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Le donne libere dell’Afghanistan

Le donne e la società di Laura Mansini

LE DONNE LIBERE DELL'AFGHANISTAN

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Nell’osservare quanto è accaduto nel mese di ottobre nelle nostre città italiane, nella nostra bellissima e libera nazione, colpita come tutto il mondo dal Covid, dal quale stiamo uscendo grazie alla scienza, al Governo e soprattutto all’intelligenza e generosità dell’ ottantacinque per cento degli Italiani che si sono fatti vaccinare, sono rimasta sconvolta. Come può essere che un gruppuscolo di no vax, no green pass, ai quali si sono aggiunti facinorosi di estrema destra e di estrema sinistra, in un periodo di elezioni, con le quali i cittadini di grandi città e di una regione stavano per votare, possa mettere la Capitale ed altre città come Trieste, Genova sotto scacco, assaltando a Roma la sede della CIGL, bloccando porti, cercando di creare una situazione di completa anarchia. Fortunatamente la democrazia ha vinto e tutto si è svolto correttamente. Ha vinto comunque l’astensionismo e questo è un male. Mi sembra che si rinunci a delle scelte fondamentali per la vita delle future generazioni. Questo mi ha fatto ricordare quello che è accaduto in Afghanistan negli scorsi mesi quando sono giunte le prime notizie del ritiro delle truppe americane e dell’ONU da questa martoriata regione. In quell’occasione ho iniziato a scrivere alcune riflessioni, perché era giunta voce che l’esercito Afgano aveva perso la guerra contro i Talebani, i quali, dopo vent’anni, sono tornati padroni della Capitale. Le mie paure più recondite si sono avverate. Sono brani tratti da un mio diario personale, scritto per non dimenticare e per aiutarmi a riflettere su che cosa mi sembra stia accadendo, certamente in modo meno cruento anche da noi che per ora godiamo di una bella democrazia, nella nostra bellissima Italia; tuttavia anche qui inizia ad entrare il tarlo della violenza, lo si è visto, come dicevo sabato 9 ottobre a Roma. A Kabul come a Roma, sta accadendo quanto, con un po’ di attenzione, si poteva presagire. “Osservando ciò che sta accadendo, in queste giornate estive, in Afghanistan, scrivevo in agosto, siamo colti da improvvise ataviche paure. Vedere Kabul invasa da carri armati, fucili e giovani barbuti con copricapi antichi, come antiche ci sembrano queste invasioni barbariche, ci riempie il cuore di una grande tristezza e di timore per il nostro futuro. Quando lunedì 16 agosto, alla sera, ho visto su RAI 2 i

filmati che la Fondazione Pangea Onlus inviava con le immagini di donne e bambini nascosti in case, per ora sicure, frutto di un progetto di asilo-centro donna, create con lo scopo di offrire servizi indispensabili alle donne ed ai loro figli, ho provato un forte senso di impotenza. Ancora una volta le donne ed i bambini, sono le prime vittime di queste battaglie apparentemente insensate, frutto di una cultura religiosa barbara. In nome di Allah, di una Sharia, che impone un complesso di regole di vita e di comportamenti per la condotta morale e religiosa dei fedeli e soprattutto delle donne, le quali divengono proprietà dei padri, dei fratelli, dei mariti. “ Eppure ricordiamo che dal 26 gennaio 2004 le Afghane hanno ottenuto gli stessi diritti dell’uomo, rifacendosi alla Costituzione del 1964 . “ Che dire, non spetta a me giudicare culture così lontane, tuttavia mi chiedo perché non sia stato possibile in questi ultimi 20 anni di egemonia occidentale, creare le situazioni per allargare la cultura dalle città come Kabul, che ha visto le donne studiare, laurearsi, diventare dottoresse, avvocate, giornaliste, ottenendo riconoscimenti sociali e politici , anche alla campagna. Le mie paure più recondite si sono avverate. Ora non c’è più nessuno a difendere i diritti acquisiti in questi ultimi anni. Le prime a soccombere, come sempre sono le donne, quelle colte, emancipate, che hanno perso immediatamente il lavoro, che si stanno nascondendo sotto il Burka, che hanno trovato la morte fuggendo, o meglio cercando di fuggire.” Queste mie riflessioni, nate nei primi giorni dell’apocalisse di Kabul, si stanno evolvendo. Ho osservato quanto sta accadendo ora e sto scoprendo, con immenso orgoglio, che questi vent’anni non sono trascorsi invano perché la cultura della democrazia si è fatta strada soprattutto nelle giovani donne che ho visto prendere decisioni importanti scendendo in piazza, davanti agli ospedali, affermando il diritto-dovere di curare i loro ammalati, e poi sono scese le insegnanti, le giornaliste, donne di cultura, lavoratrici, col velo ma senza Burka, a volto scoperto. Brave e coraggiose, capaci di sfidare vecchi sacerdoti della Sharia, anziani di un antico regime che rispondendo alle domande dei giornalisti se ci saranno donne nel nuovo governo Talebano rispondono “ No nel governo, forse in altri ruoli non di potere”. Non la pensa così Zahama Ahmad, trentaduenne imprenditrice , costretta a fuggire dal suo paese perché colpevole di lavorare con successo e di aver contestato il nuovo potere. “Io credo che le donne debbano andare al potere - ha dichiarato, intervenendo alla presentazione del festival del Cinema Religion Today- ” Anzi spero che presto in Afghanistan venga eletta una donna Presidente di un paese finalmente libero e democratico” Il mio diario ora si ferma qui, ma tornando ai fatti di casa nostra antichi timori si sono risvegliati in me, non solo paure di violenze, ma del ruolo della donna in politica. La cosa più sconcertante è che non abbiamo donne sindaco in questa tornata elettorale, la famosa quota rosa non conta, e sembra lontano il tempo in cui potremo vedere una donna Presidente della Repubblica italiana.

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