in edicola il 20 luglio 2019
#03 | lug/ago 2019 6.50 €
EDIZIONI VERSANTE SUD
TRE CIME DI LAVAREDO Portfolio fotografico Pionieri, eroi e conquistatori Il periodo d’oro. 1978-2008 Christoph Hainz Simon Gietl Project Fear La via più brutta del mondo Tre Cime. Proposte di multipitch Val di Landro. Climbing Valley Tre rifugi per Tre Cime Lavaredo, non solo alpinismo Gare: Lavaredo Ultra Trail Focus: Dolomiti multipitch Torre Trieste, la regina della Civetta Exploit: Niky Ceria affronta The Education State, Piotr Schab su Fight or Flight Vertical Tales: Alziro Molin e la direttissima Nord alla Croda dei Toni
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO
Le Tre Cime da nord, in inverno. Foto: Manrico Dell'Agnola
Sommario 004 Editoriale di R. Felderer, J. Larcher ed E. Pesci
STORIA DI COPERTINA
006 Portfolio
014 Pionieri, eroi e conquistatori di Carlo Caccia 022 Il periodo d'oro. 1978-2008 di Erik Švab 026 Christoph Hainz a cura di Riky Felderer 032 Simon Gietl a cura di Jacopo Larcher 038 Project Fear di Jacek Matuszek 042 La via più brutta del mondo Una strana giornata sulla Cassin-Ratti alla Ovest a cura di Riky Felderer 046 Tre Cime. Proposte di multipitch di Simone Corte Pause,Erik Švab e Giovanni Renzi 060 Val di Landro Climbing Valley di Guido Colombetti
DUE GIORNI IN RIFUGIO
072 Tre rifugi per Tre Cime Lavaredo, non solo alpinismo di Giuseppe Miotti
GARE
076 Lavaredo Ultra Trail di Claudio Regazzoni
FOCUS
080 Dolomiti multipitch sportive di Samuele Mazzolini 090 Torre Trieste Focus sulla torre regina della Civetta di Manrico Dell’Agnola
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EXPLOIT
104 The Education State Storia di un sasso del Sud di Niky Ceria 112 Piotr Schab Fight or Flight, 9b a cura di Jacopo Larcher
VERTICAL TALES
116 Alziro Molin e la direttissima da Nord alla Croda dei Toni di Alziro e Uta Molin
IL GRAFFIO
119 In Tre Cime col carrello di Pietro Dal Prà
JOLLYPOWER
120 La forza non è sufficiente Ma è necessaria di Alessandro Lamberti
GEAR GEEK
124 Climbing Cam. Pt. 3 di Fabrizio Calebasso
VETRINA
126 Proposte prodotti
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Perché la roccia ami sentirla. Perché l’arrampicata è istinto. Perché i classici non muoiono mai, evolvono.
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Editoriale
Testo Richard Felderer, Jacopo Larcher ed Eugenio Pesci
Sul Gelbe Mauer oggi classica via sportiva, 7a+, a firma Stefan Glowacz. Foto: R. Felderer
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S
iamo partiti con i graniti ossolani, verso il confine occidentale delle nostre Alpi, e abbiamo proseguito con le placche e gli strapiombi di Arco e della Valle del Sarca, seguendo, degli uni e degli altri, le vicende storiche e le voci dei tanti protagonisti che li hanno valorizzati. Arriva l’estate, e UP Climbing sale un po’ di quota, spostandosi verso le Dolomiti, e fermandosi in uno dei loro principali “luoghi di forza”: le Tre Cime di Lavaredo, vero santuario storico e tecnico dell’alpinismo passato e presente su roccia. Chi non conosce, almeno per averle viste una volta anche solo sulla carta stampata, in televisione o in rete, le pareti Nord? Esse appaiono nella top ten delle icone mondiali della montagna, e il loro destino, che pare nascere da una mineralità a suo modo sconcertante e primordiale, è da tempo diventato quello, nel bene e nel male, di essersi trasformate prevalentemente in una grande attrazione turistica. Attraverso interviste e racconti di figure fondamentali per la storia recente delle Lavaredo, da Cristoph Hainz a Simon Gietl, ma arrivando a personaggi forse meno noti ma non meno importanti, come Alziro Molin, ecco dispiegarsi una panoramica delle Tre Cime che vuole andare oltre il solo aspetto tecnico e, appunto, turistico. Ma in questo numero troverete anche molto altro: diverse proposte di vie di più tiri in Dolomiti, le falesie della Val di Landro, i viaggi visionari di Niky Ceria sui nuovi boulders di Pietra del Toro, in Basilicata, per arrivare alle “ideas” di Emilio Previtali sul senso e il futuro dell’alpinismo “sportivo”. Buona lettura, e buona estate verticale…
Editoriale sottosezione Editoriale
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P���i���, eroi e c�nquis��tor� Testo Carlo Caccia
Verticalità impressionante per questa cordata impegnata sulla Hasse-Brandler alla Cima Grande. Foto: R. Felderer
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I PIONIERI Oggi sono una cartolina, centocinquant’anni fa erano il sogno impossibile di Paul Grohmann che, quando le vide, “così ripide ed affilate”, maturò subito la decisione di salirle: lo disse ai suoi compagni e la risposta fu una risata divertita. Ma il 21 agosto 1869, non appagato dopo le scalate della Punta dei Tre Scarperi e del Sassolungo riuscite nelle settimane precedenti, il pioniere delle Dolomiti, viennese di buona famiglia, riuscì a tagliare anche il terzo traguardo: la prima ascensione della Cima Grande di Lavaredo, compiuta con le fidate guide Franz Innerkofler e Peter Salcher. “Non ho nulla di particolare da riferire sulla nostra scalata – dichiarò Grohmann dopo l’impresa –, fuorché il superamento di un blocco strapiombante ed un salto oltre una spaccatura. Dall’inizio della roccia non facemmo un minuto
di pausa, perché Peter Salcher ci guidò con estrema sicurezza e velocità attraverso le pareti”. Esattamente dieci anni più tardi, il 21 agosto 1879, Georg Ploner e un altro Innerkofler, Michel, raggiunsero per primi la vetta della Cima Ovest, mentre il 25 luglio 1881 fu la volta della Cima Piccola. A scrivere la storia fu nuovamente Michel Innerkofler, che completò la salita con il fratello Hans dopo averlo chiuso a chiave in camera, la sera prima della scalata, per evitare che si ubriacasse come al
Storia
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Simon G�et�
Storia
Ciao Simon, iniziamo dalla domanda più classica… Facci capire in poche righe chi sei e da dove vieni. Il mio nome è Simon Gietl, vengo dalla val Pusteria. Sono cresciuto in un piccolo paese di nome Oberwielenbach (Vila di Sopra), per amore mi sono poi trasferito a Luttach (Lutago) in valle Aurina. Vivo lì ormai da 15 anni con Sandra, che nel frattempo è diventata mia moglie, e con i miei figli Iano (6) e Iari (3). Dopo aver concluso l’apprendistato da falegname, sono riuscito a coronare il sogno di diventare guida alpina, così poco tempo dopo ho potuto trasformare la mia grande passione in una professione. Tu appartieni indubbiamente alla “nuova” generazione, ma ciò nonostante sei tornato a fare un alpinismo più “classico” (pochi spit, molti chiodi,… ). Ci spieghi la tua etica ed il perché di questo approccio? Mi ha sempre stimolato aprire una nuova linea con i chiodi tradizionali. Uso chiodi tradizionali prima di tutto per motivi etici. D’altra parte, senza l’uso del trapano, la domanda se sia possibile scalare la via in stile tradizionale rimane aperta fino alla fine.
A cura di Jacopo Larcher
PENSO CHE TRASPORTARE IL “ TRAPANO SIA PARAGONABILE A
TRASPORTARE NELLO ZAINO IL SUCCESSO. QUESTO NON VUOL DIRE PERÒ ASSOLUTAMENTE CHE IO NON APPREZZI GLI ITINERARI A SPIT. ANCHE CON ESSI SI POSSONO REALIZZARE VIE ESTREME E PSICOLOGICAMENTE DELICATE. NON È PERÒ QUESTA LA MIA DIREZIONE STILISTICA. Viaggi molto, ma sembra che il tuo parco giochi preferito siano le Dolomiti. È una scelta voluta o dovuta? Nonostante sia regolarmente in spedizione una o due volte all’anno, ogni volta non vedo l’ora di tornare ad arrampicare sulle montagne di casa, in particolare sulle Dolomiti. So apprezzare la grande fortuna di avere queste montagne conosciute in tutto il mondo proprio davanti alla porta di casa. Non le scambierei con nessuna catena montuosa del mondo.
Passiamo al tema di questo numero, le Tre Cime. Queste pareti hanno assistito, come poche altre nelle Dolomiti, alle varie fasi dell’alpinismo; grandi classiche, direttissime, solitarie, invernali, vie a spit e non, concatenamenti, …la lista è veramente lunga. Cosa hanno di speciale queste pareti e cosa significano per te? L’arrampicata sulle Tre Cime è incredibilmente varia e sfaccettata. Il mix di vie classiche e moderne è un
Simon Gietl su Das Erbe der Väter (L'eredità del padre). Foto: Claudia Ziegler
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Storia Project Fear
PROJECT FEAR, GIÀ DAL NOME, “ NON SUONA ESATTAMENTE
INVITANTE: EVOCA UNA VIA CHE PROPRIO NON VORRESTI SCALARE. Arrivati alla base della parete per la prima volta abbiamo notato un grosso masso in cui era piantato un chiodo. Lukasz, il mio compagno di scalata, si è accorto che ero abbastanza perplesso. Abbiamo fissato il masso chiedendoci chi potesse essere stato così stupido da piantarci dentro un chiodo, visto che era al suolo. Ma
Project Fear L'autore sul passo chiave di Project Fear, 8c. Foto: arch. Jacek Matuszek
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poi, improvvisamente, abbiamo capito cos’era successo: il masso era caduto dalla parete. L’apritore della via è Dave MacLeod (nel 2014, Ndr), già noto per la sua arrampicata complessa, avventurosa e di difficile interpretazione. Abbiamo iniziato ad aver paura di cosa avremmo potuto trovare, ma ricordavamo le parole di Robbie Phillips, che ci aveva spronato e convinto a provare questa via. Project Fear si trova sulla Cima Ovest, e ha quello che probabilmente è il tetto più grande delle pareti alpine. La via si sviluppa sul lato destro di questo tetto, per ricongiungersi poi con Pan Aroma, con il suo tiro chiave di 8c. La abbiamo affrontata con grande rispetto: la dolomia è una roccia particolare, e bisogna abituarcisi. Imparare a scalare su roccia precaria fa parte del gioco. Abbiamo deciso che avremmo entrambi salito da primi
i tiri chiave, proseguendo alternandoci sui passaggi meno complessi. Il primo tiro difficile è un traverso, in cui devi arrampicare come una scimmia: movimenti lunghi, che richiedono potenza, e che ti fanno sentire mano a mano sempre più esposto, tanto da iniziare a strizzare le prese molto più del necessario. Poi c’è un lungo tiro di trentacinque metri, che richiede molta resistenza. Potremmo paragonarlo ai tiri migliori di posti come Rodellar o St. Legere, dove ci sono strapiombi incredibilmente belli. La via mi è piaciuta così tanto che ho suggerito di cambiarne il nome in Project Beauty! E dopo questa parte impegnativa devi essere fresco come se avessi appena iniziato, perché arriva il tiro chiave. La sosta è proprio sotto questo tetto gigantesco, ti ritrovi a scalare in strapiombo cercando di far riposare appena possibile le braccia, è davvero un test di concentrazione e abilità mentali. Il primo chiodo è a sette metri dalla sosta, e gli appigli sono talmente piccoli da essere a malapena sfruttabili per progredire. Lukasz è partito per primo, e io da sotto a tratto vedevo i piedi che mulinavano nel vuoto. Si è mosso in maniera fluida, e poi è sparito oltre il tetto. Lo sentivo annaspare e rifiatare intensamente, e poi ha raggiunto la catena. Era il mio turno: mi sono sentito gravare addosso la responsabilità del successo del nostro progetto. Purtroppo un appoggio per un piede si è rotto, e sono caduto; poi, al secondo tentativo, ho raggiunto l’incastro di ginocchio a metà del tiro. In seguito abbiamo chiacchierato di come avevamo imparato e perfezionato questo genere di tecnica in Spagna, e di come stesse portando i suoi frutti. Qualche altro movimento intenso, slanciando i piedi a mezz’aria, e ho capito di aver superato il passaggio chiave. Siamo riusciti a salire a vista sul resto della via, affrontando diversi run out per colpa di alcuni chiodi rotti. Di colpo ci siamo accorti dell’arrivo di una tempesta, dal fondovalle. Dovevamo accelerare, perché ci mancava da superare lo spigolo. Non penso di aver mai scalato così velocemente: avevo i polmoni in fiamme, e sembrava che più che alpinismo stessimo facendo una gara di velocità! Ho trovato una piccola nicchia in cui ripararmi, mentre Lukasz ha dovuto salire gli ultimi metri sotto una vera e propria cascata d’acqua. Se non avessimo superato quella sezione abbastanza velocemente avremmo potuto trovarci davvero nei guai. Per fortuna la tempesta si è esaurita in fretta, abbiamo raggiunto la cima e finalmente abbiamo potuto goderci il panorama. La terza salita di Project Fear è passata alla storia il 2 agosto 2017. IG: @jacek_matuszek FB: Jacek Matuszek
Storia La via più brutta del mondo
La fine I sopravvisuti della Cassin... Foto: Arch. Felderer
parete. Inizialmente ero gasato e volevo provarla in libera. Ma appena cominciano le difficoltà, fatta un’analisi superficiale della situazione... ho deciso che portare a casa la pelle sarebbe stato un successone, per cui prode dei miei due metri di altezza ho munto sistematicamente ma con delicatezza tutti i chiodi in situ, ammirandone la fattura e la posa, talvolta poco ortodossa, di sicuro molto creativa! Per esempio, quando il chiodo è messo a panino,tra due legnetti, per rimanere in sede, sinceramente mi esaltavo. Poi guardavo Elena, la sosta e i chiodi e mi proiettavo in uno i quei b-movie dove il protagonista cade e schioda il tiro (sosta compresa) e rimaniamo appesi per un solo chiodo che si piega e fa rumore...
SVEGLIA! ANDIAMO AVANTI! “ E ARRIVIAMO AL CELEBRE
TRAVERSO, CHE PROBABILMENTE È PIÙ LUNGO DELLA VIA IN SÈ. SEGUE UNA VENA DI ROCCIA CHE, PUR SEMBRANDO IMPOSSIBILE, CREDETEMI, È PIÙ BRUTTA DEL RESTO! SGRETOLANDOSI SOTTO L’EFFETTO DEGLI AGENTI HA FORMATO UNA SORTA DI FESSURA ORIZZONTALE CHE TAGLIA I GRANDI TETTI DELLA OVEST E IL DINAMICO DUO RATTI-CASSIN L’HA PERCORSA TUTTA. E NOI DIETRO, COME DEI CRETINI! 44
L’unica cosa bella che ricordo è un friend giallo. A un certo punto, per una questione statistica, c’è un pezzettino di roccia buona che forma una fessura perfetta per il “due”, che infili con tenerezza pensando “questi 60 metri non arrivo per terra”, e godi di qualche minuto di sollievo. Che termina quando ti tocca spiegare alla fidanzata che non solo è un traverso di merda, ma che c’è anche un pezzo in discesa dove scegliere fra pessima roccia o una cinghia di tapparella che a guardarla si sbriciola. Pensi “è meglio che non cada”, ma non glielo dici. Questa è esperienza! La via procede eternamente verso sinistra, e a un certo punto penso che rivedrò la sosta del quinto tiro e ripartirò in traverso in eterno... Va beh, in tutto questo girare in tondo, ricordo distintamente le bestemmie del Tasca che insultava Satana al grido di “ma che via di merda, te l’avevo detto!” e la tenace ma poco convincente difesa del Dimitri “va beh, volevo fare una via storica, io sono contento...”. Questo siparietto si ripropone a ogni sosta. Per fortuna a un certo punto, probabilmente dopo tre giri intorno alla montagna, trovi l’uscita e si riprende a salire, e per facili rocce (ovviamente) precarie si raggiunge la cengia circolare da cui, se non ricordo male, siamo scesi. Non mi ricordo se siamo saliti in cima, tanto eravamo nauseati! Il tempo necessario a “fraccarci giù”, salire sul furgone e puntare di nuovo verso la Lombardia. Con cambi alla guida ridicoli e colpi di sonno fin troppo prevedibili, dopo quarantott’ ore esatte ci ritroviamo al punto di partenza. E ci dirigiamo ognuno verso il proprio letto. Morale: non sto a girarci intorno (battuta!): la via in sé fa cagare, si svolge completamente su roccia tra il mediocre e il pessimo. Le protezioni spesso fanno schifo. E inoltre ci sono spit messi e tolti. Ma la consiglio. La consiglo perché quando uno l’ha fatta è uno scalatore più completo. Al di la del fatto che a farla si ripercorre una delle pagine di storia più importanti della scalata italiana (la via è stata fatta nel 1935 per “risolvere” la parete, e adesso la roccia è stata pulita dei numerosissimi passaggi!), la via segue il tracciato più “debole” dell’immensa nord della Cima Ovest, andando a cercare il facile nel difficile, con una visione decisamente forte e di carattere. Sei comunque su una nord dove la ritirata è pressoché impossibile, fredda e ripida. Facile dire “fa cagare” perché te lo ha detto un’altro!
D O W H AT Y O U C A N ’ T – B E
WHAT
YOU
CAN!
Proposte multipitch
Punta Frida VIA COMICI Prima salita: E. Comici, G.B. Fabjan, V. Cottafavi, G. Pompei, 2 agosto 1934 Dislivello: 280 m Sviluppo: 300 m Difficoltà: V e A0 (VI in libera)/R2/II Tempo: 4-5 ore Materiale: n.d.a. Attacco: Poco a sinistra degli evidenti spit della Via dei Ricordi, presso una rampetta verso destra. Descrizione: Ottimo ripiego per giornate instabili. Le soste sono state rinforzate con uno spit. Ormai divenuta la classica della Punta Frida. La maggior parte delle cordate non sale fino in cima alla Frida per la pessima roccia e sceglie di calarsi in doppia lungo la Via dei ricordi (molto rapida e sicura) a dx oppure a sx lungo la rampa di discesa. VIA DEI RICORDI Prima salita: S. Corte Pause, Graber, 15 agosto 2007 Dislivello: 150 m. Sviluppo: 150 m. Difficoltà: 6b+/VII+ (VI+ obbl.)/RS2/II Tempo: 3-4 ore Materiale: 2 corde da 50 metri o corda singola da 70 m, 10 rinvii, cordini, serie completa friend e tricam. Attacco: Fra le vie di Comici e Del Vecchio sale al centro questo itinerario del quale si notano subito dal basso le piastrine inox. Discesa in corda doppia sulla via. Descrizione: Sale alla dx della Via Comici. La roccia è buona e la chiodatura a spit dove necessaria. Qualche protezione veloce per integrare i passaggi più facili.
In discesa In corda doppia di fronte alle Nord delle Tre Cime. Foto: arch. D. Rogger
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Proposte sottosezione
IV+
IV+
IV discesa a destra
IV5b V6b+ IV 5a VI6b
V
6a
VIV+
VIA COMICI
III
Alpinschule Drei Zinnen Tre Cime Scuola di Alpinismo 5b VIA DEI RICORDI Dolomitenstraße 45 Via Dolomiti (bei der Helmseilbahn – presso la funivia Monte Elmo) www.alpinschule-dreizinnen.com I–39030 Sexten / Sesto (BZ) info@alpinschule-dreizinnen.com Tel: +39 0474 712 156 Cell: +39 347 429 13 96
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Lavaredo Ultra Trail Testo   Claudio Regazzoni
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Gare
Cortina d’Ampezzo, ore 22:58 di venerdì 28 giugno. In questa piacevole notte di inizio estate, nel cuore delle Dolomiti Ampezzane, la piazza centrale è gremita da migliaia di persone vestite con colori vivaci, muniti di simpatiche bandane, cappelli, borracce dalla lunga cannuccia, piccoli zainetti anch’essi colorati e tante piccole luci frontali accese come accendini ai concerti estivi. Poi, all’improvviso, tutte le mani si alzano al cielo e l’emozione diventa quasi palpabile. Lo spettacolo a cui stiamo partecipando sembra essere l’inizio di una lunga festa che durerà tutta la notte, ma così non è.
S
iamo alla linea di partenza della Lavaredo Ultra Trail, il prestigioso evento che da ormai tredici anni prende il via e termina a Cortina d’Ampezzo, e le 1600 persone che stanno alzando le mani al cielo sono gli atleti pronti a correre i 120 chilometri forse più duri della loro carriera sportiva. 120 chilometri tra i sentieri, le rocce e la storia delle Dolomiti, per un totale di 5800 metri di dislivello positivo. Quelli della LUT sono numeri pazzeschi, ma state pur certi che le persone alla linea di partenza non sono facilmente impressionabili. Osserviamo i singoli atleti e notiamo che ogni sguardo esprime a modo suo un entusiasmo e una grande passione, eppure tutti loro stanno per massacrarsi su chilometri e chilometri di sentieri alpini. È una festa particolare quella della LUT, così come tutte quelle degli eventi ultra trail sparsi nel mondo. Ce lo racconta Max Bertini, finisher alla LUT 2018.
LUT Sul sentiero in salita al rifugio Auronzo, sullo sfondo il Gruppo dei Cadini. Foto: Alberto Orlandi
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Focus Torre Trieste 9 10 11) Seguendo questa serie di fessure molto logiche interrotte da strapiombetti friabili si giunge direttamente in cima (circa 130 m. V e V+ con passi di 6a+ pochi chiodi variante Hasse alla Carlesso). Dal settimo tiro si può seguire più facilmente la Carlesso come fecero i primi salitori. 8-9) Circa diritti, poi nettamente verso sinistra si raggiunge il camino terminale della via Carlesso (70-80 m. 3 e 4º). 10-11-12) Con 2 o 3 tiri evidenti si giunge senza troppe difficoltà in vetta (100 m. 4+ con passaggio di 5º+). TORRE TRIESTE • SPIGOLO OVEST VIA TISSI-ANDRICH-RUDATIS. 29/8/1931 La via Tissi è una delle salite più classiche del gruppo che porta, con difficoltà non estreme, su una delle torri più belle delle Alpi, unico neo la discontinuità; infatti sia la parte terminale che lo spallone mediano presentano difficoltà modestissime e l’arrampicata, non certo entusiasmante, si svolge fra mughi e rocce instabili. Per lo spallone centrale non ci sono soluzioni logiche alternative mentre, per evitare gli sfasciumi del canale che porta alla fessura Cozzi, è consigliabile seguire la variante “Couzy” che, dove la Tissi scappa dalla parete traversando ed abbassandosi a sinistra per immettersi in un facile canale di sfasciumi, sale invece direttamente una bella
e geometrica fessura che solca gran parte dell’ultimo salto dello spigolo. La variante è appena più difficile dei tratti più impegnativi della via originale tuttavia è preferibile in quanto più logica, meno pericolosa e forse anche più sbrigativa del corrispondente tratto. Tenere conto comunque che, in caso di problemi, l’originario canale non obbliga a salire in cima e brevemente conduce alla forcella fra la torre ed il Castello della Busazza da dove in breve si raggiunge la serie di doppie per la discesa. Difficoltà: fino al VITempo: 3-6 ore Sviluppo: 700 m. Materiale: 2 corde e 7 rinvii qualche friend Attacco Appena prima del torrente si sale su un dosso ghiaioso, tracce di sentiero, puntando all’enorme canale che divide la Torre dal Castello della Busazza. Si entra appena in detto canale e per un camino-rampa verso destra si sale un centinaio di metri, giunti ad una cengia con mughi si attraversa per roccette facili verso destra, dopo essersi anche abbassati alcuni metri e aggirato uno spigolo, una bella e comoda cengia con mugo permette di legarsi. 1) Si sale una sana parete nera e fessurata, dopo circa 42 metri si piega verso destra fino ad un’altra ottima cengia con mugo sotto a una fessura giallo-nera spesso
Veduta aerea La cima della Trieste. Foto: M. Dell'Agnola
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bagnata (47 m. III pas. IV-). 2) Senza grandi deviazioni si sale tutta la fessura (vari chiodi) fino ad una zona più facile che in breve porta a sostare alla base di un’altra ottima fessura (50 m. IV e V+ con un pas. di VI- , in caso di bagnato può essere usato un friend medio-grosso sotto l’ultimo strapiombo a lama, altrimenti non chiodato). 3) Diritti tutta la fessura (50 m. V poi IV e alla fine pas. di V). 4-5-6-7) Breve saltino friabile; poi quasi 200 m. facili con mughi, interrotti da due saltini uno di III e uno di IV, in questo tratto ci si tiene il più possibile sul filo dello spigolo, sul bordo dell’enorme gola Ovest. Man mano che si sale le difficoltà aumentano, si sosta su due chiodi, alla base di una zona di rocce spaccate e un po’ friabili. 8) Circa diritti 35 m. più in alto si devia a destra e si sosta su cengia, alla base di una bella fessura grigia (40 m. III+ e IV-). 9) Si sale tale fessura fin sotto uno strapiombo che la chiude, qui si devia a sinistra sino ad un’ottima sosta su cengia comoda (attenzione non sostare pochi metri più in basso, i chiodi non sono buoni e il posto scomodo) (45 m. IV e V). 10) Su placca delicata verso sinistra (chiodi) fino alla base di una fessura (2 chiodi). Qui seguendo la Via Tissi originale si deve attraversare verso sinistra (IV), approdata ad un canale lo si risale tutto fino alla forcella (possibile scendere subito come ha fatto Tissi); dalla forcella si segue il vecchio percorso Cozzi-Zanutti, prima il camino nero e poi su rocce facili in cima (sconsigliabile, specialmente ad inizio stagione, possibile presenza di neve e ghiaccio). 11) Leggermente a destra ci si infila nell’evidente fessura, si vince il primo strapiombo (VI, 2 ch.) poi su per tutta la crepa, fino ad un terrazzo con 3 chiodi allineati verticalmente (35 m. VI poi V con due pas. di VI). 12) Si segue la fessura fino ad una larga cengia verso destra, evitando le ultime fessure strapiombanti si raggiunge la sosta (2 0 m. V- poi facile). 13-14-15) Prima verso sinistra su ottima roccia, poi circa verticalmente su sfasciumi si raggiunge la cima (circa 130 m. III).
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Exploit
Piotr Schab Fight or Flight, 9b A cura di Jacopo Larcher Traduzione Alexandra Ercolani
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Exploit Fight or Flight Prima di tutto, chi è Piotr? Descriviti in 5 aggettivi. Questa è tosta! Con un po’ di aiuto della mia ragazza – ambizioso, tenace, socievole, collaborativo, in costante movimento. Scrivi 5 cose che per te sono importanti, o descriviti (su qualsiasi cosa). Passione, famiglia, amore & amicizia, crescita personale, onestà. Pensi di aver finito di gareggiare competitivamente? E se sì, perché hai scelto di mollare questo ambiente? Dicci qualcosina in più sulle tue origini arrampicatorie. Mi sono sempre promesso di prender parte durante la mia carriera, almeno ad una stagione intera di Coppa del Mondo. Ovviamente, Coppa del Mondo Lead, non vado matto per il bouldering, e speed neanche a parlarne ;) Fino ad ora ho fatto qualche gara ma non mi sono mai impegnato a fondo. La tentazione della roccia è troppo forte per me e ci sono troppe vie che mi aspettano :) Oggi giorno le gare richiedono una preparazione specifica – e per la verità – se voglio gareggiare devo farmi 1000km ogni weekend per allenarmi in palestra e quindi dovrei dimenticarmi l’arrampicata su roccia per qualche mese… Detta così adesso non è incoraggiante, ma mai dire mai, giusto?
È stata un esperienza unica ma pochi giorni dopo ho iniziato a cercare un altro progetto. Quindi direi è stato un inizio nuovo. Quanto tempo hai dedicato a questa via? Che metodo hai usato? Sono stato 15 giorni sulla via nel 2018, ma sinceramente in due punti non riuscivo neanche a scalarla. L’obiettivo era lontanissimo. Questo inverno mi sono dedicato totalmente ai miei punti deboli e insieme ai miei allenatori abbiamo creato un programma di allenamento serio.
DAL PRIMO GIORNO DEL VIAGGIO “ DI QUEST’ANNO HO SENTITO UNA
GRANDE DIFFERENZA SULLA VIA E POCO DOPO SONO RIUSCITO AD ARRAMPICARE FINO AL PASSAGGIO CHIAVE – IL FAMOSO LANCIO. IL LANCIO MI HA BUTTATO GIÙ PER DIVERSI GIORNI E MENTALMENTE DOVEVO ESSERE PRONTO. Quando ho liberato la via, era tutto perfetto – le condizioni, neanche uno sbaglio, ero fluido, non pensavo troppo, ero sicuro di me fino alla catena.
Piotr Schab A sinistra e sotto: Su Fight or Flight, 9b. Foto: W. Kozakiewicz
Ok, stacca un attimo dall’arrampicata. E dimmi chi è Piotr oltre ad essere un climber? Cosa ti piace fare quando non arrampichi? Sto studiando Logistica Internazionale all’Università di Economia a Cracovia. Mi piace tanto l’allenamento online e ultimamente abbiamo iniziato a costruire una palestra d’arrampicata nella nostra città. Sono anche amante del cibo. Quando viaggio cerco sempre degli ottimi ristoranti locali. La mia ragazza non scala quindi passare del tempo con lei mi da molto equilibrio. Quello che hai realizzato è impressionante. Non mi viene in mente un altro arrampicatore a parte Adam che ha chiuso cosi tante vie dure, a vista. Ultimamente hai scalato Fight or flight; cosa rappresenta questa via per te? È un inizio nuovo o una fine? Grazie! Amo scalare a vista e il pacchetto intero delle emozioni che ti regala. Fight or Flight è stata la primissima via dove ho dovuto cambiare il mio stile di arrampicata per chiudere la via.
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CONVERTIBILE
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