UP CLIMBING – bimestrale di arrampicata e alpinismo. #4 Marche

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A. P. Aut. n° MBPA/LO-NO/048/A.P./2019 - Periodico Roc -NE/VR

in edicola il 20 settembre 2019

#04 | set/ott 2019 6.50 €

EDIZIONI VERSANTE SUD

MARCHE Marche diverse Una storia sibillina Alpinismo nelle Marche Frasassi, Balza, Catria-Nerone Le falesie storiche Meschia Pioraco Frasassi Climbing Festival Personaggi: Mauro Calibani, Roberto Fantozzi, Stefano Romanucci Nuove proposte Falesia: Le Rocche e Falesia del Re Multipitch: Marche Falesia, trad, boulder: Maiolo Focus: OLIMPIADI Ideas: Alpinismo e post-verità Exploit: Barbara Zangerl su Pre-Muir Wall, Calibani libera Voortrekker, Łukasz Dudek in solitaria su Tortour Vertical Tales: Eugenio Pesci

BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO


SALEWA.COM


LIGHTWEIGHT PROTECTION E N G I N E E R E D I N

T H E

V A Y U

D O L O M I T E S

2 . 0

H E L M E T


Sommario 004 Editoriale di R. Felderer, J. Larcher ed E. Pesci

STORIA DI COPERTINA

006 Marche diverse Viaggio libero fra montagne, pareti e personaggi molto particolari di Cristian Muscelli 010 U na storia sibillina di Antonio Palermi

DUE GIORNI IN RIFUGIO

090 Resistere! Rifugi nelle Marche di Giuseppe Miotti

FOCUS: OLIMPIADI

092 R oad to the Olympics Dall’alpinismo alle Olimpiadi! Itw Marco Scolaris a cura di Richard Felderer

020 N ascita e sviluppo dell’alpinismo nelle Marche di Francesco Burattini

100 L’alpinismo è uno sport? di Alessandro Gogna

025 F rasassi, Balza, Catria-Nerone: sviluppi recenti dell’arrampicata nelle Marche di Samuele Mazzolini

102 A lpinismo e post-verità Siamo nel 2019, forse è arrivato il momento di parlare di alpinismo sportivo di Emilio Previtali

026 L e falesie storiche delle Marche (raccontate da un “nativo”) a cura di Mauro Calibani

IDEAS

EXPLOIT

032 Meschia Una storia di schiaffi forti e amicizia, durante “il nuovo mattino del sassismo!” di Mauro Calibani

104 Pre-Muir Wall di Barbara Zangerl

040 Pioraco di Francesco Piacenza

116 T ortour in solitaria, 8c di Łukasz Dudek

PERSONAGGI

048 Mauro Calibani di Daniela Feroleto 054 Roberto Fantozzi di Mauro Calibani 056 Stefano Romanucci di Antonio Palermi

STORIA

058 F rasassi Climbing Festival Genesi di un evento di Marcello Romagnoli

PROPOSTE

064 Falesia: Le Rocche di Samuele Mazzolini 068 Falesia: Falesia del Re di Francesco Poderini 072 Multipitch: Marche di Samuele Mazzolini 084 Falesia, trad, boulder: Maiolo di Simone Enei

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112 Voortrekker di Mauro Calibani

VERTICAL TALES

118 A due metri da terra di Eugenio Pesci

IL GRAFFIO

121 di Mauro Calibani

JOLLYPOWER

122 E logio della inconsapevolezza di Alessandro Lamberti

GEAR GEEK

124 Climbing Cam. Pt. 4 di Fabrizio Calebasso

VETRINA

126 Proposte prodotti



Editoriale

Testo  Richard Felderer, Jacopo Larcher ed Eugenio Pesci

Gola del furlo Foto: Gianni Plescia

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I

n un tempo che sembra molto lontano, ma che in realtà, nei numeri della grande storia, non lo è poi tanto, si pensava che le montagne, scheletro del pianeta, si estendessero in un'unica serie di ramificazioni sotto i mari, collegandosi di continente in continente. Allo stesso modo si pensava che sulle Alpi esistesse una montagna centrale da cui fluivano tutti i grandi fiumi che facevano vivere l'Europa. Lo pensava addirittura ancora Leonardo Da Vinci. L'antica idea delle montagne continue e centrali portò ben presto a focalizzare l'attenzione solo sulle grandi catene: ovviamente le Alpi stesse, le Ande, fino alle lontane cime himalayane. Eppure la storia delle montagne, nei secoli è diventata storia di pareti, di uomini e della loro ricerca di nuovi percorsi verticali. Questa storia, dove spesso contano di più le emozioni, la passione e il sudore, è passata e passa spesso anche per catene meno imponenti, sicuramente meno "commerciali" e di facile fruizione. Ma che riservano con fascino più discreto veri e propri tesori per chi sa apprezzare la qualità e la bellezza. Le Marche rappresentano certamente un caso affascinante e paradigmatico, per la loro storia antica e recente, per i loro paesaggi incantati e talora magici, fra forre, silenzi, gole, improvvise radure prative, eremi e castelli, testimonianze, più che altrove, di una cultura del selvatico che supera in certi casi quella della stesse Alpi.

Marche lunghe, geograficamente, Marche del tutto varie e spesso disomogenee. Marche che oggi offrono però, dopo una lunga evoluzione alpinistica, un terreno estremamente interessante per l'arrampicatore sportivo, per quello più classico e, non certo ultimo, per l'escursionista che voglia uscire dai soliti affollati percorsi alla moda. Forse per la prima volta ecco allora riunite nelle prossime pagine pareti, paesaggi e soprattutto protagonisti di una grande pagina non secondaria dell'arrampicata italiana, nel tentativo di dipingere un quadro, libero ma realistico, che inviti a scoprire questa regione. Dalle storiche falesie ascolane, ai sassi di Meschia, alle Gole di Frasassi, oggi comunque già celebri. Ma in questo numero non troverete solo le lunghe Marche: cercando di rispettare quanto avevamo detto nell'editoriale del primo numero, abbiamo volutamente insistito qui su pagine di lettura, di discussione, di critica, da quelle relative alle future Olimpiadi, a quelle sul senso di un alpinismo sportivo, che non avevano trovato spazio nel numero precedente. Ad utile corollario, alcuni interessanti approfondimenti su salite importanti, come una via di 8c di più tiri scalata in solitaria, o come gli esperti consigli di Alessandro Lamberti sulla gestione della propria coscienza verticale. Dalle Alpi alle Marche dunque, e ritorno, ma anche con altre voci da ascoltare.


Editoriale sottosezione

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Una storia sibillina

Panorama La testata della valle del lago di Pilato. A sinistra l’imponente parete di Pizzo del Diavolo, sullo sfondo il monte Sibilla. Foto: Arch. Palermi

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Testo  Antonio Palermi


Storia Monti Sibillini

Pizzo del Diavolo, Pizzo Regina, Cima del Redentore, Infernaccio, Lago di Pilato (sì, proprio quello che si lavò le mani), Monte Sibilla, Grotta delle Fate sono alcuni dei toponimi che costellano le pareti di questo gruppo montuoso dell’Appennino Centrale. Toponimi che attestano una componente “magica” di queste cime e delle sue valli. Da sempre frequentati, in particolare dai pastori, questi monti sono stati saliti senza lasciare testimonianze scritte; la storia, quella ufficiale, invece si fa con i documenti e quindi riportiamo tra le prime salite conosciute quella di Antoine De La Salle del 18 maggio 1420 al Monte Sibilla.

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Storia Alpinismo nelle Marche

Paolo Castellani.

Giovanni Conti.

Mario Moretti.

Gilberto Grattini.

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Spigolo Trassi alla Balza Forata del Monte Nerone che seppure di difficoltà inferiore evidenzia un tracciato magnifico sulla montagna. Altri ascolani imperversano al Pizzo del Diavolo con vie sempre più difficili e sono il solitario Antonio Mari (Tonino) per la Via Patrizia alla Est, Giulio Mazzanti e Giacomo Stipa con Via il Poligono di Tiro (180 mt. V) alla Est di Punta Maria. Molto interessante l’attività svolta da Paolo Mazzanti e Marcello Ceci al Vettore che include passaggi in roccia molto impegnativi. A FRASASSI, AL CONERO, AL FURLO, A ROSARA E SAN VITO SI RESPIRA UN’ARIA NUOVA Nel Preappennino l’etica si impone con vie di roccia molto belle. Nel 1971 ad opera del forte Gilberto Grattini e Giampiero Pigliapoco vede la luce la Via dei Baffoni in Gola di Frasassi (120 mt. V+ e artificiale). Nel 1973 esce la Guida delle palestre di roccia del Preappennino Fabrianese edita dal CAI Sez. di Jesi. Sempre il Pigliapoco nel 1977 apre la Via del Diedro (100 mt. VI+) ancora oggi ripetuta dai moderni climber. Col passare degli anni, grazie a quote molto basse ed a facili accessi, si afferma in questi luoghi un’arrampicata fine a se stessa “…fatta di abbandono creativo alla roccia, al sole, al piacere di ricercare difficoltà…” tanto per citare le belle parole di Alessandro Gogna nel suo libro Cento nuovi mattini. Nel 1979 nasce la mitica Fata Morgana al Revellone versante Falcioni (130 mt. VI e artificiale) aperta da Massimo Coltorti e Giampiero Pigliapoco. In Gola della Rossa la MGM-79 (100 mt. V e VI) allo Spallone del Vento è aperta da Massimo Mosca e Mario Cotichelli. Gli stessi, nello stesso anno, replicano con la via che porterà il loro nome: la Via Cotichelli-Mosca (100 mt. VI+). E poi la Via Caschi Rossi in Gola di Frasassi salita da Ivano Bartolozzi e Marcello Cecchetti (130 mt. VI+) che più di ogni altra probabilmente incarna il nuovo mattino marchigiano: etica massima, libera molto spinta, logica assoluta. Idem per Soqquadro Volante allo Stomaco del Pachiderma (145 mt. VI+) che aveva respinto nel 1980 Ivano Bartolozzi (cedimento di un appoggio e conseguente volo di 15 mt.) ma non lo scatenato Fabrizio Dobrilla in cordata con Fabio Sacchini (1985). Nella Gola del Furlo un primo timido tentativo (1977) veniva fatto dal trio Carlo Tornati-Claudio Rufa-Francesco Zanette con la Via Acqua Lucente (100 mt. V). Gli stessi Rufa e Zanette si lanciano nella “leggendaria” Traversata del Condor (1977) alla Balza della Penna (almeno due tiri coincidono con il recente Grande Traverso), incredibile spauracchio per intere generazioni di alpinisti. Da non dimenticare sempre al Furlo (1979) la Via del Diedro

Dorico ad opera di Marcello Cecchetti e Sandro Belogi (160 mt. V+ e artificiale): un capolavoro estetico ed “idrico” (per andare all’attacco ci vuole un canotto). Al Conero a tu per tu con le onde del mare Adriatico vedono la luce la Via Diretta dello Spasimo (1980) e il Traverso di Ennio ai Libri (1984), salite lunghe (dai 200 mt. in su) dal sapore antico strappate alla natura dal sottoscritto e da un giovanissimo Fabio Sacchini. L’anno dopo Daniele Pigoni, famoso sassista della Val di Mello, libera il secondo tetto del Traverso di Ennio ai Libri con difficoltà estreme in free soling: 14 mt. aperti solo con chiodi da fessura e con il forte rischio di finire in acqua su un fondale profondo. Ma pure gli alpinisti ascolani si dedicarono alla ricerca di ambienti d’arrampicata più brevi e dal facile accesso: nel 1973 Francesco Bachetti scopre Rosara (il suo nome è dovuto alla colorazione rosata che le sue rocce assumono nel pomeriggio) e nel 1974 Federico Pagnini San Vito (territorio abruzzese ma su orbita ascolana): qui Peppe Fanesi e Alberico Alesi aprirono la Via dello Spigolo. Prima furono usate come “palestre di rocccia” dalle cordate classiche e poi per l’arrampicata sportiva dai moderni climbers. PER IL NUOVO MATTINO La quota modesta, neanche mille metri. La flora, profumata. La roccia discreta, ma anche eccezionale. Lo scotano, in autunno, riflette euforici cromatismi. Ma è anche il pascolo che si apre sopra la faggeta. È l’orizzonte che spazia fino all’Adriatico. È il fossile che risolve un passaggio. È la morbidezza del grigio calcare a dettare la scansione del movimento. E il sole calante avvolge, strega e tinge di rosso il tuo “sogno di pietra”. LO SPIT ENTRA IN GIOCO DI PREPOTENZA Verso la fine degli anni Settanta primi Ottanta però c’è un piccolo cambio di rotta e cioè per proteggere passaggi in placca o strapiombo sempre più duri si inizia a forare la roccia, seppur manualmente, per piazzare i magici spit rock molto più sicuri nella tenuta di eventuali voli. Attenzione: spit rock non chiodi a pressione usati invece in epoche precedenti adatti a tenere il peso dell’alpinista ma non i voli dello stesso. Ecco, a mio avviso, in questo periodo nasce la “sportivizzazione” forzata delle pareti per poi evolversi esponenzialmente fino ai giorni nostri seppure con regole ed etica di chiodatura diverse da cordata a cordata: Oliviero Gianlorenzi è sicuramente un esponente di rilievo con la sua Opec-’80; lo stesso


Storia Alpinismo nelle Marche

dicasi per il forte Maurizio Marsigli (il Gatto) con lo Spigolo delle Aquile (1982). Ma in questo articolo non voglio approfondire tale tendenza, mi limito a registrare la prima fase, quella dei soli “mezzi leali”, quella appunto dell’alpinismo tradizionale dove sulle vie si rischiava molto e, spesso, si doveva tornare indietro perché la montagna ci respingeva. L’INVERNO Prima di chiudere però voglio fare accenno all’alpinismo che si esercitava d’inverno sui Sibillini che, per quota e severità, rientra a pieno titolo nell’alta montagna. Dalla metà degli anni ’50 questa forma particolare di alpinismo diventa pressoché continua in stagione. Gli orientamenti sono essenzialmente due: il primo su canali e pendii ripidi ghiacciati che d’estate non sono per nulla interessanti e il secondo la ripetizione invernale delle vie di roccia estive con una affannosa e parossistica ricerca delle migliori condizioni possibili. Fino ai primi anni Sessanta si praticano essenzialmente quelli del primo caso con esplorazioni a tutto campo per poi passare anche alle salite della seconda tipologia fino a tutti gli anni Ottanta ed oltre. I protagonisti? Angelo Maurizi, Mario Moretti, Tito Zilioli (deceduto nel 1958 per collasso cardiaco dopo aver ripetuto la Via del Canalino d’inverno), Pinetta Teodori, Francesco Saladini, Claudio Perini, Giuliano Mainini, Mario Corsalini, Maurizio Calibani, Marco Florio, Alberico Alesi, Giuseppe Fanesi, Francesco Bachetti, Giulio Vagniluca, Norbert Kamenicky, Lino Liuti, Giancarlo Alessandrini, Antonio Mari, Tiziano Cantalamessa, Stefano Pagnini, Tito Ciarma, Guido Ciarma, Giancarlo Tosti, Bruno Anselmi, Mario Cotichelli, Massimo Marchini, Paola Gigliotti ed altri che con l’evoluzione delle tecniche di ghiaccio e dei materiali introducono la piolet traction alzando fortemente il livello delle salite effettuate dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Ottanta.

PER FINIRE Bella storia verticale quella dei marchigiani ad iniziare da coloro che arrampicavano coi larghi calzoni alla zuava negli anni Trenta fino alle più affusolate tute della Samas, della Mello’s o della Montura. Nel 1983, a dimostrazione della tanta strada percorsa nella nostra regione dall’alpinismo, esce la Guida dei Monti Sibillini di Maurizio Calibani e Alberico Alesi: sarà punto di riferimento per svariate generazioni di arrampicatori ed escursionisti. Lo spazio d’azione ovviamente si allargava al Gran Sasso d’Italia, alle Alpi e alle svariate spedizioni alpinistiche extraeuropee (vittoriose e felici ma a volte anche tragiche) che vedono protagonisti ascolani, maceratesi, jesini e fabrianesi. Questi ultimi in Karakorum hanno perso due alpinisti del calibro di Luigi Gregori e Stefano Galante; grazie a Mauro Chiorri (capo spedizione) e Carlo Polonara tutto l’ambiente si strinse intorno alle famiglie con grande comprensione, umanità e solidarietà. Scontri ce ne sono stati, soprattutto tra cordate di punta, le prese di posizioni più dure sono state oggetto di grande riflessione nel popolo del verticale e, diciamolo pure, se qualcuno volava troppo alto con il desiderio sicuramente è stato inchiodato ai suoi proclami poco veritieri. Per fortuna parliamo di pochissime situazioni, per il resto i tanti alpinisti in campo hanno dato un forte e sincero contributo. Un ricordo affettuoso va al grande alpinista Giancarlo Grassi deceduto il primo di aprile del 1991 in Val di Panico al Monte Bove all’uscita di una cascata di ghiaccio (Torre di Luna) salita in solitaria. Ma va anche a Tiziano Cantalamessa che, a differenza di Giancarlo Grassi, non è morto in montagna ma sul lavoro, precipitando da una parete rocciosa a Pioraco il 12

Claudio Rufa e Carlo Tornati nel 1977 dopo avere salito lo Sperone del Biancone nella Gola del Furlo.

I componenti la spedizione del 1969 in Groenlandia al campo base. Da sinistra Mario Corsalini, Diomiro Mancini, Giuliano Mainini, Mario Moretti, Renato Beretta, Sergio Macciò e Desiderio Dottori.

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Storia Meschia

2000 Meschia nuova. Roberto Ciato su Teknocaterpillar parato da Roberto Rosica all'angolo Jolly e Marc Le Menestrell. Foto: Arch. Calibani

sempre più elevata ed il bagaglio motorio sempre più ricco e raffinato. Non vedevamo più che sassi, la loro magnificenza e la purezza delle linee. Esisteva solo il bouldering su arenaria, iniziai anche a detestare la scalata sportiva e l'utilizzo dello spit, che vedevo come un'imposizione innaturale dell'apritore. Ero diventato l'essenza del bouldering. Grazie a Meschia le cose andarono avanti inventai con un lampo geniale E9 (ad oggi affermata linea d'abbigliamento per Climbers che nel 2020 compierà ben vent'anni) grazie all'apertura mentale nella mia nuova visione! In questo progetto coinvolsi anche Stefano Finocchi e partimmo.

ARRIVARONO POI ANCHE ALTRI “ BOULDERISTI DA CUI IMPARAI

ALTRI SEGRETI DI QUEST’ARTE. MESCHIA INIZIÒ COSÌ AD ESSERE CONOSCIUTA ANCHE OLTRE PORTA. 36

Passarono di qua lasciando il loro segno Cristian Brenna, Luca Giupponi, Stefan Denis, Stefan Brette, Yves Hasbany, poi Marzio Nardi, Luca Modoni, Jorge Tosh, Marc Le Menestrel, Lynn Hill, Ben Moon, Malcom Smith e moltissimi altri bravi e interessanti scalatori. Abbiamo condiviso momenti di scalata unica e sono quasi certo che anche loro abbiano preso una bella energia da questi posti. L'ultima grande spinta, quella che mi fece arrivare alla salita dei miei passaggi più difficili, fu con l'arrivo di Julien Nadiras che poi tornò con la sua banda di amici tra cui un giovanissimo Antoine Vandeputte, Olivier Le Bretonne, Kevin Lopata e altre decine di giovani scatenati. Julien aveva rivoluzionato il Boulder a Fontainbleau, riuscì a salire linee che fino a quel momento avevano resistito agli attacchi dei mostri sacri della foresta parigina, grazie alla sua grande potenza e soprattutto ad una determinazione rara. Con Julien ho compreso il concetto di “andare oltre”, di credere di più in capacità che fino a quel momento erano per me sconosciute, e fu così che anche grazie


Storia sottosezione

2000 In senso orario: Sandro Fanesi su Extracomunitarium, 7a+, parato da Stefano Romanucci. Meschia. Foto: Arch. Calibani Stefano Romanucci su Extracomunitarium, 7a+, parato da Sandro Fanesi. Meschia. Foto: Arch. Calibani Bertrand Lemaire a Meschia. Foto: Arch. Calibani

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Storia Frasassi Climbing Festival FCF In alto: Francesca Bocci e Francesca Maria Romagnoli sul sentiero 140°,Eremo di Grotta fucile. Foto: Ludovica Galeazzi In basso: escursioni in grotta. Foto: Ludovica Galeazzi A destra: Street Boulder a Serra San Quirico. Foto: Massimiliano Fabrizi

Il Frasassi Climbing Festival ha tre scopi culturali fondamentali: il primo è quello di dimostrare agli abitanti del Parco Gola della Rossa e Frasassi che il turismo escursionistico/alpinistico è una valida alternativa ai vecchi modelli di attività commerciali basati sullo sfruttamento delle risorse naturali; il secondo è quello di ricollocare l’uomo all’interno dell’ambiente come turista/frequentatore consapevole e rispettoso dei luoghi sfatando l’assioma che lo vede come cancro della natura; l’ultimo avvicinare la cultura alpinistica e sportiva in luoghi dove essa sembra non essere mai entrata.

IL FESTIVAL È NATO UN PO’ “ PER SCOMMESSA UN PO’ PER

SFINIMENTO, PER IL SECONDO SI DEVE IL MERITO A MASSIMO MOSCA UN NOME CHE QUI DA NOI È LEGGENDA COME IL SUO GRAN CUORE E LA PASSIONE PER QUESTI LUOGHI. ERANO ANNI CHE MASSIMO DICEVA CHE DOVEVAMO ORGANIZZARE UN FESTIVAL CHE PORTASSE LINFA TURISTICA IN QUESTI LUOGHI. DAI OGGI, DAI DOMANI, ALLA FINE SIAMO PARTITI. La scommessa fu fatta con il direttore del Parco Massimiliano Scotti: avremmo dimostrato che chi arrampica poteva essere una risorsa per il territorio e che poteva nascere un connubio con la Carta del Turismo Sostenibile. Aggregare le persone per organizzarlo è stato il compito più difficile, perché creare un festival dal nulla è uno sforzo titanico soprattutto se fai il volontario e devi ritagliarti il tempo in mezzo ai normali impegni quotidiani. Dopo cinque anni, la squadra iniziale si è modificata, si sono avvicendati diversi componenti ma lo spirito e l’obbiettivo sono sempre gli stessi. Bisogna ringraziare i vecchi e i nuovi componenti del comitato organizzatore se il Festival è diventato questo magnifico momento di divertimento e crescita culturale per la nostra area, ma fare un elenco sterile di tutti coloro che hanno contribuito al suo sviluppo sarebbe peggio che non nominarli pertanto offro loro un grande Grazie per l’impegno che hanno sempre messo in tutti questi anni. Grazie a coloro che hanno lottato di fronte alle porte chiuse e a coloro che hanno portato nuove idee. Grazie a voi che avete reso questo festival un evento internazionale e a voi che ci avete messo la linfa, le vie, i sentieri e il cuore. In questi anni, per merito dei tanti appassionati provenienti da tutta Italia e da tutta l’Europa, credo sia stato centrato il primo scopo. Ora godiamo di una reale credibilità presso le amministrazioni pubbliche e la cittadinanza perché il loro impegno supportato dal nostro lavoro li ha ripagati con i tanti ragazzi e ragazze che vengono in questo Parco per arrampicare e visitare questi incantevoli luoghi: e questo è solo l’inizio di ciò che abbiamo in mente. Per il secondo punto stiamo lavorando, grazie soprattutto al gruppo regionale del CAI Marche, per rivedere il regolamento di accesso alle pareti del Parco ora troppo mortificante per gli arrampicatori ed

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Storia sottosezione

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Proposte falesia Multipitch Giuseppe Babbi sulla multipitch I folletti. Foto: Samuele Mazzolini

SETTORE GROENLANDIA (Esposizione ovest e nord) 1. SENZA NOME 7a+ 2. X MAN 7b+ 3. SENZA NOME 7a+ 4. SENZA NOME (PRIMA CATENA) / PLUS 6c+ / 8a 5. FISICA TEORICA 7b+ 6. TROMBA D’ARIA n.l. 7. RISVEGLIO MUSCOLARE 7c 8. SENZA NOME progetto 9. GROENLANDIA 7c+ 10. FINO A PROVA CONTRARIA 8a 11. L’UOMO CHE SI È LASCIATO ANDARE 7a+

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10

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1

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Proposte falesia

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Proposte multipitch

Gola della Rossa Pilastro del suonatore Jones IN UN VORTICE DI POLVERE (D. Moretti; dal basso nel 2017) Breve ma interessante arrampicata, che si svolge su ottimo calcare e che presenta alcuni tratti entusiasmanti. La via, aperta con chiodatura mista (fix e protezioni mobili) può essere percorsa anche senza friends, con obbligatorio prossimo alla massima difficoltà. Difficoltà massima: 6b+. Difficoltà obbligatoria: 6a+ (RS2). Materiali: 10 rinvii, serie di camalot fino al n.2 (anche piccoli). Sviluppo: 160m (5L). Esposizione: ovest. ACCESSO Provenendo dalla A14, uscire ad Ancona nord, proseguire lungo la superstrada SS76 e uscire allo svincolo con indicazione “Gola della Rossa”. Proseguire fino all’incrocio, voltare a destra, oltrepassare un sottopasso e continuare dritti fino al parcheggio dei camion della cava e alla casa del guardiano, dove è possibile parcheggiare. Proseguire a piedi all’interno della gola (sulla destra si vede il Paretone Oggioni e poi, quasi sulla strada, lo Spallone del Vento) fino a quando la strada si biforca (Falsia Chez Maxime); imboccare quindi sulla destra una traccia di sentiero che sale costeggiando un settore della falesia (muro di bianco calcare) e che porta poi alla superiore Falesia del Lamento. Continuare a salire fino quasi alla fine della falesia e prendere poi sulla sinistra una traccia di sentiero che diventa via via più marcata (ometti) e che porta al Pilastro del suonatore Jones (40 minuti circa). DISCESA In doppia, come indicato nella relazione.

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traversino delicato

6b+

Paretone Oggioni REGINA DI SPADE (P. Romagnoli – M. Romagnoli – F. M. Romagnoli; dal basso nel 2015)

spigolo

pilastrini cengia breve diedro aperto

placca

5c

6b

fessurina

diedro

Bella arrampicata, che vince l’anfiteatro rosso del Paretone Oggioni nel suo margine destro, sfruttando la linea più vulnerabile. Le difficoltà, pur non essendo elevate, richiedono la padronanza del grado, in quanto quasi sempre obbligate. Difficoltà massima: 6b/c. Difficoltà obbligatoria: 6b (S2). Materiali: 10 rinvii. Sviluppo: 150m (5L). Esposizione: sud. ACCESSO Provenendo dalla A14, uscire ad Ancona nord, proseguire lungo la superstrada SS76 e uscire allo svincolo con indicazione “Gola della Rossa”. Proseguire fino all’incrocio, voltare a destra, oltrepassare un sottopasso e continuare dritti fino al parcheggio dei camion della cava e alla casa del guardiano, dove è possibile parcheggiare. Le pareti sono già chiaramente visibili e si raggiungono proseguendo lungo la strada asfaltata che costeggia la galleria (dal parcheggio 15-20 minuti).

ginepro

6b+

5a

diedro fessura facile

bellissima fessura

friabile placca articolata

6b

6a+

bella fessura

traverso delicato

4b

IN UN VORTICE DI POLVERE

5c/6a muretto

nome

PER UN COMPAGNO UBRIACO

nome

tetto

6b+

placca di movimento

cengia singolo difficile in partenza vecchi chiodi

5c

DISCESA In doppia (come indicato nella relazione).

NO placca sosta di calata

6a NO singolo difficile

NO placca appoggiata

6b/c cengia

6b strapiombino friabile

REGINA DI SPADE

Luigi Dattilo in doppia sugli strapiombi del Paretone Oggioni, in Gola della Rossa. Foto: Samuele Mazzolini


Proposte multipitch

REGINA DI SPADE Federica Mingolla durante la prima libera di Addio al celibato, 8a+, nella Gola di Frasassi. Foto: Mathieu Goradesky

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Proposte

Un largo sentiero di crinale parte da un gruppo di case chiamate “Il Poggio” e si snoda come un serpente tra i ripidi calanchi della Valmarecchia verso il castello di Maioletto. Un tempo, proprio attorno a quel che resta oggi del castello, sorgeva una cittadella medievale considerata inespugnabile. Poi, nel 1700, a seguito di una frana, quel villaggio fu spazzato via insieme ai suoi abitanti. Gli effetti di ciò che è accaduto più di trecento anni fa sono visibili tutt'ora, e forse anche per questo Maiolo trasmette un fascino immutato nel tempo, fatto di storia e leggenda.

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Maiolo

Maiolo vista della cresta panoramica che conduce alle pareti. Foto: Simone Enei

fascino d'arenaria Testo e foto di  Simone Enei

O

ggi, grazie ai vari distacchi che si sono succeduti nel tempo, Maiolo custodisce un piccolo gioiello. Alla base di una compatta parete di arenaria massi di ogni forma e dimensione si nascondono in un boschetto tipicamente mediterraneo. Qui, grazie soprattutto all'opera di Stefano Milandri, sono stati tracciati nel corso degli anni blocchi di tutte le difficoltà e di tutte le tipologie che raccolgono boulderisti locali, ma anche da fuori. Così, soprattutto durante le mezze stagioni, è facile trovare, sulla lunga e panoramica cresta di avvicinamento, gruppi di materassini che si muovono verso questo piccolo bosco incantato e che come elfi

del sottobosco giocano a salire le varie linee presenti. È un gioco che potenzialmente non ha mai fine, non solo per la vastità dei blocchi e delle difficoltà presenti, ma anche perché il potenziale dell'area è ancora alto. Lo dimostra ad esempio Carlos Verduzco, forte arrampicatore messicano che recentemente ha trascorso qualche mese in Italia, che ha intravisto la sua linea dei sogni in uno dei massi presenti all'interno del bosco, oltre che altri boulder sempre nella stessa zona. Nonostante i tentativi Carlos non è riuscito a liberare il suo progetto che attende ancora una prima salita, ma ha riacceso nuovamente il fuoco dei sogni attorno alle linee dell'area boulder di Maiolo.

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Ideas Alpinismo sottosezione e post-verità da sempre ogni grande impresa alpinistica un valore infinitamente superiore rispetto all’aspetto puramente sportivo e alla cruda realtà dei numeri . Tentiamo di misurare l’esplorazione con gli strumenti dello sport e viceversa la performance sportiva con il metro della poesia e con la qualità della narrazione, è evidente che in un mondo moderno e in un sistema basato sul confronto continuo e sulla competizione non può più funzionare.

QUELLO CHE SIAMO CHIAMATI “ AD AFFRONTARE È UN PROBLEMA DI EVOLUZIONE DELLA PRATICA ALPINISTICA E DI MENTALITÀ, DI COMPRENSIONE DEL PROGRESSO SPORTIVO E DELLA SUA MISURAZIONE, SI TRATTA DI UN TEMA FONDAMENTALE. NON È UNA QUESTIONE DI TECNOLOGIA DISPONIBILE E DI CONTROLLO O VICEVERSA DI FEDE NELL’UOMO E NEL SUO RACCONTO. È UNA QUESTIONE DI CONFRONTO CON LA REALTÀ E DI SUPERAMENTO DEL LIMITE, CHE IN ALPINISMO SI TROVA IN CERTI CASI PROPRIO DOVE MENO TI ASPETTI CHE SIA. Dal mio punto di vista, in base agli elementi a mia disposizione e soprattutto in base al racconto di Ueli

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Steck, in base a quello che ho visto, letto e ascoltato e in base al mio sentire, la sua salita all’Annapurna è credibile. Rocambolesca e allucinante, oltre il limite del conosciuto ma credibile. Io credo all’uomo Ueli Steck e ringrazio il cielo di avermi dato la possibilità di assistere e comprendere la manifestazione del suo talento. Poi, senza ombra di dubbio se avessi fatto parte della giuria del Piolet d’Or, anche se la sua era una tra le performance alpinistiche che considero più rilevanti nella intera storia dell’alpinismo moderno, non è a lui che avrei assegnato il mio voto. Non è a lui che andava il premio, a mio parere. Un premio (a meno che si tratti di un concorso letterario e non di un premio ANCHE alla performance e quindi sportivo) non dovrebbe mai assegnare un riconoscimento a una performance che non può essere misurata e certificata con dei normali strumenti come una macchina fotografica, un GPS o un altimetro digitale. Assegnare il premio a Ueli Steck era stato (io almeno credevo che lo fosse) una scelta di campo. Un segnale. Una presa di posizione. Nel 2019 io credo sia arrivata l’ora di mettere da parte la retorica e di cominciare a pensare all’alpinismo ANCHE come sport. Possiamo anche dargli un nome per differenziarlo da quell’altro, di alpinismo, che sarebbe bello proteggere in qualche modo: io propongo la definizione di Alpinismo Sportivo. Non mi pare ci sia proprio niente di cui vergognarsi nel dire che un certo tipo di alpinismo è ANCHE uno sport, come l’arrampicata. Quasi quasi, registro il marchio e per garantirmi la pensione ne rivendico la paternità.


Exploit

Il piano originale prevedeva di guidare fino in Yosemite per tentare la salita del Nose. È sempre stato un sogno per me e Jacopo (forse più per me) salire un giorno quella via. Quando siamo arrivati a fine maggio, nella Valley pioveva a dirotto ed El Capitan era completamente bagnato...

Pre-Muir Wall Testo  Barbara Zangerl Traduzione  Jasmin Pichler

S

econdo la gente del posto, la primavera del 2019 è stata la peggiore di sempre. Il nostro ottimismo è scomparso in fretta, arrampicarci su El Cap nelle due settimane seguenti sembrava impossibile. Per questo motivo abbiamo deviato verso la costa occidentale della California per esplorare alcune nuove aree di arrampicata. Mickey’s Beach è stato un bel diversivo. Lo splendido paesaggio marittimo ci ha stregati quasi di più delle falesie nei dintorni. Dopo tre giorni di facili arrampicate abbiamo deciso di spostarci fino a Bishop e di restare due settimane, nella Valley aveva iniziato a nevicare nel frattempo. Eravamo già stati entrambi in quella zona ma ognuno per conto suo e solo a fare blocchi, dalle parti dei Buttermilks.

Aderenza Pre-Muir Wall, 5.13c/d. Foto: Jacopo Larcher

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“WHAT CLIMBERS REALLY NEED? THEY SEARCH FOR THE ESSENTIAL.” Pietro Dal Pra

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