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Fatti & misfatti. Le piazze in rivolta
Fatti & Misfatti di Patrizia Rapposelli
Piazze in rivolta, Paese che bolle
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Da Nord a Sud l’Italia è in rivolta. Rischiamo il punto di non ritorno? Le proteste contro le nuove misure imposte dal Governo sono terreno fertile per gli infiltrati estremisti o semplicemente i violenti. Forse serve uno sforzo d’interpretazione non comune. La piazza è da sempre democrazia, è partecipazione, è sana. Forse nell’idea di quella parte d’Italia a cui piace la piazza e non fa attenzione alla qualità dei piazzisti. A ritmi alterni, da Nord a Sud, la massa in platea è una brutta bestia. Non è il luogo migliore dove ragionare. I fatti sono stati una tragedia. Non sono emerse proposte ragionevoli, ma violenza e un Italia che bolle. Attacchi da condannare. Il governo rosso ha urlato fascisti. A Milano c’erano gli anarchici. A Roma i neofascisti hanno assaltato la Cgil e tutto quello che ne è seguito sembra avere segnato uno spartiacque tra un prima gestibile e un dopo carico di tensione sociale. Indiscusso, la piazza non era tutta fascista. Inevitabilmente però l’attenzione mediatica è caduta su questo grave fatto, forse aiutato anche dalle amministrative alle porte. A Milano, la controparte era pronta a fare lo stesso, ma è stata ben contenuta. La gigantografia del presidente Draghi brucia. I cortei sono gli scatti fotografici, nell’ultimo periodo, delle città italiane. E, lo fanno da mesi, sono eterogenei, senza una leadership evidente. In fondo, le masse che alcuni chiamano “no vax” non esistono. Abbiamo cattolici tradizionalisti e libertari, marxisti e indipendentisti, i delusi delle formazioni di destra ed ex M5S, difensori dei beni comuni e liberali schierati a difesa dei diritti dei singoli. E, i violenti. A cui piace creare violenza anche dove non c’è. Semplicistico sarebbe ricondurre le manifestazioni a delle parti opposte alla democrazia, o alle decisioni del governo. Nel Paese c’è una sofferenza reale. Al di là di una violenza sempre e comunque da rigettare, c’è poca voglia di parlare delle implicazioni, che il dramma della pandemia ha scatenato in una larga fascia di italiani, da parte di chi ricopre una responsabilità nelle amministrazioni, nelle istituzioni politiche, sociali e nei media. Forse quarant’anni fa si poteva parlare soltanto di una parte politica, sociale e sindacale del Paese che si oppone ad un’altra, organizza i movimenti e le proteste. Adesso, di mercato delle emozioni, del risentimento, della rabbia. Alcuni cittadini sono sopraffatti da collera e disagio, non irrazionali. Infatti, non tutto il Paese ha pagato e paga in egual modo l’emergenza, è naturale dirlo. Il 62 per cento degli italiani non ha avuto alcuna conseguenza reddituale, mentre il restante ha visto l’introito ridursi vertiginosamente. All’interno di questo contesto fa da cornice l’irresponsabilità di chi non è riuscito a mandare un messaggio unitario fin dall’inizio del calvario emergenziale. Anzi i comunicati sono oscillati prima da una parte e poi dall’altra. Il clima ha creato confusione. È un Italia sfinita? Poi, inutile negare lo sfondo oscuro di chi ha speculato davanti alle turbolenze del Paese. La piazza diventa lo sfogo delle frustrazioni di chi non governa. Opinabili o meno le proteste, c’è da dire che il presente che avvolge l’Italia è chiaro. Gas + 30%, luce + 40%, benzine + 30%, gas e metano + 30/50%, alimenti + 30/50%. Ancora, una famiglia su 4 sotto la soglia di povertà; nel 2020 oltre trecentomila attività saltate, nel 2021 l’inizio del cedimento sociale. A fronte di tanto sfacelo, il Paese è forse schiacciato. Non si può escludere neppure che prima del 2023 lo slancio delle piazze si spenga, che magari torni la normalità e che qualche altra questione finisca per occupare le prime pagine dei giornali. E se così non fosse? Se le piazze, rivendicando controllo e monopolizzazione di alcune parti, continuassero a macinare una protesta a fronte di un’alleanza di culture e una costellazione di città? Potrebbe essere l’avvio di un vero e proprio punto di non ritorno.