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Il Museo Burel a Belluno

L'arte in cronaca di Armando Munaò

IL MUSEO BUREL A BELLUNO

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Una particolare struttura artistica, sicuramente unica nel suo genere e nella sua essenza. Un Museo di Arte contemporanea che in una sinergia d'intenti chiama gli artisti ad una dinamica e quantomai costruttiva partecipazione. Per saperne di più abbiamo intervistato Daniela Zangrando che del Museo Burel è la dinamica direttrice.

Daniela, per due anni Lei è stata direttrice della Spazio Monotono Contemporary Art di Vicenza. Quale è stata la molla ispiratrice che ha motivato l'apertura del Museo Burel? Museo Burel nasce dopo una serie di esperienze. La direzione di Monotono Contemporary Art a Vicenza, gli anni a Milano, i viaggi in Belgio, i progetti curati a Perarolo di Cadore, le tante collaborazioni. E, non ultimo in ordine di importanza, dopo un periodo di allontanamento dal mondo dell’arte contemporanea. La molla ispiratrice è stata l’uscita di uno studio effettuato dal CGIA di Mestre nel 2018 sullo spopolamento dell’area del bellunese, in cui emergeva una situazione complessa e problematica. Mi sono detta: se voglio far qualcosa per questo territorio, devo farla con gli strumenti che conosco e padroneggio, quelli della cultura e del contemporaneo. E ho deciso di partire con questo sogno di un museo d’arte contemporanea, che covavo da molto. Ci vuole presentare la carta d'identità di questo museo che ci sembra unico nel genere nel bellunese e uno dei pochi in tutto il Veneto?

Un museo è un organismo. E la carta d’identità di un organismo non può che essere articolata e complessa. Se dovessi sintetizzare al massimo, forse mi fermerei su tre aspetti.

Il primo è il nome: Burel. Burel è una montagna cara al territorio bellunese. È molto severa. La sua parete nord-ovest è verticalissima, ha circa 1500 metri di dislivello, e ha tenuto lontani anche gli alpinisti fino agli anni Settanta del Novecento. Le montagne, qui, non sono ignorabili. Sono parte di un contesto che non è solo paesaggistico, ma è anche mentale, di pensiero, legato all’immaginario e al quotidiano. La severità del Burel è qualcosa con cui l’arte e il Museo devono fare i conti. Il secondo aspetto riguarda un termine citato spesso da un curatore che stimo molto, Hans Ulrich Obrist (direttore della Serpentine Gallery di Londra): la generosità. Penso che la generosità sia lo strumento che ogni museo deve avere come base, come cuore, come ossatura. E deve anche essere il modo con cui ogni operazione viene portata avanti e proposta. Il terzo aspetto è legato alla funzione sociale dell’arte. Perché l’arte non è diversa dall’educazione, dai vigili del fuoco, dagli ospedali, e da qualsiasi altra funzione connaturata alla società, come ha impresso a fuoco tra i miei pensieri quello che definisco sempre come il mio maestro, il curatore belga Jan Hoet. Come si posiziona nel panorama artistico culturale il Museo Burel? Burel è un museo che si occupa dell’arte e del linguaggio del contemporaneo. Quello che fa è captare le esigenze e le urgenze dell’oggi, chiamando gli artisti e le figure che ne sono interpreti a mostrare le proprie ricerche e i risultati a cui sono approdati. Può sembrare una frase complicata, ma vi chiedo di andare un po’ oltre. Siamo circondati dal contemporaneo. Contemporaneo è tutto quanto ci circonda, qui e ora. E non c’è niente di inavvici-

nabile. Basta essere curiosi e affamati. Quale rapporto ha Burel con i vari artisti? E con il pubblico? E quali sono i suoi spazi espositivi? Potrei rispondere che Burel è un museo innamorato degli artisti e del pubblico. Nel vero e proprio senso della parola. Entrambi sono creatori di realtà. Gli artisti con le loro opere e il pubblico con l’interazione, le domande, le perplessità, gli sguardi. Senza la presenza dell’uno o dell’altro polo, un museo sarebbe solo uno spazio di retorica e di solitudine. Agli artisti, così come al pubblico, Museo Burel propone, e lascia carta completamente bianca. Per quanto concerne gli spazi, immaginate un museo di due sole stanze. Un punto, nel cuore della provincia, incuneato nel centro storico di Belluno. Non dovete sentire questa sua dimensione come un limite. L’arte e la cultura sono caleidoscopiche, sono centri di irraggiamento, di incontro, in cui trovarsi e ritrovarsi e da cui muovere i pensieri. Cosa c'è dietro l'angolo e quali le aspettative future? Museo Burel si confronta di anno in anno con un quadro concettuale legato al territorio. Il primo anno il filo conduttore è stato quello dell’Om Selvarech (l’uomo selvaggio con le sue radici folcloriche e antropologiche, ma anche motivo per ragionare attorno all’alterità e all’altro); quest’anno è stata la volta dell’Anguana, creatura delle acque, dalla parvenza per metà umana e per metà animale, essere fluido che ci ha permesso di addentrarci nelle questioni legate ai generi. Questi fili conduttori vengono messi poi nelle mani degli artisti e di soggetti legati al mondo della cultura. Continueremo a muoverci in questa direzione, sicuramente, puntando al sempre maggiore coinvolgimento del territorio e dei suoi abitanti. Abbiamo in ballo un sacco di progetti! Vi aspettiamo!

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