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Il calcio in evidenza: Josè Mourinho
Il calcio in evidenza
Josè Mourinho “Special One”
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di Alessandro Caldera
“Ithink I am a Special One”. Letteralmente, “penso di essere speciale”. Queste sono alcune delle parole che riassumono alla perfezione uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio o, meglio, con queste stesse, lui si definisce. L’autore della frase in questione è un uomo prossimo ai 58 anni, originario di Setùbal in Portogallo, all’anagrafe José Mário dos Santos Mourinho Félix: per tutti, più semplicemente, Josè Mourinho. Chi era quindi questo signore prima di diventare “speciale” e quali tappe della sua carriera hanno contribuito a consacrarlo come tale? Innanzitutto, la passione per questo sport va attribuita al padre Felix, scomparso nel 2017 all’età di 79 anni, portiere con più di 250 partite in carriera e con svariate esperienze da allenatore, anche se con esiti neanche lontanamente paragonabili a quelli del figlio. Per quanto riguarda Josè, di ruolo difensore, possiamo parlare di un trascorso più che modesto all’interno del rettangolo di gioco con all’incirca un centinaio di partite disputate tra il 1981 e il 1987, prima di un prematuro ritiro, all’età di 24 anni, per dedicarsi poi all’attività che lo avrebbe proiettato nell’Olimpo del calcio. Nella stagione 1992-1993, Mourinho viene finalmente nominato assistente di Bobby Robson, suo mentore, all’epoca allenatore dello Sporting Lisbona. Tra i due nasce un vero e proprio sodalizio che porta il tecnico inglese a nominare Josè suo vice anche nelle successive esperienze, prima al Porto e poi al Barcellona. Il lusitano rimarrà in Catalogna fino alla stagione 1999-2000 e qui, grazie a mister Louis van Gaal (nome da tenere a mente perché ritornerà nella notte più importante della sua vita), avrà anche la fortuna di alzare il primo trofeo in carriera. Con l’avvento del nuovo millennio, assistiamo alla consacrazione definitiva del genio portoghese; ecco perché parlare esclusivamente dei singoli risultati, senza analizzare come siano stati raggiunti, sarebbe un errore imperdonabile. Riassumere il tutto in modo cinico, impedirebbe di comprendere la vera essenza di Josè, il suo essere leader e la sua grandissima capacità oratoria. Prove inequivocabili di tutto ciò possiamo trovarle durante la sua prima militanza al Chelsea tra il 2004 e il 2007 quando, reduce dalla vittoria della Champions League della stagio-
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ne 2003 con il Porto, si presenta alla stampa con l’indimenticabile frase riportata in apertura di articolo. Parole dirette e taglienti grazie alle quali, da quel momento in avanti, sarà appunto noto con l’epiteto di “Special One”. Testimonianza invece della sua straordinaria capacità di plasmare e scovare giocatori emergenti, si ha durante la sessione estiva di mercato quando, incalzato dal presidente dei londinesi Roman Abramovich disposto a dargli carta bianca pur di vincere, Mourinho pretende un giocatore allora sconosciuto di nome Didier Drogba. Il patron, di fronte alla richiesta, scoppia a ridere perché si sarebbe aspettato giocatori più blasonati e pronti, non certamente uno ancora in rampa di lancio. Il risultato? Josè viene accontentato, il club vince nel 2004 il campionato dopo 50 anni e il calciatore ivoriano ne diventa il miglior marcatore straniero della storia. Non è però all’ombra del Big Bang che Mourinho scrive le pagine più indelebili della sua carriera: ciò avviene infatti in Italia, al termine di un percorso iniziato un pomeriggio di tarda primavera del 2008. È il 2 giugno, quando il presidente nerazzurro di allora, Massimo Moratti, individua nel portoghese il successore di Roberto Mancini. Le motivazioni della scelta sono attribuibili al fatto che lo stesso Moratti non si accontenta più di primeggiare solamente in patria, ma vuole ora imporsi anche all’estero, così come 43 anni prima aveva fatto il padre Angelo. Il calcio che Mourinho esprime nel campionato italiano, non è dei più spettacolari; la squadra però ha una coralità ed una tenacia mai viste prima, che rispecchia in parte anche la sfrontatezza e l’irriverenza del proprio allenatore, capace di gesti come quello delle “eloquenti manette”, per descrivere un arbitraggio non propriamente di suo gradimento. All’Inter il tecnico ha dimostrato perché è speciale: lo ha fatto una sera di maggio a Madrid nel 2010 quando, riportando i nerazzurri sul tetto d’Europa dopo 45 anni, ha ottenuto anche il “Triplete” (Campionato, Coppa Italia e Champions League), divenendo il primo allenatore in Italia a riuscire nell’impresa. Quella notte il portoghese ci ha voluto dare anche un insegnamento di vita: con il successo in terra spagnola ha dimostrato infatti che l’allievo può superare il maestro. O almeno, questo è quanto riportato dal tabellino al termine di quel magico incontro. Lo “Special One” si impose infatti per due reti a zero contro Louis van Gaal, suo mentore, entrando così di diritto nella leggenda.