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Società oggi: scuola e Covid
Scuola, società e Covid
Un anno in DAD
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di Veronica Gianello
cosa abbiamo imparato e cosa continuiamo a sbagliare
Anche se magari non ne abbiamo una percezione reale, è già un anno che rincorriamo in affanno questo tempo ballerino. Riaggiustarsi, reinventarsi, reinserirsi regolarsi: cambiamenti necessari per non rimanere indietro. Allo stesso modo dei singoli individui, delle aziende, delle famiglie, si è dovuto ripensare anche alla scuola.
Il distance learning, l’e-learning, l’homeschooling sono tutte pratiche quotidiane in paesi come gli Stati Uniti, e tutte dignitosamente riconosciute fin dagli anni ‘70. Noi invece, da buoni italiani, ci siamo appropriati di queste modalità d’insegnamento/apprendimento senza analizzarle, buttandole all’interno del nostro sistema scolastico senza curarci del come e senza includerlo organicamente all’interno del nostro modo di fare scuola. Che ciò sarebbe diventato un problema è stato chiaro fin da subito: nessuno si è preso la briga di introdurre questa DAD, la ‘didattica a distanza’. Non una legge, non un decreto, nemmeno una Ministra a sostenerla con forza a livello nazionale. Non è stato tracciato un percorso coerente. I Dirigenti scolastici sono stati invitati a muoversi in maniera autonoma, in quanto ‘comandanti della nave’, come li definì la stessa Azzolina. Un atteggiamento comprensibile forse, e magari anche apprezzabile, dato che comunque siamo stati colti decisamente alla sprovvista. Tuttavia, da lì, nulla è più stato fatto. È iniziato uno scarico di colpe e parole vuote che ha sempre più sminuito la potenza di questo nuovo strumento. È triste sentire ancora sottolineare che ‘la didattica deve essere in presenza, gli ad olescenti hanno bisogno di stare in classe, di vivere la socialità’. Ma va? I bambini e gli adolescenti, però, hanno anche diritto ad essere sani… e a veder vivere il più a lungo possibile i loro nonni. Allora questo nauseabondo egoismo che punta continuamente il dito ad altre realtà che hanno più libertà, più diritti, più vantaggi di noi nel mezzo di una pandemia che sta mettendo il mondo in ginocchio è un cane che si morde la coda, è uno sterile lamentarsi senza fornire soluzioni. Certo che fanno arrabbiare le ingiustizie, certo che poter andare al centro commerciale e non a scuola è un’ingiustizia. Quindi? Demonizziamo la DAD? No, come ogni cosa, ne dobbiamo cogliere tutto ciò che di positivo può dare. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia: non è la DAD a discriminare gli studenti e a sottolineare le differenze e limiti di ognuno; quantomeno non è solo la DAD. C’è chi in questo nuovo modo di lavorare ha trovato nuovi stimoli, chi ha accettato e superato nuove sfide. C’è chi ha sofferto ed è andato in crisi. Ma nella didattica in presenza non succede forse la stessa cosa? Certo, si può copiare, ci sono mille problemi tecnici, il video
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si oscura, le assenze sono coperte dai problemi di connessione… Eppure si lavora. E lavorano anche gli insegnanti, perché loro per primi devono riprogrammare il modo di insegnare e di arrivare ai ragazzi. Lo sostengo da insegnante di scuola secondaria di secondo grado in una grande città: tuttora sto lavorando a settimane alterne in presenza e in DAD, o in modalità mista, ovvero con alcuni studenti in classe e alcuni al computer. Ho alcune lezioni in sede e altre in una succursale a quindici minuti a piedi. Il mercoledì cambio sede quattro volte. La mattina, spesso, devo partire mezz’ora prima di quanto dovrei perché tante volte devo lasciar passare qualche bus troppo pieno per poter salire. Arrivo a scuola e i ragazzi sono ammassati fuori a gruppi a ridere, a mangiare, a fumare. Chiedo permesso ed entro, senza possibilità di andare in quarantena con alunni positivi in classe, senza urgenza di essere vaccinata. Non mi lamento, ringrazio ogni giorno di avere un lavoro e di avere l’onore di trasmettere, spero, qualcosa a questi ragazzi che si affacciano alla vita. Però quando arrivo a casa la sera e leggo che la ministra Azzolina vuole ‘tornare a trattare la scuola come un’attività produttiva’, che ‘la didattica a distanza non funziona’, che ‘io sto dalla parte dei ragazzi’, mi chiedo se tutti gli sforzi fatti per vivere positivamente le risorse della didattica a distanza abbiano un senso. Mi rispondo sempre di sì, comunque. Mi rispondo di sì perché mentre al cuore dell’istituzione scolastica, al Ministero, giocano a comprare banchi con le rotelle e al toto-rientro in classe, alle periferie, nelle scuole, insegnanti e alunni sono ancora lì, un anno dopo, a quadratini di schermo a urlare ‘Mi sentite?’, a cogliere l’opportunità del nuovo e dell’inaspettato. Magari stufi, ma con fiducia in ciò che il diverso sa portare, perché è la qualità del lavoro quotidiano, nonostante tutto, che rende la scuola un’attività produttiva, sia essa a distanza o in presenza.