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Maltrattamenti :Io non ti denuncio

I maltrattamenti silenziosi di Patrizia Rapposelli

IO NON TI DENUNCIO

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Sfregiata dall’acido, ancora picchiata fino a ridurla in fin di vita, minacce e reclusioni domestiche, sono i casi recenti di donne vittime di un assoggettamento fisico e psicologico all’interno di una relazione sentimentale. Donne uccise o private di dignità fisica e psicologica dal partner o dall’ex partner, conclusioni di un gioco che nel tempo vede al suo interno una maturazione: campanelli dall’allarme che nascondono un presagio. Tema che nell’ultimo tempo sembra uscire dal silenzio ovattato di quelle cronache che hanno dato spazio ad altro, ma che da secoli vedono la donna preda di un’ideologia di matrice patriarcale improntata sul possesso. Oggi se ne parla maggiormente in quanto si è assistito ad una vera e propria escalation della violenza di genere; la pubblicazione dei dati Istat a riguardo è allarmante, come sono incisivi i numeri, i quali raccontano che solo il 7% delle donne ha il coraggio di denunciare una violenza, mentre oltre la metà 52,7% non riesce a farlo. Perché quei campanelli d’allarme, indici di una relazione “malata” non vengono ascoltati e meglio ancora nei casi specifici non sfociano nella denuncia? Minacce, soprusi e sottomissioni non denunciati. La banalità della risposta comune non tiene conto dello sforzo psichico necessario a sottrarsi da una situazione di questo genere; infatti a dispetto dell’opinione pubblica e dei media, gli studi oscillano tra spiegazioni di carattere psicologico e sociale-culturale. Denuncia vuol dire rendere inevitabilmente pubblica una situazione d’impotenza cui la donna sta vivendo: l’umiliazione e la vergogna provata per se stessa e la condizione vissuta scontra con il giudizio sociale facile. Capire le motivazioni che portano la vittima ad “accettare” silente è improbabile, ogni caso è a sé, giocano una serie di multi fattori che toccano la persona nella sua totalità, tenendo presente anche il contesto socioculturale vissuto. Capire i meccanismi che si insinuano in una donna maltrattata è complesso, teniamo presente che nella maggior parte dei casi già la relazione di coppia di partenza si dice patologica, ossia ci sono degli input che sfociano in una relazione affettiva borderline, di dipendenza o malata che creano un rapporto disfunzionale, non positivo; in queste situazioni si perde l’oggettività e si tende a sminuire quanto accade. Uno schiaffo, una gelosia esasperata, l’imposizione di pratiche sessuali indesiderate, l’abuso verbale, l’idea di un potere sbilanciato nel maschio alfa, sono esempi di quei campanelli, quegli input che lavorano nello spirito e nella mente del partner coinvolto, comportandone delle conseguenze. Tralasciando l’idea del non sentirsi abbastanza tutelati dalla giustizia, sono pochi i casi che si concludono con l’assegnazione di una responsabilità penale a carico del maltrattante, questa è un’altra prospettiva d’analisi, sarebbero le ricadute che tali effetti avrebbero sulla donna a motivarci la non scelta della denuncia. La spirale della violenza vede l’uomo violento raggiungere il suo scopo di sottomissione della donna facendola sentire incapace, debole, impotente, totalmente dipendente da lui:” senza di me non sei nessuno”; possiamo capire come ciò vada a condizionare l’essere di una persona, parliamo di annullamento della stessa. L’aspetto caratteristico della violenza nella relazione, che non si trova in nessun altro tipo di crimine, è l’intimo rapporto tra la vittima e il reo; in una coppia ognuno permette all’altro di arrivare fin dove lo autorizza, qualunque dinamica, nasce, vive e si alimenta con il contributo di entrambi.

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