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Racconti d’Arte: le tre Grazie di Silvia Gribaudi

Racconti d'arte di Daniela Zangrando*

LE (TRE) GRAZIE… DI SILVIA GRIBAUDI!

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Per questo mese lascio che a raccontare sia Silvia Gribaudi, autrice di GRACES, un progetto di performance che ho avuto la fortuna di vedere poco tempo fa all’interno della rassegna Belluno Miraggi. Per immaginare GRACES, partite da Antonio Canova, dal gruppo scultoreo che conoscete tutti, quello delle Tre Grazie. In scena, ci sono tre corpi maschili che dialogano con quello dell’autrice. Danzano, provocano. Sono ironici, enigmatici, veri, normali, naturali, traboccanti di energia e di vita. Vi assicuro che, se vi capiterà di assistere a GRACES, non potrete fare a meno di sentire anche il vostro corpo. Di sentirlo pesare, ridere, godere del battito di una mano sull’altra. Vi troverete a riconoscerlo, specchiato, in quello dei performer. Qui di seguito, l’intervista che ho fatto a Silvia Gribaudi. Silvia, cos’è per te la bellezza? Nella mia esperienza la bellezza è una domanda che scatena infinite risposte. Per ogni persona è qualcosa di diverso: la bellezza fa bene alla parte più profonda di noi, e posso dirti che quando mi ritrovo a contemplarla sento una miscela di gioia, di piacere e di apertura verso il mistero. La bellezza nasce sempre dall’unione di diversi parametri che cambiano da persona a persona in base alla cultura, al modo di guardare, al proprio personale senso intuitivo di ricerca del bello. Io sono affascinata dalla mescolanza dei contrasti, siano essi di colori, di corpi o di forme, e penso che la bellezza stia nell’incontro di forme contrastanti che magicamente creano armonia insieme. La possiamo riconoscere con i nostri sensi, è un’esperienza che passa e attraversa il nostro essere, per cui è a mio avviso inafferrabile. Che peso assume la possibilità di fallimento che è connaturata alla comicità che metti in atto? Il comico è in grado di trasformare ciò che apparentemente non funziona, di dire ciò che è scomodo. È per me l’opportunità di essere fallimento, e proprio per questo è vincente. Il comico ha già perso, per questo è libero. La comicità è l’abilità di essere semplicemente umano, cioè limitato, fallibile, difettoso ma estremamente potente e sovversivo. Alla fine dello spettacolo hai parlato del teatro come piazza. È un concetto a cui tengo molto, e potrei parlarti del museo proprio nella stessa accezione. Mi spieghi meglio tu cosa intendi? I teatri sono visti come luoghi eccezionali un po’ fuori dalla quotidianità perché sono posti dove sacro e profano si incontrano. Ma il teatro nasce per essere luogo di incontro e discussione, e l’artista provoca dei pensieri che poi vanno condivisi e messi in discussione. Quindi vorrei che si parlasse di più del luogo teatro come un luogo vivo fatto di scambi di voci e pensieri tra artisti e pubblico. Vorrei che si potessero rompere quei ruoli che imbrigliano i corpi dentro le architetture dello spazio e far sì che i corpi che abitano il teatro lo facciano vibrare per la sua funzione di incontro, di scambio e fucina di pensieri e azioni che poi possono dare frutto a nuove possibilità sociali. Quindi un luogo parte della città e non un luogo altro dalla città. La piazza unisce, ci si ritrova, è un punto che è dentro alla geografia rituale di un paese, di una città e vorrei che così fosse anche lo spazio teatrale. Ti diverti a fare questo lavoro? Riesci ancora a giocare? Il divertimento è la cosa più importante da alimentare e ritrovare sempre. Mantenere vivo il corpo, la relazione con l’altro e l’altra. Giocare è già a mio avviso essere dentro ad un dono che fai a te e che dai agli altri e alle altre. Divertirsi permette di trovare vitalità, senso di sfida, piacere e continua ricerca all’interno del proprio lavoro.

Sono uscita dal teatro con una gran voglia di danzare. E con in testa una scheggia di visionaria leggerezza. Vorrei tanto che per chiudere mi raccontassi di un sogno, di uno di quelli con la S maiuscola. Difficile rispondere, ho tanti sogni e non so bene quale scegliere. Uno è proprio quello che ho descritto sopra: Il Sogno di un teatro da vivere come una piazza. Un teatro dove le persone possano ballare insieme agli artisti, e danzando con corpi e parole costruire pensieri nuovi, dove platea e palco comunichino, dove lo spettacolo continui anche dopo che si è usciti dal teatro. Il mio sogno è quello di vedere una comunità che dialoga ponendosi domande che superano le barriere del gusto, del piccolo parere personale, coinvolgendo un pensiero più grande. Cosa mi vuole dire quell’artista? Quella persona così diversa da me, cosa sta dicendo? La capisco? Cosa non capisco? Qual è il suo punto di vista? Cosa mi sta dicendo l’altro o l’altra accanto a me? Che sforzo sto facendo per comprendere? Ecco: il mio sogno è rompere la cattiva abitudine del “giudicare”, dello stare a guardare il mondo dalla prospettiva più comoda per dare spazio a spostamenti a volte scomodi che possano portare ad un “rigenerare e rigenerarsi”, ad una rivoluzione dei paradigmi culturali e sociali, alla scoperta di concrete esperienze di alleanze che direzionano verso la bellezza.

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