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In morte di Aldo Moro

Ieri avvenne di Waimer Perinelli

Il corpo era nel portabagagli di una vettura Renault 4, rannicchiato con le le ginocchia verso il petto, come stanno seduti nel grembo materno i bimbi nascenti, ma era il corpo di un uomo di 61 anni; il suo nome Aldo Moro. Aldo Maria Luigi Moro era nato in Puglia, a Maglie, il 23 settembre del 1916 e in quel tragico 9 maggio del 1978 era il presidente della Democrazia Cristiana il partito di maggioranza relativa del Parlamento italiano, di cui era stato fondatore e rappresentante nella Costituente, poi segretario nel 1959. Un politico autorevole, colui che aveva ideato l'assurdo geometrico delle parallele convergenti giustificando la capriola con doppio salto in avanti per legare il partito Comunista Italiano al Governo della nazione e alla DC. Un salto mortale almeno per lui, visto che, una delle poche cose certe sulla sua morte è che venne assassinato per impedire, rallentare, frenare, il nascente governo, uno dei tanti, di Giulio Andreotti, nel quale entravano per la prima volta nella storia italiana i comunisti, guidati da Enrico Berlinguer. Era chiamato Compromesso Storico e rispondeva alle alla grave situazione socio-economica dell'Italia. Evidentemente a qualcuno non piaceva e il 16 marzo del 1968, lo stesso giorno in cui Andreotti avrebbe presentato al Parlamento i sui prescelti, l'auto che trasportava Aldo Moro dall'abitazione a Palazzo Montecitorio, fu intercettata da un nucleo armato, chiamato Brigate Rosse, che a colpi di mitraglietta, uccise due carabinieri, tre poliziotti di scorta per rapire il presidente della DC. Chi erano veramente le brigate rosse probabilmente non lo sapremo mai, forse direbbe John Le Carrè non lo sapevano nemmeno i membri;di certo sappiamo che a Trento si formò all'inizio degli anni 70 del 900 un gruppetto di estremisti rivoluzionari che trovarono a Milano l'humus e terreno per crescere e poi altrove, a Roma e stati stranieri, soldi e complicità. Fino a quel 1978 avevano sparato a destra, al centro, anche a sinistra, mica tutta la sinistra è buona, poi dopo il rapimento di Moro e la sua uccisione, qualcuno decise che non servivano più e, in poco tempo, lo Stato li imprigionò o costrinse alla fuga. Nel frattempo, il 5 giugno del 1975, la trentina Margherita Cagol, nome di battaglia Mara, annoverata tra i fondatori delle BR, era stata uccisa in un scontro a fuoco con i carabinieri. Ma torniamo al rapimento di Moro e alla sua prigionia. In un carcere segreto rimase per 55 giorni. Venne istituito un

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tribunale del popolo e subì un processo politico. Aldo Moro si difese e più o meno volontariamente scrisse molte lettere, alla famiglia, al governo agli amici di partito. Supplicava lo Stato di aprirsi al dialogo con i brigatisti anche a costo di accettarne le rivendicazioni (per la liberazione chiedevano il rilascio di alcuni terroristi detenuti). Il 19 aprile scrisse al segretario della DC Benigno Zaccagnini , lanciando presagire il peggio: “Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul paese…”. Il messaggio non fu ascoltato, il processo celebrato, la condanna emessa. L’ultimo comunicato dei terroristi, il numero nove, arrivò il 5 maggio. Annunciava la conclusione del processo popolare a carico dello statista: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza”. Moro, con la scusa di un cambio di prigione, fu fatto accovacciare nel bagagliaio della vettura, poi gli fu gettata addosso una coperta e gli spararono 12 colpi di arma da fuoco. Egli sapeva della condanna e scrisse alla moglie : “Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunse incomprensibilmente l’ordine di esecuzione”. Quattro giorni dopo il suo corpo sarà ritrovato a via Caetani. Una strada scelta con cura: situata ad identica distanza di 150 metri, dalle sedi del Pci e della Dc. Lo Stato rinnova ogni anno il ricordo dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, la morte della sua scorta e le altre vittime del terrorismo e delle stragi sui cui autori e motivazioni la verità non è ancora completamente emersa. Lo ha detto anche quest'anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha constatato il fallimento del progetto eversivo e ha aggiunto: ".. ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità, non pienamente chiarite, l’esigenza di completa verità è molto sentita dai familiari. Ma è anche un’esigenza fondamentale per la Repubblica." D'altra parte com'è stato più volte ricordato, s'indaga in un universo magmatico, di movimenti politici, di intrecci malavitosi che superarono fatalmente i confini con ruoli, mai fino in fondo chiariti, di alcuni apparati dello Stato. E non solo di quello italiano. Nel 2008, le tesi di un coinvolgimento degli Stati Uniti, furono avvalorate dalle confessioni di un ex funzionario di Whashington, Steve Pieczenik, che lavorò agli ordini dei segretari di stato Henry Kissinger, Cyrus Vance e James Baker. L’uomo raccontò alla stampa americana di aver partecipato al sabotaggio dei negoziati con le Br, affermando come l’idea fosse di “sacrificare Aldo Moro per il mantenimento della stabilità politica in Italia”. Il Pontefice, Paolo VI, amico intimo del politico della Democrazia Cristiana, si rivolse a Dio con parole molto forti: ..."Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico, disse, ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita." Nel frattempo la giustizia umana ha lentamente, com'è consuetudine proseguito il cammino e a partire da quel 9 maggio, apogeo di una guerra civile strisciante, furono arrestati, processati e condannati alcune decine di brigatisti. Fra tutti Mario Moretti, all'epoca capo dell'organizzazione. I giudici hanno inflitto complessivamente 32 ergastoli e 316 anni di carcere.

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