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Il personaggio: Mirco Mezzanotte
MIRCO MEZZANOTTE
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Il Camoscio del Tesino (e del Lagorai) tra ori mondiali e primati ad alta quota.
Echi lo avrebbe mai detto che un piccolo paese del Tesino (CINTE) avrebbe dato i natali ad un atleta destinato a diventare una vera e autentica leggenda dello sport alpino. Un personaggio che, senza tema di smentita, può essere paragonato a Gustav Thoeni, Tomba, Gros e a tutti quei campioni di ieri che hanno onorato la bandiera italiana. Per un decennio, atleta della Squadra Nazionale italiana di scialpinismo; dal 2000 con la selezione di Cervinia è stato uomo di punta a livello mondiale di questa disciplina, così dura ma affascinante. E sono i suoi risultati ottenuti nella varie discipline che documentano questa nostra affermazione. Vincitore di una Coppa del mondo, una Coppa Italia, tre Coppe delle Dolomiti, una Coppa Dolomiti orientali, quattro Titoli italiani assoluti, Argento in Coppa Europa, Argento Overall in Coppa del Mondo (individuale e coppie), Bronzo agli Europei, Bronzo Vertical race agli Europei. Primo in svariate gare di Coppa del Mondo e Coppa Europa (Le Gran Bornard, Pirenei, Valtellina ski race, Adamello ski raid). Ha vinto la prestigiosa Mountain Attak in Austria e decine di Classiche italiane per più volte: Lagorai Cima d'Asta, Pizolada delle Dolomiti, Transcavallo, Trofeo Pilati, tutte per ben tre volte, primeggiando ancora sulla Marmolada, Adamello, Monviso, Gran Sasso, tra Friuli e Valle d'Aosta fino all' Etna. L’ultima sua gara è in Turchia, nel 2012, e tanto per non smentirsi si mette al collo la medaglia d’oro. Per saperne di più e per meglio conoscere questo straordinario atleta che tanto lustro ha dato alla sua terra natia e all’Italia tutta , lo abbiamo intervistato in un dialogo veramente amichevole dove ci racconta e si racconta.
L’INTERVISTA Come e’ nata la tua passione per la montagna e a che eta’ hai cominciato a gareggiare? Vivendo in montagna la passione e la curiosità di scoprire ciò che mi circondava e allargare sempre più gli orizzonti, è stata una conseguente passione rafforzata poi negli anni. Fin dalle scuole elementari, con l'allora U.S. Cintese, ho iniziato a partecipare a corse su strada e campestri e successivamente, con U.S Borgo, presieduto da Giorgio Zottele, al quale sarò sempre riconoscente, perché di persona veniva a prendermi a Cinte la domenica, assieme a Tullio Bortolotti, per portarmi a gareggiare in tutta la Provincia. Gli stessi anni, durante la stagione invernale partecipavo ai corsi sci, gareggiando nel fine settimana. Quali sensazioni hai provato quando sono arrivate le prime vittorie e quando hai capito che l’agonismo
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era la tua strada? Fino 14 anni non mi sono mai realmente allenato, andavo spensierato alle competizioni e comunque ero spesso sul podio. A 16 anni mi sono appassionato alle corse in montagna d'estate e allo scialpinismo in inverno, mi allenavo sempre da solo, scoprendo via via il mio talento, sono diventato atleta e preparatore di me stesso, andando a "sensazione", ascoltando il mio corpo, senza imposizioni o tabelle, che negli anni ho costantemente riposto nel cassetto. Senza dei compagni di allenamento del tuo livello ci si deve organizzare autonomamente, ci vuole un'autentica passione, grandi motivazioni, auto disciplina e un po’ di sano masochismo per arrivare a certi titolo e primati. Ho partecipato alla mia prima gara di scialpinismo nel 1993 in coppia con Mario Piasente e nel 1994 la mia prima Lagorai Cima d'Asta e con 4,5 kg per gamba, in due ore e qualche minuto da Malga Sorgazza ero sul "Zimon". Dal 1995 con attrezzatura più leggera, sono migliorato costantemente, di anno in anno, fino a garantirmi nel 2000, un posto nella Squadra Nazionale di scialpinismo, alla storica gara di qualificazione di Cervinia Ti sei mai ispirato a qualche atleta nrel corso della tua carriera agonistica? Quali compagni di viaggio ricordi con affetto? Avevo grande ammirazione per Fabio Meraldi, atleta simbolo a livello mondiale negli anni '90 (attuale Commissario Tecnico della Nazionale di Sky running) e che ho poi battuto nella massacrante Mountain Attak a Salbach in Austria nel 2002, solo pochi anni prima, inimmaginabile pensiero; è stato l'inizio della mia ascesa ai vertici mondiali, con la conquista della Coppa del mondo nel 2004 in coppia con Guido Giacomelli e i numerosi titoli individuali. Franco Nicolini, guida alpina di Molveno è stata la persona con la quale ho condiviso competizioni ed esperienze in montagna (vice Campioni europei, campioni italiani, record di salita al Cho Oyu 8.201m, spedizoni al Nanga Parbat 8.126m, Dolomiti, Alpi, Ande). Uomo di una tenacia infinita, disposto alle sofferenze più estreme, ci siamo trovati entrambi nella ricerca dei nostri limiti e in alcune occasioni, le energie più sconosciute ci sono servite ad evitare situazioni tragicamente irreversibili; la velocità in montagna, spesso diventa sinonimo di sicurezza. Con la conquista della medaglia d'oro in Coppa del mondo, dopo cinque gare tiratissime, contro Esercito, Squadra nazionale francese e svizzera, sei in cima al mondo, il peso del tuo prestigio e popolarità diviene però schiacciante, diventi l'uomo da battere, l'obiettivo di pochi agguerriti rivali; lo stress negli anni seguenti è stato elevatissimo, sulla linea di partenza a momenti, pare che le energie mentali per affrontare la gara svaniscono in
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considerazione delle smisurate fatiche che dovrai sopportare lungo il percorso. In Austria, alla Mountain Attak del 2002 sono arrivato "silenziosamente" non ero io il favorito, ma nel proseguo della gara (3.000 metri di ascesa in tre salite) la fatica andava "scomparendo", ho staccato tutti, ripreso l'ormai "certo vincitore", l' austriaco Martin Hornekker, davanti di quattro minuti sull' ultima salita che ha pagato altri quattro minuti al traguardo; lo speaker all'arrivo e i tifosi, hanno impiegato un paio di minuti per capire che il loro idolo si era dissolto ed ero io il "Mountain Man" di quell' anno con anche il record del percorso. Quei giorni sono rari in una vita di un atleta ai massimi livelli, senti gambe e braccia che spingono leggere, senza dolore e tu voli verso una grandiosa vittoria, salutando e sorridendo gli avversari, sono sensazione e momenti che ricordi per un'intera vita (due ore prima avevo mangiato due piatti di pasta cotta per mezz'ora, che nuotava nel burro fuso). Tornando indietro con la memoria, c’è una medaglia che ti e’ rimasta nel cuore? La gara vinta, ma più sofferta della mia carriera, è stata l'edizione del 2006 dell'Adamello ski raid, (3.600 m di ascesa in 45 km) una formula insolita con squadre di tre atleti, assieme a me Guido Giacomelli ed Ansjorg Lunger. In una giornata per me assolutamente negativa, ho dovuto attingere energie da ogni singolo neurone del mio cervello, per tenere a bada la squadra svizzera che ci incalzava troppo da vicino. Al traguardo, una grande liberazione, vittoria mai così sofferta, principalmente con me stesso, certo non mi sono "sono voluto bene", mi sono alzato solo per le foto e la premiazione e sono riuscito a mangiare qualcosa solo a casa in tarda serata. Nelle gare a coppie avrei potuto vincere di più, infatti in alcune occasioni per vari motivi, ho dovuto gareggiare con compagni non così preparati, anche se con qualche rimpianto da atleta, ricordo con piacere la loro umanità e la stima e amicizia nei miei confronti. Quali emozioni hai provato quando hai raggiunto la vetta del Cho Oyu a 8201 m.? La conquista del Cho Oyu 8.201m è stata un'esperienza che nel mio cuore e nella mia mente, avrà sempre un posto di rilievo assoluto, sesta montagna più elevata della pianeta, salita in tempi record, dal campo base a 5.700m fino alla vetta in 11 ore, senza l'ausilio dell'ossigeno e con un acclimatamento minimo; 35 giorni totali, compreso l'avvicinamento e le rigide fermate imposte dal regime cinese. Oltre i 7.800 metri nella così detta "zona della morte" l'assoluta determinazione di conquistare la cima, si fonde con la consapevolezza che a quelle quote il tuo organismo muore, i tuoi neuroni si dissolvono; rallentando troppo a meno 50 gradi significa raffreddarsi e in pochi minuti congelare. Simone Moro era rimasto indietro, eravamo rimasti io e Franco Nicolini, ognuno chiuso in se stesso con i pro-
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pri demoni, ti rendi conto che l'esile fiamma che ti mantiene in vita perde il suo vigore. Il forte vento ci accompagna fino in vetta e solo negli ultimi metri si vede l'Everest a 30 chilometri di distanza, severo testimone della nostra conquista diventa la conferma che il punto più alto è sotto i nostri piedi, siamo a metà del viaggio. La maggior parte delle tragedie accadono durante la discesa, Franco, la sera al campo base, confesserà che non sapeva più chi era quella presenza, che lo precedeva scendendo verso campo 3 a 7.100 m, quello "sconosciuto" assieme a lui, su quel gigante himalayano ero ovviamente io. La sensazione da me avvertita maggiormente sulla cima è stata una profonda solitudine, lontanissimo dalle prime forme di vita, (a quella quota volano gli aerei di linea) sospeso in un cielo che poco assomiglia a quello terrestre, un inconscio istinto ti dice che sei in un luogo fuori dalla umana natura. Come ti ha accolto la tua comunita’ al rientro dall’Himalaya? Il ritorno dal Cho Oyu è stata una vera e propria liberazione, ad ogni metro che mi allontanavo dal campo base il mio animo si alleggeriva, l'acqua, il cibo, gli odori erano diventati nauseanti, a 5700 metri per un mese e dormire in tenda a meno 20 diventa logorante. Circa una settimana dopo arrivai a Trento, mio papà e mio zio vennero a prendermi al treno, lungo la strada stranamente temporeggiavano con scuse e strani atteggiamenti, a mia insaputa a Cinte il mio paese, si stava preparando una festa. A Pieve Tesino arrivarono i pompieri a prendermi, ero imbarazzato, due chilometri e tutto fu chiaro, nella piazzetta sotto casa mia mamma commossa, (e liberata da un macigno sul cuore) tutti i miei amici, venuti anche da lontano, un enorme buffet; non mi sposavo, non ero morto, ma suonavano le campane, solo una festa per una grande impresa. In seguito ufficialmente i tre Sindaci, di Cinte, Pieve e Castello, mi resero merito pubblicamente, con una targa, la banda che suonava e ancora tanti amici con grandi sorrisi. Guardandoti indietro, puoi ben essere soddisfatto dei numerosi e prestigiosi risultati raggiunti. Quali consigli ti sentiresti di dare ai giovani che intendono intraprendere una carriera nello sci d’alpinismo? Nella vita poi è tutto relativo e molto personale, non tutti i campioni sono felici o sereni così come del resto la gente "comune". Ho cercato il più possibile di assecondare le mie passioni ed in particolare il mio animo, sono stato bravo ma ho avuto anche molta fortuna, devo ringraziare in particolare i miei genitori, credo che mio papà abbia vissuto in se stesso, al mio pari, i miei successi, ripeto, nella vita è tutto relativo e molto personale, io vincevo e lui vinceva; sono soddisfatto di avergli regalato giorni felici. Pochi come me, hanno avuto il tempo per fare liberamente ciò che hanno voluto, mesi in giro per il mondo, infiniti giorni in montagna, d'estate, d'inverno, corse, sci, biciclette ecc. l'entusiasmo certo non mi manca, le forze per ora sono quelle dei 20 anni, forse anche di più. "Sei nato con due camice", questo dicono i miei famigliari, ma, dico io, sudate e messe in gioco più volte. Ai giovani dico di vivere con umiltà, basso profilo, non perdersi nel materialismo o nel possesso di beni inutili, fuori c'è un mondo di "cose", montagne, oceani, sentieri che portano ovunque, culture, bellezze infinite; tutto "gratis", la differenza la facciamo noi apprezzando con intelligenza questo Paradiso a nostra disposizione. Alla fine di una Vita sono le emozioni che ci siamo regalati che in modo assoluto contano, cercate di viaggiare, concedetevi qualche sana pazzia rispettando voi stessi, il prossimo e l'ambiente; voi principalmente rappresentate la vostra Felicità, alle volte qualche buon amico e una/o una buona compagna/o. Ricordate ogni giorno che le persone care spesso non ci sono per sempre, meriti ed esperienze si condividono quando si è ancora in vita. Il tempo vola più dei nostro pensiero.