli della Morte 7c+ (1987). Mochino e Giri sono stati tra i più forti scalatori della nuova generazione. Roberto da giovanissimo aveva toccato punte di sperimentazione di chiodatura al limite con la sua Fragilità Cerebrale al Sergent del 1983. Sarà sempre Mochino a scoprire il tetto di Legoland, tentato coraggiosamente da Caneparo ma mai liberato.

Ha lasciato il segno anche il fortissimo monregalese Giovannino Massari, ma per un 8a bisogna aspettare il 2002, quando il trentino Rolando Larcher libererà Colpo al Cuore del valsusino Gabriele Bar e di un noto scalatore della valle, Claudio Bernardi, ora Guida Alpina. Altro grande apritore con linee da sogno è Manlio Motto, con vari compagni tra cui il talentuoso Rinaldo Sartore. Le sue vie alla Torre di Aimonin fanno ancora scuola per non parlare delle vie capolavoro dell’Ancesieu nel Vallone di Forzo.

Per tornare ai fasti dell’epoca d’oro e veder comparire la Valle dell’Orco sulle riviste internazionali bisogna attendere la salita di Green Spit nel 2003, dichiarata al tempo come la fessura più dura del mondo (8b/+) da parte dello svizzero Didier Berthod. Un altro grande exploit di livello internazionale è sicuramente la prima libera di Christian Brenna con Marzio Nardi del 2003 su Itaca nel Sole (8b su chiodi e nut).

Che dire di Adriano Trombetta, mio compagno di grandi scalate, personaggio spesso discusso e divisivo, ma la sua scomparsa ha lasciato un vuoto. Era l’entusiasmo e la passione fatte a persona. Grandissimo in fessura, nel 2013 ha portato in Valle Orco anche i famosissimi Nicolas Favresse e Sean Villanueva, prima su Sitting Bull e Shitting Bull che Favresse ha liberato. Poi al diedro Legittima Visione, chiodato dallo stesso Trombetta e liberato da Villanueva. La prima ripetizione italiana è di Federica Mingolla.

In questi anni anche grazie ai meeting internazionali e alle guide di arrampicata scritte da Maurizio Oviglia tradotte in inglese, la Valle dell’Orco ha una notorietà mondiale. Oviglia è un grande conoscitore della Valle dell’Orco, spesso è stato compagno di Caneparo e Mochino. Le vie classiche, ancora oggi, quelle del decennio d’oro, sono le più ambite, lo stesso Didier Berthod conosceva ed era attratto dalla Fessura della Disperazione. Ma la ricerca di nuove possibilità in Valle dell’Orco, con nuovi protagonisti, non si ferma, come la scalata sui massi, i boulder. Scalare in Valle dell’Orco non ha più nulla di mitico o estremo, frotte di scalatori vogliono divertirsi su questo splendido granito con il brivido di mettere qualche friend, sicuri però di arrivare ad una comoda sosta a spit. Ma una sorta di sentimento intimo che viene da queste rocce e la spettacolarità delle pareti, ne fanno comunque un posto non comune, che lascia un solco nell’anima, come scalare in Val di Mello o in Verdon, le cattedrali naturali della storia della rivoluzione anni ‘70.

Gli anni d’oro sono un eco lontano, impossibili da comprendere ora dove i mezzi sono illimitati, dove tutto è social e programmato e dove il grado da portare a casa è l’unica religione. Il romano Andrea Di Bari, pioniere dell’arrampicata sportiva nel centro Italia, nella sua biografia Il Fuoco dell’anima, ricorda come nel 1982 Gianni Battimelli lo portò dalla periferia romana alla Baita di Sitting Bull, per lui fu la scoperta di un luogo di pace e di bellezza, difficile da dimenticare, un mondo che cambiava cercando di riportare le qualità dell’uomo al centro, in armonia con il mondo naturale.

Andrea Giorda CAAI – Alpine Club UK. Gennaio 2023

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Informazioni utili

Come arrivare in auto

Per chi arriva da Milano, Genova e Aosta, arrivare al casello autostradale di Ivrea, seguire la SS 565 per Cuorgnè/Castellamonte/Valchiusella, dopo 15km seguire le indicazioni per Ceresole/SS 460.

Arrivati a Pont C.se per la valle Orco continuare la SS 460, per la Val Soana, entrare nel paese e seguire le indicazioni Ronco C.se-Valle Soana lungo la SP 47.

Per chi arriva da Torino dalla superstrada Torino Caselle/Aeroporto, seguire le indicazioni per Ceresole Reale/SS 460 fino a Pont C.se.

Dormire e mangiare

Valle Soana

Locanda della luna, Hotel ristorante bar, Ronco Canavese, tel. 347 5502896, www.locandaluna.com

Osteria delle Alpi, bar ristorante, Molino di Forzo, tel. 340 7624834.

Valle orco

B&B Valle Orco, Sparone, tel. 348 0078289, bnbvalleorco.altervista.org

Camere d’aria Guesthouse, Locana, tel. 3204478762, www.cameredaria.eu

Edelweiss, bar ristorante, Locana, tel. 320 9260008, Albergo La Cascata, bar-ristorante, Noasca, tel. 340 4729334

Rifugio Muzio, Chiapili di Sopra, tel. 347 1932853, www.rifugiomuzio.com

Chalet del Lago, Hotel bar ristorante Ceresole Reale, tel. 340 2912420, www.chalet-ceresolereale.it

Pizzeria Le fonti, Hotel bar ristorante Ceresole Reale, tel. 3477110309, www.fontiminerali.com

Campeggi

Area camper, Locana, tel. 349 6957441, www.avventuragranparadiso.it

Campeggio Piccolo Paradiso, Ceresole Reale, tel. 347 5404390, www.campingpiccoloparadiso.it

Numeri utili

Uffico turistico Locana tel. +39 0124839034, ufficioturistico@comune.locana.to.it

Ufficio turistico Noasca tel. +39 0124901070

Ufficio Turistico Ceresole-Casa Gran Paradiso tel. +39 0124 953186

Centro visitatori Parco Gran Paradiso tel. +39 0124 953166

Emergenza Sanitaria e Soccorso Alpino tel. 112

Carabinieri Via Caduti per la Libertà 2 - Locana tel +39 0124 83101

Corpo Forestale tel. +39 0124 901025

WEB www.gulliver.it www.comune.locana.to.it www.comune.ceresolereale.to.it www.planetmountain.com www.pngp.it

Meteo www.arpa.piemonte.it www.nimbus.it

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Guide Alpine

www.guidealpinetorino.com www.granparadisoguide.com www.guidevalleorco.com www.guidealpinepiemonte.it

Bibliografia

Alessandro Gogna, Gian Piero Motti, Escursioni e arrampicate nel Canavese, Tamari, 1980. E. Andreis, R. Chabod, M.C. Santi, Gran Paradiso, CAI/TCI, 1980.

Gian Carlo Grassi, Gran Paradiso e Valli di Lanzo. Le 100 più belle ascensioni, Zanichelli, 1982.

Alessandro Gogna, Rock Story, Melograno, 1983.

Roberto Mochino, Maurizio Oviglia, Arrampicate in Valle dell’Orco, Melograno, 1987.

Maurizio Oviglia, Rock Paradise. Arrampicate classiche e sportive nel Gruppo del Gran Paradiso, Versante Sud, 2000.

Maurizio Oviglia, Valle Orco dal trad all’arrampicata sportiva, Versante Sud, 2010.

Gianni Predan, Rinaldo Sartore A Sud del Paradiso, Sartore Rinaldo Editore, 2018.

Ceresole Reale RIFUGIO MASSIMO MILA Borgata Villa, 9 - Ceresole Reale www.rifugiomila.it - tel. 0124 953 230 info@rifugiomassimomila.it
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Matteo Della Bordella, Il bombarolo, Acqua Chiara (© Tommaso Lamantia)
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Segnali terra-aria

OCCORRE SOCCORSO

Segnali terra-aria Razzo o luce rossa

DIFFICOLTÀ TECNICA

Tessuto rosso quadrato teso

FR Grado in libera seguito tra parentesi dal grado obbligato più eventuale grado artificiale. Due esempi a lato.

UIAA Grado del passaggio più duro seguito tra parentesi dal grado obbligato più grado artificiale. Due esempi a lato.

7b (6a, A0 obbl.)

6c+ (6b obbl.)

VI (V+, A0 obbl.)

V+ (IV, A1 obbl.)

Paolo Intropido, Il Maialone, Dado (© Sefano Dalla Gasperina)
No Sì
TERRA-ARIA
A ELICOTTERI E AEREI Scale di difficoltà 30
NON OCCORRE SOCCORSO
SEGNALI INTERNAZIONALI DI SOCCORSO
RIVOLTI

PROTEGGIBILITÀ

S1 Spittatura normale, come quella utilizzata in falesia. Distanza mai superiore ai 3-4 m tra uno spit e l’altro. Lunghezza potenziale caduta qualche metro al massimo e volo senza conseguenze.

S2 Spittatura distanziata e tratti obbligatori tra le protezioni. Lunghezza potenziale caduta una decina di metri al massimo e volo senza conseguenze.

S3 Spittatura distanziata, passaggi quasi sempre obbligatori. Distanza tra gli spit anche superiore ai 5 metri, voli lunghi ma non eccessivamente pericolosi.

S4 Spittatura molto distanziata (oltre i 7 metri), passaggi obbligatori. Una caduta può potenzialmente provocare un infortunio.

S5 Spittatura oltre i 10m, passaggi obbligatori e tratti dove una caduta può sicuramente provocare un infortunio (caduta su terrazzi e cengie o al suolo).

S6 Spittatura solo parziale e posizionata lontano dai passaggi chiave, tratti molto lunghi, anche superiori ai 20m, in cui una caduta può avere conseguenze anche letali.

IMPEGNO GLOBALE

I Via corta richiedente poche ore, nei pressi della strada e con comodo avvicinamento, ambiente solare e ritirata comoda.

II Via di diverse lunghezze su una parete superiore ai 200m, avvicinamento facile anche se può richiedere una discreta marcia, comoda ritirata.

III Via lunga oltre i 300m, ambiente severo, richiede quasi tutta la giornata per essere superata. Può richiedere un lungo avvicinamento e la ritirata può non essere veloce.

IV Via distante dal fondovalle. Richiede un’intera giornata per essere superata. La ritirata può essere complicata e non svolgersi sulla linea di salita.

R1 Facilmente proteggibile con protezioni sempre solide, sicure e numerose. Limitati tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta qualche metro e volo senza conseguenze.

R2 Mediamente proteggibile con protezioni sempre solide e sicure ma più rade. Tratti obbligatori tra le protezioni. Lunghezza potenziale caduta qualche metro al massimo e volo senza conseguenze.

R3 Difficilmente proteggibile con protezioni non sempre buone e distanti. Lunghi tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta fino a 7-8 metri al massimo e volo con possibile infortunio.

R4 Difficilmente proteggibile con protezioni scarse o inaffidabili e/o distanti che terrebbero solo una piccola caduta. Lunghi tratti obbligatori. Lunghezza potenziale caduta fino a 15 metri con possibilità di fuoriuscita di ancoraggi e volo con probabile infortunio.

R5 Difficilmente proteggibile con protezioni scarse, inaffidabili e distanti che terrebbero solo una piccola caduta. Lunghi tratti obbligatori. Possibilità di lunghe cadute e di fuoriuscita di ancoraggi che può determinare un volo fino a terra con infortunio sicuro.

R6 Improteggibile se non per brevi e insignificanti tratti lontani dai passaggi chiave del tiro. Una eventuale caduta può avere conseguenze anche letali.

V Via molto lunga stile big wall, richiede normalmente un bivacco in parete. Ritirata difficile, ambiente severo.

VI Big wall che richiede più giorni di permanenza in parete, ambiente di alta montagna, ritirata difficile.

VII Tutte le caratteristiche proprie del grado VI esasperate, come nel caso di big-wall himalayane che necessitano di una spedizione per essere superate.

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SIMBOLOGIA

splendida bella meritevole

tranquillità bellezza

chiodatura

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non esaltante

Questa indicazione tiene conto di diversi fattori tra cui, oltre alla bellezza della roccia e dei tiri, l’ambiente circostante, la tranquillità del posto e tutto ciò che può rendere una falesia splendida, bella, meritevole o non esaltante. Questa valutazione è personale e soggettiva.

comodità

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confortevole

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non sempre comoda

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scomoda

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assicurarsi

Indicazione generale che valuta la comodità media del terreno dove si fa sicura. Non è da escludere che in alcune falesie dove per la maggior parte dei tiri la base è comoda, per altri potrebbe essere necessario assicurarsi o stare in equilibrio su un piccolo terrazzino.

L’indicazione tiene conto della distanza tra le protezioni e il loro posizionamento in relazione alla via.

Questa indicazione si riferisce all’affollamento medio di una falesia durante il periodo consigliato e con condizioni climatiche ideali.

parcheggio

ottimo

buono

discreto

difficile

Questa indicazione è utile per pianificare gli spostamenti soprattutto nel caso di più persone con più macchine: nel caso di parcheggio discreto o difficile è consigliato utilizzare il minor numero di veicoli possibile o i mezzi pubblici.

avvicinamento

L’indicazione dei tempi di avvicinamento a piedi dal parcheggio alla base della falesia o del primo settore che si raggiunge, è calcolata su una velocità media di cammino considerato anche il peso dell’attrezzatura (corde, zaini, rinvii, scarpette, acqua, vestiti e quant’altro). Il tempo di percorrenza può variare in base a condizioni climatiche e del terreno. Ad esempio in tardo autunno, alcuni sentieri possono essere totalmente ricoperti dalle foglie per cui, oltre a perdere più facilmente la traccia, la camminata è più lenta. Idem nel caso di accessi ripidi durante le calde giornate estive sotto il sole. L’indicazione rimane soggettiva e variabile in base anche ad altri fattori che possono influire sui tempi di percorrenza.

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media bassa ressa
ottima buona occhio! aiuto! alta
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principianti

Con questa indicazione si individuano le falesie dove la maggior parte dei tiri presenti sono ideali anche per i principianti o per chi arrampica per “la prima volta”. La chiodatura di queste falesie è solitamente molto sicura e ravvicinata anche se non mancano alcune eccezioni.

per famiglie

Questa indicazione non è da confondere con la presenza o meno di tiri nei gradi più facili ma semplicemente per capire se è possibile recarsi alla base di questa falesia con bambini piccoli o che necessitano di un controllo costante da parte degli adulti. Molte falesie spesso non sono adatte a famiglie con bambini piccoli per la possibile presenza di cenge esposte, per l’avvicinamento impegnativo o pericoloso, per la possibilità di caduta sassi, per la presenza di una strada trafficata o altri pericoli oggettivi.

PORTARE DEI BAMBINI IN AMBIENTE NATURALE PUÒ ESSERE COMUNQUE RISCHIOSO. QUESTA SEGNALAZIONE

DELL’AUTORE HA LA SOLA FUNZIONE DI AIUTARE GLI ADULTI A TROVARE LUOGHI CON MINORI RISCHI OGGETTIVI. RESTA COMUNQUE COMPITO DEL GENITORE LA VALUTAZIONE FINALE DEL LUOGO E L’ASSISTENZA COSTANTE AI MINORI.

QRcode parcheggio

Difficoltà a trovare il parcheggio? Con una semplice scansione di questo codice attraverso una delle tante applicazioni disponibili, è possibile attivare il navigatore del vostro smartphone che vi porterà direttamente al parcheggio. Le coordinate si rifersicono alle mappe di Google.

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Vallone di Piantonetto, il lago di Teleccio con le sue pareti (© S. Dalla Gasperina)

Pont Canavese - Locana

Il settore trattato in questo primo capitolo, accanto alle storiche falesie di Bosco e Frachiamo, negli ultimi anni ha visto nascere nuovi settori adatti a tutte le stagioni e caratterizzati da diversi stili di arrampicata. Sebbene nella bassa Valle Orco, la roccia non sia il caratteristico gneiss del Gran Paradiso, grazie alla buona volontà e alla passione di alcuni arrampicatori sono stati puliti e attrezzati dei nuovi settori. Buona parte delle nuove falesie sono dedicate a difficoltà medio alte, grazie al giovane Manuel Bracco e al veterano Stefano Rapelli, ma non mancano settori più accessibili come la nuovissima Falesia di Sarro. Destra

Rogge

Parete dei Corvi

Frachiamo

Bosco

Torrente Orco
01 06 02 07 03 08 04 09 05
01.
36 02. La
38 03.
40 04.
44
05.
46 06.
48 07.
50 08.
56 09.
64 34
orografica:
Camporella
Pala
Falesia di Luca
Boetti
Sinistra orografica:
Sarro
35
Ivan Cesarin, Legend, Bosco (© Stefano Dalla Gasperina)

CAMPORELLA

450m

altitudine

esposizione

ÙÙÙÙ

bellezza

ÙÙÙÙ

chiodatura

ÙÙÙÙ

tranquillità

ÙÙÙÙ

comodità

ÙÙÙÙ

parcheggio

avvicinamento

principianti

si scala con la pioggia

per famiglie

vie lunghe

trad

Falesia appartata, “nata” nell’inverno 2020/2021 quando a causa delle restrizioni Covid non si poteva uscire dal territorio comunale. Il lavoro di pulizia e di chiodatura sono stati fatti da Stefano Rapelli e Daniele Chiolerio con altri volontari, supportati da Mountain Sicks, che ha fornito fix e soste. Chiodatura S1+.

ACCESSO

Da Cuorgnè, seguire le indicazioni per località Campore (Cimitero), arrivare alla fine della strada e parcheggiare in prossimità del passaggio a livello.

AVVICINAMENTO

Superare il passaggio a livello e girare subito a sinistra, passando davanti alla cappella votiva. Attraversare il prato puntando a una passerella in legno. Attraversarla e dopo un paio di metri svoltare a destra per un piccolo sentiero in salita in diagonale verso destra. Seguirlo fino alla pietraia e in vista della parete, tenendosi sempre verso destra, raggiungerla. 10 minuti.

Cuorgnè

Cuorgnè - Campore

passaggio a livello

cava di Campore

Pont Canavese

01
< 4b 4c 5a 5b 5c 6a 6b 6c 7a 7b 7c 8a 8b 8c 9a ? 2 2 2 3 2 11 La Valle Orco > Pont Canavese - Locana
CAMPORELLA
10'
EST
ferrovia cappella
36

1. PIPISTRELLO 6c 23m Difficile ristabilimento. Variante di uscita a destra: DECISO E PRECISO 7a

2. PICCOLA QUERCIA 7a+ 21m Muro leggermente strapiombante

3. L’INGEGNERE FANNULLONE 7a 20m Muro a tacche

4. CORVO BOMBARDIERE 7b 20m Muro leggermente strapiombante

5. SOLOSETTEA 7b+ 20m Muro leggermente strapiombante

6. INGANNEVOLE 6c+ 20m Muro con prese distanti

7. IN SACRIFICIO DELLA QUERCIA 6a 23m Diedro

8. L’APPRENDISTA STREGONE 6a 22m Muro verticale con buone prese

9. IL POLACCO 6b 22m Muro verticale a tacche

10. IL VETERANO 6b 23m Movimenti di equilibrio

11. JOINT VENTURE 7b 23m Strapiombo

CAMPORELLA

6c 7a 7a+ 7a 7b 7b+ 6c+ 6a 6a 6b 6b 7b
07 10 01 11 02 03 04 05 08 06 09
37

GRUSINER

1000m

altitudine

La parete si trova all’estrema destra della bastionata dell’Acqua Chiara, più in alto di essa, come un balcone sulla parete. Due tiri saliti da Randall e Whittaker.

ACCESSO

esposizione

ÙÙÙÙ

bellezza proteggibilità

Parcheggiare in un piccolo parcheggio (spazio per 8 auto), prima di Gera e dove c’è anche una strada che conduce a sinistra su un ponte. Questo tratto di strada è dritto per 300m, in modo abbastanza riconoscibile.

ÙÙÙÙ

ÙÙÙÙ

AVVICINAMENTO

ÙÙÙÙ

ÙÙÙÙ

1h

tranquillità comodità parcheggio

avvicinamento principianti si scala con la pioggia

SUD per famiglie

vie lunghe

trad

La parete si trova all’estrema destra della bastionata dell’Acqua Chiara e più in alto di essa, come fosse al secondo piano. Si sale attraverso il bosco, puntando verso la grande cascata come mezzo per accedere alla falesie superiori. Marcia molto disagevole tra i rovi (60 minuti di avvicinamento).

GRUSINER

29
< 4b 4c 5a 5b 5c 6a 6b 6c 7a 7b 7c 8a 8b 8c 9a ? 1 1 3
La Valle
> Grusnier - Verdetta
Orco
Frazione Castelletto Pont Canavese Ceresole Reale
1
148
torrente Orco

01. I’ll sleep when I’m dead

Tom Randall, Pete Whittaker, 2009.

Difficoltà: E5 6b (7a+ francese)

Sviluppo: 25m

Fessura di dita, quindi mano e tetto finale.

02. No rest for the wicked

Tom Randall, Pete Whittaker, 2009.

Difficoltà: E4 5c (6c francese)

Sviluppo: 30m (2L)

Due tiri off widh.

03. Più forte sarà l’espressione

Fred Moix e Justin Marquis 2024.

Difficoltà: progetto

Pannello a 45° a sinistra di No rest for the wicked. Partenza trad, poi protetto a fix. Linea futuristica.

GRUSINER

6c 6b 7a+ ? 02 03 01
Fred Moix & Justin Marquis, 2024
149

La Valle Orco > Grusnier - Verdetta

ACQUA CHIARA

1250m

altitudine

SUD-OVEST

esposizione

ÙÙÙÙ

bellezza

ÙÙÙÙ

parcheggio

50'

avvicinamento

principianti

vie lunghe

La parete sopra la frazione Gera, colpisce subito per la compattezza della roccia.

Dopo l’apertura da parte di F. Salino e M. Demichela, negli anni '80 lungo un itinerario interessante, chiamato forse in maniera autoironica "la via più bella della Valle Orco", rimane per lunghi anni inesplorata, fino a quando A. Torretta e M. Giglio intuiscono le potenzialità della parete, aprendo due itinerari moderni di alta difficoltà.

L’esplorazione è quindi continuata con le vie aperte da Massimiliano Celano all’estrema destra e da Anna Torretta nel settore centrale.

Anche Oviglia apre altre tre linee, prevalentemente in fessura, dopo più di venticinque anni dalla sua prima via su questa parete. La parete purtroppo non è molto frequentata e il suo accesso risulta sempre un po’ disagevole. Adatta alla mezze stagioni, è frequentabile anche in inverno in assenza di neve.

ACCESSO

Risalendo la Valle Orco, prima della fraz. Gera, in corrspondenza della parete, appena prima di una casa isolata parcheggiare a destra nell’ampio slargo di terra battuta.

AVVICINAMENTO

Poco prima della frazione Gera portarsi sotto un traliccio dell’alta tensione e reperire un ometto sul bordo strada. Entrare nel campo e traversarlo, quindi tenersi sulla destra costeggiando un grande masso ed entrando nel bosco di castagni. Seguire delle tracce con ometti al meglio, su terreno ripido, puntando verso la parte destra della parete. L’attacco de La falce e le betulle si raggiunge in circa 30 minuti. Per il settore sinistro della parete, poco prima di arrivare alle rocce, traversare a sinistra in corrispondenza di una radura per erba e rovi (disagevole) quindi portarsi sotto l’estrema sinistra della parete, dove un passaggio tra i salti permette di guadagnare le placche inclinate alla base di Fragola Party e delle vie alla sua sinistra (50 minuti).

DISCESA

Per ogni itinerario è descritta la discesa.

STILE ARRAMPICATA

Prevalentemente muri tecnici a tacche anche se non mancano le fessure.

30
150
151
Matteo Della Bordella, Il bombarolo (© Tommaso Lamantia)

CAPORAL

1550m

altitudine

SUD e OVEST

esposizione

ÙÙÙÙ

bellezza

ÙÙÙÙ

parcheggio

40'

avvicinamento

principianti

vie lunghe

Ben visibile dalla strada, prima di imboccare il lungo tunnel che porta a Ceresole Reale, il Caporal è un gigantesco blocco di granito, per la sua forma e compattezza, non è difficile capire perché i primi salitori, lo immaginarono come una miniatura del famoso Capitan.

La parete sud, denominata lo Scudo, estremamente compatta, è solcata da esili fessure percorse da vie in artificiale, ognuna delle quali ha segnato un passaggio nell’evoluzione di questo stile, per poi diventare banco di prova per gli arrampicatori che ne hanno effettuato le prime salite in libera.

Ma è arrivando dalla vecchia strada e risalendo il sentiero, che si può ammirare la sua complessità.

Al centro appare evidente la linea dei primi salitori, tagliata da una grande cengia. Verso sinistra la parete appare compatta, solcata da lunghi diedri rovesci tagliati da placche percorse da piccole fessure, dove si sviluppano il Lungo Camino dei Comanches e Sole Nascente. A sinistra di un grande camino che diventa canale, percorso dalla via Tempi Duri, tra diedri biancastri, sale gli Strapiombi delle Visioni, la parete finisce con l’evidentissimo Diedro Nanchez, formato dall’unione delle strapiombanti e compatte pareti, dove sono stati aperti gli itinerari, in libera, più impegnativi. Consigliate le due grandi combinazioni: i primi 3 tiri di Itaca nel Sole più gli ultimi 3 tiri di Tempi Moderni, una delle combinazioni più famose e gratificanti per chi viene la prima volta in Valle Orco; Orecchio del Pachiderma + Rattle Snake combinazione classica per gli appassionati dell’incastro, offre fessure di diverse dimensioni di notevole impegno fisico.

ACCESSO

Nuovo avvicinamento: dal piazzale del Sergent e da Pianchette. L’accesso alla vecchia strada di Ceresole, dalla lunga galleria dopo Noasca è stato chiuso. Per accedere al Caporal gli accessi sono due: A) Dal parcheggio del Sergent, Campeggio la Peschiera, seguire la vecchia carrozzabile in discesa in direzione Noasca. Oltrepassare la sbarra che impedisce l’accesso alle auto, seguire la strada, 2 tornati e una breve galleria di roccia per circa 1,5km fino all’ultima apertura del tunnel, cartello con indicazione Caporal sul muro della galleria. Da qui imboccare un’evidente sterrato in leggera salita in direzione Noasca, girare a sinistra seguendo la strada poi subito a destra, ometto e sasso con gradino metallico. Seguire l’evidente traccia e i numerosi ometti di pietraia.

Attraversare verso destra (faccia a monte) una lunga placca, proprio sotto la verticale della parete.

Al termine della placca, tenendo a sinistra, per tracce, portarsi alla base del Caporal 35/45 minuti dal parcheggio altrettanti al ritorno.

48
La Valle Orco > Gola del Caporal
294
295
Umberto Bado, Orecchio del Pachiderma (© Stefano Dalla Gasperina)

B) Seguendo la strada che porta Ceresole Reale, dopo i tornanti di Noasca, non imboccare il tunnel. Seguire la strada in salita a destra e poi subito a sinistra in discesa, per raggiunge la frazione Pianchette (partenza per Tramonto are, Piramide, Cubo, Falchi etc..). Parcheggiare e seguire la vecchia strada per circa un 1,5km, passando sotto la zona dei Massi del Caporal e dopo un paio di tornanti, di fronte all’apertura del tunnel, girare a destra e imboccare un evidente sterrato in leggera salita in direzione Noasca e seguire le indicazioni precedenti. 40/50 minuti da Pianchette, un po’ di meno in discesa.

DISCESA

Calate in doppia su:

• Diedro Nanchez

• Rattle Snake+Camini, per questa discesa, la più frequentata è consigliabile seguire il seguente percorso: dall’uscita di Tempi Moderni o Sole Nascente, compiere un lungo semicerchio a destra, faccia a monte, attraversando una placca e seguendo una rampa diedro in discesa I/ II, esposto, conviene stare legati, per raggiungere un evidente pulpito. Dove è posizionata la prima sosta delle calate in doppia. (ultima sosta di Rattle Snake). Prima doppia 35m alla cengia, I sosta di Rattle Snake, gruppo sosta Raumer. Seconda doppia 35m alla grande cengia, faccia a monte andare a destra, gruppo sosta Kinobi. Terza doppia 35m sulla verticale, fino a una sosta a sinistra dei Camini, gruppo sosta Fixe. Quarta doppia 45m alla base della parete.

• Rivoluzione soste Raumer

• Crazy Horse soste Raumer.

48 La Valle Orco > Gola del Caporal Caporal
PARETE DEI FALCHI PLACCA DEI CAVALIERI PERDENTI PARETE DELLE AQUILE CAPORAL PICCOLO CAPORAL PARETINA INFELICE MASSI DEL CAPORAL HANA-BI Pont Canavese Ceresole Reale torrente Orco sbarra vecchia SS
296
galleria
297
Federica Mingolla, Itaca nel sole (© Federico Ravassard)

Itaca nel Sole

È stata una fotografia, a spingermi nelle braccia dell’orco. Un’immagine sfocata su un libro che parlava di speleologia, Una frontiera da immaginare, di Andrea Gobetti. Quattro colori: la maglia rossa di un arrampicatore perso nell’ocra fulvo di un muro di granito e la macchia nera di un corvo che si librava contro il blu del cielo. C’era tutto, e la didascalia era un invito al viaggio: “Verso il Cosmo, Itaca, il Sole (El Caporal)”. Ha aspettato qualche anno, il mio viaggio verso Itaca. Poi un’estate in Brenta ho incontrato un altro Andrea, che mi ha parlato ancora della valle e delle vie, della fessura che aveva appena scoperto e salito vicino alla baita che aveva eletto a dimora con altri amici torinesi. L’invito al viaggio si ripeteva, e questa volta con una bussola e un approdo sicuro.

Sono passati più di quarant’anni dalla mia prima incursione in Valle, con tre amici di Roma alla scoperta del nuovo Eldorado dell’arrampicata. Andrea e la baita ci aspettavano ospitali. E ci sono stati gli incontri con figure note e meno note del mondo verticale, le serate conviviali intorno alla grande losa su cui arrostivano le salsicce, le mani scorticate nelle fessure e lo specchio scintillante di Itaca che diventava realtà. L’Orco aveva mantenuto le promesse, e noi abbiamo mantenuto la promessa di tornare.

Due anni dopo (altri amici, altro giro) eravamo di nuovo alla baita. Che era però troppo piccola per

ospitare, a distanza di pochi mesi, tutto il gruppo della scuola di alpinismo della SUCAI che partì da Roma per un corso di una settimana di arrampicata in granito, e inaugurò una lunga frequentazione delle Fonti Minerali, dove nelle pizze di Daniela non c’era mai peperoncino sufficiente. E tra una Cannabis e un Totem Bianco abbiamo imparato a conoscere altro, che insieme alla bellezza della roccia ha creato l’attrattiva particolare della Valle: una certa dimensione d’altri tempi, che stende attorno alle pareti una montagna insieme dolce e severa, molto lontana dalle cartoline affollate e addomesticate dei luoghi alla moda; o la gentilezza discreta di Pier, che ci conduceva a esplorare le viscere della grande diga del Serrù, per poi brindare al tramonto con una buona bottiglia e una forma di toma, con l’ultimo sole che si tuffava nel lago. Sono tornato molte volte, perché è sempre a Itaca che si deve tornare. E molte cose sono cambiate. La baita non c’è più, e non c’è più il verde prato al cui centro troneggiava il masso Kosterlitz, ridossato oggi sul cemento dell’involucro esterno del tunnel della nuova strada. E non c’è più Pier, che il lavoro sulla sua montagna ha portato via. Ma lo splendore del granito nel sole non è mutato. E l’ultima Itaca, salita dopo avere appena varcato la soglia dei settanta, non è stata poi così diversa da quella cui sono approdato la prima volta. Ho solo fatto un po’ più di fatica.

298
Angelo Riva, in solitaria sullo Specchio di Itaca, 1992 (© Arch. Angelo Riva) 
299
300
(© Marco Spataro)
301

01. Via dello spigolo sud-est

Flavio Leone, Ugo Manera, 19 aprile 1973. Prima libera Maurizio Oviglia e Francesco Arneodo, giugno 1986.

Difficoltà: 6b (5a/A1 obbl.)/R1+/II

Sviluppo: 200m (7L)

Materiale: la via è in parte chiodata. Portare dadi, friend e qualche chiodo, 10 rinvii, 2 corde da 50m. Itinerario un po’ discontinuo e con tratti poco logici che presenta tuttavia qualche bel passaggio. L’ultima lunghezza esce forzatamente a destra con una serie di traversi e grande attrito delle corde.

02. Il sogno di Jack

Rudy Buccella, Jacopo Bufacchi e Valerio Folco in 4 giorni tra il 1997 e 1998.

Difficoltà: V scala big wall, max 6a/A4

Sviluppo: 200m (6L)

Materiale: sulla via è presente qualche spit. I primi salitori hanno usato e consigliano di equipaggiarsi con: 13 pecker, 6 kbs, 10 Las, 5 angles n. 1, 5 angles n. 2, 3 angles n. 3, 2 angles n. 4, 15 copperheads n. 2, 15 copperheads n. 3, 6 copperheads n. 4, 1 circle head n. 3, 2 set di camalot, 2 set di Tcus, 1 set di nut, 1 set micronut, 1 set ball nut, 2 rivet hanger, 1 cisello a punta per togliere i copperheads, vari cliff hanger (2 grapplin pointed, 2 standard pointed, 2 leeper pointed, 1 big fish pointed, 1 spoonbill pika n. 2 e uno n. 3, 2 corde da 50m...uff! Grande via artificiale, sicuramente una delle più impegnative del massiccio e, attualmente, delle Alpi occidentali. Va tenuto presente che le gradazioni sono molto più severe rispetto alle vecchie vie (anni settanta) e che è necessario equipaggiarsi con il materiale americano su descritto, a meno che non si voglia aumentare considerevolmente la difficoltà della via. I primi salitori avvertono che alcuni tiri, in caso di caduta, sono potenzialmente molto pericolosi. Equipaggiarsi anche per bivacchi su portaledge o con corde fisse.

Per una ripetizione e per maggiori delucidazioni è possibile contattare l’apritore Valerio Folco che si rende disponibile a fornire consigli.

03. Crazy horse

Ezio Cavallo e compagni, 1976.

Difficoltà: 6c/A2, 5a/A3/R2/II

Sviluppo: 150m (7L)

Materiale: la via è schiodata, eccetto gli ultimi tiri dove sono stati lasciati dei chiodi nei tratti di difficile chiodatura e fattibili in libera. Portare 2 serie di friend, nut, chiodi, eventualmente rurp, 15 rinvii, 2 corde da 60m.

Le soste sono a fix, collegate con catena, utilizzabili per la discesa.

Una delle vie più yosemitiche della parete, poco conosciuta e poco ripetuta.

Nonostante qualche tentativo di liberarla (Oviglia, Mochino, Arneodo, 1986 poi Farina negli ultimi anni).

04. Via della rivoluzione

Gian Piero Motti e Ugo Manera, 1 ottobre 1973.

Difficoltà: 7c+ max o 6a+/A2+, originariamente 5a/ A3/R2/II

Sviluppo: 150m (5L)

Materiale: la via è quasi interamente chiodata. Portare nut, micronut, friend, attualmente non dovrebbe servire aggiungere altri chiodi, 15 rinvii, 2 corde da 60m.

Via di grande ambiente molto esposta nelle prime lunghezze che si sviluppano sullo Scudo del Caporal.

Può considerarsi il tracciato più logico ed elegante del Caporal. Salita in libera da Massimo Farina nel 2003 e gradata 7c è stata rivalutata da Larcher, secondo ripetitore, a 7c+. La via è quasi interamente chiodata. Sia che la si percorra in libera, sia che la si salga in artificiale è sempre un percorso grandioso, per l’esposizione e l’ambiente in cui si svolge.

Dal parcheggio della galleria seguire la traccia con ometti e salire fin sotto la parete. Giunti sotto lo scudo, portarsi sotto la verticale della via seguendo verso destra una placca inclinata, Vecchia corda fissa.

L1 La prima lunghezza è molto bella, inizialmente su lame, poi per diedro verticale, S1 a fix, con catena. 6a+

L2 Segue un tiro stupendo molto verticale. Seguire integralmente il fessurino (se in libera movimenti

48 La Valle Orco > Gola del Caporal Caporal
302
4b A3/5c A4 A2/5c A3/6a 3c 6b 7c+ (A1+) 7a+/7b (A1) 6a 6a 6a 7b/c (A0,4pa) 6c (A2) 6c 6b(A2) 6b(A2) 5c A2 5c/A2R A3 6b 6b 6a+ 4c 5a 4a 5c 4c A2+ 6b A1/6a 5c A3+ A3 A5 07 01 02 03 04 05 06 CAPORAL cengia 303

delle difficoltà, i diversi giorni necessari per una ripetizione, la gradazione dell’artificiale new age (molto più severa che nell’artificiale classico), fanno di questa via una delle più impegnative arrampicate della valle, decisamente più impegnativa e pericolosa della vicina Fragilità cerebrale, aperta, tuttavia, 15 anni prima.

Per una ripetizione e per maggiori delucidazioni è consigliabile contattare l’apritore Valerio Folco o consultare il suo sito internet.

41. Gnu wave

Anita Manachino, Alessandro Patrito, Luca Vecchio, Jacopo Alaimo, estate 2001.

Difficoltà: 6b/A3/R3/II

Sviluppo: 110m (6L)

Materiale: la via è parzialmente attrezzata a spit e chiodi, comprese le soste. Materiale utile per una ripetizione: 1 corda singola da 50 metri, 1 corda di servizio da 50 metri, eventuali corde fisse, 1 serie di camalot completa, 1 serie di camalot fino al n. 2, 1 serie TCU, 2 serie nut-ball fino al n.2, 10 micronut, 10 LA, 5 KB, 5 angles, 4 rurp, 2 pecker, 15 alluminiumheads n.1-2-3, alcuni piombi artigianali molto teneri, 2 cliff (Talon BD), 30 moschettoni liberi, fettuccie (per strozzare i chiodi), 1 cisello per togliere i copperheads e qualcosa per stare comodi in sosta (almeno un seggiolino).

Bella via di artificiale, ripercorre un vecchio tentativo artificiale di Mario Ogliengo (Via dei Califfi). Durante la salita sono stati rimossi i chiodi a pressione del primo tiro e sono stati utilizzati i buchetti per la progressione con i cliff. La via può essere considerata una via di mezzo tra la classica Fraglilità cerebrale e la yosemitica Supersonic. Tutte le soste sono attrezzate con 3 fix e le soste 2, 4 e 6 sono attrezzare con catena e 2 maillon per la calata in doppia.

L1 Superare la prima placca impegnativa con una serie di passaggi su cliff (possibile in libera) e raggiungere il diedro ad arco con un ribaltamento delicato; superare tutto il diedro ad arco fino a raggiungere uno spit, superare la successiva placca con i cliff (sfruttando i buchetti dei vecchi chiodi a pressione) e con una serie di passaggi su copperheads raggiungere la sosta. 20m, A2+/6a

L2 Salire la fine fessura fino alla piccola cengia erbosa. 25m, A2

L3 Raggiungere e salire la lama fino alla sosta. 15m, A1 o 6b+ in libera

L4 Dalla sosta, traversare verso sinistra fino a raggiungere una fessura appena accennata che si supera con gli heads quasi fino al suo termine; appena prima del suo termine, traversare verso destra (passaggio chiave) e per un’altra fessura raggiungere la sosta. 20m, A3

L5 Superare la breve placca fino a una grossa cengia. 10m, 5c

L6 Vincere la fine fessura e con un difficile run-out raggiungere l’ultima sosta. 25m, A2+/5c

Con un facile traverso di pochi metri è possibile ricollegarsi a Fragilità cerebrale.

LOST ARROW

42. L’eroe dei due mondi

Maurizio Oviglia, 1999.

Difficoltà: 7a/S1/I

Sviluppo: 25m

Materiale: la via è spittata, portare solo rinvii. Corto passaggio boulder in partenza e poi fessura strapiombante a incastro e opposizione. Originariamente gradata 6c+ è oggi rivalutata a 7a dopo la rottura di una tacca nel boulder iniziale.

43. Gli Angeli Della Morte

Roberto Mochino, Maurizio Oviglia, Patrizio Pogliano, 1986.

Prima libera Roberto Mochino, Massimiliano Giri, 1987.

Difficoltà: 7c/+/S1+/I

Sviluppo: 70m (2L)

Materiale: attrezzata a spit, richiodata nel 1999. Primo tiro bel fessurino tecnico (6c+) abbastanza frequentato. Secondo tiro meno ripetuto su muro a tacche estremo con corte sezioni molto intense e di dita. Secondo alcuni un 7c molto stretto.

44. KTM

Roberto Perucca 1998, ripresa e terminata dal Giovannino Massari nel 2001.

Prima libera Federica Mingolla.

Difficoltà: 8a+ S1/I

Materiale: attrezzato a fix.

61 La Valle Orco > Ceresole Reale Sergent
408
409
Umberto Bado, Orco Verde (© Stefano Dalla Gasperina)
410
Ivan Cesarin e Rinaldo Sartore, Fessura della Disperazione (© Alessandro Masiero)
411

45. Cinquetredici

Maurizio Oviglia, 1999.

Prima libera: Maurzio Oviglia, 1999.

Difficoltà: 7c+/S1/I

Materiale: attrezzata a fix.

Tiro in placca che richiede grandi doti di concentrazione, buone dita e buon gioco di piedi. Seconda ripetizione C. Marchi, terza e quarta G. Cortese e G. Massari che ne abbassarono il grado a 7c+.

La prima parte del tiro è su microcristalli, dove la pancia iniziale risulta più difficile.

Dopo un relativo riposo lo stile cambia e si collega le tacche con allunghi difficili.

La fine del tiro è tutta in traverso, dove la mano sinistra non ha nulla e non bisogna alzarsi troppo.

46. Ve la do’ io l’america

Maurizio Oviglia, 1998.

Difficoltà: 7b/S1/I

Sviluppo: 25m

Materiale: chiodata a spit.

Variante iniziale a destra di Cinquetredici che ne evita la prima difficile parte di 7b, sostituendola con una di 7a, prima libera Maurizio Oviglia).

47. Il signore nero

Alessandro Gogna, R. Kiegfield, giugno 1976. Daniele Caneparo salì la variante finale.

Difficoltà: 6a+/R1+/I

Sviluppo: 30m

Bel diedro fessura da integrare con nut e friend, anche grossi, in posto un solo spit.

48. Il senso della vita

Maurizio Oviglia, Daniele Caneparo, 1999.

Difficoltà: 6c+/7a /S1/I

Sviluppo: 30m

Bella arrampicata tecnica su uno spigolo verticale a tacchette, attrezzata a spit.

49. Mary Poppins

Roberto Perucca e c.

Difficoltà: 5c/R1/I

Sviluppo: 25m

Materiale: interamente da proteggere, portare friend e dadi.

Bella fessura diagonale, propedeutica all’incastro.

61 7a 6c+ 7c/c+ ? 7c+ 7b 6a+ 6c+/7a SERGENT 47 43 44 45 48 46 42 La Valle Orco > Ceresole Reale Sergent
Settore Centrale
412
Mary Poppins e attacco via Locatelli

50.

Difficoltà: 7b

Itineraio a fix, a destra della fessura, probabilmente aperto da Giovanni Massari

51. Back to reality

Didier Berthod, J. Arder, 18 agosto 2003.

Difficoltà: 6b+/R2/II

Sviluppo: 100m (3L)

Materiale: la via è interamente da proteggere. Portare un gioco di camalot sino al 4BD, 10 rinvii, 2 corde da 50 metri.

Diedro fessura nella parte alta della parete. Il secondo tiro affronta una larga fessura, poi la via esce tra due tetti triangolari.

52. La settima tromba dell’apocalisse

Adriano Trombetta, Luca Daniele, S. Veller, settembre 2002.

Prima libera Adriano Trombetta, 2005.

Difficoltà: 7c (7a+ obbl. e A0)/RS3/II

Sviluppo: 120m (3L)

Materiale: friend da 0,3 a 3 (BD).

Via molto aerea e impegnativa. Primo tiro con passaggi obbligatori molto difficili (7a+) e inizio su roccia friabile.

La via si svolge nella parte alta e destra della parete. L’attacco si raggiuge lungo un ripido canale nella parte destra del Lost Arrow o seguendo una delle vie della parte bassa.

53. Trasparenza eolica

Gian Carlo Grassi, G. Marino, 24 aprile 1977. Prima libera Adriano Trombetta, 2003.

Difficoltà: 7a+ o A2/R2/II

Materiale: soste a fix con anello di calata, in posto qualche vecchio spit da 8mm, portare chiodi, nut una serie di friend, due corde da 60m.

Via interessante ed estetica, per lungo tempo dimenticata e salita in libera di recente (prima da A. Trombetta, che l’ha valutata 6c+ e appena dopo da Didier Berthod che, senza sapere della precedente salita, l’ha valutata 7a+). Tuttavia la via è da attrezzare con chiodi e in qualche tratto la fessura è erbosa, cosicché non pare molto agevole salire in libera direttamente.

Scopriamo insieme le più

belle fessure della

Valle dell'Orco!

Corsi di arrampicata in fessura e sull'uso delle protezioni veloci

Accompagnamento su richiesta lungo le vie classiche che hanno fatto la storia della

Valle dell'Orco

Fessura della Disperazione, terzo tiro, Sergent

Mike Kosterlitz

Era già una figura leggendaria quando all’inizio degli anni Ottanta sono entrato a far parte della redazione della Rivista della Montagna. La dimensione mitologica che lo circondava nell’ambiente torinese, e che traspariva da ogni aneddoto che si raccontava sulle sue imprese verticali (che spaziavano dai sette metri della famosa fessura alle grandi pareti del Badile, del Dru e delle Dolomiti), era ingigantita dalla sua enigmatica scomparsa nel nulla. Si mormorava che avesse abbandonato l’alpinismo per motivi di salute, ma apparentemente nessuno sapeva che fine avesse fatto.

Talvolta si verificano coincidenze bizzarre. Nel 1988 ero per un anno sabbatico a Washington, e per puro caso ho notato l’annuncio di un seminario alla Brown University di Providence, tenuto da un professor Michael Kosterlitz. Ho fatto due più due sperando che facesse quattro, e il risultato è stato quello giusto. Il professor Kosterlitz, cui ho scritto

chiedendogli se per caso fosse “quel” Kosterlitz, era proprio lui. Alla prima occasione, sono andato a trovarlo e ne è venuta fuori una bella giornata di ricordi che ho poi tradotto in un breve articolo per la Rivista. Era la prima volta che Mike tornava a parlare di montagna e di alpinismo (del suo alpinismo), dopo il forzato abbandono dell’attività a causa di una debilitante malattia degenerativa. Sembrava contento che ci si ricordasse di lui. Io, per parte mia, ero emozionato dalla insperata possibilità di ascoltare storie e aneddoti dalla viva voce dell’attore principale. Di fisica, che pure era il nostro comune interesse professionale – sia pure in settori diversi di ricerca, non abbiamo parlato quasi per niente.

Lo ho rivisto a Torino, quando dopo quasi cinquant’anni è ritornato, all’università per ricevere la laurea ad honorem, e in valle dell’Orco a rivedere la sua “fessura da Nobel”, adornata da una targa per

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l’occasione. Il momento clou della serata ai Cappuccini, con la sala e i corridoi adiacenti stipati fino all’inverosimile, è stato quando Ugo Manera gli ha sventolato davanti al naso il mazzetto dei nut che Mike aveva utilizzato durante la prima salita del Pesce d’Aprile. Ma l’omaggio migliore che Kosterlitz poteva fare ai suoi trascorsi arrampicatori torinesi è stato il suo intervento la mattina successiva all’università, bardato in pompa magna con la toga accademica. Chi si aspettava, come d’uso in queste circostanze, una dotta dissertazione sulle esoteriche ricerche che gli erano valse il Nobel sarà rimasto deluso. Di fisica, Kosterlitz ha lasciato parlare altri. Lui ha espresso (sto condensando, ma non tradendo il succo del discorso) il suo debito di riconoscenza verso Torino perché, a parte il fatto

che ci si mangiava e beveva buon vino a prezzi ragionevoli, era molto comodo abbandonare gli studi di fisica delle particelle elementari e scappare in montagna, a sciare o ad arrampicare. E perché, proprio a causa di una di queste fughe in parete, mancò la scadenza per inviare la domanda di impiego al CERN di Ginevra, finendo così per accettare un posto molto meno prestigioso in una università inglese dove incontrò Thouless, che lo convinse a cambiare specialità e ad avviare la linea di ricerca che avrebbe poi prodotto risultati fondamentali. “Se fossi andato al CERN, sarei diventato uno tra i tantissimi teorici di alte energie; per fortuna, grazie al diversivo offerto dall’alpinismo, ho mancato quella occasione e ho finito col vincere il Nobel, e sono grato alla vostra città per questo”.

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La Fessura Kosterlitz negli anni '80 (© Arch. Andrea Giorda)

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