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La storia (mai raccontata) di Xiaorong Li
Storie di casa nostra
di Nicola Maschio
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La storia (mai raccontata) di Xiaorong Li e del suo Giardino di Giada
APergine Valsugana è difficile trovare qualcuno che, almeno una volta, non abbia detto “Stasera a cena andiamo dal Li!”. Il suo Giardino di Giada, ristorante cino-giapponese, è diventato nel tempo un vero e proprio punto di riferimento per tutti: da Caldonazzo a Levico, da Civezzano a Madrano. Tuttavia, pochissimi conoscono la storia di Xiaorong Li, originario della provincia di Zhejiang vicino a Shanghai e con una laurea alla facoltà cinese di Lettere. Sposato, con un figlio, e capace di parlare tre lingue (oltre al cinese anche l’inglese e l’italiano), quello che tutti conoscono semplicemente come “il Li” ha deciso di raccontarci la sua storia.
Li, partiamo dal principio: come sei arrivato in Italia?
Devo dire che è davvero successo tutto per caso. Dopo le manifestazioni di piazza Tienanmen, tra l’aprile ed il giugno del 1989, mi sono trasferito in Australia per frequentare una scuola privata dopo la laurea in Lettere. All’inizio degli anni ‘90 ho deciso di fare un viaggio in Europa, passando per Francia, Svizzera, Austria e Inghilterra. Ma una volta atterrato a Ginevra, sono stato derubato: mi hanno portato via valige, soldi e passaporto. Non sapendo come tornare in Australia, ho chiesto aiuto ad un mio amico in Italia, a Milano, sperando di poter risolvere tutto al Consolato. In quegli anni però il regime cinese era abbastanza duro, quindi non mi hanno fatto rientrare con facilità. Ho dovuto aspettare parecchio e rivolgermi anche alla sede di Roma. Mentre aspettavo di ottenere un nuovo passaporto, ho trovato lavoro a Milano nella cucina di un ristorante cinese dove ho lavorato dal ‘91 al ‘93, spostandomi poi fino al ‘97 al servizio di sala. Stavo però cercando di aprire una mia attività.
Poi cosa è successo?
Un amico di un mio amico mi ha detto che, proprio a Pergine, un nuovo ristorante cinese cercava qualcuno che sapesse parlare bene l’italiano. Io avevo già deciso di restare in Italia anche perché mi ero sposato e avevo avuto un figlio, quindi mi sono offerto. Era la primavera del 1998 e, dopo 10 giorni a Pergine tra marzo e aprile, sono tornato a Milano. Qualche mese dopo, in giugno, il titolare di questo ristorante mi ha chiamato dicendomi
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che non riusciva più a proseguire, dato che nessuno di loro parlava italiano. Mi ha chiesto se ero interessato a gestirlo io, ed ho accettato: credevo che fosse un’ottima zona, anche se in quegli anni Pergine contava circa 10mila abitanti. Nel settembre del 1998 ho cominciato ufficialmente la mia nuova vita qui.
Una vita completamente diversa rispetto a quella milanese…
Si, all’inizio per me è stato come andare all’estero. Non ero abituato ad un paese così piccolo, con una cultura diversa. Appena arrivato ho allargato il ristorante e, fortunatamente, ho sempre avuto il sostegno di tanti amici e parenti. Ormai Pergine è casa mia, come l’Italia: quando tra il 2006 ed il 2010 ho gestito anche un secondo ristorante a Trento, ho sempre detto a tutti che ero perginese. Nel 2014, inoltre, ho ottenuto la cittadinanza italiana.
Ma non ti manca la Cina?
Certamente. Mi manca soprattutto perché ho lì genitori e parenti, quindi senza dubbio c’è nostalgia. Ma ogni anno, e spero riprenderò dopo la pandemia, torno a trovarli. E loro sono venuti più volte qui. Il mondo di oggi non è cosi “lontano”, è facile spostarsi e viaggiare.
A dimostrazione del tuo attaccamento a Pergine, lo scorso anno hai anche donato delle mascherine alla città
Si è vero, ma l’ho fatto con piacere. E spero che il Giardino di Giada, anche quando andrò in pensione, rimarrà il “ristorante del Li”, un punto di riferimento che ormai è storico per Pergine.
Storie di casa nostra
Un’ultima considerazione: che rapporto c’è tra gli italiani e il cibo cinese?
È vero, tante persone pensano che i cinesi mangino cose completamente diverse. Anni fa, i nostri piatti venivano scelti una volta ogni tanto, ma oggi sono popolari quasi come la pizza. Si tratta di una grandissima differenza rispetto a vent’anni fa: ora abbiamo molti clienti con più di 70 ed 80 anni, che si avvicinano a questo mondo con curiosità. Il 60-70% di loro vuole cibo cinese più che quello giapponese: dal riso ai gamberi, provano qualsiasi cosa e cercano subito di assaggiare i nuovi patti. È quasi come una moda, un cibo divenuto “classico”. Significa che il mondo si sta evolvendo, sta cambiando molto velocemente e ormai la cucina cinese è tra le più importanti al mondo. Proprio come quella italiana.