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Innovazione e sostenibilità
Uomo & società di Grazioso Piazza
Innovazione e sostenibilità
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Alcuni mesi fa fu Akio Toyoda a smuovere il dibattito. Lui, numero uno di Toyota, era insospettabile nella veste di critico delle politiche pubbliche alla base del lancio espansivo del mercato delle auto elettriche. Più di recente un nuovo scossone è giunto da un’altra rilevante voce, quella di Carlos Tavares, rappresentante di spicco del mercato degli autoveicoli in quanto Amministratore Delegato di Stellantis. Il tema posto da entrambi coincide e riguarda la reale sostenibilità di una conversione globale dei mezzi circolanti in auto elettriche. Senza addentrarsi nella sussistenza o meno di una netta relazione causa/ effetto tra l’adozione della propulsione elettrica massiva e l’obiettivo di decarbonizzazione, aspetto toccato in un precedente articolo, le osservazioni mosse da Tavares ci permettono qui di affrontare due ulteriori aspetti. Due sfaccettature del tema che assumono come spunto il mercato dell’auto elettrica, ma hanno una valenza certamente più generale. Il primo riguarda la valutazione su quanto sia opportuno che a guidare e indirizzare la ricerca industriale sia una scelta politica. L’introduzione di incentivi verso singole e specifiche tecnologie porta infatti i produttori a concentrarsi su quello specifico segmento di mercato e a distogliere o alleggerire l’attenzione verso le direzioni non sovvenzionate e quindi più impegnative nell’affrontare la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni. La conseguenza potrebbe essere quella di trascurare tecnologie che, se giungessero a maturazione, potrebbero fornire risultati migliori rispetto agli obiettivi attesi. Insomma, l’indirizzo troppo esplicito e a suon di incentivi diretto alla sola propulsione elettrica ci può costare la perdita del vantaggio generato dalla concorrenza basata sulla ricerca di soluzioni con sguardi a 360 gradi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza cerca così di correggere il tiro, affiancando alla spesa destinata ad incentivare l’elettrico anche quella diretta al mercato del combustibile a idrogeno. Un allargamento che può giovare, ma che rimane limitato rispetto a ciò che la ricerca industriale potrebbe produrre, come ampiamente dimostrato dall’evoluzione realizzatasi, in pochi anni, in altri settori. Il secondo aspetto, ancora più generale,
riguarda il significato da dare al termine sostenibilità, termine che anche qui è già stato usato. La condivisione di un concetto di approccio sostenibile alla produzione, alle infrastrutture, al futuro da costruire non sempre conduce a chiedersi cosa ciò debba significare e, di conseguenza, come debba realizzarsi tale sostenibilità. L’associazione più diffusa del termine porta a dargli una connotazione sostanzialmente ambientale: ciò che è sostenibile è rispettoso dell’ambiente. Vero, ma questo è sufficiente per caratterizzarne il significato? Il tema ha assunto un livello di attualità crescente negli ultimi anni, ma non è tanto giovane quanto molti ritengono. Nel 1972 l’introduzione del concetto di sviluppo sostenibile apparve in un rapporto dell’ONU, maturato poi, nel 1987, con una definizione, all’interno di quello che è noto come Rapporto Brundtland, “Our common future”, ove si chiariva cosa si intendesse per sviluppo sostenibile: “uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Uno sviluppo che non è “una definitiva condizione di armonia, ma piuttosto un processo di cambiamento”, non una situazione statica, ma un processo dinamico, variabile nel tempo. Infatti, “Il concetto di sviluppo sostenibile comporta limiti, ma non assoluti, bensì imposti dall'attuale stato della tecnologia e dell'organizzazione sociale alle risorse economiche e dalla capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane”. Quale connessione esiste tra le esternazioni di Tavares e le definizioni del Rapporto Brundtland? Taluni dei dubbi espressi dal CEO di Stellantis si indirizzavano appunto alla soddisfazione del concetto di sostenibilità come non connesso esclusivamente agli aspetti ambientali, ma anche economici e sociali. I mezzi puramente elettrici, senza negarne i potenziali benefici sul fronte ambientale, risultano ancora molto più costosi, a parità di categoria del mezzo, di quelli con motore a combustione, condizione che li porta, anche al netto degli incentivi, a non risultare accessibili alla globalità del ceto medio, ma più indirizzati a determinate componenti sociali.
Altrettanto, un forzato cambiamento del mercato va inevitabilmente a determinare potenziali crisi da parte di aziende operanti sul mercato “storico”, che si troveranno a competere in ambienti in cui i margini di guadagno sono più limitati, con conseguenze non trascurabili su lavoratori e sull’indotto. Crisi che dovranno fare i conti con la carenza di quelle materie prime che le auto elettriche usano in modo più intenso rispetto a quelle classiche. Ciò che riguarda tutti noi, aldilà del tema usato quale esempio e nel momento in cui valutiamo le nostre scelte e gli auspici sulle azioni della politica, deve sempre fare i conti con le definizioni risalenti al 1987. La sostenibilità non guarda solamente al rispetto dell’ambiente, ma a un intreccio di rapporti molto più complesso che riguarda gli equilibri sociali e la stabilità economica. Ne è un esempio il banale e generalizzato tema sulla riduzione dei consumi, condivisibile se riferito a ciò che è spreco, ma meno scontato in termini più allargati, considerando come tra le implicazioni dei minor consumi vi sono anche minori esigenze di produzione, quindi un minor capitale umano da destinarvi e le naturali conseguenze che ciò innesca a livello