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Storie di guerra: Col dell’Orso
Storie di guerra di Davide Pegoraro
Col dell’Orso
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Èspesso presente nelle nostre montagne il toponimo “col dell’orso” o “cima dell’orso” o ancora “fontana dell’orso”, piuttosto che “val dell’orso”. Spesso questo si rifà alla memoria degli abitanti dei paesi vicini che scelsero di chiamare in quel modo quei luoghi per un qualche evento legato al re del bosco come frequenti avvistamenti, catture o abbattimenti oppure per delle forme suggestive di alcune rocce capaci di ricordare il grande mammifero. Anche il Grappa ha il suo monte con questo appellativo e diverse sono le ipotesi sul perché si chiami così. Certo è che l’eventuale presenza di questo animale quassù turberebbe non poco gli escursionisti che spesso sono all’oscuro del fatto che nel solo Trentino Alto Adige circa un centinaio di esemplari condividono con noi l’ambiente montano, tra l’altro molto frequentato. Il recente emendamento approvato dalla commissione bilancio della Camera dei Deputati dimostra una volta di più come in generale la convivenza tra specie umana ed animali sia turbolenta, per quanto un cinghiale sotto casa (questo l’oggetto della nuova legge) non sia esattamente la stessa cosa di una fiera nel bosco, pur se carnivora. Forse le polemiche generate dalla scelta politica sono rivolte non tanto alla necessità di abbattere queste bestie che evidentemente possono rappresentare un pericolo già per il fatto che si possano trovare in un ambiente dove di norma non si calcoli di incontrarle, ma piuttosto al fatto che debbano essere cacciate in un ambiente urbano. La gente è spaventata dall’idea che l’uso di armi da fuoco possa essere un ipotesi presa in considerazione. In città ci sono persone, abitazioni, mezzi e proprietà private ovunque. La recente notorietà dell’orso è anche dovuta alla discussione generata dalla moda di recarsi nella vicina Slovenia per assaporarne le carni in uno dei tanti ristoranti che le propongono a menù (il tutto nel pieno rispetto delle leggi locali). Lo scalpore di tanti ha messo in luce il fatto che certe pratiche possano non riscontrare il favore di tutti. Ma di fatto il risultato non cambia quando qualcuno sostiene la necessità di far fare al nostro bravo Winnie la stessa fine dei cinghialotti romani, giacchè per l’orso il morire nella prospettiva di diventare una bistecca o il farlo per la nostra sicurezza non dovrebbe fare molta differenza o essere tale da rendere accettabile la prospettiva. E’ che certe creature ci vanno bene solo se stanno in un documentario, dentro ad un televisore o dove al limite si possa essere noi a mangiarle e non viceversa. In tutto questo il lupo sta tirando un sospiro di sollievo e rifiatando una volta
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tanto che gli attacchi non sono rivolti solo a lui. Ma se potesse studiare il recente passato, si accorgerebbe del fatto che il rivolgere la propria attenzione verso un nuovo nemico è pratica scontata e prevedibile da parte dei governanti, non solo nel nostro paese, ma nell’intero globo. Quando poi l’efficacia di queste vessazioni risulta vana allora per distogliere lo sguardo della gente comune si ricorre al rendere roboanti temi di dubbio spessore al solo scopo di confondere e distrarre. Solo cent’anni fa sul massiccio veneto, proprio nel territorio bellunese ci si sparava a bruciapelo e ci si ardeva con i lanciafiamme su una sfortunata cima dal nome così evocativo. Uomini contro uomini. Italiani contro austroungarici. Abili tiratori a caccia della pelle di un avversario temibile ed astuto. La lunga dorsale nella quale si colloca non offriva grandi interpretazioni strategiche, con il burrone ad ovest e i ripidi prati verso la Val delle Mure e perciò non rimaneva che lanciarsi in assurdi attacchi frontali e scannarsi con le baionette ed i coltelli se mai si fosse sopravissuti allo spaventoso fuoco di sbarramento e di distruzione. E così per tre feroci battaglie, da un autunno all’altro nel 1917 e nel 1918 ragazzi di vent’anni hanno conosciuto il freddo della neve, del vento e della lama avversaria conficcata nella pancia. Oggi rimane una croce sulla cima e solo qualche resto di trincea, muretto a secco o di ferro ormai marcio sopporta il rigido clima della quota dei Solaroli. Chissà se i capi di stato di allora si sono fatti degli scrupoli a mandare al macello degli esseri umani nell’ennesima oscena guerra…chissà se si sono preoccupati dei morti, dei feriti mutilati, dei pianti, del dolore senza fine arrecato anche ai famigliari, agli amici di quei soldati. Chissà se lo fanno nelle guerre di oggi. Ma in fondo che importa? Orsi, cinghiali, lupi o uomini a cui si spara, fino a che sono nei documentari o in tivù, sono lontani e non ci danno fastidio.
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