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La nuova Babele al tempo dei social

In filigrana di Nicola Maccagnan

Quando tutti (o molti) sono convinti di “sapere”: la nuova Babele al tempo dei social.

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Mi è sempre rimasta impressa nella mente sin dai tempi del liceo una frase attribuita (ma anche su questo le opinioni non sono concordi) a Socrate, pensatore greco che a ragione possiamo definire come uno dei padri del pensiero occidentale. “So di non sapere”, ovvero “So di non sapere nulla” avrebbe detto Socrate (che forse proprio per questo non lasciò ai posteri nulla in forma scritta) davanti all’Areopago, il tribunale che lo stava per condannare a morte con l’accusa di empietà e corruzione dei giovani (!!!). Correva l’anno 399 avanti Cristo, eravamo – naturalmente – ad Atene. Non c’è dubbio che in questi 24 secoli abbondanti, e soprattutto nell’ultimo, l’uomo abbia fatto passi da gigante in tutti i campi della conoscenza, da quella tecnica a quella scientifica, senza dimenticare le meravigliose realizzazioni nel campo delle arti. Siamo stati sulla luna e nello spazio, in fondo agli abissi e al centro della particella atomica più piccola; abbiamo sondato le più imperscrutabili vie del corpo e della mente umana, abbiamo catalogato miglia di specie viventi, e non, del pianeta. Eppure. Eppure, oggi più che mai, la lezione socratica del “so di non sapere” mi pare attuale, urgente e necessaria. E questo per due ordini di ragioni. Il primo, di natura diciamo più “scientifica”, riguarda il fatto che più ci spingiamo alle frontiere del sapere e più scopriamo come questi limiti si dilatino a dismisura verso nuovi e ancor più larghi confini. Ce lo testimoniano molti studiosi e ricercatori, per i quali il percorso della conoscenza non solo non termina mai, ma addirittura si allunga e si arricchisce di nuove sfide ogni giorno di più. Il secondo motivo per cui il motto socratico mi pare oggi più attuale che mai è invece legato alla natura umana di tutti noi, è insomma di carattere antropologico e sociale. Ovunque ci giriamo, a cominciare dalla sterminata steppa dei social, è tutto un florilegio di pareri ed opinioni, se non addirittura di proclami e autentiche “sentenze”, a volte “sputate” addirittura con violenza e cattiveria gratuita. E finché si parla della formazione inopinatamente schierata dall’allenatore della nostra squadra del cuore o dell’errore grossolano commesso dall’arbitro la domenica va tutto bene. In fondo, ci hanno campato le pagine sportive dei quotidiani e i bar-sport per decenni e decenni: gli Italiani? 60 milioni di commissari tecnici! Il problema, tutt’altro che secondario, nasce quando la Babele appunto di pareri contrastanti e abbozzati, riportati da non si sa dove e non verificati, si scatena su temi ben più sensibili e delicati. Cade il ponte Morandi a Genova? Ecco un esercito di ingegneri, esperti di calcoli e di costruzioni stradali all’opera. Arrivano i fondi del nuovo Pnrr? Stuoli di economisti ed esperti di finanza e programmazione pubblica scendono in campo. E così via. Mi taccio qui, per amor di patria, sulla galassia di fumo, spesso tossico, generata dal dibattito della strada su vaccini, green pass e quant’altro. Sia ben chiaro: la libertà di opinione e di pensiero è sacra. Ma dovremmo parlare, per l’appunto, con opinioni e pensieri, che si formano a ragion veduta e (specialmente su tematiche tecniche o scientifiche) sulla base di precise conoscenze acquisite. Banalizzo: se chiamo un idraulico a casa per sostituire un rubinetto, mi guardo bene dall’andare a mostrargli come

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deve fare il suo lavoro; nell’immensa platea di Facebook ci sentiamo invece autorizzati a dire la nostra, sempre e comunque, su tutto. E questo con il rischio di fomentare e ampliare una confusione che può avere effetti molto pesanti. Mi è capitato di leggere l’altro giorno tra i commenti ad un post sui social, letteralmente, la seguente frase: “Condivido questo trovato in internet. Non so se sia vero, ma intanto lo condivido”. No comment. “Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno”, scriveva Oscar Wilde, un altro che l’animo umano lo aveva sondato in diverse direzioni. Evidentemente certi comportamenti non sono patrimonio solo dell’epoca digitale, ma affondano le proprie radici ben più in dietro nel tempo. Il 21esimo secolo ha portato con sé, tra le altre cose, la straordinaria possibilità di collegare le persone (in maniera virtuale), abbattendo distanze geografiche e azzerando quelle temporali. Al tempo stesso, però, sembra averci fatto credere che questa nuova facilità di comunicazione ci dia per se stessa l’autorizzazione a farne un uso incontrollato, a volte compulsivo, senza senso di responsabilità. Tradotto: avere un’auto ed una strada non equivale a poter guidare a 200 chilometri all’ora, a destra o a sinistra, senza tener conto dei pedoni. Si possono fare danni enormi. A se stessi e agli altri. Scriveva, ancora, Isaac Asimov: “Si è diffuso il pericoloso e falso concetto che democrazia significhi che la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza”. “So di non sapere” potrebbe bastare, almeno, a mettersi in discussione.

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