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A parere mio: politically correct

A parere mio

di Patrizia Rapposelli

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POLITICALLY CORRECT E CANCEL CULTURE

Un fenomeno sfuggito di mano?

Il fenomeno del politically correct (politicamente corretto) sembra essere sfuggito di mano a molti negli ultimi tempi. C’è chi parla di “cancel culture” (cultura della cancellazione). Soprattutto tra i sostenitori più radicali che tendono a concentrarsi maggiormente sulla forma piuttosto che sulla sostanza delle questioni. Più sulle parole e i simboli anziché su problemi concreti, pur partendo da motivazioni condivisibili e necessarie. Lo sa bene la Disney che ha passato in rassegna i grandi classici per controllare eventuali messaggi offensivi. E Lo dimostra la bufera politica - mediatica scatenata da Pio e Amedeo nelle puntate di Felicissima sera, in onda su canale 5. I due comici hanno sdoganato l’uso di termini scomodi come provocazione al fanatismo del politically correct. Sketch politicamente scorretto al fine di lanciare una sfida precisa: peggio le parole o le intenzioni. Piovono le critiche, le proteste sui social non si contano, si scatenano pensieri di cattivo esempio. Apprezzabili o meno, condivisibili o meno, criticabili o meno è satira. La satira è una critica mordace, risalta con modi ironici, dallo scherno all’invettiva sferzante, atteggiamenti comuni alla generalità degli uomini o tipici di una categoria. Esiste da sempre ed è spesso un tipo di umorismo discriminatorio capace di mettere al centro riflessioni importanti. Politicamente corretto non è un freno alla libertà di espressione, ma semplicemente un meccanismo che serve a limitare la violenza verbale, purtroppo l’onda esasperata che si sta abbattendo su di esso va oltre gli isterismi censori che di solito si imputano al politically correct. È un movimento di idee nato nei campus americani per combattere le discriminazioni contro le minoranze. Condannare preconcetti, azioni e modi che in qualche modo ledono precise categorie minoritarie è giusto, ma cosa succede quando si cade nella “cancel culture”? Il politicamente corretto non è nato per abbattere le statue, cancellare Shakespeare nelle università ed Egon Schiele nei musei. La “cancel culture” vuole invece eliminare i western nelle sale cinetiche, Peter Pan e Dumbo. Fanatismo che abbatte ciò che non si conforma senza distinzioni? Oggi la cultura dell’annullamento è all’ordine del giorno e in molti la guardano come forma moderna di ostracismo con cui una persona, così come un marchio o un gruppo commerciale vengono messi al bando, un’estromissione totale dalle cerchie sociali, social e professionali. Guasta in qualche modo i diritti della libertà di espressione ed estremizza il vecchio politically correct. Sono molti gli episodi di “cancel culture” dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso il 25 maggio 2020 a Minneapolis, e le conseguenti proteste del movimento attivista internazionale Black Lives Matter, sfociate nella violenza e nel vandalismo dei fanatici. Le società Occidentali, come anche l’Italia, sono percorse da un dibattito che sta ridefinendo le basi, una tensione tra grandi fenomeni socioculturali degli ultimi decenni, dal femminismo al multiculturalismo e ai diritti Lgbt, e la parte di popolazione che vi resiste. Polemiche e accuse, un futuro in continuo divenire, servono strumenti utili a non votare il linguaggio come mezzo di sofferenza, ma è altrettanto utile saperli usare senza abusarne.

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