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Uomo e società

Uomo & Società di Grazioso Piazza

Profilazione e valore economico dell’informazione

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Chi utilizza computer o smartphone per ricerche su temi o prodotti specifici, oltre che per l'attività sui social network, si è sicuramente imbattuto in situazioni che possono apparire “diaboliche” o sostenere un complottismo sul controllo a cui siamo sottoposti. Ciò a cui mi riferisco è una situazione piuttosto comune e banale: mi connetto alla pagina web di un qualsiasi sito di vendite online per verificare il costo di un cacciavite professionale oppure dell’ultimo modello di scarpe da basket; poi, magari dopo alcune ore, smartphone alla mano, mi dedico a una rilassante lettura di quanto condiviso dai miei contatti sul social network preferito. Qui, ossessivamente, mi vedo riproposta la pubblicità di quel cacciavite e di quelle scarpe. Il grande fratello ci osserva? Da un certo punto di vista le cose stanno esattamente così, benché ciò avvenga in modo più palese di quanto saremmo portati, di primo impulso, a pensare. Vi ricordate quando, in un altro articolo, abbiamo parlato dei dati? Ciò che la nostra ricerca sul sito di vendite online ha prodotto, oltre a soddisfare la curiosità personale è l’aver fornito un dato: a noi interessa il prodotto oggetto della nostra ricerca. Un dato che non ci è stato “rubato” (condizione che potrebbe essere vera per alcuni siti di dubbia rispettabilità), ma più in generale è stato sottoposto al nostro consenso, nel momento in cui abbiamo accettato le politiche di gestione dei cosiddetti cookie. Per noi potrebbe essere di scarso rilievo il fatto che qualcuno sia consapevole di ciò che ci interessa, almeno fino a che ciò non investa una sfera più personale e riservata, ma per altri questo dato assume comunque un elevato valore economico, tanto più se associato all’analoga conoscenza degli interessi di altre migliaia o milioni di utenti del web. Il valore economico si realizza nel momento in cui i dati vengono ceduti, o anche solo utilizzati, per favorire l’attività promozionale di prodotti commerciali, del mio cacciavite come delle scarpe. Un’insistente proposta che non è casuale e indirizzata a un utente generico, ma a chi, come me, aveva già espresso interesse verso quello specifico prodotto. Una condizione che incrementa la possibilità che l’insistenza del marketing produca i frutti sperati. L’esempio proposto è semplice e banale, riprende quel concetto di dato che in un precedente articolo era stato rappresentato, nonché il suo uso più immediato. Un tassello di base che rende possibile la produzione di informazioni più articolate e ci avvicina alla frontiera più spinta dell’analisi delle nostre tracce digitali, non altro che tasselli, siano esse ricerche su Google o su altri motori, siano valutazioni sui portali che propongono beni di consumo, hotel, ristoranti o viaggi oppure i like sui social network. Quel meccanismo che permette di associare una molteplicità di dati a noi riferiti per produrre informazioni più complete sulla nostra persona, è noto, nell’ambito del mondo digitale, con il termine di profilazione dell’utente. Un’azione che in passato avrebbe richiesto un’incredibile mole di risorse, ma che oggi è eseguita con grande velocità e a livello massivo, dai server che ospitano i siti o i portali a cui ci riferiamo. Un’analisi che, oltre alla banalità dell’esempio sopra descritto, può spingersi molto oltre. Così può accadere che ad una ragazza vengano proposte promozioni su beni connessi ad una gravidanza a seguito di una analisi che intreccia il sesso e un’età potenzialmente fertile (dati spesso usati nella registrazione ai portali), con l’essersi interessata a determinati integratori alimentari (ricerche o acquisti online) e l’avere una particolare propensione nell’assegnare dei

like a determinati post (interazione con i social network). In generale nessuna di tali azioni, presa nella sua singolarità, potrebbe condurre a considerare il caso di una gravidanza, ma letti nel loro complesso potrebbero invece corrispondere a ricorrenze che l’algoritmo di profilazione riconosce come tipiche e riscontrabili in condizione di “dolce attesa”. Un’interpretazione passibile di errori, ma che si affina via via che noi aggiungiamo singoli dati e che, nel momento in cui colga nel segno, genera quel notevole vantaggio commerciale prima accennato. La profilazione dell’utente si è talmente spinta e ha invaso un tale numero di campi che è dovuta rientrare anche nei termini della regolamentazione a tutela della privacy. Così il Regolamento Europeo n. 679/16, noto come DGPR ha introdotto esplicite posizioni rispetto ai processi di profiliazione dell’utente, restringendone l’applicazione a ben determinati casi, contenendo il numero di dati utilizzabili nel processo stesso e prevedendo un’azione di consenso da parte dell’utente, spesso associata ai cookie e alle finalità che essi si prefiggono. Nulla di diabolico o complottistico dunque, ma una potenzialità che può essere vista anche a favore di noi utenti, nel momento in cui la pubblicità a cui siamo sottoposti anziché essere massiccia e generalizzata, sia più contenuta e mirata ai soli nostri interessi. Al contempo è dovuta un’esigenza di consapevolezza su come ciascun dato che noi forniamo e autorizziamo divenga parte della descrizione che i sistemi digitali realizzano sulla nostra persona

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