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I marinai del Piave: gli zattieri

Storia del nostro mondo di Alvise Tommaseo Ponzetta

I MARINAI DEL PIAVE: GLI ZATTIERI

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Senza i boscaioli del Cadore, del Comelico, del Feltrino, dell’Agordino, del Cansiglio e senza gli zatterieri del Piave non sarebbe mai sorta Venezia e la Repubblica della Serenissima non avrebbe mai dominato per secoli l’Adriatico ed il Mediterraneo. La città lagunare poggia, infatti, le sue fondamenta su milioni e milioni di pali di legno, ricavati da altrettanti alberi, che sostengono case, palazzi e chiese. La sua potente flotta navale, commerciale e militare, venne realizzata, negli enormi stabilimenti dell’Arsenale, sempre grazie alla materia prima proveniente dai boschi dell’entroterra veneto arrivata in laguna attraverso quel fiume che, secoli dopo, si guadagnerà il glorioso epiteto di “Sacro alla Patria.” Il trasporto acqueo lungo il corso del Piave era già conosciuto e praticato ai tempi dei Romani. Lo testimoniano due cippi rinvenuti nei pressi di Belluno e di Feltre, il primo risalente al 200 d.C., dedicato a Marco Carminio Prudente, l’altro a Firmino Rufino, entrambi autorità fluviali che si trovavano alla guida dei locali collegi dei trasportatori fluviali, detti dendrofori. Ma fu attorno al 1400 che, in tutta Europa, si sviluppò il trasporto acqueo. Si calcola che proprio, a partire da quel periodo, dai boschi bellunesi e trevigiani arrivassero, ogni anno, nella laguna di Venezia almeno trecentocinquantamila grandi tronchi di larice, pino e faggio scesi dalle montagne grazie alla corrente delle acque del Piave ed al sacrificio degli zattieri. Gli zattieri svolgevano due fondamentali attività. Innanzitutto, spesso, erano loro stessi ad assemblare, con maestria, i tronchi e le tavole di legno in zattere, che tenevano insieme con corde o con le “soche”, ovvero grazie a rami di nocciolo torti e tagliati rigorosamente al calare della luna. Creavano così dei veri e propri “treni di legno” che potevano arrivare ad una lunghezza ricompresa tra i 21 ed i 35 metri. La larghezza massima era, invece, quella di 4,20 metri, in quanto bisognava tenere conto di innumerevoli scivoli e chiuse che si trovavano lungo il corso del fiume. A Perarolo era stato organizzato un importante punto di raccolta del legname messo in acqua più a monte. Il trasporto non si limitava al solo legno: sulle zattere venivano spesso caricati vari materiali come pietre e minerali lavorati, carbonella, acido solforico ed altri prodotti tipici delle zone di montagna. Lungo questa autostrada naturale, costituita dal letto del Piave, si trovavano cinque piccoli porti nei pressi dei paesi di Codissago, Ponte Nelle Alpi (allora Capo di Ponte), Belluno (allora Borgo Piave), Nervesa e Ponte di Piave. Ciò permetteva ai vari zattieri di organizzarsi in staffetta: ad ogni porto scendeva una squadra di questi straordinari marinai d’acqua dolce ed il materiale veniva affidato ad un nuovo gruppo del posto. Il mestiere dello zattiere era estremamente faticoso, usurante e pericoloso. Lungo la discesa, le correnti e la profondità del fondale cambiavano continua-

mente ed in modo repentino. Il percorso, soprattutto dopo particolari eventi atmosferici, si presentava disseminato di ostacoli imprevedibili e da dighe naturali che ostacolavano e, a volte, impedivano il deflusso delle zattere che sbandavano, giravano su sé stesse, si inclinavano spesso imbarcando acqua. Lo strumento principe di chi praticava questo difficile mestiere era costituito da una sorta di lunga e resistente pertica di legno, che serviva a dirigere ed aiutare la discesa della zattera. In fondo il loro lavoro non era molto diverso da quello che svolgevano i marinai in navigazione nel mare, anche perché il fiume assumeva in certi tratti, indipendentemente dal tempo e dalle stagioni, la pericolosità del mare in tempesta. Nel tragitto, gli zattieri inzuppavano i loro poveri vestiti d’acqua gelida; a volte scivolavano nel Piave dove venivano travolti dall’impeto della corrente o risucchiati in pericolosissimi gorghi dove molti annegavano. E poi, lungo il percorso, potevano verificarsi incursioni da parte di briganti che, approfittando di qualche stretta ansa, salivano armati di coltelli sulle zattere, impossessandosi delle preziose merci che trasportavano. Quello dello zattiere era, per i tempi, un’attività piuttosto redditizia, ma molto dura. Le cronache di allora riportano che, a poco più di trent’anni, chi praticava questa attività sembrava ormai vecchio, con le mani segnate da grossi calli induriti e da profonde cicatrici. Questa straordinaria epopea che, nel corso dei secoli, interessò molte piccole comunità sparse lungo il percorso del Piave, ebbe fine intorno al 1915, quando il trasporto ferroviario sostituì quello fluviale. Ma la memoria della figura dello zattiere, di questo mitico marinaio d’acqua dolce, fortunatamente non è andata persa. Gli zattieri del Piave sono, infatti, stati riconosciuti dall’Unesco come patrimonio culturale, immateriale dell’umanità. Nel 1982 è stata costituita l’associazione degli zattieri del Piave denominata “fameia dei zater e menadas del Piave” regolata da uno Statuto redatto sulla falsariga dell’antica Carta degli zattieri del Piave, firmata in palazzo Ducale, a Venezia, dal doge Sebastiano Barbarigo il 3 agosto 1492. A Codissago, nel comune di Castellavazzo, a pochi chilometri da Longarone, c'è un interessantissimo Museo etnografico dedicato proprio ai marinai del fiume.

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