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Valerio Carbone * LA CONFUSIONE CHIARA * capitolo promo * I
Una mattina C., destandosi da sogni inquieti, si scopre divisa in due persone. Distese una sopra l’altra nel loro letto minuscolo, entrambe avvertono subito uno strano calore. “Che cosa è accaduto?”, ragiona la prima, puntando un piede nel fianco dell’altra, che grida in preda al terrore. Ognuna, a malincuore, si accorge che non si tratta soltanto di un brutto sogno. – Occorre capire cos’è successo. – fa C. al suo clone, iniziando a disquisire riguardo alle possibili cause di quello strano effetto. – L’importante è che non ci manchi nulla! – controllandosi la faccia, le mani, i polsi, le braccia, il resto. Sua madre, avendola dapprima sentita gridare, si avvicina lesta alla stanza. Per fortuna non entra, bussa con veemenza alla porta: – C., che succede, – con voce gracchiante, – va tutto bene? 1
C. è affannata, annaspa tra le lacrime; l’altra le tappa immediatamente la bocca con un gesto guardingo: – Ho fatto solo un brutto sogno! – aspetta che la mamma si allontani. Si rivolge sussurrando alla più emotiva: – Smetti di piangere, dobbiamo studiare un piano d’azione. Tu preparati, scendi a fare colazione, vai pure a scuola. Fai finta che non sia successo nulla. Quando la casa sarà vuota uscirò a mia volta: scoprirò la causa di questa mitosi, ci vedremo stasera e avrò trovato la soluzione. Ciò detto, con fare saccente, libera finalmente la bocca dell’altra e la esorta a compiere il proprio dovere. *** Trattenendo a stento le lacrime, C. comincia a prepararsi per la scuola. Si lava veloce, si veste distratta, prende gli occhiali poggiati sul comodino. Scende dalle scale verso la cucina, mangia silenziosamente, cercando, per quanto è in suo potere, di nascondere il suo enorme sgomento. Non ci riesce. – Cos’hai, perché quella faccia? – sua madre è fin troppo indiscreta, la conosce a menadito, praticamente da una vita. – Ho fatto solo un brutto sogno – ripete poco convinta. Riceve un’occhiata più severa: – È per via di quel filosofo, non è vero? – parla del 2
ragazzo che C. ha frequentato negli ultimi tempi, non le è mai piaciuto. Adesso che si sono finalmente lasciati non può che tirare un grosso sospiro di sollievo. – Ti manca tanto, tesoro? – con voce melensa. C. non risponde soltanto perché non sa cosa dire. In effetti avverte una certa nostalgia nei confronti di quel ragazzo, un dolore decisamente più grande rispetto alla sera prima. È come se non riuscisse a spiegarsi il perché di quel rimpianto. Sua madre, di certo, non può cogliere il senso di tanta confusione, né arrivare a immaginarsi cosa sia accaduto a C., si limita a biasimarla: – Venerdì ti porto da una psicologa. – ogni madre sa sempre cosa è giusto per la propria figlia. – Sistemati la faccia, legati i capelli, indossa un’altra maglia. Hai preparato l’interrogazione di storia? – un’espressione poco convinta. – Sbrigati che è tardi! C. inghiotte il suo latte, mangiucchia dei biscotti insipidi e incolori. Sua madre l’accompagna fino a scuola. *** C. ha atteso che la casa si svuotasse. Adesso sa che il suo clone è ormai a scuola e che sua madre ha raggiunto il lavoro. Fa ancora fresco, sono quasi le nove. Ha ammazzato tutto quel tempo nascosta in bagno, in silenzio, studiando un libro sul campo unificato in cerca forse di 3
un’ispirazione. “Ci dovrà pur essere una costante che mi permetta di capire, – ragiona audacemente, – una variabile che spieghi il perché di questa scissione!”. Arriva a pensare d’essere incappata in uno strano campo gravitazionale. Prepara il suo zainetto da scout, lo riempie di bussole e di arnesi, ricerca un vecchio paio d’occhiali, – che quelli abituali li ha C. con sé, – esce da casa senza farsi scorgere dai troppi vicini indiscreti. Si dirige allo studio del suo ex-ragazzo, che l’aveva lasciata giusto la sera prima per metterla alla prova. Un poeta-filosofo-cantautore. – Scusa se sono venuta, – gli dice senza trasporto, – ma questa mattina mi è successa una cosa davvero incredibile. Una parte di me mi ha lasciato e io non potevo che venire fin qui, di corsa, per rivederti… Il filosofo, pensando a un’ardita metafora, e credendo soprattutto d’aver finalmente fatto breccia nel suo piccolissimo cuore, quasi piange dalla contentezza: – Genietto dolce, la notte ti ha portato consiglio! Sono felice che tu abbia preso la strada giusta, sono felice che tu abbia scelto questo regime di verità! – tenta allora di abbracciarla ma C. lo scosta senza indugio. Gli si avvicina donandogli soltanto un piccolo bacio a stampo sulle labbra. Il ragazzo rimane interdetto da tanta freddezza. – Questa mattina mi sono svegliata ma non ero da 4
sola, – continua a spiegare, – c’era un’altra C. accanto a me nel letto. Cosa credi sia capitato? Qual è stata la causa che ha comportato un così spiacevole effetto? Il ragazzo si gratta la barba, e da gran filosofo qual è, comincia ad analizzare le parole della sua giovane compagna senza però prenderle troppo sul serio. Conduce argomentazioni forbite riguardo alle quattro cause aristoteliche: – Nel tuo caso c’è da considerare innanzitutto una causa formale: prima eri una e adesso siete in due. La materia è del resto immutata, – ragiona, – poiché entrambe conservate la medesima consistenza. Anche la maniera della scissione rimane comunque ignota: sappiamo soltanto che è successo durante la notte, per colpa di qualche incubo indiscreto. Residui diurni e ricordi infantili fanno scherzi davvero crudeli! – le sorride devoto. – Ma è l’ultima causa quella più importante, quella che rivela il suo fine ultimo: perché è mai accaduto? A giudicare però dall’effetto, – e si riferisce al fatto di riaverla accanto, – non saprei cosa dire: non posso che apprezzare il segreto di una tale teleologia! C. ascolta attentamente le parole del suo filosofo (come in fondo ha sempre fatto), non trovando però in quelle suggestioni tanto ruffiane alcuna spiegazione opportuna a sbrogliare la matassa. Continua comunque a domandargli riguardo ai suoi dubbi, pur dimostrandosi meno disposta rispetto al solito a pendere dalle sue labbra. 5
– Sembri quasi non credermi! – pare essersi indispettita. Il filosofo tenta di stemperare quell’astrusa tensione. “Sarà soltanto nervosa, – pensa, – è contenta di vedermi? Che strano modo, certo, di palesare affetto!”. Così fa di nuovo per abbracciarla ma C. respinge per la seconda volta quell’insopportabile gesto. – Parliamo di cose serie, piuttosto, – alza addirittura la voce, – cerchiamo di scoprire la verità che si nasconde dietro questa strana evidenza! Il filosofo è turbato da queste parole. In fondo è un autentico nichilista: acuto, di larghe vedute, un pensatore d’avanguardia. Amante del dubbio e della materia. Ha sempre creduto soltanto nelle esperienze, nella relatività di qualsivoglia valore, finanche nella sperimentazione linguistica. Ha sempre apprezzato, fin da bambino, la dottrina fenomenologica, e pur ammirando il concetto di “atomo”, preferisce ancora adesso di gran lunga la teoria della “monade”. Con il trascorrere degli anni è così diventato un esperto conoscitore dell’antropologia strutturale, tanto da potersi vantare con gli amici di saper intuire quel segreto che si nasconde dietro all’armonia prestabilita. Insomma il filosofo è uno di quegli uomini che riescono benissimo a sopportare l’amor fati e persino la morte tragica di Dio, ma che non sostengono il peso straniante di una logica basata soltanto sull’evidenza. – Oggi sei fredda come un frigorifero, – interrompe 6
il suo zelo, seccato, – ti rifai alla logica e cerchi risposte che io non so darti. Ricorda: tu ed io siamo due monadi, e per questo non abbiamo finestre. Deleuze, Guattari! – impreca umiliato. – Non sai che soltanto il nostro desiderio e la nostra curiosità possono salvarci dai sillogismi? – …ma dove può condurci un tale atteggiamento? – C. lo zittisce, pedante, sembra recitare una strana supplica. – Come potrò mai capire in questo modo la causa che ha determinato un così crudele effetto? – È la ricerca il fine in sé! – categorico come un imperativo. – L’evidenza è soltanto un dispositivo snaturante. La causa e l’effetto rimandano necessariamente l’una all’altro: la conoscenza è una questione di rappresentazione. – gesticola mentre parla. – Ogni rappresentazione è punto di vista, sguardo prospettico, raffigurazione… C. non lo ascolta sino in fondo. Si risente per quei modi bruschi e supponenti, non può proprio convincersi delle parole del suo filosofo: – Non riesco neppure a controbattere per quanto sono offesa. Non so perché ti lascio fare, perché ti permetta di alzare così la voce! – se fosse ancora capace di amarlo capirebbe che il loro amore si trova proprio sul punto di collassare. Il filosofo, tuttavia, non smette di sbraitarle contro le sue dottrine: 7
– Ogni cosa è soggetta a divenire, ma non ti ho insegnato niente? Ogni cosa è soggetta a divenire, – ripete, – così anche la tua essenza: ieri era una, oggi è molteplice! – infine si lascia andare, piangendo di rabbia. – Ma perché non mi ami? Dopo tutto quello che c’è stato… – le grida addosso il suo dolore. – Non lo sai che anche due particelle, una volta condiviso uno stesso spazio quantico, pur distaccandosi rimangono per sempre legate? C. non risponde, neppure a quell’ultima sollecitazione; lo guarda male, pensa al peso delle sue parole. Il filosofo, allora, infastidito da tanta assurda insofferenza nei suoi riguardi, e straziato da quell’atteggiamento oltremodo battagliero e reticente, la scaccia lontano da sé. Aspetta però una reazione che la ragazza comunque non gli concede. C., piuttosto, accoglie serena il suo invito, gli sorride, lo saluta, si allontana come se nulla stesse accadendo. Se ne va via com’era venuta, non riuscendo neppure a immaginare quanto straniante dolore abbia creato, in così poco tempo, nel cuore tenero di quel giovane filosofo. *** Le ore a scuola passano più lentamente del solito, la noia delle lezioni ottenebra qualsiasi pensiero e sotterra persino la sua enorme paura. Nonostante tutti gli sfor8
zi, difatti, C. non riesce a concentrarsi: non è loquace e strafottente come al solito, non trova neppure interesse nell’ora di fisica, abitualmente tanto stimolante. – Oggi non sembri tu – è suonata la ricreazione, si avvicina Andrea, uno dei tanti compagni che C. non è mai riuscita a sopportare. Stranamente, questa volta, non avverte l’insano bisogno di scacciarlo, né di fare battutine taglienti riguardo alla sua manifesta stupidità (morale-neurologica-psicofisica). Lui lo nota: – Per la prima volta dopo quattro anni non mi hai preso in giro, – si fa sorridente, – ma non passi la ricreazione a parlare di equazioni con il professore? C. non ne ha voglia: – Mi dispiace averti preso in giro in questi anni, – avverte un magone inaudito, – in realtà mi sei anche simpatico! – fa spallucce. Andrea la ringrazia per quell’inaspettato complimento e la invita a passare l’intervallo insieme. C. accetta. – Non mi consideri più uno stupido quindi? – attende una nuova conferma. – Soltanto ieri hai consigliato alla prof di bocciarmi! C. non sa bene come rispondergli, in effetti ieri aveva proprio esagerato. Così farfuglia qualche parola, tentennante. Andrea coglie in quell’imbranata cordialità la garanzia che cercava: 9
– Andiamo dai! – la dissuade da ogni imbarazzo. – Oggi pomeriggio esco con la comitiva, – rilancia, – invece di studiare, per una volta, perché non vieni con noi? C. è colta di sorpresa, sa che dovrebbe avere testa e cuore rivolti ancora al “suo” filosofo. Non riesce a farsene una colpa: trova Andrea particolarmente carino e quella sua proposta inspiegabilmente allettante. – Penso proprio che verrò, – gli sorride furbetta, – oggi non mi va di studiare! Così detto cinge nella sua mano quella di Andrea e insieme si dirigono finalmente verso il bar della scuola. *** Lasciata la casa del filosofo, C. arriva alla biblioteca comunale in cerca di nuove tesi per la sua inchiesta. Sebbene l’abbia ammorbata con lagne e parole sdolcinate, C. è comunque contenta che lui faccia parte della sua esistenza: in effetti ha sempre trovato interessanti gli infiniti spunti e i preziosi consigli che il ragazzo era solito darle. Così sfoglia curiosa un libro sulla psicoanalisi, prende appunti sul buddhismo, sulla teoria degli astri, sulla metempsicosi, noleggia un testo di filosofia trascendentale. Avvolta in quelle letture complicate, C. ripensa nuovamente al suo filosofo: non mette in dubbio l’acu10
me del suo pensiero, né che i suoi ragionamenti siano raffinati. Eppure si rende conto che l’affetto nei suoi riguardi è scomparso. “Non comprendo perché dica ancora di amarmi…”, è persino infastidita da una simile evidenza. Poi ripensa alle sue ultime parole, “Due particelle rimangono per sempre legate”, e naturalmente le riconduce a sé, sino a convincersi che con quell’espressione il suo filosofo avesse semplicemente voluto indicarle la via per ricomporre il segreto della sua stramba condizione. “Cos’è che mi lega ancora a me stessa?”, cerca una soluzione. Continua a leggere, a prendere appunti, a sfogliare libri e a darsi da fare. Si lega i capelli alla nuca, sistema i suoi occhialetti da secchiona. Rimane lì dentro fino all’orario di chiusura.
*** Sono le quattro del pomeriggio, fa piuttosto caldo, C. e Andrea raggiungono la comitiva. Tuttavia quando gli altri la vedono, sembrano non credere ai propri occhi: “È C.”, borbottano. Alcuni sono addirittura contrariati: “Cosa vorrà da noi quella stronzetta? Ha sempre detto che siamo degli stupidi, che puzziamo come capre!”. Ma la ragazza si presenta con un sorriso talmente cordiale da fugare presto ogni an11
tipatia. A diciassette anni basta un nulla per dichiararsi amici per la pelle o acerrimi nemici. Il pomeriggio passa veloce: i ragazzi giocano a pallone, tirano calci, alternano urla, rutti e bestemmie. Le ragazze, civettuole e divertite, rimangono a guardare. Siedono sugli spalti, tutte impomatate, agghindate per piacere. Anche C., per la prima volta dopo quattro anni, si è adornata con una certa premura, mettendo addirittura le lenti a contatto. – Ehi, dove hai lasciato i tuoi occhialetti da topo? – le chiede Flavio suscitando l’ironia di tutti. C., invece di arrabbiarsi, ridacchia divertita. Guarda la partita esattamente come le altre, incita Andrea, – il suo favorito, – e quando alla fine della “tenzone” il ragazzo, uscendo dal campo, le viene incontro tutto sudato, lei non riesce a far altro che abbracciarlo con trasporto e allegria. Soltanto un giorno prima avrebbe ricusato tutto quel puzzo con un gesto di supponente diniego! Qualche minuto più tardi Andrea finisce addirittura per baciarla e per C. è un’emozione inaudita. Per la prima volta nessun pensiero importante appesantisce il suo cuore. Tornando a casa mano nella mano con il suo nuovo bellissimo ragazzo, incrocia il caro filosofo piangente. – C.! – la chiama. – C.! – ripete. Lei non risponde. – Tesoro, come puoi farmi questo, – recita disperato 12
quel lamento, come se si trovasse di fronte a un’incredibile antinomia, – dopo quello che ho fatto per te, dopo tutto quello che c’è stato fra noi! – agita le mani davanti alla faccia. C. è imbarazzata, lo guarda senza voce, mentre quello continua a lagnarsi riguardo a canti di Dioniso e satiri danzanti. La ragazza, pur non capendo il senso profondo di quelle parole, rompe il ghiaccio del suo animo. Vede le lacrime di quel poeta e ne rimane colpita. Sa che fino a un giorno prima ne era affezionata, eppure non riesce a scorgerne il motivo. Trova i suoi modi insopportabili e le sue espressioni di una complessità indecifrabile. – Filosofo, – gli dice, – io non so cos’è che ci ha unito, né riesco più a comprendere tutto quello che c’è stato. Ma ricordo d’aver passato dei giorni meravigliosi insieme a te – scoppia in lacrime, vorrebbe quasi abbracciarlo. Rapito dal candore di quella piccola confessione, – dopo tanto tempo la ragazza gli stava concedendo un verbo di tenerezza, seppure amaro, – il filosofo scioglie il suo animo in una profonda catarsi. Accetta il suo destino, stoicamente, rigettando il suo spirito nell’abisso. Piange ancora più forte, malinconico. C. è scioccata, impietosita, non può far altro: lo abbraccia teneramente per qualche minuto, piange insieme a lui. 13
*** Dalla metafisica passa alla biologia: dopo aver visionato i testi astratti dei più grandi filosofi, C. capisce che per dirimere la sua inchiesta non può che indirizzarsi verso qualcosa di più concreto. Benché si sia ormai fatta sera, decide lo stesso, prima di ritornare a mani vuote da se stessa, di rivolgersi a suo vecchio professore di fisica, sperando che almeno lui, al contrario del poeta filosofo, possa credere all’assurdità di quella storia. Così si presenta a casa del più stimato professore di fisica del liceo, Antonio Schrödinger, che la rassicura prontamente: – Credo sia soltanto una questione di cellule, – esordisce carezzando una scatola piena, – ricongiungere il citoplasma A alla stessa matrice genomica di B. Basterà soltanto trovare un buon chirurgo che sappia condurre questa operazione… C. lo ascolta con sguardo vivo, apprezzando l’immensa lucidità di quella semplice sollecitazione. – Uno più uno dà sempre due. Nel tuo caso dovrà dare l’intero di una medesima unità! – sospira raggiante. – La matematica, del resto, è l’unica scienza esatta. È l’unica verità insindacabile entro cui si costruisce qualsiasi assunto logico. Se vuoi trovare una soluzione reale per un problema reale non puoi rivolgerti alla relatività della filosofia, né dare credito a chi ti parla 14
di superstizioni, illusioni, fantasie. 1 + 1 = 2 – ripete compiacendosi. – y = x (sinθ) + y (cosθ)? – Esatto, √ (x + y)2! – E2 = c2 (p2 + m20 c2). – {[(x + y)2 (x – y)2]+ dk}A(k)ei(kr – t). C. è finalmente rincuorata, sente di poter risolvere, alla stregua di un’equazione, qualsivoglia problema incontrerà nella vita. Le chiare attestazioni di Schrödinger, del resto, sono ben più colte delle inutili lagne del filosofo. Ora C. può tornare dal suo clone e rassicurarlo che, tempo un altro giorno, risolverà quell’assurda faccenda, ricombinando in men che non si dica le proprio coordinate quadridimensionali. Lo spaziotempo sarà ricomposto. – Non ha proprio senso chiedersi il perché delle cose, – rimugina tra sé e sé, – occorre sempre domandarsi come. Proprio in quell’istante, però, C. avverte la mano di qualcuno bussarle alle spalle. Si volta contrariata, ritrova C. di fronte ai suoi occhi. – Che ci fai qui? – le chiede. – Non dovevi rimanere in casa a studiare e a fare i compiti? Domani abbiamo l’interrogazione di biologia. – Appunto, – severa, – avevamo deciso che tu avresti studiato e che io mi sarei concentrata a ricercare la causa di questo strano effetto! 15
C. rimane sgomenta. – Invece si era deciso per il contrario: io mi sarei ingegnata nel capire, tu nel fugare qualsiasi tipo di sospetto… L’altra quasi la interrompe, risponde a tono: – Io ti conosco, farabutta, sempre a rigirar frittate! In ogni caso, – si rammarica, – non ho ancora capito perché ci siamo scisse. – Che stupida che sei, che t’importa del perché!? Dobbiamo semplicemente trovare un modo per riunirci. Affidiamoci a qualche professionista, troviamo un bravo chirurgo… Le due sembrano proprio divise. – Non mi sottoporrò alle tecniche di un chirurgo, – fa la filosofa, – non mi voglio assoggettare a un dispositivo di potere. Non senza capire prima cos’è successo! Come mi ha sempre detto il mio dolce poeta, occorre sempre ricercare la verità, il senso autentico delle cose. Anche a scapito di una felicità prefabbricata. La C. scientista la guarda di traverso, non le risponde, biasima quelle sciocchezze senza senso. Vuole fare soltanto a suo modo. Così le lascia la casa, convinta di poter trovare da sola una soluzione. Nondimeno C. decide di fare lo stesso: abbandona il suo tetto, capisce che forse non può prescindere dal filosofo. Proprio come in un legame covalente, C. e C., cariche di segno opposto, direzionano una coppia di elettroni verso uno stesso orbitale. 16
*** Nel frattempo C. si è innamorata. Nonostante la mamma sia infastidita, nonostante l’abbia messa persino in punizione dopo averla vista ritornare così imbrattata di fard e di rossetto, – …e se solo sapesse che non ha nemmeno fatto i compiti!, – oggi C. può dire di aver passato una giornata davvero fantastica. Grazie ad Andrea. Con lui già immagina di vivere una bellissima e lunghissima storia d’amore: un amore dolce, puro come l’acqua di un ruscello che scorre in campagna; un amore da raccontare, come quelli delle canzoni o delle telenovele! I suoi pensieri sono talmente densi di gioia e di eccitazione che quasi non si è accorta che l’altra C. non è più rincasata con la soluzione. Davvero poco male: C. si sente felice, finalmente libera, conquistata. Il giorno seguente non perde occasione di confessarsi ad Andrea: – Non mi sono mai sentita così bene, – chiude gli occhi per la commozione, trattiene le lacrime, – neppure con il filosofo. Con lui avevo paura, non ero all’altezza dei suoi pensieri. Era più grande di me, così sicuro. Mi parlava sempre in modo strano, impostato… Andrea non perde occasione, invece, di cingerle il seno tra le mani. Le sfiora le cosce, i fianchi, il ventre. Infine ammicca di passione. C. gli confessa d’essere ancora vergine. Sua madre, del resto, le ha sempre insegnato che cer17
te cose non si possono fare, perché è peccato, perché Dio ci guarda e poi sta male per la bassezza delle nostre stesse azioni. “Non bisogna commettere atti impuri”, si ripete C. continuamente, mentre abbraccia il suo ragazzo. Che voglia enorme di fornicare! Per quel giorno, comunque, C. trattiene le sue smanie. Si lascia accompagnare a casa da Andrea, lo presenta a sua madre. Dopo cena ritrova C. seduta al bordo del suo letto. La trafigge con uno sguardo severo: – Trovato qualcosa? Hai capito perché ci siamo scisse? – impaziente. – Sono ormai passati due giorni… C. la guarda turbata: – Che dici, dovresti pensarci tu! Stamattina sono stata a scuola, dopo pranzo ho convinto mamma a farmi uscire. Sono rimasta tutto il giorno al parco con Andrea. L’altra la osserva con un’espressione a punto interrogativo: – Questa è stata la mia di giornata! – interrompendola. – Alla fine, addirittura, Andrea mi ha chiesto di fare l’amore, ma io mi sono rifiutata. Mi dispiace si sia permesso d’avanzare un tale azzardo. Credo proprio che non lo vorrò più rivedere, almeno che non impari una volta per tutte a tenere le mani a posto! Uno strano silenzio riempie la stanza. La C. pudica squadra ancora la C. passionale che le ripete nuovamente della sua splendida giornata. I loro discorsi però non portano da nessuna parte. Così decidono per una 18
tregua: l’indomani la prima andrà a scuola, mentre l’altra si limiterà solamente a uscire nel pomeriggio con il bell’Andrea. C. ha già deciso che andranno al laghetto e che se lui ci proverà stavolta faranno pure l’amore. Pianificato in questo modo il nuovo piano d’azione, C. e C. si stringono nel loro letto minuscolo. Parlano ancora, senza riuscire a capirsi. Ognuna attende dall’altra la risposta riguardo alle cause e agli effetti di quella loro bizzarra scissione. Si addormentano, infine, sognando di potersi risvegliare in un letto più largo.
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