2 minute read
Editoriale
Gdo, chi si ferma è perduto
Dopo un anno esatto di pandemia l’azienda Italia tira le somme. Il Prodotto interno lordo nel 2020 è calato dell’8,8%, dice l’Istat. Sono circa 160 miliardi di euro in meno rispetto al 2019. Vuol dire che ognuno di noi ha «perso» 2.600 euro di Pil. Se tutto va bene nel 2021 la ricchezza nazionale risalirà (forse) del 3-4%. L’onda lunga del virus continua a penalizzare fortemente il fuori casa portando indirettamente vantaggio alla grande distribuzione, il cui saldo dell’anno scorso (pari a circa +10%) è stato inatteso per le proporzioni. Eppure, in Italia ci sono ancora troppi retailer che soffrono. È di pochi giorni fa la notizia dell’abbandono delle Marche da parte di Carrefour. Il nuovo ceo Christophe Rabatel ha infatti deciso la chiusura dell’iper di Camerano il prossimo 31 marzo forse pressato da una situazione estremamente difficile della controllata francese che solo nel 2020 ha perso ricavi per 384 milioni. Altro tema caldo ai recenti onori delle cronache è il nodo della vertenza L’Alco. La trattativa per la cessione della catena retail rimane in alto mare, gli stipendi e gli arretrati non vengono pagati ma non solo: la crisi di liquidità è talmente pesante da avere ricadute anche sul credito dei fornitori. Da oltre un anno, periodicamente, c’è carenza di merce esposta sugli scaffali. Ultima ma non ultima la crisi di Coop Alleanza 3.0 che perdura da tempo e nonostante gli innumerevoli sforzi non riesce a risollevarsi. Questi tre esempi ci portano inevitabilmente a pensare che i conti non tornano. Tuttavia, questa non è l’unica “anomalia” che caratterizza il quadro attuale della distribuzione italiana. Anche i retailer che apparentemente godono di buona salute non possono adagiarsi sugli allori perché costretti ad adeguarsi a una realtà in veloce mutazione. La sfida di Esselunga sul negozio di vicinato docet: si tratta di un business molto diverso da quello del superstore con alti costi e logiche peculiari, stando alle dichiarazioni stesse dell’azienda “nato per rispondere alle nuove abitudini di acquisto e soddisfare le esigenze di consumo istantaneo e di una spesa quotidiana”. E infine c’è l’ecommerce. Corollario di questo anno di forte restrizione personale è stata l’esplosione del commercio elettronico alimentare. Una vera scoperta per moltissimi italiani, più abituati a utilizzare i servizi di food delivery che non la spesa online, tanto che le stesse piattaforme si sono rivelate assolutamente insufficienti a gestire la crescita della domanda per mancanza di una infrastruttura tecnologica e logistica adeguata. La scelta di investire e puntare su questo canale, prima opzionale e calmierata, è diventata obbligata. Peccato che al momento molti retailer ci perdono. Tirando le somme il rapido mutamento di scenario post Covid ha reso ancora più accesa la competizione nel comparto distributivo, rischiando di acuire le differenze tra format e player in termini di prospettive di sviluppo e performance finanziarie.
Stefania Lorusso, Direttrice Editoriale DM