UP CLIMBING #8 - MONTE BIANCO

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A. P. Aut. n° MBPA/LO-NO/048/A.P./2019 Periodico Roc -NE/VR

in edicola il 20 giugno 2020

#08 | giu/lug 2020 8.00 €

EDIZIONI VERSANTE SUD

MONTE BIANCO La Bellezza originaria / Monte Bianco Short Story / Remoto e solitario? / Il Monte Bianco difficile ma accessibile in funivia / Monte Bianco Entry Level / Geologia e alte quote / Il Monte (sempre meno) Bianco / I tesori del Monte Bianco / Storia dei materiali nell’alpinismo / A nord. Jorasses leggendarie / Il Pilastro rosso del Brouillard / Grand Pilier d’Angle / Selvaggio, ma non così lontano / Aiguille Noire de Peutérey / Satelliti del Tacul / Aiguille du Midi / Val Ferret italiana / Jorasses est Proposte: Monte Bianco mordi e fuggi Personaggi: Fabrizio Manoni Focus: Allenare i giovani Vertical Tales: Giorgio Confalonieri Ideas: Dis-connessione di S. Vanhee Jollypower: La “sbandierata”

BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO

MONTE BIANCO


THEORY: CLIMBING SPECIES EVOLUTION


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Sommario 004 Editoriale di R. Felderer, J. Larcher ed E. Pesci

STORIA DI COPERTINA

006 Portfolio

016 La Bellezza originaria di Enrico Camanni 018 Monte Bianco Short Story: quali trasformazioni negli ultimi 30 anni? di Roberto Rossi 022 Remoto e solitario? Solo qualche volta! di Matteo Pasquetto 026 Il Monte Bianco difficile ma accessibile in funivia di Matteo Pasquetto 030 A due passi dalla macchina Monte Bianco Entry Level di Matteo Pasquetto 032 Geologia e alte quote di Fabrizio Calebasso 034 Il Monte (sempre meno) Bianco di Francesco Bassetti e Mara Budgen 038 I tesori del Monte Bianco di Marco Romelli 042 Storia dei materiali nell’alpinismo di Fabrizio Calebasso 044 A nord. Jorasses leggendarie di Korra Pesce 052 Il Pilastro rosso del Brouillard di Matteo Pasquetto 056 Grand Pilier d'Angle. Un sogno che si realizza di Matteo Pasquetto 062 Selvaggio, ma non così lontano di Matteo Pasquetto 066 Aiguille Noire de Peutérey. 3773m s.l.m. di Fabrizio Calebasso 070 Satelliti del Mont Blanc du Tacul di Fabrizio Calebasso 074 Aiguille du Midi di Fabrizio Calebasso

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076 Monte Bianco. Val Ferret italiana di Ugo Manera 084 Jorasses est. Una parete a torto trascurata di Matteo Pasquetto 088 Monte Bianco 2020. Una nuova topoguida alpinistica a cura di Eugenio Pesci

PROPOSTE

090 Monte Bianco modalità “mordi e fuggi” di Fabrizio Calebasso

DUE GIORNI IN RIFUGIO

092 Il Gigante da lontano di Giuseppe Miotti

PERSONAGGI

096 Fabrizio Manoni ITW. Dai 4000 metri e (molto) oltre di Fabrizio Calebasso

FOCUS

104 Allenare i giovani. Una proposta tecnica di Fabio Palma

VERTICAL TALES

108 Si divise in due, e non riuscì più a fare la somma di Giorgio Confalonieri

IDEAS

114 Dis-connessione. La mia relazione di amore-odio con la tecnologia nella natura selvaggia di Siebe Vanhee

JOLLYPOWER

122 La “sbandierata” di Alessandro Lamberti

VETRINA

126 Proposte prodotti


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Editoriale

Testo  Richard Felderer, Jacopo Larcher ed Eugenio Pesci

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acile dire “Monte Bianco”, già più difficile organizzare i pensieri per provare a descriverne una parte, uno spaccato, se mai fosse possibile. Il massiccio del Bianco è di fatto uno dei più imponenti, vari e voluminosi dell’arco alpino e, complice la quota che lo esalta a cima più alta delle Alpi, è quindi anche uno dei più ambiti per chi va in montagna: dal grande alpinista allo spensierato scalatore da “multipitch” di stampo sportivo. Dio, quanto è detestabile il modo di dire “multipitch”. Chiamiamole “vie lunghe”, come si è sempre fatto. Comunque sia, il Bianco è di fatto un piccolo universo di possibilità per lo scalatore. Si va dai folli, estetici e costosissimi tiri come la celebre Digital Crack ai Cosmiques, alle dure e impegnative salite delle Grandes Jorasses, all’Integrale di Peutérey, al Grand Pilier d’Angle, al “rosso” Brouillard. Tanti stili, tanti tipi di approccio. Così la nostra domanda è stata: come incasellare tutto questo in un fluire originale e un po’ diverso di storie e articoli che abbiano un senso? La risposta è stata quella di dividerlo idealmente in tre ambiti con peculiarità e stili diversi. Senza pretesa di completezza, abbiamo cercato di raccontare tre modi di intendere questa montagna: uno iniziale molto “plaisir”, citando impropriamente Jürg Von Känel, dove

gli avvicinamenti sono semplici, e molte vie non sono estreme, ma mai da sottovalutare. Entry level. Vi è poi un Monte Bianco con accessi già su ghiacciai, relativamente facili, eppure mai banali, ma con itinerari non di rado di livello elevato, vuoi per la difficoltà tecnica, vuoi per le protezioni rarefatte: è quello che accade spesso ai Satelliti di Tacul, al Grand Cap, ad esempio, piuttosto vicini a rifugi e funivie, ma spesso impegnativi e difficili. E, per finire, nonché per fortuna, esiste ancora un Bianco dove l’avventura trova il suo spazio e la sua dignità di parola. Un Bianco dove “forse” esiste ancora la possibilità, soprattutto fuori stagione, di dare alla parola “avventura” o, scomodandone una più storica, “alpinismo”, un senso forte. Monte Bianco remoto, anche se oggi certo molto meno solitario di un tempo, e difficile. Dunque, non troverete in questo numero l’usuale, e cento volte ripetuta, “Storia dell’alpinismo sul Tetto d’Europa”. Troverete invece un Monte Bianco fatto di luoghi, di pareti, di grandi vie – facili, difficili, estreme – di temi e problemi, compresa la geologia, i cristalli, il clima, i materiali. Questo, per ora, è tutto: che l’aria estiva delle alte quote vi sia amica!

Cresta di Peutérey Tregenda invernale. Foto: R. Felderer

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Portfolio

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Portfolio

Magic Mont Blanc Bivacco sotto ai Satelliti du Tacul. Foto: R. Felderer

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Portfolio Federica Mingolla In apertura su L’isola che non c’è, 7b+, Aiguille Croux. Foto: G. Carrara

Dente Il Dente del Gigante e la cima del Bianco sullo sfondo. Foto: R. Rossi

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Portfolio

Grand Cap extreme Voie Petit, 8b, Caroline Ciavaldini. Foto: Arch. Ciavaldini

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Portfolio

Alba dal rifugio Torino. Foto: R. Felderer

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Portfolio

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Storia

I Monte Bianco

Short Story: quali trasformazioni negli ultimi 30 anni? Testo  Roberto Rossi

La mia frequentazione del massiccio del Monte Bianco dura (ahimè come passa il tempo) da più di trent’anni; in un primo momento più sporadica e come semplice alpinista appassionato, poi più assidua grazie al lavoro da guida alpina che pratico dal 2002. Sono quindi, mio malgrado, un testimone oculare dei cambiamenti avvenuti in questo lasso di tempo, e il fatto di ripercorrerli tramite foto e immagini varie di salite o discese effettuate in estate e in inverno mi fornisce un’idea ben precisa non solo di quanto la vita scorra via veloce ma anche e soprattutto della rapidità con cui tali cambiamenti si sono manifestati e della velocità a cui va la nostra società, nel vorticoso ciclo del “produci-consuma-crepa”.

Foto: R. Rossi

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l primo grosso cambiamento, sostanzialmente a livello di approccio, è avvenuto grazie a internet e quindi a tutti i siti specializzati di montagna, ai blog e ai social, dove qualsiasi tipo di informazione gira molto velocemente. Fino ai primi anni 2000 c’erano poche immagini delle vie e si sapeva poco circa le condizioni dei diversi itinerari. Si riuscivano a reperire informazioni o attraverso il passaparola di alpinisti che ci erano già passati o spulciando le relazioni della Guida Vallot, della Buscaini, di Piola e più tardi quelle di Bassanini. Spesso si trovavano articoli con qualche foto sulle riviste del settore; foto che però incrementavano solo la fama e la leggenda di determinate vie di arrampicata o di determinate discese con gli sci; queste immagini venivano infatti sistematicamente ruotate di qualche grado facendo – in pieno stile “long and hard” degli anni Novanta – presagire difficoltà mostruose che poi non si rilevavano tali. C’era quindi un alone di mistero che contribuiva a rendere determinate salite mitiche oltre ogni modo; di sicuro, all’epoca, c’era più avventura e forse, avendo meno conoscenze, eravamo più preparati a eventuali imprevisti o a superare difficoltà o situazioni non preventivate a tavolino. Con l’avvento di internet e dei siti specializzati si è un po’ persa questa dimensione più “avventurosa” a favore di un maggior numero di dati a cui tutti possono accedere facilmente. La conseguenza è che quando alcuni itinerari (evidentemente di misto e ghiaccio) vanno in condizione, c’è la fila e quindi risultano più addomesticati (esempi degli ultimi anni sono la parete nord delle Droites nel 2011, Jorasses nel 2016 e Pélerins nel 2016 e 2020). Un altro grosso cambiamento è dovuto al fatto che nelle grandi città sono spuntati come funghi i muri di arrampicata che hanno decretato un innalzamento dei praticanti delle discipline “verticali” e, se a ciò si aggiungono poi gli enormi progressi di tutte le attrezzature, sempre più performanti, sempre più leggere e sempre più facilitanti (soprattutto nel caso degli sci), si capisce meglio come mai il numero di frequentatori sia cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni, soprattutto in alcuni settori più alla moda e perché molte vie che una volta erano ritenute molto difficili siano ora percorse da tante cordate. Parallelamente a ciò non bisogna dimenticare l’incredibile lavoro degli apritori di vie moderne, alcuni dei quali veri mattatori come Michel Piola o Manlio Motto, che di fatto hanno permesso al grande pubblico di conoscere alcuni angoli poco


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Storia

Il Monte Bianco. Un immenso massiccio di rocce, ghiacciai, guglie di granito, seracchi, vallate, che culminano nella cima più alta dell’Europa politica. L’immagine che si ha di questo massiccio montuoso è di un luogo selvaggio, inospitale, nel quale le belle scalate sono spesso precedute da difficili e lunghi avvicinamenti glaciali e terminano con difficili uscite in cresta per raggiungere qualche alta cima. Tutto questo è sacro e vero; tuttavia vorrei parlarvi di un Monte Bianco un po’ differente, nel quale, per scalare su della roccia eccellente alcune delle lunghezze di corda più entusiasmanti che abbia mai salito, bastano una veloce risalita con la funivia a Punta Helbronner e tre quarti d’ora di camminata glaciale. 26


Il Monte Bianco difficile ma accessibile in funivia

Testo  Matteo Pasquetto

Grand Capucin Voie Petit, 8b, Caroline Ciavaldini. Foto: Arch. Ciavaldini

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Storia I tesori del Monte Bianco Esemplari di quarzo esposti presso la mostra di minerali della funivia Skyway. Sullo sfondo l'Aiguille Noire de Peutérey. Foto: M. Romelli

Quarzo fumé Aiguille de Toule. Foto: M. Romelli

perché il quarzo è duro e tagliente – mentre scaliamo. C’è chi non si accontenta di imbattersi casualmente nei cristalli per apprezzarne la bellezza. A Chamonix quella del cristallier, il cercatore di cristalli, è una figura tradizionale. Ancora oggi per diventare cristallier occorre firmare un “codice d’onore”, impegnandosi a seguire regole precise: rispetto della natura e del paesaggio, divieto di utilizzo di esplosivo o macchinari per estrarre i minerali (si usano le mani o un piccolo palanchino), divieto d’accesso in elicottero ai siti di ricerca e divieto di trasporto in elicottero dei campioni trovati… Alcuni protagonisti della storia alpinistica del Monte Bianco mossero i loro primi passi in montagna proprio cercando i cristalli. Innanzitutto Jacques Balmat, il leggendario pioniere che insieme al naturalista Michel Gabriel Paccard raggiunse per primo la vetta del Monte Bianco nel 1786. Un esempio più recente è Georges Bettembourg (1950-1983), alpinista di fama e attività internazionale, autore fra l’altro di due superclassiche sul ghiaccio del Monte Bianco: la BettembourgThivierge all’Aiguille Verte e la Charlet-Bettembourg all’Aiguille du Chardonnet. Bettembourg è noto per aver trovato uno dei migliori esemplari di fluorite rosa mai rinvenuti nel massiccio.

QUELLA DEI CRISTALLIER È “ UN’ATTIVITÀ RISCHIOSA. LE CAVITÀ CHE NASCONDONO I CRISTALLI, CHIAMATE “FOURS” (FORNI) DAI CRISTALLIER DI CHAMONIX, SI CONCENTRANO NELLE ZONE DOVE LA ROCCIA È PIÙ FRATTURATA E INSTABILE. Vi si accede scalando sul marcio col fiato sospeso, delicatamente, oppure calandosi dall’alto con complicate doppie. Lo stesso Georges Bettembourg perse la vita a causa di una scarica di pietre durante una ricerca sul versante nord dell’Aiguille Verte. E sul versante italiano? Nel bacino del ghiacciaio del Miage, uno dei luoghi più ricchi del massiccio dal punto di vista della varietà dei minerali, una piccola miniera di galena argentifera è stata attiva fino al XIX secolo. I resti della miniera si trovano sulla parete di roccia rotta della Tête Carrée, lungo la destra orografica della grande lingua glaciale. Oggi anche la semplice raccolta, senza perforazioni o altre forme di alterazione del paesaggio, è ostacolata da un divieto attivo su tutta l’area italiana del Monte Bianco.

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Storia I tesori del Monte Bianco LA DIRECTE DES CRISTALLIERS Uno dei tanti luoghi propizi al ritrovamento dei cristalli del Monte Bianco sono le Aiguilles Marbrées, a due passi da Punta Helbronner e dalla funivia Skyway. Proprio qui, tanto per restare in tema, è stata tracciata la Directe des Cristalliers, una via di misto complessivamente poco impegnativa che offre passaggi divertenti in una scenografia mozzafiato. Il periodo ideale per affrontarla va dal tardo autunno all’inizio della primavera. Dopo la salita è d’obbligo una visita alla ricca esposizione di minerali, aperta al pubblico, che si trova presso la stazione a monte della funivia. Aiguilles Marbrées, Cima Nord 3535 m, versante sud-ovest Directe des Cristalliers Alessandro Albertin, Ezio Marlier, 5 dicembre 2016 200 m (6 L), TD-, M4, 60º Monte Bianco, Alpi Graie (Valle d’Aosta) Materiale: classico da ghiaccio e misto una con serie di friends (fino a dimensioni medie), nuts, 2 corde da 50 metri. Le soste sono state attrezzate a spit dalla guida alpina Massimo Datrino.

Accesso: salire a Punta Helbronner con la funivia Skyway Monte Bianco. Scendere al rifugio Torino (punto d’appoggio possibile) e accedere al Colle del Gigante. Dirigersi a nord-est puntando alla paretina sud-ovest della Cima Nord delle Aiguilles Marbrées, a sinistra di un evidente canale nevoso. La Directe des Cristalliers attacca poco a destra della verticale della Cima Nord. 15 minuti dal rifugio. Relazione: L1: raggiungere e scalare un diedro con buoni agganci (tratto chiave). Proseguire in leggera diagonale verso destra su misto poco ripido, M4 e M3. L2: salire leggermente verso destra, quindi traversare a sinistra, M3 e neve. L3: seguire un canale-goulotte che si apre a sinistra della sosta, 60º, ghiaccio sottile. L4: andare qualche metro verso sinistra su misto, poi fare ingresso in un ampio canale nevoso, M3, 50º. L5: canale, sosta a sinistra, 50º. L6: canale, 55º, uscita presso il colletto nevoso che precede la Cima Nord. Discesa: lungo la cresta est della Cima Nord oppure, più interessante, in direzione della Cima Sud seguendo il percorso classico della traversata delle Aiguilles Marbrées. Directe des cristalliers tracciato. Foto: M. Romelli

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Abissi Luca Moroni sulle placche ripide di Abysse. Foto: L. Gheza

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Selvaggio,

Storia

ma non così lontano Testo  Matteo Pasquetto

Siamo abituati a pensare che per respirare ancora quel profumo di avventura tipico del Monte Bianco si debbano fare lunghissime camminate su ghiacciai tormentati da crepacci o raggiungere posti lontani dalla civiltà e dalle sue strutture: non è vero.

C

i sono un paio di luoghi, anzi, probabilmente anche qualcuno in più, in cui possiamo ancora vivere una bella giornata di scalata senza fare code alle soste o senza dover camminare per ore e ore per fare due tiri: ebbene sì, i luoghi di cui voglio parlarvi sono ben visibili dal fondovalle ma veramente poco frequentati. Perché? Penso che ormai la gente scali solo quello che va più di moda, quello su cui è più facile trovare relazioni e recensioni, e che, in fondo, si sia un po’ perso il gusto dell’avventurarsi con poche informazioni in un luogo soltanto perché si ha il presentimento che possa piacerci. Bene, tra i vari luoghi che hanno queste caratteristiche, qui ne verranno presi in considerazione due soltanto, entrambi raggiungibili in tre ore di camminata. «Beh», mi direte voi, «alla faccia del poco avvicinamento...» Come posso darvi torto?! Alla fine la vita è solo una questione di prospettive! Sicuramente dovremo far muovere un po’ di più le gambe piuttosto che andare ai satelliti, ma di certo non ci sono paragoni in termini di lunghezza rispetto al raggiungere i Bivacchi Eccles o la parete est delle Grandes Jorasses! Per cui, se queste tre orette non vi spaventano, seguitemi qui per qualche riga che vi accompagno alla scoperta di questi angoli di Monte Bianco. Il primo di cui vi voglio raccontare qualcosa l’avrete sicuramente visto salendo con la Skyway verso il rifugio Torino; so bene che spesso la nostra attenzione viene catturata da pareti enormi e creste affilate ma se ci fate caso, proprio di fronte all’Aiguille Noire, si trova

una “piccola” parete che sembra scomparire se posta a confronto con le cime in secondo piano; quella “piccola” parete è l’Aiguille de la Brenva. Per raggiungere questo angolo di Monte Bianco, ancora selvaggio e isolato per quanto sia sotto lo sguardo di migliaia di persone ogni giorno, basta prendere il primo troncone di funivia, scendere al Pavillon e dirigersi verso il Belvedere sul ghiacciaio della Brenva su un sentiero comodo e ben battuto. Poco prima di raggiungere il Belvedere, si risale il ripido versante che ci troviamo sulla destra fino a raggiungere una morena; la superiamo entrando nel vallone che porta direttamente ai piedi della parete. Per arrivare all’attacco della nostra via, dovremo risalire questo vallone, spesso colmo di detriti e neve che rendono il cammino poco agevole. Qui scopriremo che la nostra “piccola” parete in realtà è un bellissimo muro di roccia fessurata, alto quasi 400 metri: non proprio piccolissima, insomma. Un’altra particolare caratteristica di questa parete è una guglia di granito posta completamente a destra, anch’essa ben visibile dagli impianti di risalita: il Père Eternel, o Padre Eterno. Questo obelisco di granito, alto una quarantina di metri, si divide dalla cresta principale dell’Aiguille de la Brenva grazie a un colletto. La storia della prima salita di questo ago di granito è una di quelle avventure che solo l’alpinismo classico ci sa regalare. Nel 1927, precisamente il 6 e 7 agosto, Laurent Grivel, Arturo e Osvaldo Ottoz e Albino Pennard raggiunsero la cima di questo monolito portandosi appresso una pertica di legno lunga circa

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Storia Jorasses est

compatto va a sfumare in pendenze più dolci su un tipo di roccia differente: lo scisto. Questa fascia di scisti, un particolare litotipo metamorfico che ha la peculiarità di sfaldarsi in lastre più o meno sottili, caratterizza la zona compresa tra un’altitudine di 3800 e 4200 metri in questa specifica area del Massiccio: ve ne accorgerete percorrendo l’esposta e instabile parte finale della cresta di Tronchey per arrivare in cima a Punta Walker! Veniamo ora alla storia della parete. Per prime furono salite le due creste che delimitano il ripido versante della montagna: la cresta des Hirondelles a destra e la cresta di Tronchey a sinistra; il 10 agosto del 1927 Gustavo Gaia, Sergio Matteoda, Francesco Ravelli, Guido Alberto Rivetti, Adolphe Rey e Alfonso Chenoz, superando lo sperone posto sul lato sinistro di questo versante con arrampicata classica ma comunque in ambiente selvaggio e isolato, salirono per la prima volta la cresta des Hirondelles. Il 22 e 23 agosto del 1936, con scalata impegnativa fino al sesto grado di una serie di torrioni di roccia eccellente, Titta Gilberti e Eliseo Croux salirono la bellissima cresta di Tronchey che conduce in cima a Punta Walker, la più alta delle cime delle Grandes Jorasses.

LA PARETE CENTRALE VENNE AFFRONTATA PER LA PRIMA VOLTA SOLO NEL 1942 DA GIUSTO GERVASUTTI E GIUSEPPE GAGLIARDONE, CHE LA SALIRONO APRENDO UNA LINEA VERAMENTE IN ANTICIPO SUI TEMPI. La linea inizia nella parte bassa della parete, ormai non più percorribile, per poi portarsi sul lato sinistro dello scudo dove i due alpinisti salirono una serie di lunghezze da capogiro su roccia compatta e molto verticale; nonostante avessero fatto ricorso all’uso di chiodi per salire tratti in arrampicata artificiale, la compattezza della parete li costrinse a superare lunghi tratti dove l’arrampicata era per forza in libera: incredibile se si pensa ai mezzi a disposizione nel 1942! Prima che venisse aperta una seconda via su questa parete si dovettero aspettare ben 39 anni! Nel 1983, infatti, i fratelli Delisi aprirono la seconda, arditissima linea: la bellissima Groucho Marx. Aperta in arrampicata mista libera e artificiale, la linea percorre un evidente diedro chiuso da un tetto per le prime tre lunghezze, delle quali la terza è quella del famoso tetto di A3. Successivamente l’itinerario segue una serie di fessure e diedri di rara bellezza; in particolare il quinto tiro, il più bello della via, corre in un magnifico diedro stretto con una fine fessurina di fondo che diventa cieca verso metà lunghezza: meglio

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sapersi muovere bene sui piccoli appoggi se si vuole evitare di cadere sulla protezione che man mano si allontana sotto i nostri piedi! Il VII è il secondo tiro chiave, anch’esso superato in artificiale durante l’apertura: qui si deve superare un tettino con degli strani movimenti, rendendolo assolutamente non banale nel giro a vista. La riscoperta in libera di questo itinerario, avvenuta nel 2010 grazie a un gruppo di scalatori francesi del GMHM, Max Bonniot, Pierre Labbre e Manu Romain, l’ha resa una linea bellissima, percorribile in completa arrampicata libera: il tiro del tetto diviene così un durissimo 7b; il quinto tiro del diedro uno spettacolare 6c+, e il tiro del tetto finale un esplosivo 7a! Nel 1988 fu il turno di Enrico Rosso e Paolo


Storia xxxx

Cavagnetto, i quali diedero vita a una linea poco a sinistra della Gervasutti-Gagliardone. Questa linea, raramente ripetuta, offre una bellissima arrampicata tra libera e artificiale su un pilastro e va a congiungersi poi alla cresta di Tronchey. Per altri diciotto anni la parete non vide prime salite, finché nel 2006 ben due cordate aprirono i loro itinerari. P. Batoux e L. Daudet nell’inverno 2006 tracciarono Little Big Man, una via di misto e artificiale che percorre una goulotte nella parte bassa di parete e a seguire delle compatte placche e fessure a sinistra di Groucho Marx nello scudo dopo la cengia. Nello stesso anno Patrick Gabarrou e Christophe Dumarest realizzarono invece il Grand Dièdre e la Rosso-

Cavagnetto, le quali peraltro aspettano entrambe una salita in libera! Nel 2013 Max Bonniot e Sébastien Ratel realizzano la prima salita di Borat, una via in libera che corre sul lato destro di questa parete percorrendo delle lunghezze di roccia che sembrano essere veramente spettacolari!

Qui si ride... L’uscita del tiro di 7b di Groucho Marx sulla est delle Grandes Jorasses. Foto: M. Della Bordella

Eccoci qui, alla fine del racconto. Ricordo la salita di Groucho Marx insieme a Matteo Della Bordella e Leonardo Gheza come una delle più belle e appaganti vie che ho avuto la fortuna di salire in tutto il massiccio del Monte Bianco. Se per qualche minuto sono riuscito a farvi sognare queste bellissime salite, il mio obiettivo è stato raggiunto.

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Ideas Dis-connessione sottosezione Bivacco allegro su Bailando… Foto: A. Siadak

fornisce sempre le migliori informazioni e le sensazioni reali e tangibili dell’ambiente e della situazione. Per noi, come squadra, essere in grado di sperimentare quelle sensazioni insieme era assolutamente cruciale ai fini della decisione da prendere, così ci siamo spinti per una missione esplorativa di un giorno nella valle di Alerce. Dopo svariate ore, eravamo in piedi nel mezzo della vallata. Da sotto e da vicino, ci siamo resi conto che le pareti non erano né ripide né pulite come avevamo sperato. Non sembrava nemmeno tanto difficile salirle in giornata: eravamo stati ingannati da Google Earth. Tuttavia, nonostante l’incertezza e le esitazioni, le nostre menti erano ancora centrate su questa valle, inesplorata e piena di potenziali prime salite. Ciò di cui la nostra squadra aveva bisogno era certamente un buon dialogo tra noi, per confrontare gli interessi di ciascuno e le motivazioni individuali dietro a questa spedizione. La nostra visione d’insieme e il nostro obiettivo, come squadra, sono divenuti chiari e definiti in quel momento: in primo luogo, volevamo divertirci ed esplorare un luogo remoto; in secondo luogo, volevamo scegliere il nostro obiettivo arrampicatorio in base allo stile della salita, ovvero in stile capsula, con le portaledge, passando vari giorni in parete; in terzo luogo, volevamo aprire una via nuova. Abbiamo scoperto le ragioni che ci muovevano e motivavano come gruppo; abbiamo creato una visione comune. E quindi il piano B che cosa prevedeva? Vicino alla valle di Alerce c’è la valle de la Plata, che conduce a una grande parete chiamata Serrania Avalancha, sopra alla Laguna de la Plata. Questa parete poco conosciuta era stata già salita, così, una volta tornati alla civiltà, ci siamo dati alla ricerca su internet, ma nonostante le salite precedenti non siamo stati in grado di trovare molte informazioni circa l’accesso, la parete e l’area in generale. Ciò che abbiamo trovato è stato un articolo sulla valle di Alerce, che riportava la visita degli arrampicatori americani Jared Spaulding e Josie McKee nel 2017.

RIUSCITE A IMMAGINARVI “ QUANTO CI SIAMO SENTITI STUPIDI

NEL PENSARE DI AVERE SCOPERTO UNA VALLE TOTALMENTE INESPLORATA? Una ricerca più approfondita, con un utilizzo migliore della tecnologia, avrebbe cambiato tutto: forse non saremmo nemmeno partiti per questa spedizione. Eravamo così accecati dal desiderio di avventura che non ci siamo dati la pena di effettuare ricerche migliori.

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E ciononostante, nessuno di noi aveva rimorsi: avevamo firmato per avere un’avventura, e questa situazione ne faceva parte! Al contrario, quell’articolo ci tolse la sensazione di perdere delle potenziali prime salite, visto che molte delle pareti erano state già frequentate. Il tempo a nostra disposizione si stava esaurendo, e noi non avevamo certo deciso di partire per poi stare seduti in un bar a bere cappuccino e perdere ancora più ore su internet. Per connetterci veramente con la natura, dovevamo disconnetterci digitalmente. Di lì a poco si sarebbe approssimata una finestra di bel tempo di una settimana, così abbiamo deciso di impegnarci totalmente in questa mitica parete chiamata Serrania Avalancha, nome che significa più o meno “la ripida e isolata valle delle valanghe”. Piuttosto intimidatorio, non è vero? Nonostante l’avvicinamento “breve”, solo 8 chilometri, raggiungerla si è dimostrato una vera impresa. La giungla aveva cancellato ogni traccia delle precedenti visite in quella zona, e ben presto abbiamo avuto l’impressione che il vero obiettivo ora fosse semplicemente arrivare alla base della parete prima che il tempo volgesse al peggio. Armati dei nostri machete alla Bear Grylls, delle nostre facce da guerra e del nostro desiderio di arrampicare, abbiamo cercato e aperto un sentiero attraverso la fitta giungla. Abbiamo camminato lungo il corso del Rio de la Plata, cercando di restare nel letto del fiume il più possibile, per evitare quello che chiamavamo “il muro di bambù”. Dentro al fiume, fuori dal fiume; dentro alla giungla, fuori dalla giungla. Ci sono voluti tre giorni per passare la giungla e portare il carico: avevamo ora raggiunto “la spiaggia”, a metà corso del fiume. Avevamo stimato di impiegare tre giorni per raggiungere la Laguna de la Plata: nemmeno per sogno! Alla “spiaggia” abbiamo dunque deciso di consultare ancora una volta il quinto membro della spedizione: ecco di nuovo il signor Tecnologia, questa volta personificato in un cellulare satellitare Inreach, con lo scopo di ottenere una previsione del tempo. Il nostro caro amico e specialista della Patagonia Rolando Garibotti era il nostro guru del meteo. Quando è arrivato il suo messaggio eravamo tutti molto tesi: dopo questa finestra di bel tempo, ci sarebbe stata una perturbazione piovosa che avrebbe coperto la valle per dieci giorni. Considerata la nostra andatura, questo significava che saremmo arrivati al lago, avremmo avuto un giorno per arrampicare e poi dieci giorni di pioggia, con 70 millimetri di precipitazioni in alcune giornate. Non aveva più senso. Stavamo perdendo di vista l’obiettivo. Il morale era sotto ai piedi e, tranne alcune vaghe speculazioni sul meteo, non ci siamo scambiati molte parole.


Ideas Ideas Dis-connessione sottosezione

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BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO Giugno 2020. Anno II. Numero 8 Direttore responsabile Richard Felderer Coordinamento editoriale Eugenio Pesci Jacopo Larcher Samuele Mazzolini Alberto Milani Redazione Tommaso Bacciocchi Roberto Capucciati Matteo Maraone Marco Pandocchi Damiano Sessa Copertina Sulla via Gervasutti al Pic Adolphe Rey Foto: (© Andrea Nespoli) Grafica Tommaso Bacciocchi

Impaginazione Stefano Vittori

Correzione di bozze Rachele Palmieri

Disegni Eugenio Pinotti

Hanno collaborato Francesco Bassetti, Mara Budgen, Fabrizio Calebasso, Enrico Camanni, Giorgio Confalonieri, Grivel, Alessandro Lamberti, Ugo Manera, Giuseppe Miotti, Fabio Palma, Matteo Pasquetto, Korra Pesce, Marco Romelli, Roberto Rossi, Siebe Vanhee, Fabiano Ventura Versante Sud Srl Via Longhi, 10 – 20137 Milano tel. +39 02 7490163 versantesud@versantesud.it info@up–climbing.com Abbonamenti e arretrati www.versantesud.it

© Paolo Sartori

Stampa Tipolitografia Pagani – Passirano (BS) Distribuzione per l’Italia PRESS-DI-Distribuzione stampa e multimedia s.r.l. via Mondadori 1 – 20090 Segrate (MI) – Tel. 02 75421

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© Versante Sud 2020 Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della pubblicazione senza autorizzazione dell’editore. Registrazione al Tribunale di Milano n. 58 del 27/02/2019


Test

Disegnati e testati dalle donne Un team di designer donne e atlete ha trascorso oltre un anno a studiare e sviluppare prototipi di pantaloni realizzati per attività che vanno dal bouldering in condizioni di caldo estremo all’arrampicata su roccia e in ambiente alpino. L’obiettivo era quello di creare una linea di pantaloni che considerasse la vestibilità e le caratteristiche essenziali per la performance. Dopo centinaia di giorni trascorsi nello Yosemite, a Bishop, in Pakistan, in Austria e in altre dozzine di posti, il risultato è una linea di pantaloni da arrampicata resistenti e funzionali appositamente realizzati per le donne.

Foto: The Fugitive, un test piece del Gallatin Canyon. L'ambassador Patagonia Anne Gilbert Chase arrampica questa linea colorata ed esposta a nord in stile trad fino in catena. Custer Gallatin National Forest, Montana. Jason Thompson © 2020 Patagonia, Inc.

superato


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