Tilmann Hepp
WOLFGANG GÃœLLICH ACTION DIRECTE
EDIZIONI VERSANTE SUD | I RAMPICANTI
Titolo originale: Wolfgang Güllich - Leben in der Senkrechten Edizione originale: © Rosenheimer Verlagshaus, Rosenheim, 1993 2003 © VERSANTE SUD S.r.l. Via Longhi, 10 Milano Per l’edizione italiana tutti i diritti riservati Traduzione: Federica Carpani Redazione: Ruggero Meles L’editore ringrazia per la collaborazione: Sonja Brambati, Sarah Caola, Bernadette Hautman, Emanuela Locatelli, Fabio Palma, Roberta e Stefania Rastelli. 2a edizione agosto 2019 www.versantesud.it ISBN: 978 88 85475 762
Tilmann Hepp
WOLFGANG GÃœLLICH ACTION DIRECTE
EDIZIONI VERSANTE SUD | COLLANA I RAMPICANTI
INDICE Premessa dell’editore Introduzione dell’autore
7 8
Prefazione all’edizione italiana
10
Prefazione alla seconda edizione italiana
14
Uomini dai nervi d’acciaio (MON)
21
Outsiders 37 Yosemite 57 Nuove Terre
91
Esperienze al limite
127
Wall Street
139
Spedizioni 155 Action Directe
183
Life Will Never End
209
A Wolfgang
Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 6
PREMESSA DELL’EDITORE Wolfgang Güllich fu straordinario in quelle corte pareti allora chiamate con sufficienza palestre, ma che in seguito divennero di fondamentale importanza nell’evoluzione tecnica dell’arrampicata. Grazie al costante impegno su quei brevi e intensissimi itinerari, contribuì a tracciare in Europa una strada nuova nell’alpinismo, fissò stili e regole dell’arrampicata come pratica sportiva finalizzata al superamento non solo di difficoltà tecniche sempre maggiori, ma anche di convenzioni e tradizioni che non rispecchiavano più il modo di pensare delle nuove generazioni. Se da un lato si battè affinché l’arrampicata libera fosse riconosciuta come un vero e proprio sport, dall’altro la innalzò, al di là forse della sua reale portata, a uno stile di vita, sacrificando a essa la sua esistenza in modo totale. Abbiamo voluto portare anche in Italia (dopo le edizioni inglese e spagnola) la storia di uno dei personaggi più emblematici dell’alpinismo mondiale degli ultimi scorci del millennio passato Come nostro uso abbiamo affidato la prefazione italiana alle parole di grandi protagonisti dell’alpinismo, certi di arricchire ulteriormente un libro al quale abbiamo lavorato intensamente e con entusiasmo. Troviamo che il libro sia del tutto moderno e siamo rimasti perfino colpiti dall’attualità delle foto a disposizione, quasi una prova di quanto quest’uomo fosse avanti nella dimensione scalata.
maggio 2003
Premessa dell'editore 7
INTRODUZIONE DELL’AUTORE Quando Wolfgang Güllich morì, nell’ultimo giorno dell’agosto del 1992, per le ferite riportate in un incidente d’auto, sembrò che il tempo, nella storia dell’arrampicata, si fosse fermato. Il più importante e famoso arrampicatore tedesco era morto: era lui che scandiva il ritmo dell’evoluzione del suo sport, e il ritmo cambiò. Avevo conosciuto Wolfgang cinque anni prima. L’iniziale ammirazione diventò amicizia. Ero stato due volte fortunato: dapprima quando lo avevo incontrato e poi per aver potuto fare un tratto di strada insieme a lui. Poi venne quel giorno d’agosto, lo shock e il tempo che seguì. Ho lavorato per molti mesi a questo libro. Ci sono stati momenti belli, altri tristi e altri difficili da sopportare. Ma è stato un privilegio. Il privilegio di mettermi sulle tracce di Wolfgang, di ricostruire la sua vita e di vivere ancora un lungo periodo insieme a lui. Naturalmente ho scritto alcune cose dal mio punto di vista: un ulteriore privilegio per chi scrive, anche se altri suoi amici hanno trascorso altrettanto tempo con lui e passato altrettanti momenti piacevoli sulle rocce. Alcuni di loro, voltandosi indietro, potrebbero giudicare diversamente Wolfgang, perché l’avevano conosciuto da un altro punto di vista. Lo stesso Wolfgang, penso, avrebbe narrato alcune cose diversamente. C’è però una sostanziale differenza tra una biografia e un’autobiografia. Se si ripensa alla propria vita, si lascia scorrere il filo del tempo in modo che tutto sembri logico, liscio e unidimensionale. Vista dall’esterno la vita di Wolfgang conteneva normalissime rotture e contraddizioni. Tuttavia… lui rimaneva sempre sé stesso. In qualunque modo ci si avvicini alla vita di Wolfgang, si scopre la storia di un uomo sensibile, di straordinaria energia e straordinario ingegno: di uno sportivo di punta che manteneva lo spirito di un monello e che ti stava davanti tenendo le spalle cadenti per non sembrare un body builder…, ma che nello stesso tempo era orgoglioso della sua forza fenomenale. Un uomo che fino all’ultimo era rimasto dentro di sé il timido ragazzino delle origini, una stella dell’arrampicata con la testa alta, ma senza puzza sotto il naso. La sua sovranità sulle pareti verticali si estendeva anche al di là del mondo delle rocce. Se qualcuno in questa biografia si aspetta una chiara risposta alla domanda sul perché quest’uomo era unico, devo deluderlo. Mi è difficile dare questa risposta. Wolfgang sapeva riunire genialmente tutto il suo potenziale Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 8
nel momento decisivo e critico, quando sono necessarie tutte le energie fisiche e spirituali. Quest’energia concentrata gli spalancava la porta verso nuove prestazioni mozzafiato. Il suo potere magico non derivava solo da un talento naturale come gran parte della gente riteneva, ma era soprattutto il risultato di un incredibile impegno. Il lavoro duro dei muscoli e delle ossa dell’atleta di classe appare sempre all’esterno come un dono naturale, un talento esibito senza fatica. Wolfgang deve invece alla sua volontà e alla sua fantasia l’aver raggiunto mete che solo poche persone, destinate a essere innalzate nell’olimpo dell’arrampicata, possono raggiungere. La cosa più affascinante in lui non era la sua stupefacente abilità di arrampicatore, quello che attirava le persone era il modo cordiale, la normalità con cui entrava in relazione con gli altri. Era un tipo eccezionale eppure sembrava il vicino simpatico con cui ci si ferma a chiacchierare volentieri. È stata questa sua caratteristica, oltre naturalmente alle sue prestazioni di livello mondiale, che lo ha fatto diventare un idolo degli arrampicatori. Uno come lui si ammira volentieri. Le ricerche per questo libro hanno prodotto tanto materiale che avrei potuto scrivere il doppio delle pagine e ancora di più. La difficoltà non stava solo nel formulare i pensieri, nello scegliere le parole giuste, ma anche nel decidere che cosa dovesse essere reso pubblico e che cosa fosse troppo intimo e destinato a restare privato. Gli appunti che decisi di non utilizzare alla fine avevano lo stesso volume di quello che avevo scritto. Di solito, quando leggo una prefazione, sorvolo i ringraziamenti, perché i nomi non mi dicono niente e io non sono in grado di misurare la loro importanza; tuttavia mi rendo conto che anche questo libro senza l’aiuto degli amici non sarebbe potuto nascere, come dimostrano le cinquanta ore su nastro, le mie innumerevoli interviste telefoniche, le discussioni sulla vita di Wolfgang che ho avuto con i suoi amici e il lavoro conflittuale con il manoscritto. L’aiuto che gli amici hanno dato all’autore è una testimonianza del legame con Wolfgang Güllich stesso e del desiderio che venisse pubblicato questo libro.
Tilmann Hepp Stoccarda, luglio 1993
Introduzione dell’autore 9
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA Questo libro narra la storia di un uomo potente e riflessivo che amava l’arrampicata in tutte le sue espressioni, vivendola come stile di vita e come pratica sportiva in tutte le pareti del mondo. Un uomo la cui storia può diventare l’icona del free climbing perché, come osserva Pietro Dal Prà, fuoriclasse della roccia e guida alpina di Cortina, «arrampicare è vivere e muoversi in uno spazio dai confini confusi fra aspetti pratici e intensi e sottili stati emotivi, in un orizzonte mobile del sentire che si gusta, si scavalca e poi ancora si rincorre. Di quello spazio, così difficile da raccontare, di quella continuità fra roccia, aria e vita, fra sentire e agire, Güllich è stato un signore. Con l’incisività delle sue salite su sassi di pochi metri come su grandi pareti, con le parole e la forza dei suoi sguardi, ha portato a tanti la freschezza e la profondità della vita in verticale». Hans Peter Eisendle, forte alpinista altoatesino, che conobbe Güllich sulla roccia e nella vita, vede nella sua biografia una storia «che piacerà a tutti: ai ventenni suggerirà di vivere l’arrampicata nel suo modo assoluto, al cento per cento, nell’attesa che la vita ti chieda sempre più tempo; mentre le persone di mezz’età e gli anziani proveranno rispetto per un ragazzo che si realizzò uomo nella sua passione, componendo bene una trama, piuttosto che inseguire disordinatamente troppi richiami». Güllich fu straordinario in quelle corte pareti allora chiamate palestre e anche grazie a lui poi diventate, con rispetto, falesie, ma fu grande anche in Karakorum e in Patagonia, dove dimostrò che «il novantanove per cento di quello che si fa sugli 8000 non è alpinismo di punta» e che «l’arrampicata estrema non poteva fermarsi alla falesia, come pretendevano i cosiddetti arrampicatori sportivi, ma anzi trovava enormi possibilità perfino oltre i 6000 metri» (Eisendle). Se alpinismo vuol dire avventura, esplorazione, sgomento e insicurezza, allora Güllich ne fu anche nobile esponente, anche scomodo perché «certi esperti e sapienti erano e sono spaventati da questi giovani in calzamaglia che vincevano in libera, nelle tempeste, enormi strapiombi su cui molti nomi altisonanti non avrebbero osato neanche con delle corde fisse già presenti» (Eisendle). Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 10
Inneggiano ai valori dell’alpinismo, ma chiudono gli occhi «quando oggi Thomas Huber sale in libera per una grande via nuova sull’Ogre e ieri Güllich e il genio Doseth vedevano insieme alpinismo e avventura sulle colossali cattedrali di Trango» (Eisendle). All’arrampicatore sportivo mostrò che «un grado, quando lo si padroneggia, lo si sale anche senza spit o addirittura senza corda; un insegnamento anche attuale, in una società che demonizza il rischio creando anche in arrampicata il risultato sicuro ed esente da autocontrollo: falesie superspittate, e vie in montagna aperte per i ripetitori e non per sé stessi, come invece sempre fecero Güllich e i suoi compagni. Gli esperti della massa cercano sempre di screditare l’uomo di punta, la società impone che tutti siano uguali e allora chi si eleva, come nel passato Preuss, Lammer, poi Buhl, e tutti gli altri fino ad Alex Huber, è tacciato d’incoscienza o esibizionismo» (Eisendle). Alessandro Jolly Lamberti, primo italiano a salire un 9a e autore di grandi salite anche in montagna, appartiene a una generazione che ha visto Güllich e che tutt’ora scala ai vertici: «Güllich è forse uno degli ultimi eroi pensanti, prima che la lenta massificazione della scalata ci porti inesorabilmente nuovi miti, scialbi e afasici, di tipologia calcistico-televisiva. In un’attività complessa e completa come la scalata, fintanto che essa rimane circoscritta entro una certa élite, non basta soltanto tenersi per lasciare il segno e passare alla storia; devi essere potente, ma pensante, devi poter trazionare su di un dito, ma con un braccio che è attaccato a una spalla, che sta sotto una testa che sogna e che guarda dove altri non vedono. Nel bene o nel male, gli eroi del nostro mondo alpinistico-arrampicatorio compensavano la leggerezza del loro muoversi sulla roccia con la pesantezza delle loro idee e dei loro desideri; idee che poi spesso si congelavano nello spazio materializzandosi nei progetti più innovativi. Via via che la scalata diverrà di massa non ci sarà più bisogno di carattere per diventare divo: un certo pubblico ha sete di facili quantificazioni, difficilmente percepisce nella sua globalità il concetto di prestazione in arrampicata, e crea eroi numerici ma vuoti, evanescenti nel corpo e nella mente. I nuovi miti non avranno più bisogno di pensare né di sognare, ma solo di collezionare gradi avendo un buon padrino complice con i media specializzati». Oggi tutti, o quasi, sono concordi nel riconoscere che l’arrampicata prevede allenamenti e analisi, ma allora egli «fu il primo a studiare scientificamente, sul proprio corpo, nuove metodologie e idee. Altri, come Edlinger, Manolo, Moffat, avevano iniziato a sperimentare nuovi allenamenti, Prefazione all’edizione italiana 11
ma più sulle sensazioni del proprio corpo che su basi scientifiche. Era un professore degli appigli, e viveva anche in una regione dove per molti mesi all’anno non si poteva arrampicare. Anche per questo approfondì l’allenamento a secco, con i risultati che sappiamo» (Eisendle). La foto di copertina è stata scelta, anche provocatoriamente, per sottolineare che l’arrampicata per Güllich iniziava dall’allenamento rigoroso; l’avevano capito Livesey nel 1975 in Inghilterra e molti in America nello stesso periodo e vent’anni prima con John Gill, ma alcuni opinionisti scuotevano la testa, vedendo in questo la distorsione della scalata, come se tutto diventasse funzione del risultato. Non era assolutamente vero, tanto che Güllich dichiarò: «Ci sono persone che vogliono affermarsi tramite l’alpinismo, e lo praticano come se fosse un lavoro. A loro importa solo di riuscire; ma io rispetto molto di più quelli che provano senza curarsi del risultato, che vivono scalando. Sembreranno parole romantiche, ma loro portano l’alpinismo nel cuore». L’idea era invece che «il bello è arrampicare vicino al proprio limite ma con controllo», confida Simone Pedeferri, fuoriclasse della Val Masino, e limite e controllo si spostano in avanti anche con l’allenamento. «Güllich ha tutto il diritto, dunque, di entrare nell’olimpo degli dei della scalata, perché ha fatto, detto, e scritto cose che ancora oggi, a più di dieci anni di distanza, mantengono inalterato il loro valore. Action Directe, così come i pesi e le misure custoditi nel museo di Parigi, rimane oggi il vero 9a, riferimento per la gradazione di tutte le vie estreme. 9a che vuol dire misura della difficoltà: ed è un numero che ancora oggi rappresenta il limite massimo. 9a che vuol dire passione: salire una via veramente al limite significa sognarsela da svegli tutte le volte che si chiudono gli occhi, significa ripetersi mentalmente infinite volte i passaggi, tentando di ricostruire la situazione reale, nella maniera più vivida possibile, per vedere se si trova una soluzione; significa esserne ossessionati, come un amore più grande di noi, che si alimenta nella sua irraggiungibilità. 9a che vuol dire dolore: perché nulla è gratis, neanche l’amore, figuriamoci la forza, e bisognerà dunque pagare e pagare per ottenere il risultato, senza nessuna garanzia però di ottenerlo, perché se per ottenere devi spendere (questo è certo), non sta scritto da nessuna parte che, spendendo, sicuramente ottieni» (Lamberti). Certamente non mancano oggi personaggi del calibro di Güllich, anche se le loro idee sono spesso annegate in un mare d’informazione inutile e Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 12
ridondante. Quando si espongono sono oggetto delle stesse critiche che subì Güllich, e il fatto che per essere uomini di punta essi debbano anche vendere la propria immagine li rende oggetto delle critiche di chi «dalla cantina, inorridisce di fronte ai risultati e alle idee di coloro che invece possono aiutarci a essere migliori al nostro livello; sono stati criticati anche Manolo, Messner, e Buhl, quando nel 1953 abbandonò la razionalità comune (e gli ordini del capospedizione) per proseguire da solo verso la cima del Nanga Parbat» (Eisendle). Arrampicata e alpinismo nella ricerca e con la curiosità, e prestazione come logica conseguenza di queste tensioni: «Güllich fece comunque molto più che scalare, e soprattutto una riflessione si deduce dai suoi viaggi, dai suoi scritti e dalla sua vita: che stiamo solo montando un puzzle infinito e che la via da salire o la cima della montagna o la fine del puzzle sono solo l’obiettivo ma non la meta, e che la meta è il mezzo, appunto, e il contorno. Il fine è dunque costruire sé stessi, ma l’obiettivo serve da innesco: è il granello di polvere al quale si attacca il cristallo di neve per realizzare la propria perfezione. Non arrampico per fare il 9a, ma farò il 9a, perché arrampico. Altrimenti va bene lo stesso, ma è lavoro» (Lamberti). Difficoltà, avventura, viaggi, riflessioni, pathos… di tutto… molto, non un po’. È bello concludere con le parole di Dal Prà: «Non l’ho conosciuto, ma l’evoluzione della sua storia di scalatore, rispetto a quelle di altri estremi, mi appare, nelle tante tappe, sempre espressione di naturalezza, spontaneità e creatività, libera da condizionamenti, a testimonianza di quanto lui amasse in modo limpido ed entusiasta quello che faceva: era un vero arrampicatore libero?».
Fabio Palma
Prefazione all’edizione italiana 13
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE ITALIANA Action Directe non è solo il primo 9a nella storia dell’arrampicata, ma una pietra miliare con cui i climbers di livello mondiale si sono confrontati per rivivere le emozioni che Wolfgang sperimentò per primo quel 6 dicembre 1991. Mentre questa biografia va in ristampa è quello di Adrian Chmiała l’ultimo nome legato alla storia di Action Directe, che aveva dovuto attendere il 9 settembre del 1995 per la prima ripetizione a opera di Alexander Adler. Iker Pou, che il 7 giugno 2000 fu il terzo climber a salire la via, racconta: «Mi ricorderò sempre della salita di Action Directe come una cosa speciale e con tanto affetto. Era il tiro più famoso del mondo ed era stato salito dal maestro Wolfgang Güllich che avevo sempre ammirato. Senza alcun dubbio, Action Directe è uno dei tiri più belli ed emblematici che abbia mai fatto. In quel periodo in giro per il mondo non esistevano tanti tiri di nono grado e tanto meno in Spagna, dove ce n’era solo uno con quel grado proposto. Ero molto giovane e avevo pochi punti di riferimento. Ho fatto tre viaggi in Frankenjura; quasi mi mancavano i soldi per pagare la benzina per il viaggio, però in compenso ero ricco di motivazione, che è stata poi la chiave del mio successo. Alla fine sono riuscito a fare il redpoint del tiro, però sarebbe stato impossibile senza il sostegno e la motivazione di tutti i miei amici e la mia famiglia. Senza ombra di dubbio un capolavoro dell’arrampicata». Il 21 maggio del 2001 è il turno del giovane statunitense Dave Graham, che durante la sua esplorazione dell’Europa non si è fatto mancare questo appuntamento con la storia, trovandolo “non troppo difficile”. Dopo di lui è Christian Bindhammer, il 14 maggio 2003, a poter affermare «Per me Action è davvero una via cult e unica al mondo. Nessun’altra via raggiungerà mai questa importanza. La salita di Action è qualcosa di molto speciale nella mia carriera di arrampicatore. Semplicemente unica!». Nel 2005 sono addirittura tre le ripetizioni registrate in pochi giorni l’una dall’altra. Dopo il britannico Richard Simpson (13 ottobre), è Dai Koyamada (15 ottobre) che arriva dal Giappone a portare il suo tributo d’ammirazione al visionario artefice dell’allenamento specifico per l’alta difficoltà. Solo una Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 14
settimana dopo (22 ottobre) anche il connazionale di Wolfgang, Marcus Bock, risolve i 15 movimenti più duri e trova la sua soluzione per la via. «Quando ho salito Action Directe nel 2006 (il 26 settembre, N.d.R.) – racconta Kilian Fischhuber – il mondo dell’arrampicata era diverso da oggi: Facebook festeggiava il suo primo anniversario e il primo smartphone efficiente non era ancora sul mercato. Così ho appreso la sequenza dai libri, sentendone parlare e da un film di arrampicata su Iker Pou. Il fortissimo spagnolo è stata la terza persona a scalare la via e il suo approccio spensierato mi ha ispirato a provarla. Nel 2006 ero al mio apice nelle competizioni: avevo vinto la Coppa del Mondo Boulder l’anno precedente e avrei continuato a vincere per i successivi tre anni. Grazie alla breve stagione agonistica, sono riuscito ad arrampicare all’aperto per due terzi dell’anno e non ho potuto fare a meno di provare le vie più difficili di quel tempo. Non mi ero allenato specificamente per Action Directe né ho smesso di gustare la cucina tradizionale locale (che può essere pesante) quando mi trovai lì per provarlo. Ma l’ho preso sul serio. Ero molto nervoso quando pensavo al percorso, sognavo le sequenze immaginando prese e condizioni. Quando ho finalmente scalato la via, non mi sono reso subito conto di come mi avesse cambiato; successivamente mi sono dedicato al multipitch e anche al bouldering, ma non riuscivo più concentrarmi su una singola via di arrampicata sportiva. Mentre altri ripetitori hanno continuato a spingere oltre il limite, raggiungendo altri traguardi e nuovi gradi, io no; in qualche modo ne avevo avuto abbastanza, avevo raggiunto il mio obiettivo. Mi piace il mio status quo. Posso ancora arrampicare duramente e godermi percorsi di tutti i gradi, purché non siano troppo difficili…». Se per Kilian Action Directe è stato l’apice, per Adam Ondra è stato sicuramente un momento importante della sua nascente e inarrestabile carriera, fortemente ispirata dallo spirito di intraprendenza dello stesso Wolfgang Güllich. Ecco come ci racconta la sua esperienza: «Action Directe è un mito. Potrebbe non essere la linea più mozzafiato e sorprendente a detta di molti scalatori, ma io l’ho sempre considerata magica: la sua posizione in cima alla collina, parzialmente nascosta nella foresta verde, da cui sporge questa prua estremamente strapiombante e con pochi buchi a disposizione lungo il tracciato… capisco perfettamente perché Wolfgang si sia innamorato di questo posto e di questo percorso. Io lo vidi quando avevo solo sette anni e me ne innamorai subito. Era sicuramente la via che da ragazzino desideravo scalare più di ogni altra al mondo e sapevo che prima o poi sarebbe successo. Prefazione alla seconda edizione italiana 15
Ma, ad essere onesti, avevo paura di provarlo. Con tutto il mito che aleggiava su Action Directe, per diversi anni non ho avuto nemmeno il coraggio di provare a salirlo anche solo per toccare le prese. A dodici anni, dopo aver salito degli 8c ero stato tentato di mettere le mani su questo pezzo di storia, ma poi non ne ho avuto il coraggio. L’ho finalmente trovato a quattordici e fu meraviglioso come mi aspettavo. Appena legato alla corda le mie mani iniziarono a tremare, non riuscii a risolvere il primo lancio, ma il resto dei movimenti erano alla mia portata. Avevo quindici anni (19 maggio 2008) quando sono stato in grado di completare l’ascesa di Action Directe. Ero sopraffatto dalla gioia, ma anche un po’ triste allo stesso tempo: la sfida col mito era finita. Ho provato di nuovo il percorso qualche anno fa e sono rimasto sorpreso da quanto fosse difficile». Sappiamo bene quanto Adam sia stato ispirato da Güllich nel continuare a spingere oltre i limiti, arrivando a regalare all’arrampicata il grado 9c (Silence, Flatanger, Norvegia, 3 settembre 2017). Interessante notare che il suo preparatore atletico è stato proprio Patxi Usobiaga, anche lui tra i ripetitori di Action Directe (24 ottobre 2008). Ecco cosa racconta a proposito della sua esperienza. «Avevo solo undici anni e scalavo da uno, quando arrivò la notizia che Güllich aveva fatto l’ascensione di Action Directe. La mia passione per i miti dell’arrampicata e per i superclimbers come Wolfgang era incontenibile: la notizia che si fosse allenato sulla punta delle dita per salire la via, mi fece sognare fin da bambino di riuscire a sollevarmi con un dito, anche se non avrei mai immaginato di arrivare diciassette anni dopo a scalare questa mitica via che ha segnato un’evoluzione nella storia del nostro sport. A metà ottobre 2008, quando sono riuscito a passare la corda attraverso questa linea storica, in questa bellissima foresta, ho realizzato quanto fosse grande e visionario Wolfgang, con la sua decisione di affrontare e risolvere una linea di questo livello già nei primi anni ’90. Grazie Wogü per aver aperto la strada a tutti noi che siamo venuti dopo». Anche se ormai l’alta difficoltà e il grado massimo si sono spostati dal Frankenjura, il bosco magico e il tiro mitico rimangono nel mirino dei più forti climber del mondo, così anche nel 2010 son ben tre le ripetizioni. Il 17 aprile Gabriele Moroni è il primo italiano a salire questa via e il suo stupore per essersi ritrovato in catena senza troppe difficoltà è immortalato in un video che si trova ancora in rete; il 22 maggio è il turno di un altro esperto boulderista e di competizioni agonistiche, il tedesco Jan Hojer, mentre il 10 ottobre è il polacco Adam Pustelnik a collocarsi con la sua salita tra i climber da nono grado. Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 16
Non sfugge nemmeno Felix Knaub al fascino della storia. «Volevo scalare la prima via al mondo di questo grado, perché è più di una sequenza di movimenti, è una parte della storia. La linea, il contesto e il paesaggio che si gode su Waldkopf sono così speciali da lasciare una traccia indelebile». È lui il 22 ottobre 2011 il dodicesimo climber a raggiungere la catena in continuità. Il 26 marzo del 2012 è un altro forte atleta di Coppa del Mondo Boulder, il russo Rustam Gelmanov, a riuscire nell’impresa. Arriva anche il turno del fenomeno Alex Megos, entrato nella storia per aver salito per primo un 9a a vista (Estado Critico, Siurana, Spagna). «In Frankenjura sono di casa e Action Directe ha sempre avuto un posto molto speciale nel mio cuore. Da bambino il mio obiettivo era quello di raggiungere il giorno in cui sarei stato in grado di salire questa via. Anche se qualche anno più tardi ho capito che avevo raggiunto il livello per scalarla, non l’ho mai provata perché era un percorso mitico e ne avevo troppa stima. Il 3 maggio 2014, riuscire a chiuderlo al terzo tentativo in giornata è stata una delle esperienze più memorabili che abbia mai avuto nella vita. La miglior giornata di arrampicata di sempre». Dopo Alex sono altri due connazionali suoi e di Güllich ad effettuare le ripetizioni del 2015. Il 16 maggio è Felix Neumärker a coronare un sogno: «Da quando sono appassionato di arrampicata, Wolfgang Güllich e la sua biografia sono stati la mia fonte d’ispirazione. Mi sono dedicato a ripetere itinerari che ho conosciuto direttamente dal libro, come La Rose et le vampire, Sautanz, Separate Reality e ho anche fallito su alcuni di essi (Wall Street e Ghettoblaster), per cui salire su Action Directe, il suo capolavoro, è sempre stato un sogno che finalmente ho realizzato». Il 25 giugno è Julius Westphal a comunicare al mondo la sua ripetizione. Il 24 luglio 2016 tocca a Stefano Carnati cogliere i frutti di tanta dedizione e passione. «Correva l’anno 2011 quando all’età di 12 anni, durante il mio primo viaggio in Frankenjura, mi ritrovai ad ammirare dal vivo questa mitica via. Un’infinità di volte avevo guardato video e foto dei climbers che erano riusciti a salirla, imparando a memoria la sequenza dei movimenti per raggiungere la catena, ma essere lì, con la testa rivolta verso l’alto alla ricerca dei possibili appigli, mi diede la misura diretta della sua difficoltà e della lungimiranza di Wolfgang Güllich. Solo dopo qualche anno mi sentii pronto per infilare le dita nei suoi piccoli e dolorosi buchi, allontanando quelle sensazioni di soggezione, rispetto e timore che avevo provato durante la prima visita. Iniziarono così i miei pellegrinaggi a Waldkopf. Ogni breve vacanza portava qualche progresso accompagnato sempre da dubbi e perplessità, Prefazione alla seconda edizione italiana 17
soprattutto legati al fatto che per ogni viaggio fallito, il nuovo tentativo sarebbe capitato solo dopo mesi, in corrispondenza di nuove vacanze scolastiche. Nel 2015 mi trovai a sfiorare l’ultima presa proprio al termine della vacanza e dovetti passare un lungo anno a desiderare quotidianamente di poter tornare e chiudere i conti con Action Directe. Finalmente, nel giugno del 2016 è la volta buona… anche per una meritata fetta di cheesecake di Marta al campeggio di Obertrubach! Passate le prime forti emozioni e lo stordimento del dopo salita, dentro di me rimane ancor oggi l’enorme soddisfazione di aver ripetuto una fra le vie simbolo dell’arrampicata, una via che mai potrà cadere nell’oblio così come il suo magnifico ideatore». Sempre nel 2016, il 29 ottobre, è David Frinenburg, il giovane atleta tedesco, che sfrutta le sue specialità di boulderista per collezionare con Action Directe il suo ottavo 9a. Sicuramente non è stata solo la ricerca del grado che ha spinto il suo connazionale Stephan Vogt a dedicarsi a questo progetto chiuso il 4 aprile 2017. «Scalare Action Directe è stato un sogno per me – racconta Stephan – fin da quando ho posato gli occhi sulla via e ho conosciuto la sua storia, ho voluto salirla. Wolfgang Güllich mi ha ispirato a spingere oltre i miei limiti fisici e mentali. Prepararmi a questo percorso nel corso degli anni non è stato facile; a volte non riuscivo a sopportare lo stress che mi provocava questo confronto con la storia. Mi ricorderò sempre il momento in cui ho passato la corda in catena e raggiunto questo obiettivo tanto agognato. Dopo aver chiuso il tiro visitai Wolfgang e lasciai le mie scarpette e il mio fortunato rinvio sulla sua tomba. Quest’uomo sarà ricordato per sempre!». Al confronto con la storia non si sottrae certo il giovane belga Simon Lorenzi che, il 15 aprile 2017, si aggiunge alla lista dei ripetitori. «Come molti altri climbers sono attratto dai percorsi storici e il primo tiro della storia a meritarsi un certo grado ha un fascino ancor più elevato. Ecco perché nel 2015, dopo aver ripetuto Wall Street, il primo 8c al mondo anch’esso ad opera di Wolfgang Güllich, ho deciso che il passo successivo sarebbe stato Action Directe. Quello che mi colpì di più non era la difficoltà di grado 9a, ma quanto Wolfgang fosse stato un precursore nell’intuire la fattibilità di quei movimenti. Per aprire una via con un lancio così importante nel 1991, quando lo stile era davvero meno atletico e dinamico, dovevi essere davvero un visionario. Inoltre questo tiro ha tutto ciò che serve per farne un must dell’arrampicata outdoor: un bel posto, tranquillo e naturale, roccia fantastica, bei movimenti lungo una linea bellissima e una storia autentica. Ecco perché è e rimarrà uno dei percorsi più famosi al mondo». Sembra essere d’accordo con lui anche l’atleta della squadra svedese Said Belhaj che dopo aver Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 18
salito la via il 28 ottobre 2018 dichiara: «La bellezza della linea e la sua storia sono stati i veri motivi per cui ho voluto salirla. Era come se fosse sempre stata parte della mia vita, fin da quando ho iniziato a scalare». Il 3 novembre del 2018 è nuovamente un italiano, Stefan Scarperi, a trasformare un sogno in realtà. «Non c’è climber che non sogni una volta di provare questa linea, che ai tempi fu rivoluzionaria e cambiò i connotati dell’arrampicata. Per me è stato così». Il polacco Adrian Chmiała riesce nell’impresa il 5 maggio 2019 e, per ora, è l’ultimo ripetitore che ci ha potuto raccontare le sue emozioni. «Ho deciso di scalare Action Directe perché è una via mitica dal carattere esplosivo, con dei movimenti che mi piacevano tantissimo. Quando la provai per la prima volta ero molto emozionato e non riuscii a chiuderla, ma a distanza di un anno mi sentivo forte e pronto per confrontarmi nuovamente con essa. Certo lo stress era molto alto, ma nell’ultimo giorno a disposizione per scalare in Frankenjura sono riuscito a salirla ed è stato bellissimo. Scalare questa via nel 1991 poteva sembrare pura follia ed è per questo che oggi rispetto ancora di più colui che è oramai leggenda: Wofgang Güllich». La storia di Action Directe e del suo visionario apritore continua…
Marco Pandocchi
Prefazione alla seconda edizione italiana 19
Album della famiglia Güllich. Foto: Arch. Güllich
Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 20
UOMINI DAI NERVI D’ACCIAIO (MON)1 A dispetto di Pitagora e Talete, quel giorno solo una frase aveva significato: «Faccio la parete Nord». Il quindicenne studente di scuola superiore seduto nella sesta fila di banchi possedeva un suo proprio sistema di coordinate: la geometria veniva misurata nella scala UIAA, i numeri erano quelli romani e il risultato era l’avventura. La somma dei quadrati gli era piuttosto indifferente, solo le cifre VI/A1 gli interessavano. Nel pomeriggio ci sarebbe stata la prima via di sesto grado. Quella mattina lo studente Wolfgang Güllich era calmo come una freccia incoccata su di un arco teso. Guardava fisso l’orologio come l’incantatore guarda il serpente. La lancetta delle ore aveva passato da poco le undici e quella lunga aveva appena lasciato dietro di sé quindici minuti trascinandosi in modo talmente faticoso da sembra bisognosa di un pace-maker. 1. Nell’originale Männer ohne Nerven, la cui traduzione letterale, Uomini senza nervi, avrebbe in italiano un significato non corretto, NdT.
Uomini dai nervi d’acciaio (MON) 21
Batman (VIII+), Bockturm, 1980. Foto: Reinhard Karl
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OUTSIDERS Come piombo pesano gli ultimi anni settanta sulla Repubblica Federale Tedesca: Rote Armee Fraktion, attacchi terroristici e atteggiamenti inquisitori. Mentre i potenti nell’autunno tedesco di fronte a un gruppetto di terroristi della R.A.F. temevano per la ragion di stato, un’associazione di alpinisti aveva paura di alcuni giovani che praticavano l’arrampicata libera cominciando a contraddire l’etica arrampicatoria tradizionale. Carica di conflitti, l’arrampicata libera si fece strada nella foresta del Palatinato. Gli Uomini dai nervi d’acciaio Wolfgang e Christoph in un primo momento non se ne resero conto pienamente. Negli ultimi mesi dell’anno 1976 si muovevano sempre più sicuri sulle vie di sesto grado. Si trattava di prove tecniche attraverso le quali lentamente, ma costantemente, si spingevano al limite estremo dell’arte di arrampicare di quel tempo. Con la direttissima sull’Heufel i due amici salirono, nell’agosto del 1976, la loro ultima via in artificiale, da superare secondo le vecchie abitudini, con le staffe. Wolfgang trascorse la maggior parte dei successivi quattro mesi, anche quando faceva freddo e nevicava forte, sulle rocce di arenaria del Palatinato. A volte andava da solo ad arrampicare, senza corda. Aveva abbandonato i suoi scarponi da montagna pesanti per delle meraviglie importate dagli Stati Uniti: le EB, scarpette da aderenza che, con le loro suole di gomma lisce, Outsiders 37
SUPERCRACK (5.12+)
Articolo di Wolfgang Güllich, da Alpinismus, settembre 1980 5.12 è il numero magico. Un mito che spinge l’orizzonte delle aspettative verso l’infinito. Trazioni monodito, esercizi alla sbarra fissa e impressionanti dimostrazioni di forza integrate nello sport dell’arrampicata… Pensare a queste cose in modo razionale non è possibile come non è possibile capire l’arrampicata estrema americana senza sperimentarla. L’unico modo per distinguere il mito dalla realtà è andarci di persona. Nell’umidità si alza il sole al mattino a New Palz, 35 gradi all’ombra, manca quasi il fiato. Sudore acre che viene dal caffè del mattino penetra attraverso i pori, spargendosi corrosivo sul dorso delle mani consumate dall’arrampicata. Oggi un ultimo tentativo su Supercrack, pelle e muscoli non vogliono più collaborare. Due giorni di tentativi ostinati per vincere la fessura alta quasi venti metri lasciano i loro segni e danno credibilità all’opinione degli eroi locali che questa è una delle fessure più dure del mondo. Il rispetto e la reticenza che circondano questa salita alzano la sfida a un livello quasi incommensurabile e riducono i Gunks quasi solo a Supercrack. Venti metri strapiombanti su uno dei massicci meno significativi degli Shawangunks. Sono metri ormai circondati dal mito; è il sogno anche per molti americani dall’altra parte del continente. Per noi europei si tratta di un nuovo mondo, incomprensibile in un primo momento e prova della serietà di questa nuova disciplina: l’arrampicata sportiva. Stringere le scarpette, incerottare il dorso delle mani con nastro adesivo, disinfettare le escoriazioni con tintura di benzoina simile allo iodio. Rivedere mentalmente la sequenza di appigli già elaborata, arrampicare fino a essere esausti e calarsi. Da giorni sempre la stessa cosa, monotonia? Certamente no! Lo stile yo-yo praticato qui ai limiti delle possibilità dell’arrampicata richiede il massimo della creatività individuale e si basa sulla ricerca della linea ideale ritagliata su misura. Richiede una rapidissima capacità di scelta delle combinazioni ideali di appigli e appoggi. Incalzati dalle forze che si vanno esaurendo nel tempo. In questo modo si progredisce metro dopo metro e il punto di ritirata viene spinto sempre più in alto. Mettere le protezioni diventa sempre più difficile e ruba le poche forze rimaste. Dopo i circa sei metri del primo giorno, i dodici metri del terzo offrono una tranquillizzante posizione di partenza per quelli che si spera saranno gli ultimi tentativi.
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A sinistra, Supercrack, 5.12c; a destra, Foops, 5.11+. Shawangunks, 1979. Foto: Arch. Güllich
Bianche mani affondano nella fessura strapiombante e, con una serie di appropriate tecniche di incastro e un’astuta sequenza, si riesce ad arrivare fin sotto il tetto. La parte centrale che ieri era costata molti tentativi scorre via velocemente e dà il via libera agli ultimi quattro metri. Le dita con i crampi richiedono decisione, gli avambracci ormai duri come la pietra tremano quando un nut penetra nella fessura e la corda entrando fa scattare il moschettone. Ancora due movimenti e arriva l’inevitabile caduta. La fessura si allontana. Gioia per il tentativo riuscito, per il dolore dei muscoli e per la precisione dei movimenti. Una mezz’ora più tardi un nuovo tentativo: volontà, concentrazione e resistenza raccolgono le loro forze per la vittoria finale. Le sezioni più basse della via scorrono più fluide che nel primo tentativo di oggi. Stressanti cambiamenti di appiglio nella parte finale consumano le forze. Le braccia ormai esauste continuano a tirare. Passando l’ultimo nut afferrano il grande appiglio per l’uscita e il corpo, completamente senza forze, si rovescia sul piccolo terrazzino della cima. Prigioniero della corda ho perfino problemi nello sciogliere il nodo. Sono seduto sotto lo spietato sole di luglio e mi godo lo stato di totale sfinimento. La gioia del successo verrà solo più tardi.
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Nel 1983 l’atmosfera in Verdon peggiorò fino a un punto di rottura, quando lo stile yo-yo praticato dagli americani, da Wolfgang e dagli altri stranieri in particolare non venne riconosciuto dai francesi. Mentre i francesi si esercitavano prima di fare le loro vie, assicurandosi con la corda dall’alto, gli altri iniziavano le vie direttamente dal basso. Senza dubbio lo stile americano (senza perlustrazione preventiva della via e con la corda lasciata all’ultimo punto di caduta raggiunto) non rappresentava una facilitazione paragonato a quello francese, come scrisse Wolfgang in un articolo su una rivista. Il fatto che non venissero riconosciute le sue prestazioni colpì profondamente Güllich, per sua natura incline alla modestia. Il colpo fu duro per un uomo che era piuttosto riservato, non si dava mai delle arie, riconosceva sempre i meriti degli altri. Wolfgang possedeva un notevole senso di giustizia. Nella sua vita di arrampicatore ci furono poche situazioni, forse cinque o sei, che lo toccarono così vivamente. Questo accadeva quando venivano messe in discussione le sue prestazioni di arrampicatore o quando si trattava di grossolane menzogne. In queste situazioni reagiva, contrariamente al suo solito stile, in modo molto emotivo e adirato.
NEL VERDON, VISIBILMENTE AGITATO E ARRABBIATO, eseguì dopo solo un tentativo la prima ascensione di Mission Impossible, un progetto presumibilmente di Patrick Edlinger. Non era certo una mossa che contribuisse a migliorare l’atmosfera. Mentre i francesi diedero il loro riconoscimento alla salita della stessa via eseguita da Fawcett, anche se, come si ricorda Ron, si era riposato su di un chiodo, quella di Wolfgang passò sotto silenzio. Solo uno, raccontò Wolfgang, incominciò a considerare tutta la questione in modo differente: Patrick Edlinger. «Divenne sempre più gentile e mi lasciò un’impressione molto simpatica.» Anche nel Saussois, dove si svolse il secondo incontro della manifestazione, l’atmosfera si raggelava di giorno in giorno, come osservò un cronista. Accanimento crescente, gli ospitanti a un tavolo, gli ospiti a un altro… non restava molto della disinvolta rilassatezza del popolo degli arrampicatori. Venivano contati solo gli insuccessi: ci fu quasi euforia quando Wolfgang in un primo momento fallì sulla via più difficile della zona, Chimpanzodrom. In un articolo Wolfgang descrisse la frustrazione dell’anima, la prese alla larga, filosofeggiò sullo sport in generale e sull’arrampicata in particolare. Sia in questo articolo che in un’intervista sullo stesso tema pubblicata tre mesi più tardi, emerge il Wolfgang razionalista e moralista. Nell’analisi Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 84
Con Ron Fawcett in Saussois, 1983. Foto: Thomas Ballenberger
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Foto: Thomas Ballenberger
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WALL STREET I bianchi puntini di magnesite formavano una linea dritta sulla roccia scura: la via che Wolfgang Güllich fece per la prima volta nell’aprile del 1987 sulla Krottenseer Turm in una zona remota del Frankenjura era difficile, molto difficile. Era ed è ancora una delle vie che ha quotazioni più alte nel «gioco in borsa dell’arrampicata». La chiamò Wall Street e la valutò inizialmente con X+. Per superare la sequenza bouldering con i piccoli buchi per le dita che rappresentavano l’unica possibilità di superare la repellente sporgenza nel quarto superiore della via, il ventisettenne Wolfgang si allenò regolarmente in palestra. Questo centro di allenamento ad alta tecnologia con i suoi pavimenti coperti di morbida moquette, bellezze dalle gambe lunghe, un invitante bar e vista verso l’esterno rimpiazzò la cantina debolmente illuminata di Oberschöllenbach, nella quale la sua motivazione per l’allenamento rischiava di affievolirsi. Nell’angolo più remoto del Campus Center era appeso un grigio e sottile tabellone di legno leggermente strapiombante sul quale erano applicate delle liste di legno di diverse dimensioni. Si trattava di un metodo ideale per migliorare la forza della muscolatura delle dita e delle braccia. Questo attrezzo, relativamente semplice, celava in sé gran parte del segreto della leggendaria forza di dita di Wolfgang. L’allenamento pliometrico: su e giù Wall Street 139
Poi accadde. Wolfgang conduceva la cordata. Cadde e si schiantò su uno spuntone. Nel campo Christof Stiegler medicò la dolorosissima lesione all’articolazione. Settimane dopo, a casa, fu diagnosticata dal medico una lacerazione dei legamenti interni. Nel campo erano tutti abbattuti. Mentre Stiegler scalava con Kurt Albert la cima per la vicina Via degli Jugoslavi, Wolfgang si trovava sdraiato sulla spalla Sud e pensava all’inglese Doug Scott che si era trascinato per giorni, scivolando sulle ginocchia di due gambe rotte, dalla montagna fino al campo base. «Tutto ti passa per la testa. Sogni, desideri, progetti, tutto ciò di cui ti sei occupato per un anno intero. Sei combattuto. Guardi in alto e vedi quella linea fantastica sulla roccia enorme… così vicina ma allo stesso tempo molto lontana a causa di un secondo di distrazione». Christof Stiegler e Milan Sykora dovettero tornare a casa. Kurt Albert e Güllich rimasero lì da soli. «Kurt, il supercompagno, lascia la decisione sul cosa fare ora completamente alla gamba rotta. Gli sono grato che non eserciti nessuna pressione». Decisero di tentare la parte finale. Forse Wolfgang non se n’era mai reso conto quanto in quei giorni: del suo amico Albert poteva fidarsi. Quell’uomo trasse dal fuoco la situazione: guidò tutti i restanti tiri, riuscì a fare fessure di nono grado inferiore a 6000 metri d’altezza, lottò fin quasi allo scoppiare dei polmoni. Wolfgang strinse i denti e divorò intere confezioni di antidolorifici. Dopo giorni di difficilissima arrampicata i due raggiunsero finalmente la cima.
LA VIA ENTRÒ NEGLI ANNALI DELL’ARRAMPICATA HIMALAYANA: XIcon passaggi tecnici A2. Una difficoltà che non conosce eguali sul tetto del mondo. «Non si potrebbe paragonarla alla combinazione della Direttissima sulla Cima Grande di Lavaredo con la Via degli Svizzeri della Cima Ovest? Difatti questo vale solo per l’aspetto puramente tecnico dell’arrampicata». Come freeclimber Güllich, Albert, Stiegler e Sykora avevano posto un nuovo traguardo. Battezzarono la via Eternal Flame, secondo la sdolcinata canzone del gruppo Bangles, e nominarono ogni tiro di corda in base alle strofe della canzone. «In momenti come questi nel campo si sviluppa un legame molto forte con certe canzoni… Noi ci muoviamo sull’onda erotico-sentimentale dei Bangles. Eternal Flame descrive esattamente il nostro stato d’animo», scrisse Wolfgang. In quasi tutte le fasi della sua esistenza fu molto legato a determinate canzoni, tanto che anche queste potrebbero essere utilizzate come principio secondo cui suddividere la sua vita. L’anno precedente, Trango 1988, fu Too Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 170
Karakorum, 1989. Foto: Kurt Albert
Spedizioni 171
Su Action Directe, Frankenjura, 1991. Foto: Gerd Heidorn
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ACTION DIRECTE Tra due enormi forchettate di tortellini nel ristorante italiano Wolfgang mise a nudo i propri sentimenti: «È lei quella giusta!» Masticava con gli occhi che brillavano. Era così sicuro che c’era quasi da supporre che fosse venuto a trovare me e Doris a Stoccarda solo per liberarsi di queste parole. L’aveva vista per caso nel novembre del 1990 durante le gare di Norimberga, mentre faceva cenno a un amico e lei si era trovata nel suo campo visivo. Alcuni giorni più tardi l’avvistò di nuovo nel centro di allenamento Campus. «Come si parla a una donna, senza che sembri un abbordaggio?» Chiedeva consigli strategici femminili a Doris per telefono, in occasione di una festa nel Campus durante la quale sperava nella sua presenza. Poi in quel giorno eccola al Center: Annette Faverey, 26 anni, di professione infermiera. Wolfgang me la descrisse in modo così entusiastico, come se per lui il concetto di bellezza non fosse mai esistito prima: «Incredibilmente bella, con uno sguardo morbido come la seta, dei grandi occhi verdi, con una bocca fantastica e capelli ricci e lunghi». Quando i loro sguardi si incontrarono le sorrise insicuro da una parte all’altra della stanza, poi afferrò stretto il suo bicchiere di vino e puntò direttamente su di lei senza guardare né a destra né a sinistra. In modo malsicuro e legnoso arrivarono le sue prime parole, ma poi chiacchierarono per ore e si dimenticarono di tutto quello che Action Directe 183
Wolfgang dirige la BMW verso l’autostrada in direzione di Norimberga. Guida veloce, ha fretta di arrivare a casa. Il paesaggio scorre, la macchina scivola leggera sull’asfalto liscio. Poco prima di Ingolstadt Wolfgang supera una Golf bianca. Il guidatore della Golf si chiede stupito come mai la BMW scura davanti a lui vada in modo continuo alla deriva lateralmente oltre le due corsie di destra. Dal rapporto della Polizia: «Sabato, 29.08.1992 alle ore 7.50 sulla BAB 9, al chilometro 463,6 in direzione di Norimberga, per una causa ancora non chiarita una BMW scura è fuoriuscita dalla corsia di destra. Nell’uscire dalla carreggiata ha urtato con la ruota sinistra contro la parte bassa del guardrail, ha poi proseguito per circa 100 metri in diagonale lungo la scarpata travolgendo la recinzione che circonda un bacino di raccolta di acqua piovana e andando a sbattere contro il bordo obliquo del bacino. Il guidatore incastrato nella macchina venne estratto da una squadra di soccorso dopo aver tagliato le lamiere alle 8.23 e portato con un elicottero direttamente in clinica. Si suppone che il guidatore si sia addormentato per stanchezza». Tre ore più tardi Annette si precipita in clinica con Ute Sandner. Sale di corsa la scala che porta al reparto rianimazione dell’ospedale di Ingolstadt. Il medico dichiara, con sobrio distacco, che Wolfgang non ha possibilità di sopravvivere a causa delle ferite alla testa e che la morte cerebrale era già sopravvenuta al momento dell’incidente. Con un profondo e lancinante dolore dentro di sé e il cuore come stretto in una morsa Annette sta in piedi, stringendo la sua mano, davanti al letto della clinica nel quale Wolfgang giace privo di conoscenza e tenuto in vita dalle macchine. Proprio nel momento in cui stiamo entrando nell’appartamento di Thomas, Annette telefona. Nel pomeriggio arriva Norbert Bätz. Siamo seduti nell’appartamento e fissiamo nel vuoto aspettando. Ogni secondo pesa come il piombo. In ospedale arrivano i genitori di Wolfgang, Norbert Sandner e Peter Dittrich. Annette, Norbert e Peter passano la notte al suo capezzale. Gli parlano a voce bassa con lamentosa speranza. Quando domenica ci rechiamo in clinica, Annette e gli altri lasciano la rianimazione perché i medici hanno dichiarato che il suo stato non cambierà. La sera incontriamo Annette da Peter. Guardiamo l’orizzonte oltre le colline del Frankenjura dietro le quali il sole, molto lentamente, tramonta. Lunedì mattina, il 31 agosto, Thomas e io facciamo questo viaggio che Tilmann Hepp WOLFGANG GÜLLICH. ACTION DIRECTE 212
sembra eterno verso Ingolstadt. L’aria è incredibilmente chiara. Si è fatto freddo. Dal nord soffia un vento fresco sui campi dove sono già passati i mietitori. Annette è in clinica, con lei ci sono i suoi genitori e Peter. Alle 9.55 i medici hanno staccato le apparecchiature. Wolfgang è morto. Siamo in piedi nel parcheggio. Il vento scuote appena gli alberi. Si è fatto autunno, il tempo si è fermato e lo spazio che ci circonda non conta più nulla. Riportiamo con noi Annette a Norimberga. Il suo corpo si muove e la sua anima le cammina accanto. Il motore è silenzioso e la macchina percorre le strade. I nostri sguardi attraversano i vetri dell’auto; scorre una pellicola, è vuota e non capiamo. Vediamo macchine che sfrecciano di fianco a noi. Non è chiaro dove vadano e nessuno sa perché facciano questo. Nel cielo autunnale le nuvole fuggono oltre le colline e si accumulano all’orizzonte come in uno strano gioco. I giorni passano come in trance, interrotti dalla sobrietà meccanica di quello che bisogna organizzare. Viene il giorno della cremazione. Siamo quasi sollevati perché abbiamo la sensazione che ora Wolfgang sia libero e possa di nuovo seguire nuove mete; lo speriamo. Otto giorni dopo i resti mortali di Wolfgang vengono deposti nel cimitero di Obertrubach, nel cuore del suo amato Frankenjura. In chiesa viene suonato uno dei pezzi preferiti da Wolfgang, Riders on the Storm dei Doors. Jim Morrison canta: «…the world on you depends, life will never end…». Nei banchi siedono innumerevoli amici. Si risvegliano i ricordi. Parla Jerry Moffat. Dice: «Siamo venuti per festeggiare la vita di Wolfgang; sono felice di averlo conosciuto e so che ci divertiremo ancora molto sulle sue vie. Mi si affollano nella mente le parole di Wolfgang quando diceva di essere grato del fatto di aver vissuto una vita così piena». Annette dice alla sera che pregusta i dolci giorni d’autunno sulle rocce. Non vede l’ora di arrampicare. In quei punti nei quali lei non riuscirà a passare, sentirà una voce che le suggerirà quali appigli usare. Lei seguirà i suggerimenti, oppure no. Poi andremo a berci comodamente un caffè perché questo è parte integrante dell’arrampicata!
LE PAROLE DI JERRY «Mi scuso perché non so parlare tedesco. Cercherò di parlare lentamente e spero che mi possiate capire. Life Will Never End 213
«Tu vedi delle cose e ti chiedi perché? Ma io sogno di cose che non ci sono mai state, e che forse non ci saranno mai, e dico: perche no?!». Wolfgang Güllich
«Con tutto il mito che aleggiava su Action Directe, per diversi anni non ho avuto nemmeno il coraggio di provare a salirla anche solo per toccare le prese». Adam Ondra
ISBN 978 88 85475 762
€ 19,90