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Marketing sopra le righe
SOCIETÀ, CONSUMI E PUBBLICITÀ. IL PENSIERO DI GIAMPAOLO FABRIS A CURA DI: MARIA ANGELA POLESANA EDITORE: FRANCO ANGELI (2021)}
Inizio questa rubrica con una considerazione che viene da un recentissimo convegno (“La spesa e gli Italiani”, GS1 Italy - McKinsey - Ipsos) sui consumatori e i loro comportamenti: ognuno di noi, a seconda del prodotto, del momento e del luogo dell’acquisto, reagisce agli stimoli che riceve in modo specifico e peculiare. Non siamo monoliti dell’acquisto e, proprio per questo, i modelli distributivi richiedono adattamento.
Questa considerazione mi ha riportata a quanto ospitato nel libro che oggi sarà la nostra guida e che racchiude in 125 densissime pagine un omaggio a dieci anni dalla scomparsa di Giampaolo Fabris: “Società, consumi e pubblicità. Il pensiero di Giampaolo Fabris”. Nel contributo di Vanni Codeluppi viene ripreso il concetto di meeting point (E. di Nallo, 1998) intesi come bolle in grado di rappresentare stili di consumo (non stili di vita!) in cui le persone entrano, sostano per un certo periodo e poi escono. Ogni persona, attraverso una caratteristica di mistica derivazione, può fare parte di più bolle contemporaneamente, oppure sostare in una soltanto.
Il libro ospita al suo interno anche un altro articolo che mi ha colpita per attualità e profondità di analisi, pur prendendo origine da testi di anni di epoche “pre”. Il terzo capitolo, scritto da Ariela Mortara, ospita un viaggio nel tempo estremamente critico del significato del consumo e del verbo che ne deriva. Se è vero, infatti, che viviamo tutt’oggi in un’epoca del trionfo dell’informazione e del protagonismo assoluto di cui i social hanno buona responsabilità, è vero che è dal 1995 che si parla di “consumatore ingestibile” (Gabriel Y. Lang T.), mosso da idee che si traducono in ideali a volte contrastanti, quasi che l’informazione, se troppa, potesse dare origine a un buco nero dell’azione, bloccandone spinta e significato. Il consumatore non è più dunque una persona che desidera, compra e consuma, ma è sempre di più un individuo che sceglie ed eventualmente acquista, riconoscendo al prodotto un valore che va talvolta oltre la dimensione economica. Con buona pace di Chuck Palaniuk che in “Fight Club” ci avverte che a volte sono proprio le cose a possederci.
Ese nel 2022 sono prezzo, sicurezza e semplicità i nuovi pilastri su cui costruire la nuova esperienza di acquisto, credo che sia tempo di parlare di persone, prima ancora che di consumatori. Se infatti il termine “consumatore” è legato a concetti di utilizzo e logorio, parlare di “persone” significa mettere al centro quell’individualità a cui si anela ma che è così difficile da realizzare. Gli anni che abbiamo vissuto esprimono accelerazione più che cambiamento ed è sempre più cruciale capire come le persone e le imprese hanno deciso di rispondere alla realtà e quali nuovi utilizzi sono stati in grado di immaginare per gli strumenti a loro disposizione. La lettura dei comportamenti è solo l’inizio. Solo la forza di evoluzione delle organizzazioni sarà in grado di declinare i tradizionali strumenti di industria e distribuzione secondo la necessità di rispondere ai nuovi equilibri che caratterizzano le persone che entrano nei punti vendita.
La conoscenza genera strategia! Se il presente è un tempo in continua mutazione, è dall’analisi continua che viene la declinazione di una chiave di lettura e chi per primo riuscirà a decodificarne le caratteristiche potrà godere di un vantaggio competitivo importante. Con una complicazione. La lettura non si improvvisa. Leggere il presente è paradossalmente un’attività che parte dal passato e che ha bisogno di mettere le fondamenta in analisi che si muovono negli anni. L’emergenza lascia senza risposte, o con risposte frammentate, solo se la strategia manca di retrospettiva.
La capacità di risposta al tempo incerto che vede le discontinuità accadere ad una distanza sempre più ravvicinata non viene dall’improvvisazione, quanto più dall’anticipazione. Il futuro è legato al presente. Ma prende la spinta dal passato. La conoscenza entra nella cultura aziendale solo se quest’ultima è in grado di mostrarsi aperta al cambiamento attraverso l’attrazione di nuovi talenti, dando vita a quell’innovazione aperta che parte dalle persone, e alle persone, in definitiva, arriva.
Elisa Fabbi, Università di Modena e Reggio Emilia