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Nel cuore delle bambine di Kabul
Bambine, fede e religione di Franco Zadra
Nel CUORE delle BAMBINE di Kabul
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Contro i Talebani di Kabul che hanno decretato per le donne il divieto di lavoro, tranne che per mansioni che non possono essere svolte da uomini, che impongono l'esclusione delle bambine dalle scuole superiori, inseguendo un progetto criminale che vuole le donne cancellate dalla storia, invisibili, ignoranti e sottomesse, non si protesta solo nelle piazze. Ho la pretesa di farlo anche raccontando un fatto insignificante, del tutto invisibile alla cronaca giornalistica, occorso a una bambina di 10 anni, non a Kabul, ma proprio qui dalle nostre parti.
Un fatto del quale all'occorrenza saprei fornire tutte le “pezze d'appoggio” sufficienti a suffragarne la veridicità, corrispondendo completamente a tutti i canoni giornalistici, ma che nell'immediata lettura potrà apparire forse per ciò che non è, fantasioso e apologetico. Un fatto della cui concretezza testimonio in prima persona e dalla veridicità verificata e verificabile, ma per ovvi motivi solo in seconda istanza. È accaduto a una mia vecchia amica che si accompagnava con la nipote decenne, Victoria, per una visita a una chiesa delle nostre, un pomeriggio di alcuni giorni or sono. Accolte dalla penombra dell'edificio sacro dov'erano entrate per una breve sosta di preghiera, la mia amica disse subito alla nipote: «È vuota! Non c'è nessuno!». Capita di solito che sia il vuoto la prima cosa che ci colpisce, della quale ci sorprendiamo nell'istante che ci incontra. Capita anche se siamo “religiosi” e il nostro vecchio sguardo cerca ancora un Volto nella notte. Ma Victoria ebbe subito a ribadire, con una luce brillante negli occhi: «Non vedi nonna? È piena! È piena dell'amore di Dio!». Che cosa è accaduto? Perché lo racconto? Quando la mia amica mi disse di questo fatto, un senso di meraviglia mi riempì e mi complimentai con lei per la risposta della nipote. Poi, forse per il solito vizio che mi accompagna, di collegare i fatti, mi ricordai di quella preghiera che la Tradizione ci conserva, “Angelus Domini”, che coglie il nucleo pulsante dell'annuncio a Maria, con la quale possiamo partecipare di quell'abbandono al Mistero rappresentato dal “fiat” con cui Lei esprime la sua fede. «Nell'intimità impenetrabile di questo gesto di libera accettazione – scrive don Luigi Giussani – sta la chiave di volta per il misterioso incontro di Dio e di Maria, e la misura gigantesca di questa Donna «benedetta tra tutte», di questa viandante vittoriosa dell'umano cammino. Quale libertà ha avuto Maria di fronte al «fuori norma» assoluto che le stava accadendo, da cui è dipeso il destino di tutto il mondo!». Una bambina di 10 anni, in un contesto del tutto diverso da quello delle bambine di Kabul, ma con lo stesso cuore, gli stessi desideri di fondo, vede il pieno dove la nonna, come accade alla maggior parte di noi, vedeva il vuoto. E nello spazio di un soffio ha incontrato Dio. Collegando i fatti, mi ritrovo solidale con il mio collega, l'Evangelista Luca, che riporta un fatto della medesima concretezza di questo, accaduto duemila anni fa, che si ripropone oggi ai miei occhi di giornalista, per mostrare come sia possibile e credibile anche ciò che è accaduto alla Madonna, poiché si ripete in tutti i rapporti che fissano la trama della vita degli uomini e la trama che è dentro la storia, cioè la storia di Dio dentro la storia del mondo. Che cos'è la fede se non proprio quella forza piena di attenzione con cui l'anima aderisce al segno di cui Dio si è servito, e sta a questo segno con fedeltà, nonostante tutto? Niente a che vedere con le violenze talebane! Comprensibile però a un cuore di bambina. Non dimentichiamo le bambine di Kabul, come Maria, dopo che “l'Angelo partì da Lei”, rischiano quella solitudine, anche psicologica, nella quale si è trovata, nelle condizioni nuove nelle quali il Signore l'aveva messa, con tutti gli altri ignari e con il niente cui appoggiarsi, senza alcuna apparente motivazione se non la lealtà con il ricordo di un incontro.