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L’inizio di una dinastia: Cesare Maldini
Il calcio in controluce
L’inizio di una dinastia: CESARE MALDINI
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di Alessandro Caldera
Prendiamo una città storicamente sferzata dalla Bora, Trieste, e un anno tra le due Guerre mondiali, il 1932. Qui, una mattina di febbraio, viene alla luce uno dei giocatori più conosciuti della storia del calcio italiano del ventesimo secolo. Origini slave, cosa non così inusuale vista la vicinanza del mondo jugoslavo, per la precisione slovene, con un cognome che in principio sarebbe stato Malduin. A causa però di un regio decreto dell’anno 1927, che impediva la permanenza nella nostra penisola di famiglie con cognome di origine straniera, quest’ultimo fu conseguentemente riadattato in Maldini. Con il tempo, queste sette lettere riempiranno in continuazione le testate dei più accreditati giornali sportivi e non, portandoci inevitabilmente a parlare di una vera e propria dinastia, capeggiata da Cesare, protagonista del racconto, proseguita in maniera eccelsa da Paolo e ora retta da Daniel. Torniamo però ad analizzare da vicino la storia del capostipite, il “mulo de Servola”, tradotto per i più profani, o in generale per coloro che non hanno tutta questa affinità con il vernacolo triestino, come “il ragazzo di Servola”. È da questo semplice quartiere, storica enclave slovena, che Cesare si avvicina al mondo del calcio; pare infatti che le sue prestazioni nell’oratorio locale, avessero impressionato non poco l’allora massaggiatore della Triestina, tale dottor Cerne. Questo signore, convinto delle potenzialità del ragazzo, contribuì a farlo provinare con la società alabardata, con la quale disputò tutta la trafila, prima dell’esordio in Serie A avvenuto il 24 maggio 1953. Quel giorno, indelebile nella mente di Cesare Maldini, anticipò di qualche mese un fatto abbastanza grave, occorso in occasione della prima giornata di campionato. Si dice infatti che al momento di partire per Torino, dove si sarebbe dovuta svolgere la sfida contro la Juventus, quattro giocatori si ammutinarono per protesta contro i mancati pagamenti del loro stipendio, portando pertanto l’allenatore a schierare al loro posto alcuni giovani della primavera, tra cui anche Cesare. L’uomo alla guida di quella squadra era un triestino incallito di nome Nereo Rocco, per tutti il “paròn”, noto per essere il primo fruitore, nel dopoguerra, di un calcio meno orientato alla fluidità e alla bellezza, focalizzato maggiormente su di una disposizione tattica ossessiva e su una strenua difesa: il “catenaccio”. Al di là però della visione o della concezione del gioco, per Maldini il suddetto allenatore era molto di più, un sorta di padre, presente in quel pomeriggio piemontese e immancabilmente nella magica notte londinese del ‘63. Prima di arrivare
Cesare Maldini nell'incontro Feyenoord. AC Milan (0-2)
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a quella serata, il giovane triestino avrà modo di consacrarsi definitivamente durante la stagione 1953/54 al termine della quale il Milan, allora nelle mani dell’imprenditore Andrea Rizzoli, ne avvalorerà l’acquisto per ben 58 miliardi di lire. L’esborso, non indifferente ai tempi, era motivato da una richiesta esplicita da parte del mister rossonero dell’epoca, Bèla Guttmann, colui che notando per primo le potenzialità di Maldini affermò: “Questo ragazzo è da Milan e nel Milan giocherà”. Per chi non lo conoscesse, il “maestro” ungherese fu tra i primi a teorizzare il modulo 4-2-4 e successivamente l’uomo che lanciò Eusebio, la “Pantera Nera”, uno dei più forti giocatori della storia portoghese e centravanti del suo Benfica, in grado di vincere per due anni consecutivi la Coppa dei Campioni. Oltre al tecnico magiaro, reo di averlo riadattato come centromediano o libero, Cesare deve, come detto in precedenza, moltissimo a Nereo Rocco. Era lui che sedeva sulla panchina rossonera quella memorabile sera del 22 maggio 1963, quando il Milan si impose con il passivo di due reti a uno contro il Benfica, grazie a due marcature di Altafini. Quel giorno risulta oggi, rianalizzandolo, abbastanza paradossale: è storico, perché la società meneghina fu la prima squadra italiana a trionfare in campo europeo, con Cesare a farne da capitano, ma più di tutto è particolare perché mostra due creature plasmate da Bèla a confronto. Da una parte il mulo triestino e dall’altra Eusebio. Maldini disputerà la sua ultima partita con i “diavoli” milanesi, esattamente tre anni dopo, contro il Catania in un match a senso unico terminato con il risultato di 6-1. Il gol dei siciliani fu un’autorete di Cesare, questo però al popolo milanista non interessava. Tutti erano affranti, perché consapevoli del fatto che in quel momento un’istituzione se ne andava, lasciando un vuoto incolmabile nel prato di San Siro. Nessuno ancora poteva immaginare che quella voragine si sarebbe chiusa in poco tempo, ma soprattutto che a farlo potesse essere un altro Maldini: il figlio Paolo.
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