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La donna nella storia
La donna nella storia di Francesco Scarano
Storia ed evoluzione della condizione del “gentil sesso”
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La figura femminile, sin dai primi tentativi del genere umano di organizzarsi intorno al fuoco della communitas, ha da sempre goduto di un trattamento meno propizio e benigno rispetto ai propri simili e discendenti di Adamo. Nonostante, in generale, la posizione ed il ruolo rivestito dalla donna nelle varie società abbia subìto diacronicamente delle metamorfosi, allontanandosi dall’iniziale situazione di totale sottomissione ed emarginazione, in determinate culture questa trasformazione sembra tradursi in un aggravamento, tanto che si potrebbe a ragione parlare di involuzione culturale e sociale, se adoperiamo il rispetto eterosessuale come sentore e parametro dello sviluppo dell’umanità. Un’analisi temporale di tale trasformazione non può che partire dalle prime testimonianze preistoriche, cioè graffiti ed opere scultoree che immortalano membri del “sesso debole” in tutta la sensualità e l’abbondanza delle loro forme, a simboleggiare iconograficamente il ruolo da esse rivestito di feraci procreatrici, potenti regine della famiglia abili a generare e mantenere la vita procacciando i beni alimentari attraverso la raccolta e l’agricoltura, miracolosa pratica forse messa a punto dalle stesse.
Se nelle civiltà della Mezzaluna
Fertile (Egitto, Persia, Assiria e
Babilonia), basate inizialmente su una struttura matriarcale, la donna era all’apice del potere, nella Grecia dell’età classica, i loro privilegi si distinguevano in base alla propria estrazione sociale, ma comunque non arrivavano ad eguagliare quelli degli “andres”, essendo precluse loro molte libertà, come quella di partecipare a qualsiasi manifestazione pubblica, attività sportiva o religiosa. Se i primi sostantivi che inconsciamente ci sovvengono quando parliamo o sentiamo discutere della classicità sono quelli di eleganza, proporzione, armonia, cultura, civiltà, non bisogna dimenticare che anche intellettuali dello spessore di Platone, Euripide, Pitagora, non erano esenti dal macchiarsi di misoginia, considerando gli individui di sesso femminile esseri inferiori, imperfetti, il cui unico valore era quello di scambio tra il padre-padrone ed il futuro coniuge. La sorte delle donne nella penisola ellenica, inoltre, cambiava in base all’”uso” che di esse intendeva farne l’ uomo: si distinguevano così le donne di famiglia, madri e mogli segregate in casa, dalle etere che accompagnavano l’uomo nei momenti di svago, alle pornè, prostitute di strada; una variegata trilogia di “accessori” di cui il fedifrago uomo si poteva fregiare. Se nell’Urbe la donna godeva di una situazione migliore, arrivando a mostrarsi in compagnia del marito anche nelle pubbliche cerimonie, e a raggiungere gli stessi obblighi nell’educazione dei figli (attività alla quale le matrone venivano addestrate dall’infanzia), ad esse era preclusa la possibilità di accedere alle cariche politiche (non godendo dello ius suffragii ed honorum) di poter adottare un figlio, fare testamento e tradire il proprio coniuge (come
testimonia Catone, infatti, tale reato poteva essere pagato con un delitto impunito da parte del marito). Se per i Longobardi la donna rappresentava un oggetto da vendere al miglior offerente, per la Chiesa medievale essa rappresentava la personificazione del Diavolo, la discendente di Eva che ha da sempre ingannato l’uomo portandolo al peccato attraverso le proprie doti di stregoneria, e come tale passibile del pubblico rogo (sorte toccata a Giovanna d’Arco) solo per aver alzato la testa dinnanzi alle ingiustizie o per aver avuto i capelli fulvi o qualche altro segnale che la perversa fantasia virile associava connotativamente al male. Se lo Stilnovo riconosce l’importanza della donna angelo, collante tra Dio e l’uomo, “domina”, “padrona”, a cui giurare fedeltà, sarà la Dichiarazione dei diritti americana il vero catalizzatore dell’ emancipazione femminile. L’età contemporanea vede invece le donne, in particolare le suffragette, battersi per il diritto di voto, di divorzio, di aborto, d’indipendenza economica e di lavorare, facendo leva sul crescente ruolo da esse rivestito nell’economia e società del tempo, dove spesso rimpiazzavano gli uomini mandati al fronte. Se oggi la situazione delle donne nei Paesi occidentali sembra essere progredita, non vanno dimenticate le macabre scene di femminicidio, come quella tenutasi due anni fa in Iran dove la testa recisa della fedifraga amante venne esposta nei mercati pubblici. A nulla valgono, infatti, le manifestazioni pubbliche, le decisioni linguistiche sul genere dei nomi di professione e sul doppio cognome della prole, le commemorazioni delle operaie decedute in condizioni disumane di lavoro, se non ricordiamo che chi ci ha generato, tenuti in grembo ed allevato è un essere di sesso femminile con le nostre stesse abilità (se non maggiormente affinate proprio dalla disparità) e che l’ obiettivo 5 dell’Agenda 2030 mira proprio a raggiungere la parità, traguardo dal quale l’umanità (non tanto humana nel senso originario del termine), per motivi religiosi, culturali, politici, sembra ben lungi. Nella speranza che le future generazioni possano cogliere e, allo stesso tempo, riconoscere l’importanza di questi individui, cioè che possano comprendere che, come recita una nota canzone, in esse “oltre le gambe c’è di più”, non possiamo far altro che diffondere le testimonianze di quelle storie nascoste di scienziate, madri, letterate, mogli, ma soprattutto donne, che hanno fatto progredire l’umanità, la condizione dell’uomo inteso però come genere umano (fatto homines, non vires) fatto cioè, oltre che di uomini, di grandi Donne!
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