Eurocarni 10-2017

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXII N. 10 • Ottobre 2017

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Una Storia di Famiglia



10/17 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

EUROCARNI  Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Eurocarni – Premiata Salumeria Italiana – Il Pesce Euro Annuario Carne – Annuario del Pesce e della Pesca US Annuario dei Fornitori della Sanità in Italia – Euro Genuine Food Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare ver­samento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pub­blicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 Ufficio stampa e Media Partner

Comitato di redazione Gianni Mozzoni (Legacoop) – Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. +1 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Prof. Carlo Cantoni – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con com­puter Apple®. Il testo viene elaborato e im­paginato con Adobe® InDesign® CC 2017. Le il­lu­stra­zioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2017.

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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero: La carne nel mondo

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Agenda 14 Immagini 16 Naturalmente carnivoro

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Carne H24

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Lettere alla Redazione

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Legislazione

Il campo minato dei claim

Sebastiano Corona 26

Slalom

Da sorpresa a certezza il rilancio dell’economia

Cosimo Sorrentino 30

La carne in rete

Social meat

Elena Benedetti 32

Aziende

International Master Class dell’Accademia Italiana Stagionello® L’eccellenza italiana di Rovagnati si affida alle soluzioni tedesche… L’etichetta ha una identità Elena Benedetti Südtirol Wagyu Riccardo Lagorio

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Convegni

Cosa c’è dietro una vaschetta di carne?

56

Osservatorio

Veneto leader della produzione a livello italiano per bovini e avicoli

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Marketing

Manzo irlandese, gusto e nutrienti. Un piacere che fa bene

66

Indagini

2017 Meat Price Index: il livello di accessibilità alle proteine animali nel mondo

70

Mercati

Carne suina: previsioni sul mercato mondiale In crescita i consumi di carni avicole Ucraina e Bielorussia, come evolve il mercato delle carni Roberto Villa

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Elena Benedetti

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Razze

La gallina padovana, una star che torna alla ribalta

Riccardo Lagorio

86

La carne in tavola

Animelle: nuova passione degli chef

Giorgia Fieni

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Macellerie d’Italia

Da Carlo, macelleria a Marassi La frollatura nel cuore Zanardo: tradizione, quinto quarto e porchetta

Elena Benedetti 94 Veronica Fumarola 100 Gian Omar Bison 104

Speciale BBQ

Il barbecue conquista il Centro Italia

106

Gare carnivore

World Butchers’ Challenge, 12 nazioni e una sfida a colpi di coltello

108

Ristoranti carnivori

Isetta: siamo aperti al mondo forti della nostra identità

Gian Omar Bison 112

Fiere

Intercarn ad Alimentaria 2018

Week-end

I “fornelli” di Cisternino, quando il macellaio diventa oste

Nunzia Manicardi 118

Tecnologie

Che cos’è un Factory ERP? Piatti pronti pastorizzati a microonde

122 124

Sicurezza alimentare

Gestione e caratteristiche della carne di selvaggina

Giulia Mauri

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Storia e cultura

Brodo di carne inizio della gastronomia: verità e falsità

Giovanni Ballarini 134

Statistiche

Bilancio comunitario carni suine: short term outlook della UE

Libri

Carne trita. L’educazione di un cuoco 144 Ginger Pig Meat Book 146 Carne, salute e benessere a tavola 146 Marketing dei prodotti+ enogastronomici all’estero 148 Perché un chilo di lenticchie non vale una bistecca 150 Le razze bovine in un trattato del 1903 Andrea Gaddini 152

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In copertina: un taglio d’ossobuco da condire con aromi e verdure e da cuocere in padella (photo © Lisovskaya Natalia).

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LA CARNE NEL MONDO Mondo OCSE, insieme con la FAO, ha recentemente pubblicato il rapporto 2017-2026 Agricultural Outlook. Secondo il rapporto, nel periodo analizzato e riportato nelle stime, si prevede che la crescita della domanda di prodotti agricoli e ittici subirà un rallentamento (mentre la domanda pro capite di cereali si prevede rimanga costante con aumenti solo nei Paesi meno sviluppati). Negli ultimi dieci anni, le principali fonti di aumento della domanda sono state legate, in primo luogo, alla Repubblica Popolare Cinese, dove c’è stata una crescita del consumo di carne e pesce di quasi il 6% annuo, e, in secondo luogo, al settore dei biocarburanti. Per quanto riguarda in maniera più specifica la domanda di carne, dal rapporto si evince una crescita costante, anche se le scelte alimentari e l’accesso limitato al prodotto ridurranno il consumo in molti Paesi. La carne di pollo sarà il driver principale di questo aumento, legato principalmente ai bassi costi di produzione dell’allevamento avicolo e alla preferenza accordata a questa tipologia di carne dai consumatori dei Paesi in via di sviluppo. La crescita della produzione di carne e di latticini sarà ottenuta sia attraverso le maggiori dimensioni delle mandrie che dalla produzione più elevata per animale, con grandi differenze nella “intensità” produttiva che continuano a persistere a livello globale. La crescita del settore avicolo rappresenta quasi la metà del totale dell’aumento della produzione di carne per tutto il decennio. In relazione alla produzione di carne di maiale è previsto un aumento dovuto in parte a quello della popolazione suinicola in Cina, comunque lento a causa dei costi legati alle direttive sui requisiti ambientali e sul benessere degli animali (fonte: OCSE – FAO; photo © macrovector – stock.adobe.com).

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Regno Unito La Humane Slaughter Association ed il Dipartimento inglese per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari rurali (DEFRA) hanno unito le forze destinando 400.000 sterline per finanziare la ricerca di un metodo alternativo e più “umano” per stordire i maiali durante la macellazione a fini commerciali. La stordimento di suini su esposizione diretta ad alte concentrazioni di anidride carbonica (CO2) è attualmente pratica comune nella macellazione commerciale dei suini nel Regno Unito e in altri Stati Membri dell’UE, essendo consentito dalla normativa comunitaria e nazionale. Nel 2003, la relazione del Consiglio della Farm Animal Welfare (FAWC) sul benessere degli animali raccomandava di eliminare questo metodo. L’anno successivo, un rapporto da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha confermato l’efficacia del metodo, ma ha osservato che esso comporta difficoltà respiratorie nei suini. L’obiettivo del progetto che vede uniti HSA e DEFRA è quello di garantire che qualsiasi metodo alternativo proposto non solo sia più attento al benessere degli animali ma anche fattibile da un punto di vista pratico ed economico, in modo che possa essere ampiamente adottato dall’industria dei suini (fonte: www.hsa.org.uk – 3tre3.it; photo © contrastwerkstatt – stock.adobe.com).

Cina Secondo quanto pubblicato dal Global Pork Quarterly di Rabobank, il commercio mondiale di carne suina si trova ad affrontare nuove dinamiche guidate dall’andamento dei prezzi, dai nuovi accordi commerciali e dagli ambienti di lavoro difficili. «Mentre le importazioni cinesi di carni suine hanno iniziato a rallentare, altri Paesi importatori tradizionali hanno registrato una crescita significativa», dichiara Chenjun Pan, analista di Rabobank. «Per quanto riguarda la seconda metà del 2017, si prevede che l’offerta mondiale di carni suine aumenterà ancora e la concorrenza si intensificherà». Nei primi cinque mesi del 2017, le importazioni di carni suine in Cina sono rimaste invariate, in contrasto con la significativa crescita osservata nella prima metà del 2016. Si ritiene che il recupero della produzione locale e i forti prezzi internazionali siano responsabili del rallentamento delle importazioni. In Cina, i prezzi delle carni suine sono scesi del 30% rispetto ai livelli record dello scorso anno. Di conseguenza, i commercianti cinesi stanno adottando un approccio più cauto per quanto riguarda le importazioni. Rabobank sostiene che la produzione di carni suine in Cina aumenterà di circa il 2% nel 2017. La ripresa della produzione è stata più veloce del previsto nella prima metà di quest’anno grazie al sentiment positivo di molti produttori relativo all’andamento del mercato (fonte: Rabobank; a lato, vendita di carne in un mercato cinese – photo © sentience-politics.org).

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Italia-Spagna Il Gruppo Pini ha annunciato il piano d’investimento di 70 milioni di euro per la realizzazione di un nuovo impianto di macellazione ubicato a Binéfar (Spagna). La costruzione del macello inizierà il prossimo novembre, per essere completata entro il 2019, e darà lavoro inizialmente a 600 addetti, per arrivare a 1.600 occupati a pieno regime. La superficie dell’impianto si estenderà su un’area di 15 ettari, con a disposizione 55.000 metri quadri. Nella prima fase si stima una macellazione di 3 milioni di capi suini su base annua, con la possibilità di arrivare fino a 6 milioni di suini a pieno ritmo. La notizia è stata data dalla proprietà insieme al presidente dello Stato di Aragón ed ai consiglieri. L’impianto produrrà sia carcasse che tagli con principale destinazione il mercato spagnolo. I contatti del Gruppo Pini con il Governo spagnolo sono iniziati nell’aprile 2017. L’azienda avrà il supporto del Dipartimento Esecutivo spagnolo dato che il progetto è stato dichiarato espressamente di “interesse economico” per agevolare e velocizzare gli investimenti (fonte: 3tre3.it – euromeatnews.com).

Nuovo prestigioso incarico a Romano Marabelli Romano Marabelli (in foto a lato), dal 1991 Direttore generale dei Servizi Veteri­ nari, dal 1995 Direttore Generale del Dipartimento degli Alimenti, Nutrizione e della Sanità pubblica veterinaria, dal 2005 Capo Dipartimento della Sanità pubblica veterinaria, della sicurezza alimentare e degli organi collegiali per la tutela della salute, dal 2014 Segretario Generale del Ministero della Salute, dal 1 settembre, in forza di un accordo tra Repubblica italiana e l’OIE, si trasferirà presso l’OIE a Parigi. L’OIE collabora con la FAO per contrastare le malattie in­ fettive degli animali, gli sforzi delle due organizzazioni sono finalizzati a realizzare obiettivi comuni e mirano a potenziare le alleanze regionali e mondiali nella lotta contro le malattie animali sulla base delle priorità mondiali e regionali. Il Comitato che coordina queste attività è co-presieduto dall’OIE e dalla FAO e raccoglie rappresentanti e osservatori dei principali partner allo sviluppo, finanziatori, organizzazioni regionali, parti interessate, nonché i presidenti dei comitati direttivi regionali e un rappresentante dell’Organizzazione mondiale della sanità in considerazione degli aspetti zoonotici delle malattie animali e delle malattie emergenti. L’obiettivo dichiarato dal Governo italiano e affidato a Romano Marabelli è migliorare ed estendere la collaborazione il livello nazionale nel programma di “Sostegno agli sforzi per affrontare le problematiche relative all’approccio One Health e alla sicurezza alimentare”. Romano Marabelli, oltre che ad essere impegnato per il nostro Paese a pianificare l’attività e per incoraggiare gli sforzi nel controllo delle malattie animali, concorrerà a pianificare strategie di formazione regionale dell’OIE per i punti focali nazionali, tra le quali sarà compresa una Conferenza Health Med nel 2018 e progetti di twinning tra laboratori dell’OIE e nuovi Gruppi ad hoc dell’OIE. In questo modo. Verrà valorizzata l’esperienza tecnica dei Laboratori di referenza e dei Centri di collaborazione dell’OIE e degli altri laboratori di referenza nazionali degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. (FNOVI – Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani)

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Il m e g lio d e l l a

C A R N E D I V I T EOLl anLd eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).

“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio

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AGENDA Qingdao (Cina) Si svolgerà a Qingdao, in Cina, dal 18 al 20 ottobre, presso il Qingdao International Convention Center, la 15a edizione della manifestazione fieristica China International Meat Industry Exhibition (CIMIE), che chiamerà a raccolta nella metropoli cinese migliaia di operatori del settore carneo. Nel corso della rassegna si svolgerà anche l’edizione 2017 della World Meat Industry Development Conference, con delegati che giungeranno da tutto il mondo per approfondire insieme ai rappresentanti dell’International Meat Secretariat i trend del commercio, della produzione e dei consumi delle carni a livello globale. en.cimie.com

Colonia (Germania) L’appuntamento da non mancare questo mese per tutti gli operatori del settore carni e salumi e dell’agroalimentare in generale è Anuga 2017, il più importante appuntamento al mondo dedicato al food & beverage, che si svolgerà a Colonia dal 7 all’11 ottobre. Sono attesi 7.200 espositori provenienti da 100 Paesi e oltre 160.000 operatori che giungeranno da 192 Paesi, tra cui i buyer delle più importanti catene distributive europee e d’oltreoceano. La 33a edizione di Anuga, articolata in 11 padiglioni e 10 saloni, si svilupperà su una superficie espositiva di 284.000 m2. Anuga Meat, dedicato alle proteine animali, occuperà i padiglioni 5.2, 6 e 9. Per organizzare al meglio la visita consigliamo di dare un’occhiata all’elenco espositori sul sito web, aggiornato in tempo reale sugli eventi e i workshop. Tra le novità di Anuga 2017 ricordiamo i prodotti sostenibili (biologici, vegani, equosolidali, che promuovono il benessere animale), il convenience food e la digitalizzazione del food. www.anuga.com

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Cremona Da mercoledì 25 a sabato 28 ottobre la zootecnia si darà appuntamento a Cremona per la 72a edizione della Fiera Internazionale del bovino da latte e per la 21a Rassegna Suinicola di Cremona. La prima è la storica manifestazione leader in Italia e protagonista in Europa che accoglie i migliori marchi internazionali di attrezzature e servizi per la zootecnia da latte e l’agricoltura. Anche quest’anno la fiera ospiterà come d’abitudine la Mostra Nazionale di Razza Frisona con oltre 400 campionesse di razza. Italpig-Rassegna Suinicola di Cremona è invece un evento fieristico e congressuale che rappresenta un’opportunità di confronto professionale e di sviluppo del business per tutti gli allevatori di suini. In concomitanza ricordiamo anche lo svolgimento della 5a edizione dell’International Poultry Forum, punto d’incontro per le aziende e gli allevatori del settore avicolo. www.bovinodalatte.it

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IMMAGINI

Volete avventurarvi in un tour meraviglioso nel mondo delle carni? Allora andate a Genova a trovare Carlo Ferrando nella sua piccola, grande bottega. Troverete un banco spettacolare: per metà tagli freschi e per l’altra metà elaborati. Tra le razze lavorate c’è la Limousine piemontese, la Rubia gallega, la Scottona prussiana, la vacca austriaca e diversi tipi di Angus. E ancora, la scottona irlandese e il castrato inglese, oltre ad una new entry, la Finlandese. Equilibrio, grande ricerca e cura del cliente. A pagina 94 l’intervista di Elena Benedetti (photo © Francesco Zoppi). 16

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La filosofia di Francesco e Gianluca Camassa, dell’omonima macelleria di Grottaglie (TA), si può tradurre nella valorizzazione dell’intero animale, selezionato presso le aziende agricole con un’attenzione maniacale alla razza, alle tecniche di allevamento e, non ultimo, al benessere. Ogni giorno Francesco e Gianluca propongono tagli freschi di bovino, suino e pollame, oltre a burger e preparati, facili e veloci da cucinare per le esigenze quotidiane. La Macelleria Camassa è anche un punto di riferimento per i cultori delle lunghe e lunghissime frollature e per gli appassionati di barbecue. Qui una splendida costata di scottona di razza Charolaise, allevata dai Camassa per 28 mesi sulla Murgia tarantina barese, con 180 giorni di frollatura. A pag. 100 l’articolo loro dedicato (photo © Veronica Fumarola). 18

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Una STORIa DI caRne noi del consorzio carni Piemonte la produciamo nei nostri allevamenti. PiĂš di 120 allevatori si sono consorziati sin dal 2001. Oggi attraverso il nostro Macello Piemonte nord , siamo in grado di fornire agli operatori del settore un prodotto sano, controllato e di origine certa.

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NATURALMENTE CARNIVORO

Eugen Capra e Dorinel Niculae, della rivista rumena Industria Carnii, insieme a René Maillard, durante la recente tavola rotonda (a pag. 56 il resoconto di Elena Benedetti) organizzata dal Belgian Meat Office, l’ente che promuove lo sviluppo del comparto delle carni belghe. Ogni anno a fine agosto René chiama a raccolta a Bruxelles la stampa specializzata del settore carni per un confronto sui temi legati alla comunicazione delle proteine animali, nell’ottica dei nuovi trend di mercato e di consumo. Si tratta di un appuntamento unico nel suo genere che, per due giornate, mette a contatto giornalisti di tutta Europa favorendo scambi di idee e contaminazioni. Eugen e Dorinel sono sempre parte attiva delle discussioni e riflessioni della tavola rotonda e quest’anno, oltre a ricordare l’appuntamento della fiera CARNEXPO, in programma a Bucarest dal 25 al 29 ottobre, hanno lanciato il nuovo slogan “Make meat great again”! 20

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Info e contenuti Il nostro portale www. eurocarni-online.com raccoglie notizie, articoli e link agli eventi di settore. Cerchi un testo pubblicato su Eurocarni? Vai in Riviste – Eurocarni e digita la parola chiave. Il motore di ricerca ti proporrà tutti gli articoli pubblicati dal 1996 a oggi contenenti quella parola.

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Puoi sfogliare Eurocarni anche su tablet e smartphone attraverso la piattaforma ISSUU al seguente link: issuu.com/edizionipubblicitaitalia 22

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LETTERE ALLA REDAZIONE L’umanità carnivora Buongiorno. Da più di un anno sono abbonato alla rivista Eurocarni (scoperta per caso nel negozio della mia macelleria equina a Novara), alla quale riconosco un’ottima caratura di approfondimenti, non solo a scopo commerciale. In particolare sono un appassionato lettore degli articoli del professor Ballarini, che con sapienza riesce a bene fondere gli aspetti storici a quelli scientifici e di costume: mi complimento con lui. Sono quindi a segnalare alla sua attenzione una recensione appena letta sul settimanale “La Lettura” ad opera di Adriano Favole, che altrettanto apprezzo come studioso di filosofia. Essa riguarda un libro dal titolo “L’humanité carnivore” (L’umanità carnivora) di Florence Burgat, filosofa francese autrice di saggi sui diritti degli animali. Nel testo vengono attaccate le origini carnivore umane partendo da un interessante presupposto legato alla nostra “presunta” struttura mentale sacrificale che trasforma in cibo altri esseri viventi. Un po’ il contraltare di quanto accennato recentemente dal professore (si veda Ballarini G., Macelleria arte antica, in Eurocarni n. 8/2017, pag. 110) circa l’aspetto “sacerdotale” del macellaio magheiros. Il libro si dilunga inoltre sulla marginalità dell’aspetto “venatorio” dei nostri predecessori rispetto a quello di “raccoglitori”, accennando, al proposito, ad una loro presunta tendenza allo scavenging, la capacità di nutrirsi di carogne. Mi sarebbe quindi molto gradito un commento del professore su tutto questo. Ringraziando per l’attenzione e complimentandomi ancora per la qualità della vostra rivista (che utilizzo anche a livello divulgativo nella mia attività di consulente didattico presso un liceo della mia città), porgo distinti saluti. Ing. Francesco Leone La risposta alla questione Perché mangiamo carne? L’essere umano è sempre stato carnivoro ed è destinato a rimanere tale? A 24

queste domande apparentemente semplici tenta di dare una risposta il libro “L’humanité carnivore” di Florence Burgat, filosofa, vegetariana e direttrice di ricerca presso l’INRA (Istituto Nazionale francese per la Ricerca Agronomica), la quale si interessa del benessere degli animali in prospettiva storica, etologica, culturale e fenomenologica. In quattrocentottanta pagine la Burgat dimostra che non possiamo semplicemente rispondere alle domande iniziali con un’alzata di spalle o con un “perché la carne è buona”. Il fatto che la carne per l’uomo abbia anche un buon sapore non impedisce che il cannibalismo sia stato quasi ovunque (ma non dappertutto) proibito. Inoltre, la storia insegna che esistono differenti modi e tipi di alimentazione nei quali la carne è assente o marginale. Per questo, afferma l’autrice, bisogna esaminare e interrogarsi sui miti, sui riti e sui significati profondi antropologici del consumo di carne, tra i quali il “gusto per la crudeltà, l’idea stessa di uccidere, smembrare e consumare gli esseri viventi”, comportamenti attraverso i quali l’uomo manifesta la sua superiorità sugli animali. La scoperta di un principio di equivalenza al centro della logica sacrificale che si manifesta nella sostituzione di un vegetale ad un animale (o vittima umana), porta la Burgat a proporre una via d’uscita alla Questione Carnivorana e cioè quella di una carne vegetariana e di una carne sintetica per un’umanità che ha un’abitudine — che pare ineliminabile — di mangiare carne di animali. L’idea che nell’alimentazione vi sia anche un “gusto per la crudeltà”, e quindi una dose di aggressività, può essere giusta, ma l’aggressività non riguarda soltanto i carnivorani. In proposito, un’indagine riportata dal quotidiano britannico The Independent, effettuata su 2.363 cittadini maggiorenni, ha rilevato le principali ragioni per cui si continua a mangiare la carne1. Al primo posto troviamo “perché mi piace troppo la carne” (81%),

Florence Burgat L’humanité carnivore Ed. Seuil, 2017 480 pp. – e 26,00 al secondo “i sostitutivi della carne sono troppo costosi” (58%), seguito da “dovrei faticare per trovare ricette e idee nuove” (50%) e da “la mangia la mia famiglia” (41%). Un significativo 26%, però, sostiene che certi vegetariani e vegani, e in particolare questi ultimi, “sono troppo aggressivi verso chi mangia carne”, considerando “il loro regime alimentare l’unico possibile”. Florence Burgat si batte contro l’impresa tanatocratica, e cioè il sistema imprenditoriale dell’uccisione degli animali, proponendo una “vegetalizzazione” dell’alimentazione umana in cui si assiste alla sostituzione della carne degli animali con “simil carni” vegetali e, ancor più, prefigurando la sostituzione della carne degli animali con la produzione di cellule muscolari coltivate in vitro su terreni sintetici e assemblate per formare una carne artificiale o sintetica. Due proposte che suscitano dubbi e perplessità anche alla luce di più o meno recenti esperienze. Una vegetalizzazione dell’alimentazione umana è già in atto. Per la carne questa sostituzione riguarda preparazioni che per essere accettabili hanno bisogno di raffinate tecnologie e uso di additivi che solo un’industria specializzata Eurocarni, 10/17


è capace di fornire, presentando prodotti che per essere venduti sono mascherati con denominazioni fantasiose che richiamano le preparazioni carnee, come il fintonno di soia e ceci, la mortavella, il velami e il vebab, imitazioni vegetali di mortadella, salame e kebab, per non parlare del “prosciutto cotto” vegetale che dell’originale ha soltanto nome, consistenza e aroma. La prospettiva di avere una carne sintetica ottenuta dalla coltivazione di cellule muscolari non deve far dimenticare quando alcune multinazionali pensarono di produrre proteine alimentari dalla coltivazione di batteri o di lieviti e le SCP o single cell protein che non ebbero alcun successo. La produzione di carne sintetica ha bisogno di tecnologie sofisticate, con l’uso di stimolanti per la crescita delle cellule (ormoni o similormoni), additivi nei liquidi di coltivazione, aggiunta di aromatizzanti, ecc… Può quindi avere prezzi compatibili con quella naturale solo con vaste produzioni, quelle che la grande industria può assicurare. Sarebbe difficile per le piccole comunità auto-prodursi il cibo, incrementando di conseguenza nei consumatori la dipendenza dalla grande industria. Infine, anche se si potessero produrre carni sintetiche differenziate, si eliminerebbero in ogni modo tutte le “differenze” proprie delle carni tipiche dei mille luoghi e dei differenti sistemi di produzione locale, a scapito di chi questi alimenti produce e trasforma (e a vantaggio, al contrario, della grande industria internazionale). Questa pericolosa tendenza assunta da Florence Burgat contrasta con il culto francese degli alimenti tipici (quattrocento formaggi tipici e pregiate razze bovine da carne) e della cucina del territorio, ma non deve stupire. Burgat non è soltanto una filosofa, infatti, ma è anche direttrice di ricerca presso l’INRA, che tra l’altro svolge lavori di ricerca per le grandi multinazionali che operano in Francia. Nelle sue opere Giulio Verne descriveva case del futuro con quattro rubinetti per portare nelle case rispettivamente acqua, brodo, caffè e tè. Sempre alla fine del XIX secolo qualcun’altro aveva previsto che nel XX e nell’attuale XXI secolo avremmo mangiato cibo chimico in pillole, mentre oggi assistiamo al successo degli alimenti tradizionali. Almeno in Francia e in Italia quale futuro potrà avere la carne sintetica? Probabilmente non avrà successo, anche se non è facile fare previsioni, soprattutto in alimentazione. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota 1. Vegani e vegetariani sono in crescita nel Regno Unito, con un +360% in dieci anni, mentre in Italia, dai dati di Eurispes, aumentano i vegani e diminuiscono i vegetariani, che in totale si attesterebbero al 7,6% della popolazione. Eurocarni, 10/17


LEGISLAZIONE

Il campo minato dei claim di Sebastiano Corona

L

a regola generale è che le informazioni volontarie, specie se indicate in etichetta, siano chiare, non inducano in errore, non siano ambigue nel significato, né confuse per il consumatore medio. In più, devono essere basate su dati scientifici pertinenti. In nessun caso, in etichetta o nella comunicazione al consumatore, in generale, le informazioni volontarie possono occupare lo spazio di quelle obbligatorie. Il Regolamento UE 1169/2011 stabilisce altresì che sia facoltativo dare informazioni relative alla presenza eventuale e non intenzionale di sostanze o prodotti che provocano allergie ed intolleranze oppure precisare che il prodotto sia idoneo per vegetariani o vegani o ad altri gruppi specifici di popolazione. Tuttavia, il produttore può avere le ragioni più svariate per evidenziare delle caratteristiche

specifiche dell’alimento che ne potrebbero giustificare non solo l’acquisto, ma anche un prezzo più elevato rispetto ai prodotti similari. Le peculiarità possono essere enfatizzate, ma alle condizioni previste dalla norma. Si vuole infatti evitare che una comunicazione distorta, priva di fondamento o anche solo equivoca, induca in errore il consumatore nella scelta in fase d’acquisto. Trattandosi di una materia molto delicata, le relative prescrizioni non sono da ricondurre solo al Regolamento 1169/2011, ma anche al 1924/2006. Di recente è stato inoltre licenziato in Italia il decreto sulle sanzioni. Pertanto l’utilizzo errato dei claim fatto in buona o malafede può essere molto rischioso, per le pene pecuniarie che comporta. Si può considerare claim qualunque messaggio, compresi quelli figurativi, riconducibili ad immagini

o simboli, che in qualsiasi forma suggerisca o sottintenda che un alimento vanti particolari caratteristiche sul piano nutrizionale o salutistico. Per sostanza nutritiva si intendono le proteine, i carboidrati, i grassi, le fibre, il sodio, le vitamine e i minerali elencati nell’allegato della Direttiva 90/496/CEE e le sostanze che appartengono o sono componenti di una di tali categorie. L’indicazione nutrizionale ha un significato ampio e riguarda qualunque indicazione che comunichi, anche solo indirettamente, che un alimento ha particolari proprietà nutrizionali benefiche perché apporta, o non apporta, o apporta in misura ridotta o maggiore, un valore energetico. E ancora, che affermi o anche solo sottintenda che contiene, o non contiene, o contiene in misura ridotta o accresciuta, una certa sostanza nutritiva o di altra

La normativa sull’etichettatura punta alla massima trasparenza a favore del consumatore (photo © Ciaran Griffin). 26

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La trasparenza e la chiarezza nei confronti del consumatore sono divenuti da tempo una priorità per l’Unione Europea. Anche per questo motivo la recente regolamentazione definisce con precisione quanto è obbligatorio comunicare al mercato, ma anche cosa è vietato dire e a quali condizioni certi messaggi possono essere trasmessi

trova in una forma utilizzabile dall’organismo. Le regole si riferiscono alle dichiarazioni sulle etichette dei prodotti, ma anche a quelle utilizzate nella pubblicità, nei siti web e persino nella vendita del prodotto sfuso, seppure con alcune semplificazioni. In sostanza il campo di applicazione è qualunque tipo di comunicazione al mercato, nelle varie forme. Tra le regole è previsto che possano essere utilizzati solo termini o locuzioni presenti in specifici elenchi e qualunque concetto non compreso nelle liste è da considerarsi vietato in assenza di specifica autorizzazione da parte dell’EFSA.

tipologia. Per indicazione sulla salute si intende invece più precisamente una qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l’esistenza di un rapporto tra una categoria di alimenti, un alimento, o uno dei suoi componenti, e la salute umana. Può pertanto essere relativa alla riduzione di un rischio di malattia, come per esempio qualunque messaggio che affermi, suggerisca o sottintenda che il consumo di una data categoria di alimenti riduce significativamente un fattore di rischio di sviluppo di una malattia umana. L’impiego delle indicazioni nutrizionali e sulla salute è permesso solo se sono rispettate alcune condizioni. Innanzitutto il riferimento all’effetto benefico deve essere supportato da basi scientifiche. Inoltre, l’indicazione è ammessa se la sostanza nutritiva o di altro tipo rispetto alla quale è fornita l’indicazione: a) è contenuta nel prodotto finale in una quantità significativa o, in mancanza di tali regole, in quantità tale da produrre l’effetto nutrizionale o fisiologico indicato, sulla base di prove scientifiche; b) non è presente o è presente in quantità ridotta, in modo da produrre l’effetto nutrizionale o fisiologico indicato, sulla base di prove scientifiche; c) e ancora: se la sostanza per la quale è fornita l’indicazione si

Condizioni generali di utilizzo Ci sono inoltre delle condizioni generali di utilizzo dei claim. Questa particolare tipologia di messaggio al pubblico deve essere comprensibile per il consumatore medio, ovvero per un soggetto normalmente informato, ragionevolmente attento e cauto. Non può incoraggiare consumi eccessivi di cibo, non può essere falsa, né ambigua o fuorviante. Allo stesso modo, non deve far nascere timori nei consumatori o sfruttarne la paura, per esempio dando adito a dubbi sulla sicurezza e/o sull’adeguatezza nutrizionale di altri alimenti. È altresì vietato fare riferimento a cambiamenti delle funzioni corporee o affermare, suggerire o sottintendere che una dieta equilibrata e varia non possa, in generale, fornire quantità adeguate di tutte le sostanze nutritive. I claim — che si devono sempre riferire agli alimenti pronti al consumo — devono essere formulati sulla base di prove scientificamente accettate e, se richiesto, rese disponibili agli organismi competenti dei controlli. Come anticipato, le indicazioni nutrizionali sono consentite solo se comprese nell’allegato al Regolamento 1924, ma è bene precisare che le indicazioni sulla salute sono consentite solo se sull’etichetta sono aggiunte anche altre informazioni, come una dicitura relativa all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano. È altresì obbligatorio segnalare la

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quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico richiamato, come valore aggiunto. I prodotti destinati ad un’alimentazione particolare, le acque minerali naturali, le acque destinate al consumo umano e gli integratori alimentari sono oggetto di specifiche norme e pertanto si devono ritenere esclusi dal campo di applicazione del Regolamento 1924. Qualora una denominazione commerciale, una denominazione di fantasia o un marchio possano essere intesi come un’indicazione nutrizionale o sulla salute, questi possono essere utilizzati senza essere soggetti alle procedure di autorizzazione, a condizione che l’etichettatura, la presentazione o la pubblicità rechi anche una corrispondente indicazione nutrizionale o sulla salute. Nel caso, invece, di denominazioni tradizionalmente utilizzate per indicare le peculiarità di una categoria di alimenti o di bevande che potrebbero avere un effetto sulla salute umana, la norma prevede una procedura differente che comporta, tra le varie cose, l’inoltro di una richiesta di autorizzazione all’autorità competente dello Stato Membro che, a sua volta, la trasmette alla Commissione per una pronuncia. Per uniformare più possibile il trattamento, la Commissione ha a suo tempo stabilito delle esenzioni e dei profili nutrizionali specifici, a cui si devono attenere gli OSA in riferimento ad alcune categorie di alimenti. Questo, allo scopo di stabilire se un prodotto è idoneo a riportare in etichetta un messaggio nutrizionale o salutistico, ma anche per evitare che l’indicazione nasconda il valore nutrizionale complessivo dell’alimento, confondendo il consumatore. È inoltre il caso di precisare che, pur essendo il Regolamento 1924 la principale norma sul tema, il successivo 1169 lo modifica in parte e tra le varie cose stabilisce che, qualora sia formulata un’indicazione nutrizionale e/o sulla salute per una sostanza nutritiva, la quantità di detta sostanza debba 28

essere dichiarata. È altresì previsto che l’etichettatura nutrizionale dei prodotti sui quali è formulato un claim sia obbligatoria, ad eccezione della pubblicità generica. Solo a titolo esemplificato e non esaustivo segnaliamo che il termine “senza” può essere utilizzato quando l’alimento contiene un dato nutriente in quantità vicina allo zero, così come “basso” può essere utilizzato se il prodotto contiene quel nutriente in quantità maggiore rispetto agli alimenti etichettati con la dicitura “senza”. Quando invece si utilizza il termine “a ridotto”, il contenuto del nutriente deve essere in quantità inferiore del 30% rispetto alla versione classica. Ci sono poi una serie di altre indicazioni nutrizionali, come “a basso contenuto calorico”, che si riferiscono a prodotti che contengono non più di 40 kcal/100 g per i solidi o più di 20 kcal/100 ml per i liquidi. E ancora: “a ridotto contenuto calorico”, dove il valore energetico è ridotto di almeno il 30%, o “senza calorie”, quando il prodotto non contiene più di 4 kcal/100 ml. “A basso contenuto di grassi” significa che l’alimento non apporta più di 3 g di grassi per 100 g per i solidi o 1,5 g di grassi per 100 ml per i liquidi. “Senza grassi”, che il prodotto non contiene più di 0,5 g di grassi per 100 g o 100 ml. Così discorrendo, le precisazioni sono innumerevoli e riguardano, tra gli altri, i grassi saturi, gli zuccheri, gli zuccheri aggiunti, la dicitura “leggero/light”, le fonti di acidi grassi Omega-3, di grassi monoinsaturi o insaturi, le fonti di fibre. Corre l’obbligo di precisare che “ad alto contenuto di proteine” può essere riferito solo a un alimento che vanti almeno il 20% di proteine sul valore energetico complessivo. Quando l’alimento è segnalato come “fonte di/ad alto contenuto di… (vitamina e/o minerale)”, esso deve contenere rispettivamente almeno il 15-30% della dose giornaliera raccomandata di vitamina e/o minerale. Allo stesso modo, “a tasso ridotto di… (data sostanza nutritiva)”, la riduzione deve essere di almeno il 30% rispetto a un prodotto simile.

Le condizioni di utilizzo delle indicazioni sono innumerevoli e per gli OSA che intendono utilizzarle vale davvero la pena di approfondire la materia. È il Decreto Legislativo 7 febbraio 2017 n. 27 a disporre la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al Regolamento 1924, prevedendo sanzioni importanti e differenti a seconda della violazione specifica. L’operatore che utilizza claim che danno adito a dubbi sulla sicurezza o sull’adeguatezza nutrizionale di altri alimenti, o che incoraggiano o tollerano il consumo eccessivo di un elemento, per esempio, rischia una sanzione amministrativa pecuniaria da e 3.000 a e 30.000 se l’indicazione è sulla salute, da e 2.000 a e 20.000 se è nutrizionale. Più semplicemente, l’azienda che, nell’apporre l’indicazione nutrizionale o sulla salute non la riferisce agli alimenti pronti per essere consumati, rischia da e 2.000 a e 10.000. L’OSA che non ottempera alla richiesta dell’autorità competente di fornire tutti gli elementi e i dati comprovanti i valori indicati in etichetta può vedersi comminata una sanzione amministrativa da e 2.000 a e 6.000. Chi invece fornisce indicazioni sulla salute non incluse negli elenchi delle indicazioni autorizzate rischia da e 6.000 a e 24.000. Ma le sanzioni più importanti sono inflitte in occasione di indicazioni che suggeriscono che la salute potrebbe risultare compromessa dal mancato consumo dell’alimento; che fanno riferimento alla percentuale o all’entità della perdita di peso; che fanno riferimento al parere di un singolo medico o altro operatore sanitario o altre associazioni. In questo caso si rischia da e 5.000 a e 40.000. La relativa attività di controllo può essere svolta dal Ministero della Salute, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano e Aziende Sanitarie Locali, secondo gli ambiti di rispettiva competenza. Queste autorità possono svolgere le attività di controllo anche su segnalazione di soggetti privati. Sebastiano Corona Eurocarni, 10/17


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Da sorpresa a certezza il rilancio dell’economia di Cosimo Sorrentino

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ello scorso numero della rivista ci eravamo interrogati sul problema della ripresa economica italiana e mondiale e sulla possibilità della sua reale attuazione, con la speranza che, finalmente, il tunnel della crisi fosse alle nostre spalle. Ebbene, l’ottimismo che, pur sempre con estrema cautela, abbiamo voluto manifestare, pare possa essere confermato sulla base di alcuni avvenimenti non ampiamente divulgati in questa calda estate ormai trascorsa. Il quadro che risulta al termine del primo semestre, infatti, appare abbastanza rassicurante, poiché la crescita (sia italiana che mondiale) appare in netta risalita. Lo affermano sia l’Istat, sia le istituzioni internazionali: la crescita mondiale dovrebbe superare quest’anno il 3,5% e tutte le economie dei maggiori Paesi del mondo dovrebbero terminare l’anno corrente con segno positivo. In particolare, le grandi economie dell’Asia dovrebbero aumentare tra il 6 e l’8% e gli Stati Uniti crescere del 2% (e su quest’ultima percentuale si potrà attestare la zona euro). Persino il Giappone mostra, a sorpresa, un’accelerazione dell’economia, con un rialzo congiunturale dell’1% nel primo semestre 2017 ed uno annualizzato del 4%, grazie ai consumi privati che hanno compensato il calo delle sue esportazioni. Non sono escluse dal quadro positivo anche Russia e Brasile, vittime di crisi o di lunga stagnazione nel recente passato. Anche la zona euro mostra evoluzioni positive, sebbene la media che le viene attribuita appare diversificata tra i diversi Paesi, poiché si passa dal 3% spagnolo al 2% della Germania, seguita dalla Francia con 30

una percentuale di poco inferiore e, ultima, dall’Italia. L’Istat considera, per il nostro Paese, un PIL in crescita dello 0,4% nel secondo semestre 2017, proiettando così una crescita annuale intorno all’1,5%, definita “consistente e persistente”, il che non è poco se si considera che, ancora a fine 2016, le previsioni del governo oscillavano tra lo 0,7 e lo 0,9%. È pur vero, però, che l’Italia resta lontana dal 2,1% raggiunto nel primo trimestre 2011 ed è ancora sotto di ben 6,4 punti dai livelli antecedenti la crisi, ad inizio 2008; è tuttavia un fatto che il citato aumento dello 0,4% si registra dopo il suo terzo trimestre consecutivo e sono ormai dieci i trimestri di crescita senza interruzione. Non manca di manifestare ottimismo anche la nostra Confindustria quando afferma che “l’inversione sia ormai strutturale e la duplice recessione un brutto ricordo”. Certamente la cautela dev’essere sempre presente, considerando soprattutto che l’Eurozona cresce ininterrottamente e la proiezione su base annua indicata dall’Eurostat, che supera il 2,2% per l’area euro, fa sì che la nostra crescita dell’1,5% rimanga ancora al di sotto del valore medio, con tutto ciò che comporta in termini di apprezzamento dei mercati. Senza dubbio, in questa fase, ci aiuta una produzione industriale positiva, con aumento tendenziale mensile che arriva al 5,3% (dato migliore dal 2016), soprattutto se si considerano i dati della Francia (2,5%) e quelli della Germania (2,1%). La nostra ripresa è stata alimentata finora dalle esportazioni, che hanno raggiunto apprezzabili risultati anche verso mercati extracomu-

nitari, ma incombe preoccupazione per il settore a causa della sensibile rivalutazione dell’euro, destinata a creare inevitabili difficoltà. Sotto questo aspetto il confronto avuto negli Stati Uniti, a Jackson Hole — dove si è tenuto il simposio annuale che dal 1982 vede riunito il gotha della finanza mondiale, al quale hanno partecipato sia la FED che la BCE con il presidente Mario Draghi —, non ha fornito risposte rassicuranti. Infatti, da parte americana è stata manifestata incertezza sulla politica dell’aumento dei tassi d’interesse e la BCE è stata ancora più cauta sulle proprie decisioni future, con il risultato che il rapporto tra dollaro ed euro è ora 1,20, il che comporta perdita di competitività. Un fattore positivo tuttavia c’è: il mercato interno sta dando segni di risveglio, prima di tutto con gli investimenti. Gli incentivi concessi hanno dato alcuni frutti e ciò può essere importante perché maggiori investimenti si traducono in maggiore produttività, l’elemento maggiormente mancato in passato. Ovviamente non si può non convenire che c’è ancora molto da fare nel nostro Paese, dove le risorse per attuare le riforme necessarie sono difficili da individuare. Il loro reperimento diventerebbe più facile in presenza di una stabilità di governo più marcata e di un dialogo meno litigioso tra le forze politiche, poiché, guardando al futuro, l’Italia potrebbe doversi confrontare con un allentamento dell’azione di sostegno dei debiti sovrani — finora assicurato dalla BCE — se il PIL non dovesse crescere adeguatamente per favorire un rapporto più equilibrato con i 2.400 miliardi di debito, che continuano ad aumentare. Eurocarni, 10/17


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1. Il benessere degli animali su YouTube Per spiegare requisiti e regole da rispettare in merito al benessere animale nell’allevamento del suino, uno dei settori più importanti in Emilia-Romagna, che conta 4.000 allevamenti e 1.100.0000 animali, con evidenti risvolti in campo agroalimentare, la Regione Emilia-Romagna (area sanità veterinaria del Servizio prevenzione collettiva e sanità pubblica) ha realizzato un video proprio su questo aspetto dell’allevamento e la sua gestione complessiva, in particolare negli allevamenti intensivi. Nel video due medici veterinari dell’Azienda USL di Modena e un allevatore spiegano cosa deve essere fatto rispetto a: dimensione e pulizia degli spazi, alimentazione, disponibilità d’acqua, luce, numero di animali per metro quadro, organizzazione dei gruppi in modo omogeneo per garantire la migliore convivenza. Ecco il link di YouTube: goo.gl/urB77X

2. L’Instagram carnivore Chris Keeling è un Instagram carnivore, ovvero un blogger e fotografo che ama immortalare la carne in ogni sua forma e consistenza. Si può andare a curiosare il suo profilo @AllThingsMeaty su www.instagram.com/ allthingsmeaty. Conta quasi 34.000 follower, sicuramente tutti carnivori (in foto uno scatto fatto in occasione di un evento organizzato da Meatopia UK in Irlanda; photo © instagram.com/allthingsmeaty).

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meat Benedetti

3. Côte a l’os, blog carnivoro Thierry Depuydt, di professione macellaio, anzi, boucher, ha realizzato un sito web che trascina l’utente nel suo universo carnivoro. Si tratta di www.cotealos.com, un portale che attraverso immagini mai banali racconta la professione di Thierry, che ama definirsi artigiano, macellaio e affinatore di carni. Carni che comprendono manzo, vitello, maiale, agnello e pollame, e che si possono acquistare anche on-line (photo © cotealos.com).

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4. I vent’anni de La Granda L’associazione di allevatori piemontesi La Granda ha compiuto vent’anni di cultura zootecnica, cura dell’ambiente e del benessere dei propri animali. I progetti in corso sono tanti e si possono scoprire sul portale www.lagranda.it, che racconta soprattutto i valori e la visione unica di questa associazione e consorzio. Da non perdere anche il blog con la “cattedra del contadino” e i video che raccontano il lavoro degli allevatori e l’agricoltura simbiotica (photo © lagranda.it).

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Tutti a caccia di influencer! Il successo degli influencer — figure ibride a metà strada tra testimonial e consumatori — dipende soprattutto dalla loro “voce”, autentica e unica, ben distinta da quella di un VIP che raccomanda un prodotto in pubblicità. Gli influencer sono attenti ad includere nel proprio storytelling prodotti e/o servizi adatti ai contenuti che postano, al proprio stile di vita e alla propria personalità. La reputazione e la coerenza di un brand, anche per come è rappresentato nei profili social di un influencer, sono centrali nel momento prima dell’acquisto di un prodotto in cui si ricercano più informazioni possibili, soprattutto via smartphone! Gli influencer, quindi, e il loro ruolo nel customer journey non possono più essere ignorati dai brand, specialmente se si rivolgono ai Millennials. Volete un esempio di influencer nel mondo statunitense? Jess Pryles (in foto), una giovane e bella signora australiana di nascita e texana d’adozione che ama definirsi hardcore carnivore. Jess è una cuoca, autrice di libri, personaggio televisivo e influencer nel mondo delle “proteine animali“, con una specializzazione su BBQ e bourbon. Il suo blog jesspryles.com contiene parecchi articoli che spaziano dagli eventi ai tagli di carne alle storie legate al mondo del barbecue fino, naturalmente immancabili, alle ricette. Attiva a 360º su tutti i social, Jess si è creata una bella immagine di influencer ed è sempre molto richiesta in tutti i convivi di carattere carnivoro (photo © jesspryles.com).

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Il mercato globale delle carni finalmente on-line! Bella iniziativa della redazione di Industria Carni, il trade magazine rumeno che nel mese di agosto ha lanciato il portale web in lingua inglese www.euromeatnews.com. Si tratta di un contenitore aggiornato quotidianamente che raccoglie notizie, informazioni e approfondimenti sul mercato mondiale delle proteine animali, con focus sull’industria, i mercati, il mondo retail, le tecnologie e gli eventi di settore. Una sezione è dedicata ai contenuti video e i social collegati sono Facebook, Twitter e Linkedin. Oltre al servizio di Newsletter c’è un pratico motore di ricerca interno per filtrare le notizie con parola chiave. >> Link: www.euromeatnews.com


Dal 1950, il meglio dal mondo La BERVINI PRIMO nasce nel 1950 da una tradizione famigliare come bottega per la lavorazione delle carni. Proseguendo nella propria crescita in termini di qualità e servizio alla clientela, crea le condizioni per estendere la propria offerta inserendosi nel mercato sia nazionale che internazionale come azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni refrigerate e congelate di diverse specie animali consolidandosi negli anni. Da anni offriamo carni porzionate e confezionate skin pack e recentemente offriamo la linea gourmet di bistecche, macinati e “hamburger” con carni provenienti dal mondo. Importatrice e distributrice anche di altri prodotti congelati, quali articoli ittici e verdure surgelate, oggi l’azienda è in grado di fornire una ricca, diversificata e qualificata offerta di prodotti e un servizio accurato al mercato del catering e retail in Italia come all’estero.


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International Master Class dell’Accademia Italiana Stagionello® Un corso di 7 giorni per la formazione dei manager di filiera alimentare tradizionale e gli aspiranti norcini di tutto il mondo

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egnatevi in agenda queste date: dal 14 al 20 novembre. In queste giornate si svolgerà infatti la terza edizione dell’International Master Class for Traditional Salami dell’Accademia Italiana Stagionello®. Il corso ha lo scopo di fornire, sotto la guida di docenti certificati, le competenze ed i metodi necessari per la conduzione di una produzione di salumi tradi-

zionali italiani conformemente alle normative internazionali vigenti in materia e di implementare un sistema di produzione conforme per qualità (ISO 9001) e sicurezza (ISO 22000), con particolare riferimento alla formazione di un manager di filiera alimentare tradizionale. Inoltre, tra le finalità del corso, c’è quella di fornire le metodologie di produzione applicabili trasver-

salmente a schemi di certificazione differenti quali, ad esempio, BRC (British Retail Consortium) e IFS (International Food Standard). Chi è il manager di filiera? Si tratta di una nuova figura professionale internazionale che sovrintende le produzioni nei laboratori di produzioni alimentari a filiera corta, in questo caso di trasformazione

L’International Master Class for Traditional Salami comprende prove teoriche in aule didattiche, pratiche in laboratorio ed escursioni guidate in aziende agricole e sul territorio. 38

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Tutto sull’International Master Class for Traditional Salami I professionisti dell’antica arte della norcineria svelano i loro segreti. Come? Attraverso un percorso teo­rico-pratico che si snoda tra ore trascorse in classe, passeggiate nella natura e prove in laboratorio. Teoria Dall’antica arte della norcineria, ai moderni standard qualitativi, alla stagionatura con metodo AC Brevetti. Pratica Sacrificio del maiale secondo l’antica tradizione e produzione dei salumi. Visite guidate Diapiri Salini – Museo della Civiltà Contadina – Museo di Etnobotanica Valli Cupe. Durata Il corso ha una durata complessiva di 7 giorni: 60 ore suddivise tra lezioni teoriche, prove pratiche e laboratori. I partecipanti, provenienti da tutto il mondo, anche senza alcuna pregressa esperienza nel settore, otterranno tutte le competenze necessarie per la conoscenza e la lavorazione dei salumi, dalle nozioni scientifiche alla degustazione, applicati agli standard contemporanei. Le aule Aule multimediali all’avanguardia, all’interno delle quali non solo si ascolta e si apprende ma, soprattutto, si fa. Dove è possibile interagire e cimentarsi con le più innovative tecnologie brevettate al mondo legate alla produzione dei salumi ed alla trasformazione delle carni. Poi c’è il contatto diretto con la natura. Una fattoria completamente immersa tra i boschi della Sila, i laboratori di macelleria e le aree dedicate alla preparazione dei salumi. Materie di corso •• Storia dell’arte della salumeria ed attualità professionale. •• Allevamento, macellazione, lavo­ razione e sezionamento dell’a­ nimale. •• Carni e tagli destinati alla ristora­ zione, alla concia e salagione, alla stagionatura e le speziature. •• Attività di verifica e fasi di stagio­ natura, pulizia dei salumi, disosso del prosciutto crudo, taglio e porzionamento. •• Tecniche di conservazione e catena del freddo, ruolo delle muffe nobili, tecniche di igiene e pulizia, normative, legge 626, HACCP, ecc… •• Comunicazione e marketing per la promozione dell’attività e del proprio prodotto.

delle carni con metodo e sistema brevettato da Alessandro Cuomo. La passata edizione, svoltasi alla fine del mese di luglio, è stata un successo. «Una splendida esperienza», così è stato definito dai 40

I partecipanti della seconda edizione dell’International Master Class for Traditional Salami dell’Accademia Italiana Stagionello® svoltosi a Crotone lo scorso fine luglio.

suoi organizzatori e promotori. L’Accademia ha formato 9 manager di filiera alimentare tradizionale, specializzati in salumi tradizionali, e gli stessi sono diventati così 9 ambasciatori delle tradizioni culi-

narie e della cultura gastronomica del Belpaese nel mondo. Russia, Canada, Belgio e Svizzera: i nove neo manager di Filiera Alimentare Tradizionale Italiana sono tornati a casa con un bagaglio ricco di nozioni Eurocarni, 10/17



1) Test di maturazione dei salumi con le tecnologie di Stagionello®, sviluppate e prodotte da Arredo Inox. 2) Le aule didattiche di Arredo Inox. 3) Il corso prevede anche escursioni, come la visita ad una fattoria completamente immersa tra i boschi della Sila. 4) Per lavorare bene le pregiate carni del suino nero di Calabria occorre comprendere le tecniche di allevamento e le peculiarità della sua razza. 5) Le carni vengono lavorate in laboratorio seguendo un rigoroso sistema di produzione conforme per qualità e sicurezza, con particolare riferimento alla formazione di un manager di filiera alimentare tradizionale. 6) Il corso è rivolto a partecipanti provenienti da tutto il mondo. e idee. Questi promettenti norcini hanno portato nel loro Paese la manifattura dei salumi tipica del nostro territorio, la tradizione, la convivialità, la musica e l’attenzione verso ogni piccola cosa. 42

Quella di fine luglio è stata una settimana intensa divisa tra mare e montagna per conoscere le due splendide facce della Calabria. Lunghe escursioni, passeggiate tra boschi e sentieri della Sila e della

riserva naturale regionale delle Valli Cupe, laboratori tecnici di produzione dei salumi e didattica in aula per fornire ai partecipanti gli strumenti per gestire la sicurezza alimentare del loro prodotto, in Eurocarni, 10/17


conformità alle normative internazionali. A consegnare gli attestati, alla cerimonia di chiusura del master presso la camera di Commercio di Crotone, c’erano il presidente Alfio Pugliese e il direttore Donatella Romeo. Una bella cerimonia che, con la consegna dell’attestato, ha visto l’abbraccio delle istituzioni intorno a questa iniziativa che ha trasformato un corso in un evento promotore del turismo culturale in Calabria. Sono sentiti quindi i ringraziamenti di Arredo Inox, dell’Accademia Italiana Stagionello® e del suo capitano, il dott. Alessandro Cuomo, alle istituzioni e alle associazioni di categoria e culturali coinvolte. «Un ringraziamento speciale, ancora una volta, alla Camera di Commercio di Crotone, perché ha sposato con sincerità e concreta partecipazione un progetto ambizioso che, grazie al contributo dell’ente, continua a crescere e migliorare. Grazie a Confcommercio di Crotone ed al suo direttore Giovanni Ferrarelli, per l’appoggio ed il riconoscimento dei meriti di impatto economico e sociale di questo evento. Grazie all’associazione Itinerari ed al suo presidente, Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Crotone e Santa Severina Domenico Graziani, per averci sostenuto, ricordando, nel suo arguto e profondo augurio che “il coraggio del confronto con altre situazioni e culture è sicuramente una marcia in più per un cammino ardito e per questo attraente”» ha sottolineato il CEO di Arredo Inox Alessandro Cuomo.

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Pompa di pre-vuoto a secco DRYVAC DV 650 per l’industria della trasformazione alimentare.

L’eccellenza italiana di Rovagnati si affida alle soluzioni tedesche ad alta tecnologia Leybold per i propri processi produttivi Grazie alle pompe DRYVAC le linee di confezionamento vengono mantenute sempre attive, inoltre garantiscono un aumento di produttività e un risparmio energetico

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on oltre 1.000 dipendenti, 6 stabilimenti produttivi, l’allevamento suino tipico padano, il più grande in provincia di Parma e tra i più grandi italiani, per garantire il pieno controllo sulle materie prime e 4 filiali estere in Belgio, Francia, Stati Uniti e Germania, Rovagnati è saldamente tra le primissime aziende italiane di salumi. Leader di mercato nel segmento del prosciutto cotto di qualità con il marchio Gran Biscotto, oggi alcuni dei suoi prodotti, come quelli della linea Snello Gusto e Benessere, sono tra i più apprezzati dagli Italiani. 44

Nata negli anni ‘40 del secolo scorso come azienda di produzione di beni alimentari di prima necessità, negli anni ‘60 Paolo Rovagnati inizia la produzione di salumi, specializzandosi qualche anno più tardi nel prosciutto cotto e brevettando negli anni ‘80 il Gran Biscotto, caratterizzato dalla marchiatura a fuoco in continuo della cotenna, che attualmente ne rappresenta il fiore all’occhiello. Oggi l’eccellenza dei prodotti a firma Rovagnati è nota a moltissimi consumatori. I cibi buoni e gustosi preparati in modo sano sono, da sempre, una passione di

questa azienda. Rovagnati segue la produzione, curandone tutti i passaggi, dalla selezione delle carni e delle materie prime fino al confezionamento ed alla distribuzione capillare sul territorio. La firma Rovagnati vuol essere garanzia dell’impegno diretto che l’azienda assume nei confronti dei propri consumatori. Dal 2014 l’azienda ha avviato un progetto di diversificazione, acquisendo marchi storici come Berkel e, più recentemente, Pineider; infine, dal novembre scorso, aprendo i ristoranti Bistrò italiani. Eurocarni, 10/17


alcun fermo produttivo causato da guasti o problemi».

Leybold intervista Rovagnati

Raffaello Ghislotti, responsabile vendite Leybold Italia, a sinistra, e Sergio Citterio, responsabile di stabilimento Rovagnati, a destra.

Leybold intervista Rovagnati Com’è iniziata la collaborazione fra Rovagnati e Leybold? Da quanto tempo dura? Rovagnati ha degli standard qualitativi molto alti sui processi di produzione per poter raggiungere prodotti di alto livello: come seleziona i propri partner nella produzione? «La collaborazione ha avuto inizio nei primi anni ‘90. Rovagnati è da sempre molto attenta alla scelta dei propri partner e la Leybold è stata selezionata in quanto azienda storica del settore e per la sua notorietà e qualità dei prodotti».

«Il sistema è composto dalla tubazione, trappola del vuoto e dalla pompa. Nel processo di confezionamento, dalla pompa booster e da una pompa tradizionale. Rovagnati acquista DRY VAC per un’alta performance di vuoto, ripetibile nel tempo, bassi costi di manutenzione e, in alcune applicazioni, un notevole risparmio energetico».

Com’è composto un sistema tipico di pompaggio per vuoto nei processi alimentari e perché Rovagnati acquista pompe a secco DRYVAC?

Rovagnati ha avuto un incremento di produzione grazie al nuovo sistema ideato da Leybold? Ha avuto anche dei risparmi grazie a questo nuovo sistema? È affidabile? Quante confezioni di salumi vengono prodotti ogni giorno/ settimana/mese? L’utilizzo della sola DRYVAC ha fornito benefici in termini di fermo macchina, risparmio energetico e manutenzioni rispetto ad una pompa a palette a bagno d’olio? «In alcune applicazioni abbiamo avuto una diminuzione del tempo di raggiungimento del vuoto di circa il 20%, migliorando i tempi complessivi di confezionamento. Il primo sistema è stato installato circa 4 anni fa, ad oggi non riscontriamo

Leybold GmbH Bonner Str. 498 – D-50968 Köln Telefono: +49 (0) 221-347-0 Fax: +49 (0) 221-347-1250 E-mail: info©leybold.com Web: www.leybold.com

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Quali sono i requisiti essenziali per le pompe e i sistemi per vuoto utilizzati nei processi di produzione alimentare? «Le pompe devono garantire un valore di vuoto necessario per i processi di zangolatura e confezionamento buste di affettato, e devono garantire valori ripetibili e mantenuti nel tempo».

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Rovagnati dedica massima attenzione alla qualità dei propri prodotti. Come riesce a garantirla e a salvaguardarla? L’utilizzo di pompe a secco aiuta nell’evitare contaminazioni del prodotto confezionato? «L’alta qualità dei prodotti per Rovagnati è una vocazione, una scelta precisa che viene garantita attraverso l’applicazione di una vera e propria cultura della precisione che viene utilizzata in tutti i processi di produzione». Pompe a bagno d’olio vs pompe a secco: cambiamento dalle prime alle seconde e relativi vantaggi. «Le seconde garantiscono bassi costi di manutenzione, risparmio energetico, ripetibilità del vuoto». Perché il vuoto prodotto da Leybold risulta essenziale in termini di qualità superiore (durata di conservazione, colore e odore del prodotto, velocità di processo, confezionamento continuo)? Quali sono i benefici per Rovagnati? «Le pompe Leybold aiutano a mantenere standard di qualità elevati per i nostri prodotti che si traduce in qualità per i consumatori». Come vengono gestiti i progetti? Come si occupa Leybold degli impianti di confezionamento in vuoto di Rovagnati durante il loro ciclo di vita? «Rovagnati ha una manutenzione interna che gestisce la manutenzione ordinaria delle pompe. Per i nuovi impianti Leybold fornisce a Rovagnati i dati costruttivi di tubazioni e prestazioni». Impatto del Service: è veloce? Vicino alle aspettative di Rovagnati? «Fino ad ora non ne abbiamo avuto bisogno».

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L’etichetta ha una identità È un prodotto sviluppato e realizzato per soddisfare le necessità del cliente, dalla tracciabilità di prodotto a veicolo di comunicazione e strumento di marketing. Ce lo racconta in questa intervista Alberto Quaglia, direttore generale del Gruppo ARO, azienda leader nel settore, con una visione moderna del business e aperto a fare rete di Elena Benedetti

H

a una bella responsabilità l’etichetta apposta su un prodotto, figuriamoci poi se si tratta di uno di genere alimentare. L’etichetta è quel piccolo pezzo di carta autoadesiva che si fa carico di trasferire al consumatore tutte le informazioni che la legge obbliga a riportare. Ma non solo. È anche

il vestito del prodotto che, oltre ad informare, deve catturare l’attenzione e vendere. Insomma, tema complesso quello dell’etichettatura. Dietro all’etichetta c’è un mondo complesso e in continua evoluzione Lo sa bene Alberto Quaglia, di-

rettore generale del Gruppo ARO, un’azienda all’avanguardia nella produzione di etichette industriali che quest’anno festeggia i suoi primi 40 anni di attività. Lo abbiamo incontrato nella sede di Cavaria con Premezzo, in provincia di Varese, al rientro dalla pausa estiva per farci raccontare cosa significa oggi offrire

Da sinistra: Manuela Quaglia, ufficio acquisti di ARO Spa, i fondatori del Gruppo Milena e Carlo Quaglia e Alberto Quaglia in occasione del quarantennale. 46

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un servizio integrato dalla progettazione alla realizzazione di etichette per i vari settori dell’industria, e, in particolar modo, per il mondo delle carni. Quarant’anni sono un bel traguardo! «Decisamente. L’azienda fu fondata nel 1977 dai miei genitori Carlo e Milena Quaglia. Fino ad allora mio padre aveva maturato parecchia esperienza nel mondo dei supermercati. Proprio nel 1977 entrò in vigore la prima normativa sull’obbligo fiscale e da lì l’intuito di creare una società per il mondo retail con la produzione di rotoli per registratori di cassa ed etichette autoadesive. Da allora non ci siamo mai fermati. Il nostro riferimento è da sempre la GDO. Per soddisfare le richieste delle varie insegne di ipermercati e supermercati nel corso degli anni abbiamo ampliato la gamma dei nostri prodotti, con il potenziamento della logistica, dell’industria e con l’acquisizione di altri etichettifici. Oggi ARO è una realtà solida ed efficiente che occupa una cinquantina di dipendenti, che si sviluppa in questo stabilimento su 7.000 m2, con all’interno 30 linee di produzione, tre reparti produttivi (rotoli, etichette autoadesive ed etichette speciali)». Siete operativi anche nel mondo delle carni? «Sì e anche da parecchio tempo. Siamo stati i primi ad utilizzare il software sulla tracciabilità delle carni. Oltre alla parte software gestiamo anche l’hardware con stampati, lettori di bar code e altre strumentazioni necessarie nella trasformazione del prodotto da carcassa a vaschetta sul punto vendita. Quello delle carni è un mondo complesso

Lo scorso 15 settembre il Gruppo ARO ha festeggiato i 40 anni di attività. che richiede alta professionalità, prodotti certificati e un’analisi continua dei processi delle normative. Mio padre quand’era a capo della società amava dire sempre che ARO “ha tutte le carte in regola”. Ed è vero, abbiamo tutti i requisiti per produrre etichette e materiali per gli alimenti. Seguiamo con attenzione le normative in materia di materiali e oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA) e ho personalmente anche fatto parte di una commissione italiana ed estera per i materiali di confezionamento a contatto alimentare». In che mondo avete sviluppato un servizio di consulenza e produzione integrata? «Per avvicinarci maggiormente al cliente e garantire un alto livello di servizio abbiamo costituito Mall Consulting, una società di software e hardware in compartecipazione con Andrea Conte che vanta vent’anni di esperienza nel settore dell’iden-

Tutti i numeri di ARO Spa •• 40 anni di attività; •• 7.000 m2 di superficie nello stabilimento produttivo di Cavaria con Premezzo (VA); •• 30 linee di produzione; •• 50 dipendenti; •• 4 macro linee di prodotti (rotoli, etichette, etichette speciali e accessori).

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tificazione automatica. Attraverso questa impresa veicoliamo servizi innovativi, analisi e implementazione di tracciabilità del prodotto, garantendo così un servizio completo. Al nostro interno abbiamo un team di lavoro che si dedica esclusivamente allo sviluppo di progetti nuovi. Si chiama ARO Evolution Department, attraverso questa sezione sviluppiamo prodotti e servizi ad alto contenuto innovativo. Poi nel 2011 abbiamo fondato una rete d’impresa orizzontale con altri etichettifici: ciascuno è specializzato in un dato settore e così insieme riusciamo a garantire un servizio in varie aree, dall’alimentare, alla cosmesi, alle bevande, ecc… Il nostro è uno studio del cliente e un servizio altamente customizzato». Quello dell’etichetta è un mondo complesso. Perché? «L’etichetta è cosa di non poco conto: cambiano le normative che la regolamentano e occorre adeguarsi a leggi sempre più stringenti. Nel corso degli anni si trasformano poi le tipologie di lavorazione con linee di produzione sempre più veloci e tendenzialmente più automatizzate. E anche in questo caso bisogna sapersi adeguare ai nuovi processi». I temi della sostenibilità sono strategici per il vostro business? «Certamente. Il Gruppo è impe47


Da sinistra: Alberto Quaglia, 40 anni, direttore generale del Gruppo ARO e presidente del GIPEA, Gruppo Italiano Prodotti Etichette Autoadesive e Federico Schiavulli, direttore vendite di ARO Spa. Il Gruppo ARO opera in tutta Italia, direttamente e attraverso rivenditori. gnato in una continua ricerca sui materiali innovativi e più sostenibili da un punto di vista ambientale. Su questo fronte ARO ha conseguito la certificazione internazionale e indipendente FSC, che assicura per il prodotto l’origine attraverso una deforestazione controllata. Come materie prime noi trattiamo solo prodotti certificati FSC. Tra le tante variabili da considerare nel nostro lavoro ci sono il processo produttivo, le materie prime e il numero scarti». Tornando all’etichetta, questa fa parte del packaging ed è di conseguenza uno strumento di marketing. Quali servizi offre il Gruppo ARO al cliente che opera nel mondo delle carni? «Per la carne l’etichetta la fa da padrona non solo per la gestione della tracciabilità lungo la filiera ma anche come racconto del valore del prodotto sul punto vendita. Su questo fronte il Gruppo offre consulenza anche sulla grafica e sui testi, che devono rispondere a determinate caratteristiche, secondo quanto normato dal Regolamento UE 1169/2011 in materia di etichettatura alimentare. Si spazia 48

così dal food marketing, con l’elaborazione di un’etichetta che, oltre ad essere chiara e completa, deve essere anche bella e attraente per il consumatore, ad una consulenza tecnica sul fronte delle normative che regolamentano i testi in essa contenuti». Nella filiera delle proteine animali prodotto parte dal macello in carcassa e arriva in GDO trasformato in vaschetta. Garantite un prodotto per tutte le fasi di lavorazione? «Sì, garantiamo e certifichiamo un’ampia gamma di prodotti, dalle etichette applicate sulle mezzene agli adesivi a zona, al materiale non adesivo come i fili di appenditura, i nastri certificati per il contatto alimentare, le etichette termiche per la tracciabilità del peso/prezzo, fino ai bolli promozionali per vaschette alle etichette di nobilitazione primaria (ovvero quelle etichette apposte nel processo finale del confezionamento, ossia la vaschetta sul punto vendita). Senza dimenticare le etichette RFID, il software, le stampanti, i lettori di bar code e altro ancora».

Un punto di forza del Gruppo ARO? «La capacità di comprendere le esigenze del cliente attraverso un importante studio e conoscenze del settore che garantiscono una soluzione ad ogni problema e in ogni fase della lavorazione delle carni, aiutando il cliente stesso a crescere e sviluppare un processo di crescita e di fidelizzazione. Perché l’etichetta oggi è uno strumento di tracciabilità e quindi di sicurezza, oltre ad essere un veicolo strategico di comunicazione». Concludendo, quello dell’etichettatura, nel mondo delle carni ancor di più, è un tema complesso e centrale: è responsabilità a monte verso la trasformazione delle materie prime, tracciate lungo la filiera, e a valle verso il cliente finale, trasformate e confezionate. Elena Benedetti ARO Spa Via per Cedrate 292 21044 Cavaria con Premezzo (VA) Telefono: 0331 237346 Web: www.gruppoaro.com Eurocarni, 10/17


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A

Per ottenere un’ottima carne ci vuole una razza adatta, cibo appropriato e tanto tempo, racconta Stefan Rottensteiner. Con la sua famiglia sta ora mettendo a punto il finissaggio dei capi, convinti che i margini di miglioramento siano ampi. L’obiettivo è stabilire il metodo migliore che dia la maggior marezzatura

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ottobre lo Sciliar porta il cappello bianco da qualche settimana. E Renon, che gli sta di fronte, ne gode lo spettacolo. Sembra gradirlo anche la mandria di S tefan R ottensteiner con il vitellino nato i primi giorni di settembre che approfitta degli ultimi scampoli di sole. Rimarrà per quasi un anno con la madre. Un’isola di erba verde, fresca e sottile: intorno i boschi di larici e faggi, il maso Oberweidacherhof con la fermata del piccolo treno e gli alberi da frutta. Il recinto in legno, lontano. «Sei anni fa abbiamo capito che non potevamo continuare ad allevare vacche da latte. Dovevamo trovare un’alternativa per la sopravvivenza del maso», racconta il giovane. Dopo un viaggio nel nord Europa Stefan torna con le idee chiare. «È stato così che con la mia famiglia abbiamo scelto di acquistare i primi animali di razza Wagyu. Gli embrioni provenivano dai Paesi Bassi perché dalla fine degli anni Novanta sono state bloccate le esportazioni dal Giappone», precisa Rottensteiner. In verità con il termine Wagyu si riconoscono quattro famiglie di bovini e quella che abita i pendii di Collalbo è la Nera. Discende da incroci tra razze autoctone giappo-

nesi e forestiere avvenuti a fine Ottocento, a seguito della Rivoluzione Meiji. Si diffuse in particolare nelle province di Kyoto e Hyogo, nella parte sud occidentale del Paese del Sol Levante. Poiché il consumo di latte era pressoché sconosciuto e la carne non veniva consumata per ragioni religiose, la presenza dei bovini Wagyu si limitava all’aspetto lavorativo, utilizzati in agricoltura, nell’industria mineraria e in silvicoltura per il trasporto e come fonte di fertilizzante. Ma, nel 1999, la Wagyu Nera rappresentava il 93% del patrimonio bovino giapponese. I tabù alimentari erano caduti e il Giappone si collocava tra i Paesi più ricchi al mondo. «Per ottenere un’ottima carne ci vuole una razza adatta, del cibo appropriato e tanto tempo. Noi stiamo tuttora mettendo a punto il finissaggio e crediamo che i margini di miglioramento siano ampi. Abbiamo diviso i nostri animali in due classi: una parte allevata in stabulazione fissa con fieno raccolto tra 1.200 e 2.000 metri, cereali, semi di lino e ciò che risulta dalla lavorazione della birra di un noto birrificio di Lagundo; l’altra in condizione semibrada con solo erba 51


Grazie ai macchinari ad ultrasuoni utilizzati dall’Università di Bolzano si riesce a stabilire lo strato di grasso ideale superficiale prima della macellazione, che arriva a tre centimetri. In generale, gli animali destinati al macello sono castrati all’età di 6 mesi

In alto: Alpe di Siusi (photo © Südtirol Marketing/Clemens Zahn). In basso: Stefan Rottensteiner (photo © Südtirol Marketing/Benjamin Pfitscher). 52

al pascolo e fieno. Non abbiamo ancora dati sufficienti per stabilire quale sia il metodo migliore che dia la maggiore quantità di marezzatura». Caratteristica che ha fatto la fortuna di questa razza. La quantità di grasso intramuscolare del Wagyu può arrivare anche al 10%; quella degli altri bovini arriva al 3. Grazie all’intervento dell’Università di Bolzano, che utilizza macchinari ad ultrasuoni, si riesce a stabilire lo strato di grasso ideale superficiale prima della macellazione, che arriva a 3 cm. Per questo la macellazione non viene stabilita dall’età, ma dallo strato superficiale di grasso. In generale, la regola prevede che gli animali destinati alla macellazione siano castrati all’età di 6 mesi e solo dopo almeno 40 la marezzatura si sviluppi vistosamente. Grassi insaturi che conferiscono a questa carne sapore e tenerezza distintivi. La parte più importante e richiesta è il roastbeef, ma anche i tagli di spalla e il cappello del prete vengono presto venduti. Specie ai ristoranti, che si accaparrano il 70% della produzione dei Rottensteiner: al momento un soggetto al mese. Prendono la strada di Innsbruck, ma anche delle località turistiche altoatesine. Per le famiglie si preparano soprattutto tagli di bistecche sottovuoto. A prezzi che sono circa 10 volte superiori rispetto alla media della carne di bovino comune. «I Eurocarni, 10/17


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La parte più importante e richiesta è il roastbeef, ma anche i tagli di spalla e il cappello del prete vengono presto venduti. Specie ai ristoranti, che si accaparrano il 70% della produzione dei Rottensteiner: ad oggi un soggetto al mese

cuochi riescono a valorizzare i tagli considerati meno pregiati, ma di certo non meno buoni e saporiti. Dal Wagyu si potrebbero trarre bistecche anche da quelle parti con cui di solito si prepara il gulasch o il brasato», spiega Stefan. «La ristorazione è fondamentale per indicarci e segnalarci i margini di miglioramento. Certo vorremmo sperare che la carne allevata allo stato semibrado si rivelasse più appetibile: noi consideriamo più etico lasciare gli animali liberi». Ma questo tipo di valutazione comparata non si è ancora fatta. Tempo fino a novembre, al momento della prova finale. Poi si vedrà. Intanto, grazie all’esperienza maturata, Stefan Rottensteiner seleziona embrioni di razza pura che prendono la strada per la Germania e i Paesi Bassi. E Italia. Dopo la poco edificante stagione del sushi, che sia la premessa ad una più consolante stagione del Wagyu tricolore? Riccardo Lagorio Oberweidacherhof Weidacherweg 1 39054 Klobenstein, Renon (BZ) Telefono: 348 7492251 Web: wagyu.bz.it

Differenti tagli di carne di Wagyu. In evidenza la caratteristica marezzatura (photo © Südtirol Marketing/Benjamin Pfitscher). 54

Note Alle pagine 50 e 51 carne di Wagyu da esemplari dell’allevamento Oberweidacherhof (photo © Benjamin Pfitscher). Eurocarni, 10/17


La scelta degli

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CONVEGNI

Cosa c’è dietro una vaschetta di carne? La stampa internazionale di settore si è incontrata a Bruxelles per il dodicesimo appuntamento della Round Table organizzata come sempre magistralmente da René Maillard e dal Belgian Meat Office di Elena Benedetti

È

giunta alla 12a edizione la tavola rotonda che ogni fine agosto chiama a raccolta a Bruxelles la stampa specializzata del mondo delle carni. Si tratta di un appuntamento unico e strategico che coinvolge giornalisti provenienti da tutta Europa, ideato dall’ente che promuove lo sviluppo del comparto

delle carni belghe, il Belgian Meat Office capitanato da René Maillard, perfetto padrone di casa insieme al suo valido staff. L’agenda 2017 era incentrata sul tema delle nuove tecnologie e delle mutate abitudini al consumo di carne, ovvero il consumatore di carne in quale misura viene influenzato dalle opinioni

del mercato e dalle nuove opportunità di prodotto che la tecnologia sviluppa? Una domanda alla quale hanno dato risposta, con analisi e prospettive differenti, Kris Michiels, marketing adviser di VLAM, e Filip Degreef, accademico specializzato nei temi della ricerca socioculturale legata al food presso la Free Univer-

René Maillard, direttore del Belgian Meat Office, insieme alle collaboratrici Lieselotte Desimpelaere e Michele Stynen, nel corso della tavola rotonda che da 12 anni l’ente dello sviluppo del comparto delle carni belghe organizza con la stampa internazionale di settore. 56

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I fattori che oggi spingono a comprare carne sono legati alla cultura gastronomica del proprio Paese, al piacere di gustarla, soprattutto locale, all’apporto nutritivo e alla comodità di scegliere prodotti facili e pronti da cucinare o consumare L’edizione 2017, svoltasi lo scorso 31 agosto presso l’hotel Warwick di Bruxelles, ha visto la partecipazione di una ventina di giornalisti specializzati nel comparto carni, provenienti da Italia, Polonia, Romania, Regno Unito, Francia, Germania e Olanda.

Belgio, esportatore top di carni di maiale Nel corso della tavola rotonda Joris Coenen del Belgian Meat Office ha illu­ strato alla stampa internazionale l’andamento del comparto delle carni suine belghe, un settore che tradizionalmente è sempre stato grande esportatore di carni di maiale. Come ha ricordato Coenen, le aziende suinicole sul terri­ torio belga superano abitualmente la seconda, terza e spesso anche quarta generazione, dando continuità al business di famiglia. Oggi in Belgio si pro­ ducono 1,1 milioni di tonnellate di carne di maiale con una forte propensione all’export in oltre 60 Paesi. Nel 2016 le esportazioni hanno raggiunto quota 830.000 tonnellate e sono state destinate a Germania (32%), Polonia (23%), Olanda (10%), Francia (5%), Cina e Regno Unito (rispettivamente 4%), Repub­ blica Ceca e Italia (rispettivamente 3%) e altri Paesi (17%). L’Europa assorbe quindi l’88% del prodotto, attestando il Belgio a quarto esportatore di carni suine in UE e al settimo posto a livello mondiale. L’industria di macellazione e trasformazione in Belgio nel corso degli ultimi anni si è consolidata con la presenza di 7 aziende che gestiscono il 90% delle macellazioni totali (pari a 11,2 milioni di capi suini). Si tratta di Belgian Pork Group (37%), Debra Meat (18%), Noordvlees Van Gool (13%), Group De Brauwer (8%), Slachthuis Van Hoornweder (5%), G. Van Landschoot & Zonen (5%), Benns (4%) e altri (10%).

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sity di Bruxelles e la Solvay Business School. Il consumatore belga Quale è l’atteggiamento del consumatore belga verso le proteine animali? Kris Michiels ha spiegato che, a fronte di una recente analisi di mercato commissionata da VLAM, si evince un profilo di moderata affezione del consumatore medio verso la carne. Il 60% degli intervistati dichiara infatti di mangiare carne 4 volte a settimana. In Belgio la carne si acquista mediamente per l’80% presso il libero servizio della GDO, in vaschette e tagli confezionati, e per il 20% nelle tradizionali macellerie. Quali sono quindi i driver nella scelta della carne? Alla luce dei dati raccolti e analizzati, secondo Michiels i fattori che oggi spingono a comprare carne sono legati alla cultura gastronomica del Paese, al piacere di gustare la carne, soprattutto locale, all’apporto nutritivo e alla comodità di scegliere prodotti facili e pronti da cucinare o consumare. Ciò nonostante, il consumo di proteine animali anche in Belgio è in calo. Dai 35 kg pro capite del consumo domestico nel 2008 si è infatti passati ai 29 kg nel 2016. Le cause di questa lenta 57


Da sinistra, René Maillard, direttore del Belgian Meat Office, Filip Degreef, Kris Michiels e Joris Coenen. e progressiva disaffezione sono parecchie: dalle motivazioni nutrizionali, con l’orientamento a perseguire una dieta più variegata che comporta un maggiore apporto di ortaggi e frutta, alla sensibilità verso i temi legati al benessere animale, sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare. Sul fronte delle ipotetiche soluzioni alternative come l’inquietante carne artificiale o le altrettanto misteriose proteine animali ricavate da insetti, il consumatore belga ha risposto al sondaggio esprimendo non poche perplessità. In Belgio, una regione tradizionalmente vocata all’allevamento di pregiate razze da carne, quest’ultima è e resta un alimento centrale della dieta nazionale, non solo per l’apporto nutritivo ma anche per il semplice appagante piacere di mangiarla.

Il paradosso della scelta È sempre una buona idea aumentare vertiginosamente l’offerta di prodotti, dando ampio spazio a gusti e preferenze del consumatore? Filip Degreef, nel corso del suo intervento, ha citato lo psicologo statunitense Barry Schwartz e il suo famoso “paradosso della scelta”. Una proposta costituita da molte possibilità di acquisto può sicuramente attirare la nostra attenzione, ma è certo che finirà col disorientarci, rischiando di vanificare l’acquisto di uno dei tanti prodotti. In altre parole, è più difficile decidere che cosa vogliamo comprare poiché dobbiamo necessariamente valutare più alternative. E questo cosa fatica, tempo, energia (photo © 06photo – stock.adobe.com). • Link dell’intervento di Barry Schwartz sul paradosso della scelta ad un recente TED: goo.gl/wuNZ3s

Meat influencer Resta comunque il fatto che chi oggi mangia carne in Belgio è abbastanza confuso dai sensazionalismi dei media e dei social. Per ovviare a questo fenomeno il Belgian Meat Office ha iniziato a sviluppare un progetto di corretta comunicazione e promo58

Eurocarni, 10/17


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L’immancabile foto di gruppo con i giornalisti europei e lo staff del Belgian Meat Office. zione delle carni attraverso “l’uso” di influencer. Questi possono essere esperti, giornalisti, chef, blogger, accademici, allevatori e altro. Le informazioni oggi viaggiano attraverso nuove piattaforme, spesso e volentieri in continuo mutamento. Ciò determina la creazione di una nuova audience, in questo caso di consumatori. Per tale motivo occorre sintonizzarsi sulle stesse frequenze e raggiungere i target di consumo parlando un linguaggio che sia semplice ed efficace. Il consumatore è disorientato. Che fare? Filip Degreef ha analizzato l’ap-

proccio verso le proteine animali in un’ottica più antropologica. «Mai come oggi il cibo è stato più sicuro e controllato» ha detto l’accademico. «Ma il consumatore resta ignorante. È cambiato il modo di fare gli acquisti: dalle piccole botteghe alimentari si sono sviluppati i supermercati e tutte le informazioni oggi si leggono su un’etichetta del packaging. Le nuove dinamiche di distribuzione degli alimenti, acquistate in libero servizio in enormi spazi commerciali, senza più contatto con il bottegaio, hanno determinato un allontanamento del consumatore dalla filiera produttiva». Il consumatore è disorientato, si ritrova un prodotto porzionato e

Nella bella tavola rotonda di René Maillard, tra colleghi giornalisti tedeschi, francesi, inglesi, olandesi, polacchi e rumeni, ci siamo tutti trovati d’accordo su un punto: quello della narrazione della filiera è un percorso sul quale bisogna investire risorse, idee e strumenti per non trasformare un prodotto in una commodity che rischia di essere sostituita con velocità e disaffezione

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pronto da usare, che sicuramente contiene parecchie informazioni, ma non ha più la sensibilità di comprendere da dove viene. Soprattutto, non riesce a cogliere i valore che quel pezzo di carne può avere in termini di allevamento, razza, lavorazione. E se subentra il dubbio (magari dettato da disinformazione, sensazionalismi, ecc…), sarà facile il distacco da quel tipo di scelta d’acquisto. Occorre quindi ricreare un contatto, un collegamento, una vera narrazione con la filiera. Ridare valore alla carne, a che cosa significa allevare, alla tradizione delle razze, della lavorazione. Nella bella tavola rotonda di René Maillard, tra colleghi giornalisti tedeschi, francesi, inglesi, olandesi, polacchi e rumeni, ci siamo tutti trovati d’accordo su un punto: quello della narrazione della filiera è un percorso sul quale bisogna investire risorse, idee e strumenti per non trasformare un prodotto in una commodity che rischia di essere sostituita con velocità e disaffezione. Elena Benedetti Eurocarni, 10/17


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L’analisi di Eurocarne, salone internazionale della filiera delle carni

Veneto leader della produzione a livello italiano per bovini e avicoli

I

l Veneto è una delle regioni italiane più importanti per la produzione di carne. Il rapporto 2016 sulla congiuntura del settore agroalimentare, elaborato da Veneto Agricoltura, evidenzia numeri significativi per l’allevamento e la produzione di carne bovina che, con 455.000 capi, rappresenta il 28% del totale nazionale, in crescita del 2% rispetto al 2015. Il valore alla produzione è pari a € 410 milioni (–1,8% sul 2015). La produzione

2016 di bovini da carne è stata vicino alle 172.000 tonnellate in peso vivo, con una flessione dello 0,7% sul 2015 e in linea con l’andamento nazionale. La provincia di Verona si colloca al primo posto per quantità di carne bovina prodotta: 49.992 tonnellate nel 2016, per un valore pari a € 119.463.000, seguita da Padova, con 37.764 tonnellate e un valore alla produzione di € 90.242. Al terzo posto la provincia di Treviso: 34.092 tonnellate

e un valore alla produzione di € 81.466.000. Gli obiettivi di crescita del settore della carne bovina sono stati recentemente presentati da Giuliano Marchesin, direttore di Unicarve (809 allevamenti, 280.000 bovini prodotti, 23 mangimifici, 23 stabilimenti di macellazione e sezionamento, 112 punti vendita), e da Giuseppe Borin, direttore di Azove (oltre 100 allevatori, 45.000 capi allevati, un fatturato di € 130 milioni nel 2016) all’interno della

Bovini della cooperativa La Torre di Isola della Scala, Verona, una realtà costituita nel 1966 che oggi, al traguardo dei 50 anni, conta 13 allevatori soci, 7.000 capi bovini da carne allevati (quasi esclusivamente Charolaise, ma anche Limuosine, Aubrac e incroci) e un fatturato di circa 11 milioni di euro (photo © Ennevi – Veronafiere). 62

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Consumi di carne, cresce l’attenzione al made in Italy Il comparto delle carni a livello nazionale vale oltre 30 miliardi di euro, il 15% circa del fatturato dell’industria agroa­ limentare. Secondo l’ultimo rapporto di Ismea, la spesa domestica degli Italiani per le carni è pari al 10,1% del totale agroalimentare. Le carni bovine rappresentano in valore il 44% del comparto, seguite dalla carne avicola (26%), suina (17%), ovicaprina (3%) e cunicola (2%) (fonte: elaborazione Ismea su dati Nielsen Consumer Panel, anno 2016). In quantità, nel 2016 a guidare gli acquisti dei consumatori sono state le carni avicole (34%) e bovine (33%), seguite da quelle suine (21%), ovicaprine (2%) e cunicole (2%). I canali di vendita privilegiati dagli acquirenti sono stati i supermercati (37%), i negozi tradizionali specializzati (23%), gli ipermercati (21%), l’hard discount (11%) e il libero servizio (8%). I consumi di carne fra il 2011 al 2016 sono diminuiti del 12%. In particolare, nel 2016 rispetto al 2015 sono diminuiti i consumi di carne suina (–5% a valore e –5% in quantità), la carne ovina e caprina (–3% valore e –1% in quantità), le carni di coniglio (–5% in valore e –5% in quantità), le carni di vitello (–5% in valore e –6% in quantità), le carni di bovino adulto (–3% in valore e –2% in quantità), la carne di tacchino (–6% in valore e –2% in quantità) e quella di pollo (–3% di valore e –2% in quantità). Se è vero che i consumi pro capite di carne bovi­ na sono passati da 25 a 17 kg fra il 2005 e il 2015, due dati possono essere considerati positivi: la fine del crollo dei consumi nel 2016 e un’erosione dei consumi che colpisce maggiormente le carni provenienti dall’estero rispetto a quelle prodotte in Italia (elabora­ zioni Ismea su dati Istat e Nielsen), a conferma di una maggiore maturità del consumatore in ter­ mini di scelta e di valorizzazione delle produzioni nazionali (fonte: Servizio Stampa Veronafiere).

presentazione di Eurocarne 2018, il salone internazionale dedicato alla filiera delle carni che per la prima volta si svolgerà in concomitanza con Fieragricola dal 31 gennaio al 3 febbraio 2018. Bovini, suini e settore avicunicolo Il Veneto è la regione che più importa animali d’allevamento, con una quota di oltre il 60% sul totale nazionale. Nella regione si annoverano circa 7.400 allevamenti per la produzione di carne (dati al 31 dicembre 2016, con una flessione del 5% rispetto al 2015). Gli allevamenti con oltre 100 capi non sono diminuiti, mentre sono cresciuti dell’11% quelli con oltre 500 capi. «In Italia — ha spiegato Marchesin — produciamo circa il 50% della carne commercializzata, lavoriamo per aiutare la filiera a recuperare quote di mercato, attraverso tre 64

pilastri fondamentali per il rilancio del settore, che costituiscono le linee guida del Piano carni bovine nazionale: il marchio di qualità, l’interprofessione e la filiera della carne 100% italiana, per ridurre la dipendenza dall’estero». In Veneto sono operativi il Sistema di qualità regionale “Qualità Verificata”, mentre a livello nazionale è stato approvato il Sistema di qualità nazionale zootecnia, che gli allevatori hanno ribattezzato “Sigillo Italiano”. Nel 2016 i consumatori hanno privilegiato la carne bovina italiana; ciononostante, il prezzo medio annuale degli animali destinati al macello non è aumentato in confronto al 2015, anche se sono migliorate le performance aziendali, alla luce di una diminuzione del costo dei ristalli. Accanto alla qualità, che Azove persegue fin dalla propria costitu-

zione attraverso un progetto che ha investito in tecniche di allevamento, il controllo di filiera, il benessere animale, l’attenzione all’ambiente e un sistema di filiera corta particolarmente attento alla sostenibilità, «sono necessari ulteriori sviluppi — ha precisato Borin — che spaziano da protocollo per il controllo nell’uso del farmaco alla riduzione degli antibiotici, fino ai miglioramenti della genetica animale e all’impiego di una razione alimentare ancora più idonea a favorire il benessere dei capi allevati». Con riferimento alla suinicoltura, il Veneto si colloca dopo Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, con una produzione di carne suina stimata in circa 140.000 t (+3% rispetto al 2015). Le province con la maggiore concentrazione di allevamenti sono Verona 47.929 tonnellate prodotte nel 2016, per Eurocarni, 10/17


Il Veneto è la regione che più importa animali d’allevamento, con una quota di oltre il 60% sul totale nazionale. Si annoverano circa 7.400 allevamenti per la produzione di carne. In Italia, ha spiegato Giuliano Marchesin, produciamo circa il 50% della carne commercializzata, lavoriamo per aiutare la filiera a recuperare quote di mercato, attraverso tre pilastri fondamentali per il rilancio del settore, checostituisconolelineeguida del Piano carni bovine nazionale

un valore di € 64.664.000, seguita da Treviso 29.248 tonnellate e un valore di € 39.460.000 e da Padova 23.863 tonnellate per un valore di € 32.195.000. Nel settore avicunicolo il Veneto si conferma principe a livello nazionale, con un valore alla produzione di € 721 milioni e una produzione pari a 565.000 tonnellate, in crescita del 6,7% rispetto al 2015. Verona con 259.243 tonnellate prodotte e un valore alla produzione pari a € 330.658.000 guida la classifica a livello regionale, distanziando notevolmente le altre province. Su scala nazionale il comparto avicolo è autosufficiente, con una produzione del 105,5% rispetto alle carni di pollo consumate nel Paese e del 122,9% rispetto a quelle di tacchino. È diminuita la produzione di carne di coniglio in regione pari a 579.000 quintali (–2,8%, fonte: Istat), in linea comunque con l’andamento nazionale. In ribasso anche le macellazioni, diminuite di quasi il 6% (–2% a livello na­zionale). Il numero dei capi macellati in Italia è stato di 20,8 milioni, con il Veneto leader grazie a 7,4 milioni di unità macellate, pari al 35,4% del totale nazionale. Tutti i dati sono disponibili sul sito www.venetoagricoltura.org. Fonte: Servizio Stampa Veronafiere

Eurocarne 2018 Salone internazionale dedicato alla filiera delle carni Fiera internazionale dell’agricoltura

Con riferimento alla suinicoltura, il Veneto si colloca dopo Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, con una produzione di carne suina stimata in circa 140.000 t

Eurocarni, 10/17

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MARKETING

Manzo irlandese, gusto e nutrienti. Un piacere che fa bene

U

na carne dal colore rosso intenso e con un gusto deciso, sempre tenerissima: così il manzo irlandese conquista il palato di chi lo assaggia. Ma non è solo piacere quello che si gusta: la carne dei bovini irlandesi allevati sui pascoli dell’isola vanta infatti qualità nutrizionali distintive, tra cui contenuti elevati di Omega-3 e vitamine. Il piacere della carne incontra la buona nutrizione Quando il consumatore acquista la

carne rossa, di manzo in particolare, sceglie in primo luogo di vivere “un’esperienza gastronomica vocata al piacere e all’edonismo”. Ma non finisce qui: secondo alcune recenti indagini sul consumo di carne, emerge infatti il ruolo centrale della nutrizione salutare tra i fattori motivanti e di scelta. Oltre il 50% degli Italiani ritiene ad esempio che la carne di manzo sia più valida nutrizionalmente rispetto ad altre carni e che sia un alimento essenziale nella dieta, in particolare se in

famiglia ci sono bambini, ragazzi e anziani1. In aggiunta, sempre tra gli Italiani si evidenzia un fenomeno di riduzione quantitativa dei consumi di carne rossa e manzo, a fronte di un miglioramento qualitativo: si preferisce mangiarne meno, ma di migliore qualità1. Natura, allevamento, lavorazione: ecco i segreti del manzo irlandese Le tecniche di allevamento, l’alimentazione naturale, la selezione attenta delle razze e il clima mite

L’Irlanda è un paese con una ricca tradizione di allevamenti a pascolo e ancora oggi l’industria dell’allevamento è una delle più importanti del paese. Tra i settori in maggiore crescita nel 2016 c’è infatti quello della carne, che rappresenta il 32% delle esportazioni (3.66 miliardi di euro). L’Italia è il quarto mercato più importante per l’export di manzo irlandese (fonte dati: www.bordbia.ie; photo © www.irishbeef.co.uk). 66

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di lunga durata a temperatura controllata (dry-aging): il risultato è una tenerezza incredibile, grazie anche all’ottimale distribuzione del grasso.

irlandese sono fattori chiave per un prodotto premium. Quando si parla della carne di manzo irlandese si parla infatti di animali allevati in libertà, in una terra che vanta una superficie agricola di circa 5 milioni di ettari, di cui oltre l’80% è costituito da pascolo. In queste aree, mitigate dalla corrente del Golfo e da piogge frequenti, l’erba cresce verdeggiante e lussureggiante per buona parte dell’anno, offrendo un nutrimento naturale alle mandrie bovine. L’erba, insomma, è l’ingrediente principale della carne assicurata da Bord Bia – Irish Food Board, l’ente governativo per lo sviluppo e la promozione dei prodotti alimentari, delle bevande e dell’orticoltura irlandese. Per circa 10 mesi all’anno i capi possono pascolare liberi, alimentandosi con erba fresca, molto ricca di nutrienti, che conferisce alla carne un profumo e un gusto inconfondibili e qualità nutrizionali specifiche. A ciò si aggiunge il rispetto del be68

nessere animale in ogni fase dell’allevamento e della macellazione, che garantisce ai capi un livello minimo di stress e un ambiente positivo in cui crescere. Il benessere è un principio fondante anche nel processo di trasformazione: la macellazione della carne bovina è un’attività a carattere locale, con gli allevamenti dislocati in genere entro un raggio di 50 km dagli stabilimenti di lavorazione. Grazie a questa distribuzione strategica e una logistica efficiente e quotidianamente controllata, lo stress ha un impatto minimo sugli animali durante il trasporto, con tutti i benefici sulla qualità finale del prodotto. Da non sottovalutare anche quanto avviene dopo la macellazione: la frollatura della carne, realizzata con tecniche perfezionate nei secoli che consentono di ottenere un gusto tipico, unico e distintivo. La carne da pascolo irlandese è particolarmente indicata per frollature

Gusto e Omega-3 La tecnica di allevamento al pascolo conferisce alla carne di manzo irlandese caratteristiche organolettiche ma anche nutrizionali ben definite. Il rosso borgogna intenso che la contraddistingue, ad esempio, è dovuto all’alimentazione a base di erba, naturalmente ricca di beta carotene. La carne da pascolo è 8 volte più ricca di beta carotene e 5 volte più ricca di vitamina A e di vitamina E rispetto alla carne allevata con le tecniche tradizionali in stalla. Migliore è anche la quantità di preziosi acidi grassi Omega-3: nello specifico, la carne da pascolo vanta fino a 5 volte più Omega-3 di una carne allevata in stalla2. Inoltre, parlando di grassi, risulta più magra e con un’ottima distribuzione delle parti grasse, grazie all’alimentazione naturale, alla libertà di muoversi degli animali e alla giovane età dei capi alla macellazione. La produzione di carne bovina irlandese è infatti incentrata sulla carne proveniente da bovini maschi con età minima di due anni e da giovenche fra i 18 e i 24 mesi, e da razze quali Charolaise, Limousine, Angus ed Hereford. Una serie di caratteristiche che, in accordo con una ricerca americana, non dovrebbero passare inosservate: i consumatori infatti “sarebbero consapevoli che la differenza nel contenuto di acidi grassi conferisce alla carne da pascolo un gusto tipico e particolari qualità in cottura”2. Fonte: Ufficio Stampa Bord Bia – Irish Food >> Link: www.irishbeef.it www.origingreen.ie/it Note 1. SPRIM Academy, workshop “Carne e proteine animali nell’alimentazione moderna”. 2. Daley C. A., Abbott A., Doyle P., A review of fatty acid profiles and antioxidant content in grass-fed and grain-fed beef, Nutr. J. 2010; 9: 10. Eurocarni, 10/17


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INDAGINI

2017 Meat Price Index: il livello di accessibilità alle proteine animali nel mondo

L

a società britannica Caterwings ha elaborato e recentemente reso pubblico il 2017 Meat Price Index, uno studio attraverso il quale vengono analizzati i prezzi di numerosi prodotti agroalimentari nelle città principali di ogni Paese per determinarne il grado di accessibilità da parte dei consumatori. L’analisi è stata oggetto di attenzione soprattutto per quanto riguarda le carni, che nella ricerca comprendono carni bovine, suine, avicole, ovine e seafood (pesce bianco, salmone e gamberi). Consumatori di carne Caterwings ha definito un proprio indice dei prezzi, che raccoglie i

dati ottenuti a partire dai principali produttori e consumatori di proteine animali nel mondo, passando in rassegna centinaia di retailer: ha compilato una lista con i Paesi che più producono e consumano carne e pesce, prendendo in esame i prezzi nelle principali città di ogni nazione presa in esame e ponendo come vincolo che gli abitanti delle città corrispondessero almeno al 25% del totale della popolazione di ciascun Paese considerato. Successivamente, i prezzi ottenuti sono stati posti in relazione con il salario minimo di ciascun Paese, per calcolare quante ore servivano a ciascuno per acquistare uno specifico taglio

I Paesi che mangiano più carne sono Australia, Austria, Argentina, Danimarca e Spagna. Ma per quanto riguarda l’abbordabilità al prodotto? In India, mediamente, bisogna lavorare un’intera settimana per comprare un pezzo di carne, mentre in Norvegia, per acquistare lo stesso identico prodotto, meno di un’ora

Secondo quanto riportato da Caterwings, un chilo di macinato di manzo in Italia costa mediamente 7,06 euro contro i 18,04 euro in Svizzera e i 40,81 euro in Belgio (photo © istetiana – stock.adobe.com). 70

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2017 Meat Price Index consultabile on-line Al link www.caterwings.co.uk/caterers/2017-meat-price-index-eur è possibile analizzare la grande tabella a matrice che mette in relazione i prezzi in euro nei vari Paesi alle tipologie di proteine animali e sotto-tipologie. Queste ultime sono: •• carne bovina: 1 kg di coscia, filetto, macinato; •• carne avicola: 1 kg di coscia, petto; •• carne suina: 1 kg di salsiccia, prosciutto, braciola; •• carne ovina: 1 kg di lombo o costina; •• pesce bianco: 1 kg di filetto di tilapia, merluzzo, pangasio; •• salmone: 1 kg di filetto o bistecca di salmone, con o senza pelle; •• gamberi: 1 kg di gamberi di medi misura.

Alcune informazioni sulla modalità di raccolta dati •• Nella ricerca il consumo medio di proteine animali è stato calcolato per persona e indicato in chilogrammi, sulla base di dati FAO. •• I prodotti analizzati non sono biologici. •• La data di rilevazione dei prezzi è il 15 luglio 2017, con le conversioni dei tassi di cambio di Bloomberg Markets. •• Il salario minimo orario per nazione è stato utilizzato per calcolare le ore lavorative necessarie ad acquistare ogni tipologia di carne. •• Nel caso in cui nel Paese considerato questa informazione fosse assente è stato preso in esame il salario medio con una tipologia di lavoro comune o non specializzata. •• In molti mercati il consumo di carne di maiale è proibito per motivi religiosi. •• Alcuni retailer comunque offrono alcune tipologie di prodotti di carne suina ma, essendo una tipologia spesso poco consumata, per i mercati musulmani questa proteina animale non è stata presa in considerazione ai fini dell’analisi. •• Caterwings ha comunque specificato che, nonostante tale assenza, il calcolo degli indici per Paese non ha risentito variazioni.

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È evidente la diseguaglianza a livello internazionale e, man mano che il mondo comincia a riflettere sulle implicazioni della globalizzazione, questo studio dimostra che il tema del prezzo del cibo deve entrare nell’agenda di chi ci amministra

di carne. I dati sono stati poi messi a confronto, calcolando un indice di deviazione tra i diversi Paesi. Dallo studio emerge che in Italia il consumo medio annuo di carne (manzo, pollo, agnello e pesce) è di kg 90,7 a persona: il dato conferma il nostro Paese come particolarmente “fortunato”, visto che questo genere di alimenti non è facilmente accessibile per molte fasce di popolazioni presenti soprattutto nei Paesi meno sviluppati. I Paesi che mangiano più carne sono Australia (kg 111,5), Austria (kg 102), Argentina (kg 98,3), Danimarca (kg 95,2), Spagna (kg 97). Di contro, in India o in Indonesia il consumo pro capite è rispettivamente di kg 4,4 e kg 11,6. Ma se in maniera semplicistica la Svizzera è in testa alla classifica in termini di prezzi di carne più elevati, e l’Ucraina in coda, lo studio ha permesso di verificare l’abbordabilità di questo tipo di alimenti. In India, mediamente, bisogna lavorare un’intera settimana per comprare un pezzo di carne, mentre in Norvegia, per acqui­stare lo stesso identico prodotto, meno di un’ora. Per mangiare, ad esempio, un filetto da un chilo, i prezzi variano dai 49,68 dollari/kg della Svizzera ai 3,70 dollari/kg dell’Ucraina. Nei Paesi europei, costa in media 18-19 dollari/kg (in Italia ad esempio 17,41 dollari/kg). Ma uno Svizzero deve lavorare poco più di 3 ore per acquistarlo, un Italiano 4 ore e c’è chi, come in Russia o negli Emirati Arabi, in India, in Egitto o in Vietnam deve lavorare oltre 20 ore. In Argentina, Eurocarni, 10/17

Paese produttore per eccellenza, un filetto costa 8,20 dollari/kg e un lavoratore con salario minimo deve lavorare 4 ore e 12 minuti per poterselo permettere. Se il manzo viene considerato una carne pregiata, il discorso non cambia però per quella notoriamente più economica e cioè il pollo: per un petto, ad esempio, il prezzo è sempre più elevato in Svizze­ra (27,14 dollari/kg) mentre in Europa si mantiene sui 10 dolla­ri/kg (in Italia è di 8,20 dollari/kg). Se in Norvegia un lavoratore con salario minimo deve lavorare meno di un’ora per acquistarne uno, ci sono Paesi dove lo sforzo deve essere di gran lunga maggiore: in India, per esempio, ci vogliono oltre 10 ore di lavoro mentre in Egitto 7 ore e 42 minuti. Un livello simile a quello della Russia (6 ore e 54 minuti) e degli Emirati Arabi (9 ore e 18 minuti). Il maiale risulta di gran lunga più alla portata di tutti, visto che una salsiccia costa dai 20 dollari/kg della Svizzera ai 3 dollari/kg dell’Ungheria. È sempre l’India, dove costa 6 dollari/kg, il Paese dove un lavoratore con salario minimo deve lavorare di più per poter comprare questo tipo di carne (39 ore e 24 minuti). L’Italia ha i prezzi medi europei (8 dollari/kg). Una disuguaglianza su cui riflettere a livello politico «Abbiamo iniziato questa analisi come semplice ricerca di mercato per creare un indice dei prezzi per il settore catering — ha commentato Alexander Brunst, CEO di Caterwings — ma abbiamo finito col raccogliere talmente tanti dati che ci hanno consentito di formulare un indice dei prezzi che, a questo punto, necessità di non poche riflessioni. È evidente la diseguaglianza a livello internazionale e, man mano che il mondo comincia a riflettere sulle implicazioni della globalizzazione, il nostro studio dimostra chiaramente che il tema del prezzo del cibo deve entrare nell’agenda di chi ci amministra». Fonti: UNAItalia, www.unaitalia.com Caterwings, www.caterwings.co.uk

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MERCATI

Carne suina: previsioni sul mercato mondiale

L’

ultimo rapporto OECD/ FAO descrive le prospettive per il mercato mondiale della carne suina fino al 2026. Costi di alimentazione I prezzi dei cereali dovrebbero rimanere su livelli contenuti nei prossimi dieci anni (salvo eventi climatici avversi). Prezzi della carne suina L’andamento dei prezzi sarà condizionato da un aumento dell’offerta da parte di Nord America, Cina, Brasile e da un aumento dell’import da parte di Corea, Messico e Vietnam. Le previsioni sono di un andamento moderato dei prezzi nei prossimi dieci anni. Produzione Dopo il 2017 aumenterà la produzione di carne suina, in relazione soprattutto alla crescita dimensionale degli allevamenti in Cina. Secondo le previsioni, l’aumento della produzione interesserà Brasile, Messico, Filippine, Federazione Russa, Stati Uniti e Vietnam. L’incremento delle importazioni cinesi determinerà 74

una crescita, sia pure marginale, della produzione nell’Unione Europea. L’aumento della capacità produttiva globale sarà comunque rallentato dalle norme sulla tutela di ambiente e benessere animale. Consumi Il consumo pro capite di carne suina dovrebbe calare marginalmente nei prossimi 10 anni. Nei Paesi sviluppati i consumi hanno raggiunto livelli di saturazione, mentre nei Paesi in via di sviluppo si registrano trend differenti: una crescita moderata dei consumi è prevista in Argentina, Brasile, Messico, Uruguay (in America Latina, negli ultimi anni si è registrato un rapido incremento dei consumi domestici di carne suina grazie all’aumento della produzione, alla migliore qualità della carne e a prezzi contenuti. In altri Paesi in via di sviluppo non si prevede un aumento dei consumi perché si tratta di Paesi che tradizionalmente non consumano molta carne suina. Fattori che possono condizionare il mercato mondiale delle carni Secondo il rapporto, le politiche

commerciali continueranno a determinare i cambiamenti più significativi nel mercato mondiale della carne. Anche le politiche nazionali influenzeranno la competitività dei produttori. Un impatto significativo sul mercato globale della carne suina lo avranno le questioni sanitarie e legate alla sicurezza alimentare (ad esempio il bando imposto dalla Federazione Russa all’UE a causa della Peste Suina Africana nell’Europa dell’Est). Inoltre, l’applicazione delle normative sulla tutela ambientale, sulla salute animale e sulla movimentazione ed il commercio degli animali influenzeranno lo sviluppo del comparto zootecnico. Infine, altri due fattori saranno determinanti per il comparto: la possibile introduzione di nuovi vincoli per la riduzione delle emissioni e la possibile riduzione dei consumi di carne a vantaggio di altre fonti proteiche. Fonti • OECD-FAO, Agricultural Outlook 2017-2026 • ANAS, Associazione Nazionale Allevatori Suini Eurocarni, 10/17


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In crescita i consumi di carni avicole Nel quinquennio 2016-2012 il comparto avicolo ha dimostrato di essere un modello produttivo efficiente con risultati spesso migliori rispetto agli altri afferenti la zootecnia: ne sono prova le performance sul fronte dell’offerta e della domanda nell’arco temporale 2012-2016

I

l settore avicolo ricopre un ruolo importante nell’agroalimentare, con un valore alla produzione di oltre 2,71 miliardi; incide per il 7,9% sul fatturato agricolo (5,5% pollame e 2,4% uova) e con un fatturato di 5,45 miliardi di euro incide per il 4,1% sul fatturato industriale. A livello territoriale le strutture produttive risultano piuttosto concentrate: oltre la metà del fatturato dell’industria avicola è realizzato nella sola regione Veneto (54%), il 32% in Emilia-Romagna, il 10% nelle Marche, ma ai 6.000 allevamenti professionali si affiancano altri 17.000 allevamenti amatoriali (con meno di 250 capi) sparsi in tutto il territorio nazionale. Elemento caratteristico della filiera avicola italiana è la forte integrazione tra le sue diverse fasi. Gli operatori sono legati da relazioni stabili e contrattualizzate per tutte le fasi operative: dalla fornitura degli input produttivi all’allevamento, alla macellazione, alla trasformazione e alla distribuzione. Negli ultimi anni le filiere zoo­ tecniche hanno visto affiancarsi alle note difficoltà strutturali sul fronte produttivo ulteriori pesanti problematiche anche sul fronte della domanda. In questo contesto il pollo è stato l’unico prodotto carneo a presentare segnali positivi; basti guardare ai dati produttivi, in crescita dal 2006 in maniera costante. Nel 2016, con 1,36 milioni di tonnellate di carni macellate, si 76

è registrato l’ultimo recupero del 5,7% sul 2015. In miglioramento anche il saldo della bilancia commerciale, da sempre in positivo, ma che, con un attivo di oltre 197 milioni di euro, nel 2016 segna +37% rispetto al 2015. Il comparto è l’unico tra quelli carnei ad avere un tasso di autoapprovvigionamento superiore al 100% e nel 2016, con un tasso a 110%, segna un +2,9 rispetto al 2015. A questi riscontri positivi si devono aggiungere quelli relativi alla particolare efficienza organizzativa nei controlli e nella gestione delle emergenze. Secondo quanto riportato dal Ministero della Salute, infatti, i tempi di chiusura di una pratica sull’emergenza “influenza aviaria” (35 giorni) sono i più efficienti in ambito europeo. Allo stesso modo risultano efficienti le risposte alle richieste di “riduzione dell’uso del farmaco”; per gli antibiotici, infatti, l’obiettivo per il 2018 del –40% è stato raggiunto con oltre un anno di anticipo. Domanda interna Passando alla domanda interna, possiamo notare come il pollo — da solo — ricopra la più importante fetta tra i prodotti carnei consumati nel 2016 (30%). I consumi pro capite sono passati da 19,5 kg nel 2012 a 20,4 kg nel 2016, diventando anche in questo caso la categoria merceologica più consumata del comparto (17,1 kg il consumo pro capite dei carne

bovina). Nell’ambito dei consumi domestici delle famiglie (escluso Ho.re.ca.), nell’arco del quinquennio 2012-2016 la carne di pollo è l’unico prodotto a segnare un incremento dei volumi e della spesa. Consumi I consumi domestici analizzati per aree geografiche evidenziano andamenti positivi per le aree del Centro e del Nord, mentre nelle aree meridionali, nel quinquennio, i dati segnano una contrazione sia della spesa che dei volumi; ma il dato può essere letto in un’ottica in cui, in questi areali, è sempre più frequente l’allevamento amatoriale finalizzato all’autoconsumo e tale dato non viene registrato pertanto negli acquisti.

Elemento caratteristico della filiera avicola italiana è la forte integrazione tra le sue diverse fasi. Gli operatori sono legati da relazioni stabili e contrattualizzate per tutte le fasi operative: dalla fornitura degli input produttivi all’allevamento, alla macellazione, alla trasformazione e alla distribuzione

Eurocarni, 10/17


Ad acquistare carni avicole almeno una volta l’anno sono circa 92 famiglie su 100, affrontando mediamente, per ogni atto d’acquisto, una spesa di ₏ 5,35, portando a casa ogni volta una media di 900 grammi di prodotto. Eurocarni, 10/17

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Tabella 1 – Tutti i numeri del comparto avicolo in Italia 1,36 milioni di t

Produzione (in crescita del 5,7% rispetto al 2015)

197 milioni di €

Saldo della bilancia commerciale (+37% rispetto al 2015)

2,71 miliardi di €

Valore della produzione (–7,7% rispetto al 2015)

5,45 miliardi di €

Fatturato dell’industria (–2,7% rispetto al 2015)

6.000

Allevamenti professionali

17.000

Allevamenti con meno di 250 capi

20,5 kg

Consumi pro capite (+2,9% rispetto al 2015)

110%

Tasso di approvvigionamento (+2,9% rispetto al 2015)

Grafico 1 – Canali di acquisto

Hard discount Libero servizio Ambulante/Mercato rionale Ipermercati Supermercati

Grafico 2 – Quote consumi

Carni ovicaprine Carni di coniglio Carni suine fresche Carni avicole Carni di vitello Carni di bovino adulto Carni di tacchino

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Profilo del consumatore Il profilo del consumatore di carni avicole mostra, nel quinquennio in analisi, un trend che è coerente con i mutamenti del contesto e del nuovo approccio ai consumi di carni. In un contesto generale di maggior apprezzamento per le carni avicole da quasi tutte le componenti sociodemografiche (prezzo accessibile, facilità di preparazione per gli elaborati, assenza di barriere religiose, versatilità ricette…), quali sono le categorie che hanno invece mostrato un ridimensionamento dell’interesse? Considerando i cambiamenti negli stili di consumo in base alle variabili sociodemografiche, emerge che la categoria di consumatori con responsabile di acquisto dai 45 ai 54 anni non varia nel tempo le sue abitudini; mantiene quindi sostanzialmente stabili gli acquisti di prodotti avicoli sia in termini di volume che di spesa. Le classi di consumatori molto giovani (sotto i 34 anni) mostrano un aumento nei volumi acquistati del 7%, a cui è però associato un incremento assai più flebile della spesa, a segnale che la componente prezzo è forse l’elemento determinante. La classe di consumatori con responsabile acquisti oltre i 64 anni mostra un incremento negli acquisti del 9% in volume, confermando le scelte merceologiche di 5 anni prima con una spesa invariata. A tentennare sono invece gli acquisti effettuati da categoria con responsabile acquisti in fascia 3444 anni (–8%), e indagando tra le fasce di reddito pare che a ridimensionare gli acquisti di carni avicole siano solo ed esclusivamente quelle famiglie appartenenti alla classe “reddito alto”. Dunque la carne di pollo perde appeal sulla categoria di consumatore (piuttosto giovane e benestante) maggiormente esposta alle influenze dei media e favorevolmente disposta all’influenza delle mode del momento, spesso alla ricerca di prodotti nuovi ed alternativi, un consumatore che quasi sempre assegna un “valore reputaEurocarni, 10/17


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Costituito il gruppo di lavoro comunicazione del settore avicolo europeo Si è svolta lo scorso 29 agosto la prima riunione del gruppo di lavoro comunicazione di A.V.E.C., l’associazione europea che riunisce tutte le rappresentanze nazionali del settore avicolo. La riunione è nata dalla volontà di creare una unica voce del settore, in particolare nei confronti dei diversi organi dell’Unione Europea. Oltre a UNAItalia, all’incontro hanno partecipato le associazioni di Germania (BVG), Inghilterra (British Poultry Council), Danimarca (DSF), Olanda (NEPLUVI), Ungheria (BTT), Spagna (Propollo), Polonia (KRD). Dalle presentazioni effettuate dai membri partecipanti è emersa un sostanziale omogeneità dei temi comunicazionali da affrontare. In particolare in tutta Europa sono co­ muni alcuni falsi miti, spesso alimentati da fake news. Molti consumatori europei ritengono che ormoni e antibiotici siano la stessa cosa e pensano che la carne di pollo ne sia piena. In Europa, invece, gli ormoni sono vietati da molto tempo e sugli scaffali, grazie ad attente e coscienziose prescrizioni veterinarie e al necessario tempo di sospensione, non arriva carne contenente antibiotici. Altra falsa credenza diffusa in Europa è che i polli siano allevati in batteria, mentre da 50 anni il pollo europeo è allevato solo a terra. Infine, tutti i Paesi produttori europei, in particolare Olanda e Polonia che, come l’Italia, raggiungono e superano l’autosufficienza, puntano sulla provenienza dei loro prodotti, realizzati seguendo comuni e ferree regole di allevamento e di produzione. Prossimamente il gruppo lavorerà per meglio delineare obiettivi, messaggi e azioni da realizzare a livello europeo finalizzati alla promozione del settore avicolo comunitario, che contribuisce a circa il 10% della produzione mondiale di carne di pollo. (UNAItalia)

La produzione avicola sostenibile sta guidando i miglioramenti del settore I produttori avicoli, già all’avanguardia in alcune aspetti della sostenibilità, stanno ricevendo molte pressioni per minimizzare ulteriormente il loro impatto ambientale, dato che sta aumentando la domanda di uova e di carne. Una produzione sostenibile, nella sua più ampia accezione, coinvolge tre aspetti: ambientale, sociale, economico, e le aziende e i politici stanno mettendo diversa enfasi su ognuno di questi tre aspetti. All’interno del settore avicolo, molte società stanno già facendo progressi significativi in termini di riduzione dell’impronta ambientale e di visione “verde” delle attività aziendali. Tuttavia, data la crescente domanda di proteine animali, la riduzione o la stabilizzazione dell’impatto ambientale diventerà un obiettivo sempre più importante e sempre più difficile da raggiungere. Questo significa che anche i dirigenti con la più ampia politica ambientalista dovranno continuamente rivedere e migliorare le proprie posizioni. In avicoltura la genetica ha fatto progressi significativi, sviluppando animali che ottimizzano l’uso delle risorse a loro disposizione. I broiler o le ovaiole moderne sono molto diversi dagli animali di soli pochi decenni fa: hanno una migliore prospettiva di vita, una crescita migliore e un migliore tasso di conversione dei mangimi. I continui progressi riguardano anche la nutrizione, sia in termini di prospettive di genetica animale, sia grazie a una maggiore comprensione dei nutrienti di cui sono composti i mangimi. In futuro, grazie allo sviluppo della tecnologia, sarà possibile includere ingredienti che attualmente non sono disponibili o economici, e che invece potranno essere reperibili anche a livello locale. Lo sviluppo tecnologico permetterà inoltre una migliore profila­ zione dell’alimentazione degli animali sia, per esempio, durante la crescita che durante il periodo di posa. Sofisticati sistemi di accasamento permetteran­ no, per esempio, di controllare tutto l’ambiente e alimentare gli animali ottimizzandone le performance di cre­ scita, e allo stesso tempo remunerare gli investimenti fatti anche dai piccoli produttori. Questi sistemi non solo regoleranno gli input produttivi, ma serviranno anche da allerta in caso di problemi. (WattAgNet – UNAItalia)

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Eurocarni, 10/17


I produttori avicoli stanno ricevendo molte pressioni per minimizzare ulteriormente il loro impatto ambientale, dato che sta aumentando la domanda di uova e di carne. Una produzione sostenibile, nella sua accezione più ampia, coinvolge gli aspetti ambientale, sociale, economico, e le aziende e i politici stanno mettendo diversa enfasi su ognuno di questi tre aspetti

La riduzione o la stabilizzazione dell’impatto ambientale diventerà un obiettivo sempre più importante e sempre più difficile da raggiungere anche nel settore avicolo. Questo significa che anche i dirigenti con la più ampia politica ambientalista dovranno continuamente rivedere e migliorare le proprie posizioni

Eurocarni, 10/17

zionale” a ciò sceglie per la propria alimentazione. In questo caso la scelta è indipendente da esigenze di contenimento di prezzo, ma piut­ tosto è dettata dalla ricerca di prodotti alternativi che conferiscano alla scelta una indubbia alienazione dai comportamenti di massa; proprio su questo dovrebbe concentrare l’attenzione l’industria di trasformazione delle carni avicole… È forse proprio questo l’elemento mancante nella miriade di prodotti afferenti questa filiera, a cui l’industria di trasformazione dovrebbe rivolgere la propria attenzione: la creazione di un prodotto d’élite, pregiato, innovativo e non alla portata di tutti. L’ampia gamma di prodotti confezionati e forniti di marchio e la certezza di trovare nei banchi frigo sempre solo prodotto 100% italiano permette ai consumatori di effettuare acquisti anche in luoghi dove scarso è il rapporto di fiducia tra chi vende e chi compra (canali della grande distribuzione). I canali di acquisto Oltre 70% degli acquisti di carni avicole avviene negli iper/supermercati e con un’evidente espansione anche i discount stanno acquistando la loro fetta di consumatori (20% in quota con un trend nel quinquennio del +57%). Al contempo ambulanti, mercati rionali e liberi servizi vedono ridursi la loro quota distributiva a valori oramai residuali. Da evidenziare, infine, che la maggior parte degli acquirenti approfitta di prodotti in promozione: nel 2016 sono oltre il 60% gli acquisti di prodotti in promo. Ad acquistare carni avicole almeno una volta l’anno sono mediamente 92 famiglie su 100, affrontando mediamente, per ogni atto d’acquisto, una spesa di 5,35 euro, portando a casa in ogni atto una media di 900 grammi di prodotto. Redazione a cura di Paola Parmigiani Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale, Unità Operativa Studi e Analisi ISMEA – www.ismea.it

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Ucraina e Bielorussia, come evolve il mercato delle carni di Roberto Villa

Ucraina: boom dell’export avicolo e il settore suinicolo si modernizza. Ripresa consolidata del PIL econdo i dati diffusi dalla FAO in uno studio dedicato1, la produzione di carne in Ucraina è aumentata del 39% nel quinquennio 2005-2010, fino a raggiungere 1,8 milioni di tonnellate complessive per tutte le specie. Si prevede continui in tal senso fino al 2020 con un tasso medio annuo del 2,5%. Il settore più vivace è senza dubbio quello avicolo: nel 2010 il consumo pro capite è stato di 48 kg, di cui la metà pollame. Oltre i due terzi della carne sono venduti in mercati

S

o piccoli negozi. L’esportazione di carne di pollo prosegue secondo una tendenza consolidata, che ha fatto registrare una progressione regolare dalle 142.000 tonnellate del 2013 alle 260.000 tonnellate stimate per il 2017, con un balzo in avanti dell’83% in quattro anni. Degno di nota il fatto che l’Ucraina è sempre stato un paese importatore netto di carni avicole, con volumi superiori alle 100.000 tonnellate all’anno tra il 2004 e il 2010; ora è in corso una maggiore specializzazione delle imprese che operano nel settore, di fatto il più avanzato tra le carni grazie alla presenza di

soggetti imprenditoriali orientati al mercato. Sul fronte delle carni bovine le esportazioni stanno costantemente salendo dal 2010 (19.000 tonnellate): per il 2017 sono attese a quota 60.000 tonnellate. Il confronto con la fine del periodo sovietico è impari: allora (anni 1988-1990) le esportazioni ammontavano a più di 450.000 tonnellate all’anno; tuttavia, sono l’indicazione di un settore in ripresa. Le carni suine hanno avuto nel recente passato un andamento alquanto controverso, con anni di grandi importazioni (dal 2004

L’esportazione di carne di pollo dall’Ucraina ha fatto registrare una progressione regolare negli ultimi cinque anni e prosegue senza ombra di crisi (photo © MHP). 82

Eurocarni, 10/17


Gli interscambi con la Cina di prodotti agroalimentari dalla Bielorussia si stanno intensificando, con esportazioni verso il gigante asiatico previste in aumento di oltre il 50% nel 2017: una recente visita dei veterinari ufficiali cinesi ha approvato per l’esportazione decine di stabilimenti di lavorazione delle carni. al 2013, con volumi compresi tra le 60.000 e le 280.000 tonnellate), seguiti, nell’ultimo triennio 20152017, da volumi praticamente azzerati, inferiori alle 5.000 tonnellate per anno, grazie ad un recupero di produzione interna che rimane ancora molto legata a piccole imprese di carattere familiare. Vi sono tuttavia investimenti di società parzialmente legate a capitali esteri, come la joint-venture angloucraina Nyva Pereyaslavshchyny, che possiede otto allevamenti di suini a ciclo chiuso, ciascuno dei quali è capace di produrre in media 30.000 capi da macello l’anno. Nel complesso le prospettive sono che l’Ucraina divenga un esportatore netto di carni entro il prossimo decennio, anche sotto la spinta delle agevolazioni del Go­verno, ora articolate fondamen­ talmente in un regime agevolato di tassazione, incentivi agli investi­ menti e alle ristrutturazioni, così come in meccanismi di sostegno ai prezzi. Eurocarni, 10/17

Nel rapporto Global Economic Perspectives emesso nel giugno 2017, la Banca Mondiale prospetta un PIL in deciso rialzo del 2,0% per il 2017, con un’accelerazione nel biennio seguente (rispettivamente +3,5% nel 2018 e +4,0% nel 2019), situazione che rappresenta un cambio di rotta significativo se comparato con i pessimi risultati degli anni precedenti (–6,6% nel 2014, –9,8% nel 2015), con il 2016 a segnare lo spartiacque della ripresa (+2,3%). Bielorussia: bene l’export avicolo, la Cina investe negli allevamenti. Preoccupazioni sui progetti nell’area di Chernobyl Il Ministero dell’Agricoltura sta promuovendo un piano per il miglioramento della produttività degli allevamenti avicoli, che dovrebbe portare ad una produzione di 650.000 tonnellate nel 2020, i cui benefici sono già in parte visibili nell’anno corrente. La Bielorussia nel 2013 esportava carne di pollo per 105.000 tonnellate; i volumi

inviati oltre confine sono saliti a 145.000 tonnellate nel 2016 e si stimano 135.000 tonnellate per il 2017, pari al 20% circa della produzione interna. I mercati di destinazione sono rappresentati quasi esclusivamente dai paesi circostanti dell’ex URSS: Russia, Armenia, Kazakistan, Moldavia, Uzbekistan e Tagikistan. Il miglioramento dell’efficienza e conseguentemente la riduzione dei costi di produzione è reso necessario soprattutto dal fatto che gli alimenti per il pollame devono essere in buona parte importati e quindi, per essere competitivi sui mercati esteri, questa è una via obbligata. Un altro canale cui punta il Governo è quello dell’aumento dei consumi interni, attualmente stabili attorno ai 24 chilogrammi pro capite annui, sebbene le statistiche ufficiali non riescano a rendere conto di tutti i consumi in un paese dove è ancora molto comune la produzione familiare per l’autoconsumo. 83


Destano grande preoccupazione le affermazioni del presidente Lukashenko circa la possibilità di rimozione del divieto di coltivazione e allevamento in una parte dell’area di rispetto di Chernobyl in vigore dall’aprile 1986. I rischi di bioaccumulo di isotopi radioattivi nella catena alimentare sarebbe ancora troppo elevati. Gli interscambi con la Cina di prodotti agroalimentari si stanno intensificando, con esportazioni verso il gigante asiatico previste in aumento di oltre il 50% nel 2017: una recente visita dei veterinari ufficiali cinesi ha approvato per l’esportazione decine di stabilimenti di lavorazione delle carni; ciò fa presupporre un ulteriore incremento dell’export negli anni a venire. Sono anche stati siglati importanti accordi per la realizzazione di nuovi allevamenti in joint-venture con società cinesi o per la ristrutturazione di alcuni fra quelli esistenti. A partire dall’anno 2000 le importazioni di carne bovina sono state sempre contenute tra le 1.000 e le 5.000 t/anno, con uniche eccezioni gli anni 2005, 2006 e 2014, quando si sono importate rispettivamente 12.000, 23.000 e 11.000 tonnellate. Il 2016 ha fatto registrare il record delle importazioni dell’ultimo ventennio con quasi 30.000 tonnellate; per il 2017 si attendono volumi intorno alle 20.000 tonnellate. 84

Per quanto riguarda le carni suine, dopo un picco di importazioni negli anni tra il 2003 e il 2014, che ha toccato un massimo storico di circa 150.000 tonnellate nel 2012, tra il 2015 e il 2017 l’import è ritornato su livelli inferiori alle 10.000 tonnellate per anno. Il programma “Agribiz 2020” del Ministero dell’Agricoltura e dell’Alimentazione punta a raggiungere, entro l’anno 2020, un valore di esportazioni agroalimentari pari a 7 miliardi di dollari, equivalenti ad un incremento del 40% nel quinquennio di riferimento. Destano tuttavia preoccupazione le affermazioni fatte dal presidente Alexander Lukashenko circa la possibilità di rimozione del divieto di coltivazione e allevamento in una parte dell’area di rispetto di Chernobyl in vigore dall’aprile 1986, anno del disastro nucleare: la comunità scientifica locale ha fatto sapere che, nonostante il rigido controllo dell’informazione in atto nel paese, i rischi sono troppo elevati

per poter anche solo considerare l’idea di riprendere attività di tipo agrozootecnico, in particolare per il bio-accumulo nella catena alimentare di isotopi radioattivi quali Stronzio 90 (emivita 29 anni), Cesio 137 (emivita 30 anni), Plutonio 238 (emivita 88 anni), Plutonio 239 (emivita ben 24.400 anni). Nel rapporto Global Economic Perspectives del giugno scorso, la Banca Mondiale disegna un quadro di economia stagnante: dal +1,7% di crescita del PIL nel 2014 il paese è sì caduto in un biennio di decrescita (–3,9% e –2,6% rispettivamente nel 2015 e nel 2016), ma anche per l’anno in corso è prevista una chiusura in debole calo (–0,4%). Solo a partire dal 2018 ci sarà una timida ripresa (+0,5%), che si dovrebbe consolidare nel 2019 con un +1,2%. Roberto Villa Note 1. Ukraine, Meat sector review, FAO, Roma 2014. Eurocarni, 10/17


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La gallina padovana, una star che torna alla ribalta Dopo il rischio d’estinzione durante il Novecento, le iniziative di conservazione e valorizzazione della razza agli inizi degli anni ‘80 hanno dato i loro frutti e nel Padovano oggi si registra una ripresa dell’allevamento a scopo commerciale di Riccardo Lagorio

G

iovanni Dondi, stretto frequentatore di Francesco Petrarca, ne aveva importato degli esemplari dalla Polonia nel Trecento; pare che Galileo Galilei ne fosse letteralmente innamorato: tra i documenti ufficiali si è scovata una lista di tagli da lesso ordinati dallo scienziato durante la sua permanenza nella città di

Sant’Antonio. La gallina padovana, una star la cui presenza diffusa sul territorio non sfuggì al canonico e grammatico Bernardino Scardeone nel 1559. Economia basata sulla coltivazione di frumento, lino e allevamento di galline. Ne viene infatti segnalata una presenza tanto abbondante nel borgo di Polverara ne La storia antica della città di Pa-

dova, da ritenersi indispensabile la citazione accanto al monastero di Sant’Agnese. Non poteva lasciare indifferente il naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi, che nel 1600 inserisce la gallina padovana nel Tomo dell’ornitologia, con profusione di illustrazioni. La diffusione della razza Padovana subisce un tracollo numerico nel

Gallina padovana (photo © Matteo Piasenzotto). 86

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Bresaola di Equino

Salame di Equino

“Julienne” Di Bresaola di Equino

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La struttura della polpa di gallina padovana è magra, di colore bianco o rosato, con scarsi depositi adiposi sottocutanei. Il sapore è molto delicato e la pelle bianca ha giocato a favore della distribuzione nelle macellerie e nei ristoranti. Del resto, l’impulso dato da questi ultimi per il potenziamento della razza è fondamentale e una cialda edibile consegnata al commensale ne conferma l’origine. Un passo importante per la difesa di un prodotto che ha segnato la storia di questo territorio

Gallina padovana ‘mbriaga (photo © aromadicasa.blogspot.it). Novecento, sino a contarsi pochi allevamenti amatoriali e un’arca dalla quale sarebbero partite negli anni Ottanta iniziative di conservazione e valorizzazione della razza, l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente San Benedetto da Norcia, con l’obiettivo di incrementare il grado di diversificazione del paesaggio agrario. Dal canto suo la ristorazione contemporanea ne ha sperimentato la perfetta aderenza alle richieste del consumatore, inaugurando un periodo di ripresa dell’allevamento da parte di una decina di allevamenti a scopo commerciale. Di questo passo, la richiesta ha permesso in pochi anni di allevare più riproduttori per allargare la 88

base genetica ed evitare gli effetti di consanguineità. La caratteristica più evidente della Padovana è la presenza di un ciuffo di penne, sostenuto da un’ernia craniale. Il tegumento che la riveste è ricco di follicoli. Nelle femmine si vengono a creare penne brevi dall’apice arrotondato; nei maschi appaiono allungate, appuntite e tali da ricadere sul capo. Sulla gola e sotto gli orecchioni delle piccole penne prendono le sembianze di barba. Grazie alla varietà di colori di piumaggio (nero, argentato, bianco, dorato o camosciato) l’allevamento ornamentale va di pari passo con l’allevamento da reddito. Infatti il tronco è leggermente allungato e in-

clinato mentre le spalle sono larghe e arrotondate. Le ali lunghe, portate orizzontali e aderenti al corpo e il portamento molto elegante, con petto pieno e arrotondato, portato alto con un ventre sviluppato e morbido, rappresentano elementi che ne potenziano la polpa. I movimenti sono tuttavia lenti a causa del ciuffo che ne limita la vista. Per questa ragione è una razza che si sposta poco e può essere allevata in ambienti di ridotte dimensioni. Le pollastre pesano intorno a 1100 grammi all’età di 5 mesi, quando raggiungono la maturità sessuale; gli esemplari maschi ne pesano 1600 e a 8 mesi raggiungono i 2100 grammi. Il peso delle uova varia tra 55 e 60 grammi e la femmina ne Eurocarni, 10/17


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Tra gli estimatori delle carni bianche e asciutte della gallina padovana c’è la Macelleria Beghin di Teolo. Oltre a presentare la carcassa del volatile tale e quale, vi si possono sempre trovare due preparazioni utili per arricchire il proprio pranzo. Per cominciare, un crostino di paté di gallina padovana, prima bollita, quindi spolpata e mantecata con la cipolla. A seguire il sugo di Padovana con piselli e carote, ideale come condimento per i bigoli, pasta di origine vicentina

Lino Sinigaglia. può produrre anche 150 all’anno benché si sia riscontrata una scarsa attitudine alla cova. La struttura della polpa è magra, di colore bianco o rosato, con scarsi depositi adiposi sottocutanei. Il sapore risulta molto delicato. Inoltre la pelle bianca ha giocato a favore della distribuzione nelle macellerie e nei ristoranti. Del resto l’impulso dato da questi ultimi per il potenziamento della razza Padovana è fondamentale e una cialda edibile consegnata al commensale ne conferma l’origine. Giorgio Borin, patron del Ristorante La Montanella di Arquà Petrarca (si veda La Montanella, esempio di ristorazione illuminata, in Eurocarni n. 5/2013, pag. 124), ricorda che 90

«sono 13 i ristoranti di Padova e provincia che in carta vantano piatti a base di gallina Padovana. Un esempio ghiotto è la Galina ‘mbriaga co le tajadele del ristorante Boccadoro di Noventa Padovana, cotta nel vino rosso». Da parte sua Borin prepara la Gallina Spritz, unendo due simboli veneti: un’insalata di gallina Padovana è accompagnata da gelatina di spritz e misticanza. «Si tratta di un passo verso la difesa di un prodotto che ha segnato la storia del nostro territorio», conclude. Il condimento, manco a dirlo, con olio extravergine d’oliva dei Colli euganei, in particolare di Lino Sinigaglia (frantoiovalnogaredo.com), pure allevatore per hobby di gallina Padovana.

Tra gli estimatori di queste carni bianche e asciutte c’è la Macelleria Beghin di Teolo, sempre sui Colli euganei (macelleriabeghin.it). Oltre a presentare la carcassa del volatile tale e quale, si possono sempre trovare due preparazioni utili per arricchire il proprio pranzo. Tanto per cominciare un crostino di paté di gallina padovana, prima bollita, quindi spolpata e mantecata con la cipolla. A seguire il sugo di Padovana prevede che la gallina sia prima disossata, poi cucinata per almeno 6 ore con piselli e carote: i bigoli è la pasta che meglio riesce ad accoglierne i succhi. Davvero singolare il destino di certe specie: la ripresa numerica ne richiede il sacrificio. Riccardo Lagorio Eurocarni, 10/17


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LA CARNE IN TAVOLA

Animelle: nuova passione degli chef di Giorgia Fieni

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er capire che tra loro esiste una “tresca” basta scorrerne i menù: animella con melanzane e prugna piccante (Davide Oldani), filetto alle erbe fini e animelle croccanti al Parmigiano (Gaetano Trovato), insalata di carciofi e menta con animelle di vitello, uova di quaglia e glassa al Roquefort (Bruno Barbieri), ragù di rognone e animelle con salsa al foie gras e nocciole (Gualtiero Marchesi), cappuccino d’animelle di vitello nostrano (Anna Matscher), chicche di animella impanate e fritte servite con sedano crudo, frutti di bosco, germogli misti e tartara di yogurt (Daniele Repetti),

animelle panna, limone e sale (Niko Romito), animella croccante di vitello con indivia e gelato al caffè (Matias Perdomo), animelle e lamponi disidratati (Lorenzo Barsotti), animelle di vitello glassate su purè di cipolle con salsa di fichi (Heinz Beck), animelle di vitello brasate alla liquirizia con funghi shitake allo zenzero (Jean-Georges Vongerichten), ravioli ripieni di animelle d’agnello, cipollotto, pecorino di fossa, grue di cacao (Lorenzo Iozzia), animelle, carrube e cavolfiore (Cristina Bowerman), animelle di Chianina croccanti e pera picciola (Walter Redaelli), animelle, alici, bergamotto,

capperi e miele (Luca Abbruzzino)… M atteo B aronetto addirittura sceglie animelle bollite e rognone come comfort food preferito, perché glielo preparava sempre la nonna! A questo punto è dunque lecito domandarsi cosa siano le animelle e cosa abbia fatto scattare “la scintilla” con gli stellati. La prima risposta è facile: si tratta di ciò che nella specie umana viene chiamato “timo”, ovvero una ghiandola endocrina, presente negli animali molto giovani (in genere si preferiscono agnello e vitello) che si suddivide in noce/ cuore, grossa e tondeggiante, e gola,

La Finanziera rivisitata da Matteo Baronetto, chef del Ristorante Del Cambio a Torino. In questo piatto storico fatto con tutte le frattaglie di vitello e in cui entrano le creste di gallo, non mancano le animelle (photo © www.calendariodelciboitaliano.it). 92

Eurocarni, 10/17


allungata (sono commestibili solo i noduli ghiandolari interni, non la membrana), e che va lasciata almeno cinque ore in acqua corrente (o frequentemente cambiata) per togliervi tutto il sangue, poi sbollentata (la noce in acqua calda salata, la gola in acqua fredda, poi tolta a bollore) e risciacquata, infine cucinata. Essendo una “parte di scarto”, ovviamente con l’alta cucina non può essere stato amore a prima vista, dato che da sempre chi è più facoltoso si può permettere i pezzi migliori: le animelle entrano quindi prima nelle ricette oggi definite “di tradizione” (finanziera, ragù, fritto misto, fricassea, pancotto, aspic, timballi di pasta, bomba e sartù di riso, cima ripiena, i cazzmar lucani…; in Liguria ne preparano anche un salamino con sangue di maiale, da consumarsi previa cottura). A dar loro lustro inizia Pellegrino Artusi nel 1891, citando nella sua opera principe le “crocchette di animelle” e le “animelle nella bottiglia” (con Marsala e Madera). Nel 2017 noi invece possiamo tranquillamente permetterci il meglio della cucina povera e di quella d’autore portando in tavola animelle “moderne” e semplici da cucinare. Panate con anacardi e fritte in padella. Rosolate con carciofi, scorzonera, chicchi di caffè. Nel ripieno dei ravioli, con carciofi e caciotta fresca. Soffritte nel burro, impastate con uovo, prezzemolo, parmigiano, albumi montati e infornate. Come ripieno (con mollica di pane al brodo, uovo, parmigiano) per cotolette di vitello fritte (o per l’omelette). Brasate in bianco, ovvero cotte prima a fuoco dolce, poi in forno, in una pirofila foderata di cotenne di lardo, con

Ricetta di Matias Perdomo, per quindici anni chef del ristorante “Al Pont de Ferr” di Milano. Ingrediente tipico della cultura meneghina, per molto tempo l’animella è quasi scomparsa dai menu dei ristoranti ma oggi è tornata a incuriosire anche gli chef dei locali milanesi più à la page (photo © lalberodellacarambola.blogspot.it). cipolla, carota, erbette. Rosolate e poi infornate con verdurine, burro, prosciutto crudo e servite con una salsa agrodolce di capperi. Nel sugo delle lasagne, assieme a grasso di prosciutto, cipolla, prezzemolo, sal-

Oggi possiamo permetterci il meglio della cucina povera e di quella d’autore portando in tavola animelle “moderne” e semplici da cucinare. Come? Panate con anacardi e fritte in padella. Rosolate con carciofi, scorzonera, chicchi di caffè. Nel ripieno dei ravioli, con carciofi e caciotta fresca. Soffritte nel burro, impastate con uovo, prezzemolo, parmigiano, albumi montati e infornate

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siccia e spalla di maiale macinata (se volete ripetere la vera ricetta albese, scottate i fogli di pasta in sangue di maiale e latte). Cotte con funghi e rigaglie di pollo, racchiuse tra due dischi di pasta sfoglia, infornate e cosparse con scaglie di tartufo. Alla Cavour: depositate su fette di polenta e coperte dal proprio fondo di cottura. Al burro e servite in uno sformato di piselli e zenzero. Scaloppate con anice stellato e aggiunte di risotto allo zafferano. Nei cannelloni, con patate affumicate, cipollotti, funghi porcini. Alle prugne, con prosciutto crudo. A quanto pare queste animelle non affascinano solo gli chef. Giorgia Fieni 93


MACELLERIE D’ITALIA

Da Carlo, macelleria a Marassi A Genova c’è una piccola grande bottega delle carni che vi farà fare il giro del mondo, tra bistecche, tagli BBQ e preparati di Elena Benedetti

C

he bello parlare di carne con Carlo Ferrando, un macellaio genovese di 44 anni, con all’attivo tanti traguardi, professionali e personali, che oggi gli riempiono le giornate. Tra il suo braccio destro, una validissima macellaia che si chiama Andrea, e un bravissimo aiutante albanese di nome Enti, già ottimo disossatore, sua moglie Silvia, che si divide tra la bottega e i loro tre bimbi, 1.400 amici su Facebook con i quali il butcher ha un rapporto stretto e una clientela che lo insegue su WhatsApp, Carlo ha trovato il tempo

per parlare anche con noi. Se di questi tempi sembra quasi d’obbligo uno schieramento quasi ideologico tra purismo delle carni e focus sul preparato, ecco che, parlando con Carlo, si comprende che l’uno non esclude l’altro. Anzi. La macelleria Da Carlo, da 15 anni attiva in un quartiere della Genova popolare, non lontano dallo stadio Marassi, offre al visitatore un banco che per il 50% è occupato dal fresco e per il restante 50% da elaborati. Ogni giorno metà banco ospita carni fresche, tra costate, bistecche e tagli di carne selezio-

nata, anche frollata. L’altra metà risolve invece parecchi problemi legati alla quotidianità di noi tutti consumatori affannati con una bella gastronomia, tanti preparati da cuocere, burger, torte di carne, bocconcini e spiedini vari. Hai un cliente tipo? «La mia clientela è variegata come fascia d’età, abitudini di con­sumo, abilità nel cucinare e ri­ chieste» mi spiega Carlo. «Si va dal pensionato attento al prezzo alla ragazza che non sa cucinare e che mi fa un sacco di domande su tutto,

Carlo Ferrando e il suo staff nei locali dell’omonima macelleria di Genova. 94

Eurocarni, 10/17


Carlo segue i corsi di formazione del gruppo “Passione Preparati� di Francesca Santin. Eurocarni, 10/17

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Per il banco, ci dice Carlo, «la mia regola è 50% fresco e 50% preparati». dall’appassionato di barbecue alla giovane mamma sempre di cor­sa con le creature da sfamare. Io voglio accontentare tutti con un prodotto buono, fatto bene e di qualità, un prodotto che alla sera posso portare a casa e cucinare per cena ai miei bambini». Ma andiamo con ordine. Come hai iniziato a fare questo lavoro? «A dire la verità ho iniziato tardi. Non ho alle spalle una tradizione di famiglia come tanti miei colleghi. I miei erano fornai e io non ne volevo proprio sapere di lavorare di notte. Così, dopo qualche lavoretto, mi ritrovai quasi per caso a lavorare in una macelleria con un amico. Iniziai dai preparati per poi appassionarmi a questo mestiere che, anno dopo anno, ho plasmato sulla mia pelle, trasformandolo per seguire ogni volta un interesse, una passione e un’evoluzione continua. Da 14 anni sono titolare della mia macelleria che segue la mia evoluzione e quella dei miei clienti. Faccio corsi, seguo la formazione di Passione Preparati con France96

Santin e il suo bel gruppo di colleghi e sono sempre pronto a farmi contaminare da nuove idee e suggestioni».

sca

Come deve essere la tua macelleria? «La mia idea di banco è chiara: per chi entra in bottega deve essere subito ben evidente un’ampia offerta di carne. Anche oggi, nonostante stia iniziando a svilupparsi il discorso del cotto e del preparato, a me la carne fresca piace ancora moltissimo e ad essa è dedicato metà banco. Sempre. La mia regola è 50% fresco e 50% preparati». E la frollatura? Su Facebook le immagini delle tue costate sono molto apprezzate e condivise. «Anche il discorso della matu­ razione delle carni è partito da un mio interesse personale. Ho iniziato a raccogliere informazioni, a studiare tagli e razze e a fare tantissime prove. La frollatura è un percorso lungo e complesso che però, all’assaggio, può portare risultati straordinari in termini di gusto e consistenza delle carni. Una vera avventura».

Quali sono i tuoi punti di forza? «Sono convinto che la cura del cliente sia alla base del nostro lavoro non solo nella preparazione, ogni giorno, dell’offerta di prodotti e piatti, ma anche nella capacità di intercettare le sue necessità. E poi c’è il post-vendita, fase de­ l icatissima e assolutamente strategica che richiede la massima attenzione in una interazione continua col cliente, spesso anche attraverso social e smartphone, per sondare l’apprezzamento di un taglio, suggerire una cottura, soddisfare una richiesta dell’ultimo momento. La comunicazione qui fa davvero tanto in termini di fidelizzazione, ma è altrettanto vero che essa comporta una dedizione totale. Io mi occupo personalmente dei due canali social, Facebook e Instagram, faccio le foto, rispondo ai commenti, seguo i tantissimi amici che ora mi seguono. È un lavoro anche quello!». Vendi anche on-line? «Sì, attraverso la piattaforma Gustavoo (gustavoo.com), che è un Eurocarni, 10/17



In alto: le celle per la stagionatura delle carni. In basso: Carlo Ferrando in una pausa lettura… e-commerce formato dai produttori, senza intermediari; spediamo in tutta Italia, isole comprese, in 24 ore». Come ti vedi tra qualche anno? Come potrebbe evolvere la macelleria Da Carlo? «Mi piacerebbe consolidare il rapporto con una bella rete di ristoranti, senza puntare alla quantità bensì alla qualità e al servizio. Nei miei progetti futuri c’è anche una mia steak house». 98

L’offerta di carni oggi è davvero ampia. «Sì, decisamente. Per le razze lavoro molto la Limousine piemontese, la Rubia gallega, la scottona prussiana, la vacca austriaca e diversi tipi di Angus, la scottona irlandese e il castrato inglese, oltre ad una vera new entry, la finlandese! Sul fronte del BBQ offriamo tagli che sono la sintesi di culture e tradizioni italiane e internazionali. Ci siamo quindi attrezzati per assecondare le richieste della nostra clientela bbq con pican-

ha, l’American style, pork ribs, il Boston butt o il tri tips. Per la clientela che fa la spesa con più frequenza e cerca un prodotto veloce, spesso già pronto, offriamo tantissimi preparati, la cima alla genovese (fatta col cuore, seguendo la ricetta di mia nonna), gli hamburger farciti, bocconcini, e ancora spiedini, girelle di carne, oltre alle nostre torte di carne, perfette per feste ed eventi speciali». Carlo Ferrando ha trovato equilibrio nel suo banco carni, tra la ricerca delle lunghe frollature e delle più adatte razze da carne, e un mare di preparati che facilitano la vita di tutti i giorni. Insomma, un gran bel pareggio, con lo stadio Luigi Ferraris proprio a due passi. Elena Benedetti Macelleria Da Carlo C.so De Stefanis 53 R 16139 Genova Telefono: 010 870968 E-mail:macelleriadacarlogenova@gmail.com Web: www.macelleriadacarlo.it www.facebook.com/macelleriadacarlo www.instagram.com/carlonegenova Nota Per tutte le immagini, photo © Francesco Zoppi. Eurocarni, 10/17


VERONA | 31 GENNAIO - 3 FEBBRAIO 2018 IN CONTEMPORANEA CON EUROCARNE.IT


La frollatura nel cuore Nel nuovo punto vendita dei fratelli Camassa a Grottaglie (TA) c’è passione e voglia di innovare un mestiere antico con stimoli e idee contemporanee per tutti i gusti e per ogni esigenza. E nel nuovo banco carni c’è anche la carne più frollata d’Italia. Con un nuovo record in arrivo… di Veronica Fumarola

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l re italiano della frollatura vive a Grottaglie, in provincia di Taranto. Si chiama Francesco Camassa ed è un macellaio vecchio stile, di quelli che amano le sfide, tanto da spingersi a superare ogni record della frollatura. Francesco fa parte della quarta generazione della dinastia Camassa, da sempre dedita alla vendita e alla lavorazione della

carne. Lo incontro nel suo nuovo punto vendita in via Madonna di Pompei 80, in un caldo pomeriggio di agosto e subito ammette: «il nuovo locale ha permesso di ridare luce e forma all’attività. È il frutto di una scelta resa necessaria dalla ripianificazione urbanistica della zona in cui avevamo la vecchia macelleria.

Non avevamo più il giusto riciclo di clienti e, approfittando di questa problematica, ho voluto dare il giro di volta a quella che sarebbe stata la nuova forma del punto vendita». Un angolo vini e dei tavolini rendono l’ambiente molto accogliente. «Questa parte è solo il frutto di una mia passione. Così posso accogliere un amico, un cliente, un operatore

Francesco e Gianluca Camassa nella loro macelleria di Grottaglie (TA), completamente rinnovata e inaugurata lo scorso luglio (photo © Veronica Fumarola). 100

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del settore nel modo più conviviale possibile». Ed è proprio in compagnia di un buon calice di vino che la chiacchierata si sviluppa. L’attività, ereditata dal padre, e oggi portata avanti con il fratello Gianluca e l’aiuto di due collaboratori, è alimentata dal costante impegno di Francesco, attivo su diversi fronti, anche al di fuori della macelleria: partecipa, infatti, a numerosi eventi in tutta Italia — in cui giura di non rinunciare mai ai sapori e alle tradizioni della sua terra, ai quali è profondamente legato — per far conoscere la sua attività e spingere nuovi clienti a rivolgersi a lui per acquistare carne “canonica” (che in ogni caso ha sempre almeno tre settimane di riposo) e la sua carne frollata. Ovviamente a contare è la materia prima, che deve essere sempre di qualità e selezionata con cura. La prima cosa che Francesco guarda quando visita un’azienda in cui sono allevati gli animali è proprio l’habitat in cui vivono, suc-

cessivamente ciò di cui si nutrono e solo all’ultimo l’animale in sé. Alla materia prima, però, devono aggiungersi impegno, tanta forza di volontà, voglia di mettersi in gioco e dedizione: sono questi gli elementi che hanno permesso a Francesco di raggiungere obiettivi prestigiosi con la frollatura. Ma cos’è quest’arte che l’ha reso così famoso e apprezzato anche al di là dei confini nazionali? La frollatura Con il termine frollatura ci si riferisce alla maturazione della carne. È un processo chimico-fisico naturale: avviene spontaneamente nei muscoli scheletrici degli animali appena abbattuti e li trasforma gradualmente in carne. Si tratta, come precisa Francesco, di un processo che esiste da sempre, seguito in passato anche da suo nonno. La frollatura è la sua passione. «Ci ho lavorato molto, perché trovare il giusto equilibrio tra temperatura e umidità richiede molta attenzione. La perfetta riuscita della frollatura

La perfetta riuscita della frollatura dipende da 3 fattori: temperatura, livello di umidità e ventilazione. Solo così si conserva la vera essenza della carne. Lo scarto non è irrilevante, sottolinea Camassa, ma se in passato buttar via parte del prodotto “pesava” economicamente, oggi la situazione è mutata perché la clientela è in grado di apprezzare una carne sottoposta ad un certo tipo di maturazione

Gli arredi del locale sono caratterizzati da linee moderne e funzionali, oltre ad essere realizzati con materiali naturali come il legno. I rivestimenti si ispirano alle famose ceramiche di Grottaglie (photo © Veronica Fumarola). Eurocarni, 10/17

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Particolari del banco carni della Macelleria Camassa (photo © Veronica Fumarola). dipende da tre fattori fondamentali: temperatura, livello di umidità e ventilazione. Solo in questo modo si conserva la vera essenza della carne, che al taglio emana profumi strepitosi». Bisogna però considerare che questo tipo di maturazione richiede un investimento di tempo e denaro da parte del macellaio: durante la frollatura, infatti, la carne perde acqua e quindi peso. È proprio questa la differenza tra i prodotti della Grande Distribuzione e quelli che si trovano nel banco della Macelleria Camassa: se la prima si basa sulla velocità, Francesco vuole dare alla carne il tempo necessario per sprigionare al meglio i suoi odori e permettere a chiunque l’acquisti di restare colpito dal sapore. «Sicuramente — continua Francesco — lo scarto non è irrilevante, 102

ma se in passato buttar via parte del prodotto “pesava” sull’economia, oggi la situazione è mutata perché la clientela è in grado di apprezzare la bontà di una carne che subisce un certo tipo di maturazione». E proprio per questo che accorrono alla Macelleria Camassa da tutta la Puglia: a volte capita, infatti, di ritrovarsi nel punto vendita con persone provenienti dalle diverse province della regione. I record La frollatura è per Francesco una scommessa continua ogni giorno con sé stesso. Pur dedicandosi da anni a questo tipo di maturazione, aprire un tronco è per lui ogni volta un’emozione, nonostante ci sia sempre da considerare la possibilità che qualcosa possa andar storto in frollature di lunga durata. Ma

Francesco non teme nessun rischio e, dopo aver deliziato a una platea di duecento macellai grazie a una carne frollata per 880 giorni, punta ora a raggiungere il record di 1.000 giorni. Veronica Fumarola

Macelleria Camassa Via Madonna di Pompei 80 74023 Grottaglie (TA) Web: www.macelleriacamassa.it www.facebook.com/macelleriacamassa instagram.com/francocamassa.fc Eurocarni, 10/17



Zanardo: tradizione, quinto quarto e porchetta di Gian Omar Bison

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iorgio Zanardo, storico macellaio del Trevigiano, ha varcato da quattro an­ni la soglia del pensionamento, ma continua a divertirsi e deliziare i palati dei carnivori più ortodossi nella sua “Boutique della carne”. La convinzione di scegliere animali e selezionare carni di qualità e salubrità assolute lo trattiene ancora dietro al bancone. «Lo faccio per le mie tre nipotine, che amano la carne e voglio fornirgliela io, e per i miei clienti storici. Fosse solo per me potrei anche chiudere bottega». Anche perché gli eredi si occupano di altro. Attività avviata nel 1985, quando Giorgio trentaduenne e la moglie

Antonella Pieretto decisero di fare il salto di qualità dopo decenni di lavoro alle dipendenze dei macelli e delle macellerie del territorio. «Da allora e ancora adesso mi rifornisco dai soliti quindici contadini che tengono tre-quattro bovine di razza francese o tedesca e le allevano come un tempo, rispettando i tempi giusti d’ingrasso, anche tre anni, e senza alimentazione forzata. E continuo a tenere la stessa linea: sessanta giorni minimo di frollatura dei posteriori, dieci giorni per gli anteriori e zero preparati gastronomici. A me la carne lavorata non piace. Sì, lo so, mi rendo conto di essere, più che fuori dagli schemi,

un po’ fuori dal tempo. Ma preferisco non cedere alle mode delle “ristomacellerie”. Da me certi pezzi, in particolare il quinto quarto del bovino a cui sono molto legato, si trovano sempre, nonostante non si consumino quasi più o siano appannaggio soltanto degli stranieri». Sempre sul pezzo, non pesa mai? «Quando mi dovessi stancare si chiude. Mi piacerebbe trovare qualcuno serio, intenzionato a continuare l’attività. Ma sono pochi tra i giovani quelli disposti a prendersi un impegno così oneroso e particolare». Il suino arriva da un piccolo allevamento di Sant’Ambrogio

Come specialità trevigiana la porchetta nasce nel 1919, tenuta a battesimo da Ermete Beltrame nella sua birreria sotto il Palazzo dei Trecento a Treviso. 104

Eurocarni, 10/17


Tanti gli eventi enogastronomici presenziati da Giorgio Zanardo con le sue celebri battute di carne al coltello e tartare. Da ultimo il “Gran Galà dell’Amarone”, dedicato ad uno tra i più rinomati vini veronesi

Giorgio Zanardo e Antonella Pieretto nella loro macelleria in Viale Brigata a Treviso. di Trebaseleghe (PD), ma Giorgio prepara unicamente le salsicce, con solo sale e pepe. Il resto degli insaccati arriva direttamente dal Salumificio Roncadese di Roncade (TV), di L uca B ozzato e figli, dove si lavorano solo tagli di maiale italiano, acquistato da rivenditori specializzati in particolare di Mantova e Cremona. Budello naturale e solo per la soppressa rigenerato; il tutto a marchio Bailocom. Tanti gli eventi enogastronomici presenziati da Zanardo con le sue celebri battute di carne al coltello e tartare. Da ultimo il “Gran Galà dell’Amarone”, organizzato ad aprile dall’associazione culturale Arte & Vino, con il patrocinio del Comune di Villorba (TV), per celebrare uno tra i più rinomati vini veronesi. Appuntamento importante con etichette prestigiose, banchi di assaggio e seminario tematico conclusivo guidato dal maestro sommelier Roberto Gardini. «Ma non disdegno, tutt’altro, gli eventi meno mondani e più sanguigni, come il classico appuntamento del mercoledì sera al circolo bocciofilo di Santa Maria della Rovere, una frazione di Treviso, dove si consumano carni ottime in un clima piacevole e informale. E spesso accompagnati dalla nostra ottima porchetta trevigiana». Eurocarni, 10/17

La porchetta, specialità trevigiana La specialità trevigiana della porchetta si racconta essere nata nel lontano 1919 su intuizione di Ermete Beltrame, nella sua storica birreria sotto il Palazzo dei Trecento a Treviso. Da allora è piatto da consumarsi quasi obbligatoriamente nelle cosiddette merende in cantina, tipiche delle zone vocate alla produzione vinicola come il Veneto in genere e la Marca Trevigiana in particolare, e nelle feste paesane più tradizionali. Per quanto sia universalmente riconosciuto essere un prodotto tipico dell’Italia centrale (ne rivendicano la paternità Ariccia, nel Lazio, ma anche in Umbria, a Norcia, Campli in Abruzzo e nelle Marche), la lavorazione tipica trevigiana consiste in una porchetta al sale, priva per quanto possibile di condimenti per mantenerne il sapore naturale. La preparazione resta piuttosto comune e consiste nella lavorazione di un maiale intero, svuotato, disossato e condito all’interno con sale, pepe, erbe aromatiche, e arrostito in forno. Per farla, l’artigiano sceglie un suino di un anno (in alcune località si preferiscono maiali più giovani, di sei o sette mesi) del peso massimo di un quintale. Una volta abbattuto e dissanguato, il maiale viene immerso in una caldaia d’acqua bollente per procedere alla depilazione. Quindi, accuratamente

lavato, si apre, si eviscera, si disossa e si riempie di condimento: sale da cucina, pepe, teste d’aglio con tutta la camicia e, a seconda della tradizione, fegato e milza tagliati a tocchetti e manciate di rosmarino o di finocchio selvatico (si usano sia i fiori del finocchio sia la cosiddetta barba, anche amarene e mandorle). Così imbottita di sapori, la porchetta viene infilzata con un bastone che fuoriesce dalla bocca e dall’altra estremità (un bastone utile anche per il trasporto) e si lega ben bene con lo spago. A questo punto si mette al forno. La cottura dura da due a cinque ore, a seconda della mole dell’animale. La tradizione vuole che la porchetta sia arrostita nel forno a legna, ma questo metodo di cottura non assicura il rispetto delle severe norme in tema di igiene, che prevedono un perfetto lavaggio del forno dopo l’uso. Inoltre, non garantisce una cottura uniforme a temperatura costante e tende a seccare le parti più magre del maiale. Per questi motivi si tende ormai ad arrostire la porchetta in forni in acciaio inossidabile. Gian Omar Bison Zanardo Giorgio e Pieretto Antonella Viale Brigata Treviso 46 31100 Treviso Telefono: 0422 301329 105


SPECIALE BBQ

Il barbecue conquista il Centro Italia Ha aperto nel Parco Nazionale della Majella la nuova sede della Weber Grill Academy, con la collaborazione di Jubatti Carni

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l Nord sembra ormai conquista­ to da tempo dalla passione della cucina al barbecue. Una passione che spinge ad imparare per arrivare a padroneggiare un’arte che non è solo la capacità di cuocere perfettamente un hamburger. La cultura del barbecue, infatti, è legata a molteplici aspetti, come il piacere della vita all’aria aperta, il desiderio di convivialità, la preferenza per una cucina sana, il legittimo tentativo di riconquistare i sapori genuini e veri di una volta, arricchendoli, però, di note originali e contemporanee. È sulla base di questi valori che Weber ha aperto un’altra Grill Academy, una food-school interamente dedicata

alla cucina barbecue che si trova a 1.650 m sul livello del mare. La location infatti è davvero speciale, con un’area dedicata presso il ristorante di montagna Lo Chalet, a ridosso delle piste sciistiche di Majelletta WE (Pretoro, CH, Abruzzo). I corsi sono iniziati lo scorso giugno. Si è partiti con “La trilogia ovina, bovina, suina” da quella che è una delle principali fonte proteiche dell’Abruzzo: la carne di agnello. La nuova Weber Grill Academy è gestita in partnership con Jubatti Carni e diretta dal grill master Giovanni Granchelli, in arte Giò, già pit master della squadra di griller Jubatti BBQ Team. Come in tutte le altre sedi, anche la Weber

Grill Academy Majella propone tre principali format di insegnamento: il corso We Show che trasmette ai neofiti le basi della cottura su barbecue, il We Cook che fa sperimentare sul campo ai corsisti situazioni più complesse, mentre la formula We Experience consente di usufruire di veri e propri corsi di cucina, con teoria e pratica, per ricavare le migliori ricette usando il barbecue e trasformandosi, all’occorrenza, anche in veri e propri corsi di team building aziendali. >> Link: www.grillacademy.it www.jubattibbq.it majella.grillacademy.it

L’iscrizione ai corsi di cucina barbecue della Grill Academy the Original by Weber si può effettuare on-line alla pagina majella.grillacademy.it. 106

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Jubatti Carni partner di Kansas City Barbecue Society Jubatti Carni produce una linea di carni da barbecue selezionate che consistono in tagli americani, pensati per gli appassionati e i professionisti del barbecue (Boston butt, baby back ribs, St. Louis ribs). L’azienda abruzzese è partner della Kansas City Barbecue Society (KCBS), un’associazione americana di appassionati di bbq e grilling che conta oltre 20.000 membri. Senza scopo di lucro, KCBS si dedica alla promozione della cucina barbecue anche attraverso il presidio di giuria nei contest internazionali.

La carne Compral sbarca sul lago Maggiore Venerdì 8 settembre, a Fondotoce di Verbania, in via 42 Mar­ tiri 153, è stato aperto il punto vendita della cooperativa Alla Fonte di Pratosesia, che tra le eccellenze alimentari fornite dai produttori annovera anche la Fassona piemontese firmata Compral. La sinergia sull’asse tra Cuneo e Novara, che dura ormai da cinque anni, si arricchisce quindi di un nuovo tassello nel Vco, patria di un turismo internazionale e di intensi traffici con la confinante Lombardia. «Dopo aver realizzato e portato alla piena efficienza produttiva il nostro laboratorio al MIAC, con la lavorazione di 10.000 capi all’anno, abbiamo cominciato a soddisfare le richieste del mercato» ha spiegato Bartolomeo Bovetti, direttore di Compral. «Fra queste di sicuro interesse si è rivelata la partnership con la cooperativa Alla Fonte di Pratosesia, che alle sue produzioni tipiche (riso, formaggi, salumi, ortofrutta, vino, ecc…) voleva aggiungere carne di alta qualità. Il nostro ingresso come soci — sottolinea Bovetti — ha funzionato bene e oggi siamo felici di questa inaugurazione che ci consente di portare il marchio Compral in un luogo prestigioso». Cesare Gritti, ideatore e fondatore di Alla Fonte, che vanta oggi 42 soci rispetto alla decina iniziale, conferma la bontà del rapporto con Compral. «I nostri clienti sono esigenti, quando entrano da noi vogliono materia prima buona, sana e certificata. Come la carne di pura razza piemontese del nostro socio Compral. A Pratosesia è stato un successo crescente e ora ci apprestiamo a questo passo importante che ci permette di allargare il raggio d’azione a centri come Verbania, Stresa, Arona e all’hinterland di Milano. Ci fa piacere: pensiamo di essere, per ora, l’unica realtà in Italia fatta in questa maniera: come un supermercato, ma di fatto senza essere un supermercato, in cui si trova tutto ciò che serve alla tavola, prodotto a filiera corta dai soci agricoltori». (ARAP)

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GARE CARNIVORE

World Butchers’ Challenge, 12 nazioni e una sfida a colpi di coltello Proseguiamo nella conoscenza dei nostri avversari: in questo numero vi presentiamo il team statunitense e quello britannico

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ancano poco meno di 6 mesi alla 7a edizione del World Butchers Challenge, la sfida mondiale dei maestri delle carni che si terrà il 21 marzo 2018 a Belfast, Irlanda del Nord, in concomitanza con IFEX, l’International Food Exhibition. Sono 12 i Paesi ufficialmente iscritti e tra questi c’è naturalmente anche l’Italia. L’evento, organizzato da

Butchery Excellence Scheme, metterà in gara i butchers provenienti da Australia, Brasile, Bulgaria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Nuova Zelanda, Sudafrica e USA, che si sfideranno letteralmente a colpi di coltello tra disosso, lavorazione, preparazione del banco carni. Il tutto con stili, tecniche e manualità sicuramente molto differenti.

Come si svolge la gara? L’obiettivo del World Butchers’ Challenge è quello di creare un contesto ideale all’interno del quale i macellai si misurino e si confrontino nell’arte del disosso e del taglio delle carni, lavorando in modo creativo e innovativo le carni bovine, suine e ovine. La gara ha una durata di 3 ore e 15 minuti, durante le quali i team dovranno “smontare” un quarto di

Il team statunitense ha già raccolto 10.000 dollari attraverso il portale di crowdfunding www.gofundme.com/ butchersofamerica (photo © gofundme.com). 108

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L’evento è organizzato dal Butchery Excellence Scheme e metterà in gara i butchers provenienti da Australia, Brasile, Bulgaria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Nuova Zelanda, Sudafrica e USA

I preparativi della competizione carnivora più importante del mondo si possono seguire su www.worldbutcherschallenge.com, il portale che raccoglie i profili dei vari team, i link ai canali social (Facebook e Instagram) e le notizie sugli allenamenti in vista dell’appuntamento di Belfast del 21 marzo 2018 (photo © instagram.com).

La Nazionale Italiana Macellai si appresta a partecipare al World Butchers’ Challenge 2018 animata da entusiasmo e quella grande passione che caratterizza gli Italiani. Il grup­ po rappresenta, da Nord a Sud, una nuova generazione di macellai impegnati a portare avanti l’arte della lavorazione delle carni e la tradizione nazionale senza però dimenticare l’innovazione del banco carni. Oggi il macellaio sta evolvendo, nella formazione e nella professionalità, per dare un più elevato e completo servizio al cliente. Come? Con l’offerta di prodotti sempre più naturali, in linea con il benessere animale, di qualità, facili da cuci­ nare o pronti da consumare. Il suo ruolo è sempre più strategico nel dare valore aggiunto ad un alimento prezioso e unico per l’apporto nutritivo. Volete sapere qual è il punto di forza della Nazionale Italiana Macellai? Lavorare sodo e “combattere” ogni giorno mantenendo vive le tradizioni dei propri avi, tramandate di generazione in generazione (in foto, da sinistra, Federico Dal Lago, Mara Labella, Andrea Laganga, Roberto Passaretta. Gianni Giardina e Francesco Camassa, il coach). >> Link: www.facebook.com/Nazionale-Italiana-Macellai-635715386626849

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Il team dei British Beefeaters in uno scatto condiviso su Twitter (photo © twitter.com). manzo, una mezzena di suino, un agnello intero e 5 polli. Le squadre possono utilizzare le proprie spezie, marinature, aromi e ingredienti necessari per guarnire i preparati ricavati dai tagli delle carni. È sempre obbligo di ogni squadra far fronte a piatti, contenitori e recipienti necessari per il lavoro. La giuria è composta da giudici indipendenti provenienti da ciascun Paese e la valutazione viene fatta sulle tecniche di disosso e taglio, sulla realizzazione di preparati innovativi, oltre che sull’aspetto del banco carni finale. Butchers of America Il Butchers Guild Team, soprannominato Butchers of America, è guidato dal capitano Danny Johnson di Taylor’s Market (Sacramento). Nella sua squadra sono entrati professionisti delle carni con parecchia esperienza, come Paul Carras (Taylor’s Market), John Fink (The Whole, Beast, San Francisco), Craig Deihl (South Carolina), Lothar Erbe (Lothar’s Sausages, Virginia) e Bryan Butler (Salt & Time, Austin), recentemen110

te nominato Best Butcher in Texas dal Texas Beef Council. «Tagliare e disossare la carne non è qualcosa che si può insegnare in un corso di 3 ore» ha recentemente detto il coach Danny Johnson. «Sì, magari con qualche ora di corso puoi gettare le basi, mostrare qualche tecnica, ma questa è una professione che richiede educazione e apprendimento continui». Danny promuove e incoraggia la lavorazione dell’intera carcassa, un’arte persa con la crescita della GDO e l’industrializzazione della carne. Questa è la sua filosofia: «un buon macellaio dovrebbe sapere cosa dar da mangiare ad un animale, dovrebbe mangiare l’animale e dovrebbe aver ben chiari tutti i passaggi tra l’allevamento e il piatto». British Beefeaters Tom Wood, titolare di Tom Wood Artisan Butchers, è il super coach dei British Beefeaters, il team che il prossimo 21 marzo rappresenterà la Gran Bretagna. Tom è stato cresciuto in campagna e conosce bene

il mestiere del macellaio e la lavorazione delle carni. Al terzo anno nella squadra britannica e alla sua prima esperienza da capitano, Tom è entusiasta di questa esperienza. Con lui ci saranno Jessica Leliuga, una giovane macellaia che ha già raccolto parecchi attestati tra cui il Young Sausage Maker of the Year e Young Creative Butcher, Bryce Lawson di McMurchie Meats, Michael Dufton di Knitsley Farm Shop, Mark Ramsay di Falleninch Farm Butchers e Simon Taylor di Surrey Hills Butchers.

World Butchers Challenge 21 marzo 2018 The Titanic Exhibition Centre Belfast (Irlanda del Nord, UK) Web: www.worldbutcherschallenge.com www.facebook.com/worldbutcherschallenge www.instagram.com/worldbutcherschallenge #worldbutcherschallenge Eurocarni, 10/17



RISTORANTI CARNIVORI

Una trattoria storica nei Colli Berici

Isetta: siamo aperti al mondo forti della nostra identità di Gian Omar Bison

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sistono mura che parlano, pareti che raccontano e cantine che cantano, che inebriano e che si venerano anche a coppa vuota. Sono le vecchie trattorie di un Veneto profondo e lontano nel tempo. Storie di osti fiaccati sopra i fornelli e di tavoli e banconi impregnati da mille bicchieri, mille imprecazioni, mille preghiere. Così è anche la storica Trattoria Isetta a Grancona (VI), nei Colli Berici, in mezzo alla Val Liona, oggi gestito dalle figlie e dai generi

del compianto Galdino Gianesin, scomparso nel dicembre del 2013. Eredi di un’ospitalità franca e tramandata da nonna Isetta e ancora templari della cucina tipica e della stagionalità delle materie prime. «Ci sono dei piatti — sottolineano le sorelle Manuela, Monica e Marta Gianesin — che sono tali e quali a cinquant’anni fa. Immodificati e immodificabili. Parliamo, ad esempio, del baccalà alla vicentina, delle lumache preparate esattamente secondo tradizione. E poi ci sono piatti

svecchiati, aggiornati, impreziositi da cotture e preparazioni nuove e diverse come le tagliatelle o lasagne ai bruscandoli». Ma essere cultori della ristorazione tipica regionale non significa essere chiusi alle novità o conservatori ostinati. «Siamo aperti al mondo e alle tendenze culinarie ma forti della nostra identità conquistata in decenni di cura maniacale del cliente e dei cibi. Aperti alle innovazioni, alle migliorie, non conformisti».

Le sorelle Monica, Manuela e Marta Gianesin con Graziano Fipponi e Adriano Pilotto. 112

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A Grancona, in provincia di Vicenza, una classica trattoria con le radici nella gastronomia regionale e un’attenzione speciale alle proposte carnivore. “Da oltre 60 anni la nostra specialità è la carne, cucinata su una vera griglia davanti ad un vero fuoco. E, come da tradizione, prima di cucinarla te la facciamo vedere. Così è dal 1950 e così continuerà ad essere: certe cose devono restare come una volta”

La carne bovina è in assoluto la specialità della casa e viene sempre mostrata al cliente prima di finire sul fuoco. «Nostro padre, con un passato da macellaio, ne era veramente orgoglioso» raccontano le sorelle Gianesin. Una realtà nata negli anni Sessanta alla quale Galdino approda dopo aver lavorato come camionista e macellaio. Una piccola bottega di alimentari con annessa taverna e macelleria (quest’ultima, in seguito, ceduta). Anni in cui i clienti si recavano al locale con la sopressa in tasca, amava ricordare Galdino, oppure con un pollo che Isetta cuoceva a puntino, finché i clienti giocavano a carte, spesso tirando la sfoglia per preparare un po’ di tagliatelle da condire con i fegatini. Anni in cui la carne da brodo si vendeva a pacchi fuori dalla chiesa o agli operai nei cantieri. E solo quarto anteriore, perché quello posteriore riempiva le tavole dei ricchi nelle città. 114

La carne, bovina in particolare, è in assoluto la specialità della casa e viene sempre mostrata al cliente prima di finire sul fuoco. «Nostro padre ne era veramente orgoglioso. L’attenzione assoluta per la qualità della carne lo portava settimanalmente dagli allevatori di riferimento e da questi sceglieva le bestie — sia i bovini che i suini — per le quali dava indicazioni sull’alimentazione da somministrare la settimana prima della macellazione. E poi era un cultore del taglio perfetto, del corretto disosso, della frollatura giusta: è stato tra i primi a proporre in Veneto la bistecca alla fiorentina come si deve. Ci manca la sua vivacità, la sua voglia di sperimentare. L’ultimo assaggio delle pietanze, il suo, era

come la cassazione. O andava bene totalmente o si rifaceva, perché il cliente doveva essere pienamente soddisfatto». Ancora oggi, ogni anno, si preparano gli insaccati dalla macellazione casalinga di almeno cinque maiali, seguendo, con Graziano Fipponi e Adriano Pilotto (mariti di Monica e Manuela, Nda), i dettami della buona norcineria. Si usa soltanto sale e pepe e la stagionatura avviene in una cantina posta sul retro del locale scavata dentro quella montagna che Galdino acquistò agli inizi degli anni Ottanta. «Acquistare e scavare la montagna per farne cantina è stato il pallino e l’orgoglio di mio padre. E i clienti vengono sempre accompagnati a visitare la parte Eurocarni, 10/17


Degustazione gourmet da Isetta Piccola degustazione a scelta del ristoratore. I Gianesin ci presentano un piatto davvero meritevole: una battuta di scamone tagliata al coltello e sale grosso. Colore intenso, sapore delicato, gradevole al naso accompagnata da sfoglia croccante e radicchio di Treviso marinato (carattere deciso, durevole, non invadente). A seguire, bigoli neri con olio, sardine, cipolla e pinoli con battuto di pane e mandorle. Evoluzioni dei tradizionali bigoli in salsa, piatto “magro” quaresimale per definizione, si presenta particolarmente equilibrato sotto il profilo gusto-olfattivo per quanto strutturato e persistente in bocca; pregevole la fattura della pasta. A conclusione un assaggio di capretto al forno con erbe aromatiche. Un trionfo di tenerezza e scioglievolezza. Materie prime tutte selezionate e molto identitarie abbinate puntualmente ad un Gambellara Classico Doc “La Bocara” (uva Garganega) vendemmia 2015 Cavazza. Diradamento dei grappoli, raccolta manuale, vinificato in acciaio, 12% il titolo alcolometrico. Il biglietto si riconosce e si rispetta. Autorevole.

dove conserviamo le bottiglie e quella dedicata alla maturazione dei salumi». Un vero e proprio tempio, altare compreso, dove si degustano vini, sopressa e formaggi, con pane e grissini rigorosamente fatti in casa (perché da Isetta tutto viene preparato in casa, dalla pasta ai grissini fino al gelato e ai dolci). Mille bottiglie, 160 etichette anche internazionali con Champagne e Pinot nero di Borgogna di valore assoluto e una riserva di bottiglie che è praticamente un museo di opere d’arte con vini da vitigni autoctoni di cui si sono perse quasi le tracce: Cenerente, Turbiana, Biancofiore. «La mamma si arrabbiò molto per l’onerosità dell’investimento. Ma è Eurocarni, 10/17

stata la nostra fortuna». Il ristorante, legato da anni al sodalizio culinario e culturale “Le Buone Tavole dei Berici” nel tempo è diventato anche albergo. Sessant’anni di linearità e tradizione, di idee chiare. Da Isetta a Galdino. Da Galdino alle figlie e ai generi. Da loro a… Ecco, un piccolo cruccio delle sorelle Gianesin. Il timore di non avere tra gli eredi la garanzia di una continuità in famiglia. Ma la certezza di aver sempre fatto quello che andava fatto. Gian Omar Bison Trattoria Albergo Isetta Via Pederiva 96 – 36040 Grancona (VI) Telefono: 0444 889521 E-mail: info@trattoriaalbergoisetta.it Web: www.trattoriaisetta.com


FIERE

L’edizione numero 41 del più importante evento dedicato al food & drink nell’Europa mediterranea si terrà dal 16 al 19 aprile

Intercarn ad Alimentaria 2018

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al 16 al 19 aprile prossimi la capitale della Catalogna ospiterà Alimentaria, la fiera multiprodotto che con cadenza biennale chiama a raccolta gli operatori del food europei con un incoming anche da USA, Oriente e America Latina. Sei saloni in uno Nella formula multiprodotto Alimentaria 2018 si articolerà attraverso 6 saloni tematici specializzati: • Intervin; • Intercarn; • Restaurama; • Interlact; • Expoconser; • Multiple Foods. Per cogliere le opportunità di business di ogni settore, nell’ottica di export e di innovazione. Intercarn La passata edizione di Intercarn ha ospitato 452 espositori su una superficie espositiva di 15.200 m2, attirando oltre 47.000 visitatori specializzati interessati alle carni e ai prodotti a base di proteine animali. I padiglioni che ospiteranno Intercarn nella prossima edizione 2018 sono il 4 e 5, a dimostrazione della valorizzazione che gli organizzatori di Alimentaria vogliono dare alle carni e ai salumi. Il target dei visitatori comprende buyer spagnoli ed esteri della DO, GDO e canale Ho.re.ca. Non mancheranno operatori della trasformazione delle carni, macellatori e grossisti. Tra i focus del 2018 ci saranno le carni di alta gamma, le nuove tendenze in tema di consumi, le lunghe frollature e le razze di qualità. Eventi e attività Nel quartiere fieristico Gran Vía gli organizzatori stanno mettendo a 116

Tra i focus del 2018 di Intercarn ci saranno le carni di alta gamma, le nuove tendenze in tema di consumi, le lunghe frollature e le razze di qualità. punto un fitto calendario di eventi che, confermando ancora una volta l’anima internazionale della manifestazione, troverà un equilibrio tra la parte orientata al business e la valorizzazione di gastronomia e ristorazione. Con operatori in arrivo da oltre 150 Paesi, Barcellona si conferma quindi una piattaforma espositiva capace di catalizzare interesse nello scenario del food & wine. Punti di forza e obiettivi La forza di Alimentaria, al di là della location strepitosa che garantisce zero problemi in quanto a logistica e accoglienza, sta soprattutto nell’organizzazione di migliaia di incontri B2B all’interno della fiera. L’obiettivo della prossima edizione è quello di superare il record dell’edizione 2016, che aveva raggiunto oltre 11.200 incontri tra 800 buyer esteri. «Questo traguardo ideale ci spinge ad essere ancora più efficaci in termini di piattaforma di business per i nostri espositori e per i visitatori, catalizzando ancora

una volta e ancora di più l’interesse dell’agroalimentare mondiale verso i mercati del Sud Europa» ha dichiarato J. Antonio Valls, CEO e direttore di Alimentaria. Tra le parole chiave dell’edizione 2018 troviamo innovazione, gastronomia e attrezzature per l’Ho.re.ca, con la pianificazione di attività che legheranno il cibo all’industria e al turismo. Sono in corso di definizione 200 attività che prenderanno forma all’interno di Alimentaria Hub e Alimentaria Experience, le due grandi aree tematiche della fiera. Alimentaria Hub ospiterà i saloni Innoval e Best Pack, oltre ai Food & Drink Business Meeting già citati, gli eventi dell’ICEX, un convegno sulla nutrizione, spazi per start-up legate al food e un’area riservata ai food blogger.

* Da lunedì 16 a giovedì 19 aprile 2018 * Barcellona – Gran Vía * Web: www.alimentaria-bcn.com Eurocarni, 10/17


International Food, Drinks & Food Service Exhibition

Meat and meat products show

BARCELONA Aprile 16-19 Fiera Barcellona Gran Via www.alimentaria-bcn.com

A unique Food, Drinks and Gastronomy Experience

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WEEK-END

I “fornelli” di Cisternino, quando il macellaio diventa oste Seguendo l’antica tradizione del “furnidd”, il fornello, le macellerie locali, dopo l’orario di chiusura, si trasformano in trattorie aperte direttamente sulle strade del paese di Nunzia Manicardi

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i dice Puglia e si pensa mare… E invece la Puglia è anche terra. La terra delle splendide ceramiche dipinte, la terra dell’antico barocco salentino, la terra delle grandi piane agricole. La terra, anche, da cui provengono tradizioni gastronomiche elaborate e suggestive ma pure modi di godersi la tavola in compagnia secondo

tradizioni locali e familiari che ancora non si sono perdute. Una di queste la troviamo a Cisternino, in provincia di Brindisi, dove — nelle calde e profumate sere estive che qui cominciano a inizio primavera e finiscono nel tardo autunno — è ancora vivissima l’usanza di improvvisare trattorie davanti alle serrande chiuse delle macellerie.

Con il macellaio che, a sua volta, si trasforma in oste, specializzato in carni allevate sul territorio. Perché la terra pugliese non è solo ortofrutta, con quella grande varietà di verdure e legumi che costituiscono la base della cucina regionale, ma anche allevamento: maiali e pecore, non di rado capre e cavalli, su un orizzonte di bianchi paesi e muretti

Bombette pugliesi (photo © www.bbq4all.it). 118

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a secco a delimitare campi e proprietà. Quella di cui stiamo per parlare è la tradizione del “fornello”. “U furnidd”. Tipica soprattutto delle province di Brindisi, Bari e Taranto ma originaria di zone più interne, quelle delle retrostanti Murge che con il loro altopiano carsico si stendono nella parte centrale della regione. Cottura nel forno a legna, una tradizione delle Murge Il fornello è uno dei più antichi metodi di cottura della carne e, come ricorda il nome, significa che la cottura avviene nel forno, rigorosamente a legna. Una volta la si faceva all’aperto delle abitazioni private, oggi — a Cisternino in modo particolare — davanti alle macellerie, che si trasformano appositamente in trattorie al calar della sera, appena passata l’ora di chiusura dell’esercizio abituale. La maggior parte dei fornelli sono rustici, disadorni. I tavoli durante la giornata vengono tenuti nel retrobottega della macelleria da cui vengono tolti al tramonto per posizionarli direttamente nella strada. Le tovaglie sono per lo più di carta. Però uno è sicuro di quello che mangia! Infatti i tagli di carne da farsi preparare vengono scelti al bancone e poi ci si siede in attesa che siano pronti. Ma non è un’attesa sprecata: nel frattempo si dà il via alla cena con affettati di vario tipo, tra cui capocollo di maiale, formaggi misti accompagnati da sottoli e olive e gli immancabili taralli e tarallini con le ancor più immancabili friselle al pomodoro. Intanto i pezzi di carne destinati al “fornello” vengono infilzati su lunghi spiedi e poi cotti alla brace, in un forno chiuso, tenendoli inclinati a 45°. La brace è di legna d’ulivo e di quercia, per cui la carne si impregna anche di questi profumi oltre che dei suoi propri odori. L’onda olfattiva che ne scaturisce si spande per le vie del paese e delizia le nari anche di chi eventualmente non prenda parte a questa celebrazione culinaria che viene ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio rito pagano. Eurocarni, 10/17

Scorcio di una delle tipiche vie di Cisternino (photo © Angelo D’Amico – stock.adobe.com). Nulla vieta, tuttavia, che a cottura ultimata la carne venga confezionata in un pacchetto e portata a casa per essere consumata nella propria abitazione. Ma raramente i pugliesi vogliono rinunciare al piacere del loro rito collettivo. La cottura è a fuoco indiretto, il che significa che gli spiedi non sono posti sopra la brace ma nel lato opposto ad essa, per evitare che il grasso che si scioglie durante la cottura cada sui carboni, bruciandosi e alterando quindi il profumo della carne. Ogni macellaio ha le proprie ricette, che sono custodite gelosamente e tramandate di generazione.

I segreti riguardano le preparazioni, l’aromatizzazione e il metodo di cottura, nonché la qualità della carne che non di rado proviene da allevamenti di proprietà dello stesso macellaio. I piatti sono tutt’altro che monotoni, nonostante l’unico ingrediente sia la carne. Di maiale, di manzo, di agnello di capretto, di pecora, di cavallo, di somaro… Di carne ce n’è di tutti i tipi: maiale, manzo, agnello, capretto, pecora, cavallo e perfino somaro. E non mancano naturalmente le ricette tipiche del luogo: 119


La Valle d’Itria, situata nell’area sud orientale dell’altopiano delle Murge, in Puglia, è punteggiata di trulli e masserie. Oltre a Cisternino, essa include i comuni di Martina Franca e Locorotondo, insieme a parte dei territori di Alberobello, Ostuni e Ceglie Messapica (photo © www.macelleriaziopeppe.it).

Nel fornello finivano di solito le parti meno nobili, dato che le più pregiate erano destinate alle tavole dei signori. C’erano quindi le frattaglie, tra cui alcune preparazioni particolari come gli gnummareddi, i turcinieddi e i fegatini

• la salsiccia a punta di coltello (macinato di maiale e vitello insaccato nel budello); • le bombette (involtini di capocollo di maiale contenenti un impasto di carne macinata oppure caciocavallo, prezzemolo, sale, pepe e avvolti da pancetta o impanate); • gli involtini di trippa soffocati (quest’ultimo termine deriva dal metodo di cottura); 120

• le braciole di asino o cavallo al ragù • le polpette. Un tempo però raramente i tagli migliori andavano ai paesani, se non in occasione della festa patronale in cui si poteva largheggiare un po’. Nel fornello finivano invece di solito le parti meno nobili, dato che le più pregiate erano destinate alle tavole dei ricchi e dei signori. C’erano quindi le frattaglie, tra cui ancora oggi sono ricordate (e ancora molto apprezzati) alcune preparazioni particolari: • gli gnummareddi (bocconcini di frattaglie o fegato d’agnello, legati con un pezzo di budellino sempre d’agnello accuratamente pulito); • i turcinieddi (involtini di fegato e cuore di agnello e capretto legati con interiora); • i fegatini. Antichi o moderni, fanno parte del paesaggio Piatti antichi, tanto quanto l’usanza dei fornelli, veri e propri antesigna-

ni dello street food, nati probabilmente per fornire occasionalmente un pasto caldo a qualche passeggero o mercante in transito. Oggi esistono anche locali eleganti che ripropongono questa tradizione, rivisitata a partire dall’arredamento. Alcuni sono sorti anche fuori della Puglia, a Roma e lungo il litorale adriatico. Magari sono stati in parte modificati sotto la spinta delle moderne esigenze, ma continuano ad essere un elemento caratteristico, insito nel paesaggio delle Murge. Se ne accorse pure lo scrittore torinese Mario Soldati che scrisse al riguardo, palesando tutto il suo stupore: “…il curioso risalto e la straordinaria frequenza delle macellerie. Ce n’è una ogni sei o sette case, una ogni cento passi: ciascuna sfolgora di luci e di candide piastrelle. Ciascuna, accanto o sopra la porta, ha in bella mostra un grande avviso a lettere cubitali: fornello pronto”. Nunzia Manicardi Eurocarni, 10/17


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TECNOLOGIE

Che cos’è un Factory ERP?

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sistemi ERP sono attualmente molto diffusi all’interno delle aziende e rappresentano l’asse portante della struttura IT aziendale. Non tutti i sistemi sono uguali però: alcuni hanno il loro punto di forza nel settore Contabilità & Finanze, altri esprimono il massimo delle loro potenzialità nel processo produttivo. Requisiti specifici della produzione alimentare I classici sistemi ERP sono nati dall’ampliamento dei MRP – Materials Requirements Planning (Pianificazione dei fabbisogni materiali). L’MRP era un modello molto semplice utilizzato per una pianificazione basilare dei fabbisogni materiali, ovvero per determinare i componenti necessari al soddisfacimento delle esigenze del piano di produzione. Alcuni dati erano presi dal sistema contabile, il resto era affidato alla capacità dell’operatore di raccogliere informazioni, se esistenti in azienda, e tener conto della domanda di mercato, della distinta base, delle giacenze di magazzino e dei tempi di produzione. Così, a poco a poco, l’MRP è diventato un gestionale merci, ovvero un ERP. Gli ERP generati in questo modo, però, presentano purtroppo difficoltà di base a modellare processi specifici di settore all’interno dell’azienda. In particolar modo nelle industrie a processi come Alimenti & Bevande vi è maggiormente bisogno di 122

sistemi IT completi, in grado di coordinare la produzione, gestire le distinte base nonché garantire la rintracciabilità della filiera. La produzione alimentare ha le sue leggi Le ricette sono il cuore di ogni azienda produttrice di alimenti; qui si discute dello sviluppo del prodotto: dal calcolo fino all’acquisto dei componenti, incluso dispo necessarie e modalità di produzione. In questa fase è necessario considerare fattori variabili quali la qualità delle materie prime, loro deperibilità, le miscele così come la preparazione di semilavorati utilizzati per la produzione di altri prodotti. In base alla ricetta, inoltre, è utile per un’azienda conoscere i costi di un prodotto, ottimizzare le miscele ed è obbligatorio evidenziare gli allergeni, i valori nutrizionali e gli ingredienti senza trascurare la garanzia di rintracciabilità dell’intera filiera. Una vera sfida, dunque, per il software aziendale! Ma anche in altri ambiti si richiede al software una conoscenza specifica del settore. Ad esempio, nell’inserimento di dati quali le variabili di peso e qualità, nel caricamento lotti in fase produttiva, o nell’etichettatura e peso-prezzatura dei prodotti finiti. I sistemi ERP tradizionali si scontrano spesso con i loro limiti, se— sviluppati per la produzione di singoli pezzi — devono poi coprire un processo produttivo ben più complesso.

Spesso addirittura mancano le informazioni necessarie per procedere ad una giusta pianificazione della produzione o statistiche che lascino diagnosticare dove sono i punti deboli aziendali. Il Factory ERP a completamento del software di Contabilità & Finanze Tutto questo accade perché multinazionali o società molto grandi del settore Alimenti & Bevande hanno in uso un ERP di gruppo sviluppato inizialmente per il settore Contabilità & Finanze e che quindi riesce a soddisfare a fatica i requisiti sopra menzionati e per giunta solo dopo aggiustamenti impegnativi. La buona notizia: l’ERP contabile può essere ampliato con una soluzione specifica di settore. Attraverso il Factory ERP, il gruppo CSB-System ha sviluppato un concetto, ormai ampiamente consolidato nella pratica, con il quale si coprono tutte le richieste delle aziende alimentari. Con le sue innumerevoli implementazioni a livello globale della soluzione completa per il settore Alimenti & Bevande, il CSBSystem ha accumulato negli ultimi 40 anni una vasta conoscenza su quali siano le reali esigenze delle aziende. Il Factory ERP è un software che idealmente si colloca tra l’ERP contabile e un MES – Manufacturing Execution System utilizzato per gestire in maniera integrata ed efficiente il processo produttivo di un’azienda. Caratteristica principaEurocarni, 10/17


le di un Factory ERP è la capacità di armonizzare la gestione aziendale e la produzione al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse produttive. In altre parole, il Factory ERP va a perfezionare il software di Contabilità & Finanze per una gestione completa dell’azienda; può anche essere visto come il completamento del gestionale contabile a cui si collega tramite interfaccia standard. Prendiamo ad esempio una grande catena di supermercati che ha la caratteristica di possedere vere e proprie fabbriche per la lavorazione del pesce e della carne. Le fabbriche utilizzano il CSB Factory affinché i supermercati possano pianificare, gestire e controllare a livello ottimale i complessi processi a livello di Shop Floor: dall’entrata merci ai diversi tipi di produzione attraverso i vari livelli di lavorazione e l’intera logistica fino alla consegna al cliente. Alcuni cenni sul Factory ERP del CSB-System Il Factory ERP del CSB-System ha la principale funzione di gestire e controllare la funzione produttiva di un’azienda. La gestione coinvolge il dispaccio degli ordini, gli avanzamenti in quantità e tempo, il versamento a magazzino, nonché il collegamento diretto ai macchinari per ricavarne informazioni Eurocarni, 10/17

utili ad integrare l’esecuzione della produzione così come il controllo della stessa. Il Factory ERP del CSBSystem offre i vantaggi di un ERP e un MES insieme e fa in modo che si crei un legame tra gestione aziendale e gestione della produzione, facilitando il collegamento in rete macchina verso macchina. Integrazione come base per l’automazione L’integrazione di produzione, impianti e macchinari pone le basi per un’ampia ed estesa automazione dei processi (cosiddetta Internet of Things), un’alta qualità dei dati, più trasparenza ed efficienza. Vi è anche un altro vantaggio: mentre l’ERP di gruppo serve soprattutto alla direzione aziendale, il Factory ERP supporta gli operatori del settore nel loro lavoro di routine. Questo vale non solo per le sue funzioni di pianificazione e controllo ma anche per l’operatività vera e propria relativamente a produzione, confezionamento e preparazione ordini. Il funzionamento di entrambi i gestionali funziona in maniera eccellente per due motivi: innanzitutto perché il gestionale contabile non interviene in profondità sui processi di fabbrica e poi perché le interfacce standard si sono dimostrate valide, stabili e consoli-

date nella pratica. Il Factory ERP è estremamente interessante sia per le imprese con attività diversificate sia per le multinazionali che operano a livello globale. La gestione dell’intero processo produttivo può essere affidata interamente ad un gestionale sviluppato proprio per questo fine. Non è necessario modificare il gestionale contabile. Questo manterrà i settori Finanze & Controlling e verrà semplicemente collegato al Factory ERP tramite un’interfaccia standard. Così il gruppo alimentare o la multinazionale approfittano del meglio di due mondi: soluzione specifica di settore in fabbrica e un gestionale consolidato a livello globale per Finanze & Controlling.

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com 123


Lazzari Packaging distribuisce Micvac in Italia

Piatti pronti pastorizzati a microonde

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Ko (mucca verde) è un’azienda familiare svedese che gestisce un allevamento bovino ecologico ed uno spaccio e un ristorante in cui si possono acquistare i suoi prodotti ed altri prodotti locali. Vendendo soprattutto filetti ed altri tagli di carne di pregio, ha iniziato a chiedersi cosa fare del resto della carne e la soluzione è stata sviluppare le ricette per piatti lunghi da preparare ma buoni e sani, ideali per famiglie di corsa che non hanno il tempo di prepararseli da soli. Da subito i titolari hanno capito che la shelf-life che raggiungevano era troppo breve ed era difficile ottenere una produzione efficiente, quindi, hanno cercato una soluzione per ottenere la stessa alta qualità, aumentando efficienza produttiva e shelf-life. La soluzione è stata il metodo Micvac. rön

Un unico processo continuo Il metodo Micvac vuol dire cottura e pastorizzazione all’interno della confezione: include l’utilizzo di un tunnel a microonde ed il confezionamento con una valvola richiudibile. È un metodo di produzione moderno e semplice, in un unico processo continuo in cui le vaschette (o buste) vengono riempite con gli ingredienti, saldate con un film inclusivo di valvola e trasportate al tunnel a microonde. Questo processo permette cotture veloci ad

alte temperature, per ottenere un prodotto finale con più vitamine, sapori e colori. Durante il processo si crea un vuoto naturale all’interno della vaschetta, grazie al fatto che in cottura e pastorizzazione la valvola si apre lasciando fuoriuscire vapore ed aria, per poi richiudersi una volta che le microonde smettono di trasmettere energia al prodotto. La confezione sottovuoto potrà essere esposta in verticale sugli scaffali dei supermercati, con maggiore visibilità, e resterà integra per varie settimane, in virtù dell’assenza di ossigeno che eviterà al prodotto di ossidarsi, diminuendo il deterioramento degli alimenti. Grön Ko utilizza il metodo Micvac soprattutto per piatti pronti freschi quali manzo alla Bourguignon, riso al curry, polpette svedesi con purè di patate ed altri piatti tradizionali svedesi. Per offrire una gamma più ampia, produce anche diversi tipi di zuppe, inclusi gulasch e zuppa di pesce. I piatti serviti nel suo ristorante sono gli stessi in vendita allo spaccio. Una volta deciso di investire nella linea Micvac, Grön Ko ha iniziato a cercare gli spazi per rea­ lizzare la produzione, trovando così un grande impianto caseario che è stato riconvertito in centro alimentare locale, in cui oltre alla sua linea vi sono anche piccole unità produttive di altre aziende. Knut Lillienau,

titolare di Grön Ko ed ambasciatore alimentare della regione svedese Värmland, è molto soddisfatto di tutto l’aiuto avuto da Micvac nella pianificazione e realizzazione dell’impianto; poter utilizzare tutto il know-how in me­rito a flussi produttivi e macchinari è stato per lui un grande vantaggio. Oggi i piatti pronti Grön Ko non vengono più venduti solo nel negozio di proprietà, ma anche nei più grandi supermercati del Paese. È stato uno sviluppo fantastico, ma l’obiettivo non è cambiato: produrre cibi buoni e sani ma di gran sapore! Pratico e comodo Il punto dei piatti pronti freschi è la loro comodità, e con il metodo Micvac si hanno nuovi vantaggi che li rendono addirittura più pratici per il consumatore finale: la vaschetta brevettata è studiata per assicurare un riscaldamento uniforme, sia durante il processo di produzione che durante il riscaldamento

Tunnel a microonde Micvac per cottura e pastorizzazione di piatti pronti. 124

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A sinistra: metodo Micvac di cottura e pastorizzazione a microonde di piatti pronti. A destra: piatto pronto Grön Ko cotto e pastorizzato a microonde con metodo Micvac. con il forno microonde di casa, la valvola brevettata si apre durante il riscaldamento nel microonde e fischia quando il prodotto ha raggiunto la corretta temperatura per essere consumato; ci vogliono circa tre minuti e non serve più mescolare e poi provare se è caldo al punto giusto. Inoltre, il fatto che la confezione sia sempre chiusa e integra (la valvola si richiude sempre dopo il riscaldamento) permette di scaldare varie porzioni e di servirle tutte assieme: infatti se non si apre la confezione togliendo il film pelabile il piatto rimane caldo per circa 20 minuti. Micvac vuole essere per i suoi clienti un partner attivo ed in quest’ottica ha realizzato in Europa alcuni studi di mercato sui comportamenti di acquisto dei consumatori, scoprendo che l’80% di loro acquisterebbe volentieri piatti pronti realizzati con il metodo Micvac e li consiglierebbe agli amici. Il principale motivo di ciò sta nel fatto che sono molto buoni e del tutto naturali. Il tunnel a microonde utilizzato nel processo è stato progettato appositamente per piatti pronti ed è costruito in Svezia ed utilizzato da tutti i clienti Micvac; è stato costantemente aggiornato e, ad oggi, dispone di serie di sistema di controllo e gestione da remoto, nuova unità buffer e nastro di ali­ mentazione flessibile. Il riscaldamento è ottimizzato per garantire la massima ripartizione dell’energia ed assicurare una stabile ed uniforme cottura e pastorizzazione. 126

Sistema modulare Per permettere di incrementare la produttività del tunnel una volta già installata la linea, Micvac ha optato per una configurazione modulare. Il forno ha un’ottima efficienza energetica e studi comparati tra microonde ed autoclave realizzati dall’Istituto Alimentare KIN (Germania) dimostrano che utilizzando la tecnologia a microonde si possono ottenere grandi risparmi in costi e tempi di produzione. Ulteriori studi di KIN rivelano che, con il breve trattamento termico consentito da questo tipo di cottura, si raggiungono migliori performance in termini di gusto, colore e consistenza. La vaschetta è disegnata e brevettata da Micvac e viene prodotta su licenza, è in PP ed una volta sottovuoto si deforma in modo controllato. Il film è un laminato pelabile PA/PP, mentre la valvola è prodotta internamente da Micvac in Svezia, ed è l’unica sul mercato che si possa aprire e richiudere più volte. Grazie alla valvola si può produrre senza alcuna contro-pressione, di solito necessaria per evitare che la confezione scoppi durante la pastorizzazione. Micvac considera lo sviluppo della confezione e del processo di cottura come un unico elemento, poiché non basta avere realizzato un tunnel a microonde che riscaldi in modo uniforme tutti i prodotti al suo interno, ma è fondamentale anche conoscere in profondità il comportamento dei differenti tipi di plastica. Tutti i componenti della confezione devono lavorare

all’unisono per assicurare il funzionamento corretto di ognuna delle sue parti oltre che dell’insieme: devono resistere al gonfiarsi in pastorizzazione, dovuto all’aumento di pressione interna, e deformarsi una volta sottovuoto, per cui si tratta veramente di una confezione attiva (active packaging). L’ultimo sviluppo ad oggi è la vaschetta a due comparti con l’utilizzo di una sola valvola; sarebbe stato semplice utilizzare due valvole, però la confezione sarebbe costata troppo, quindi la sfida è stata riuscire ad utilizzarne solo una; un ulteriore sviluppo arriva con la possibilità di lavorare buste piccole ma anche di più grandi dimensioni, per vendite all’ingrosso. Al giorno d’oggi c’è sempre più domanda di cibi di qualità e questa confezione intelligente è ora conosciuta in tutto il mondo. Un fischio ed il tuo piatto è pronto: non potrebbe essere più facile! Lazzari Packaging distribuisce Micvac in Italia: per avere più informazioni visitate il sito alla sezione “piatti pronti”.

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Gestione e caratteristiche della carne di selvaggina Quando la caccia viene eseguita nel migliore dei modi, si ottiene una carne igienicamente soddisfacente e di grandi virtù nutrizionali di Giulia Mauri

T

ra i relatori alla giornata organizzata qualche tempo fa dalla Regione Emilia-Romagna, dal titolo La risorsa selvaggina, tra ecopatologia, bio-rischi e sicurezza alimentare, c’era anche Roberto Viganò, dello Studio associato AlpVet/SIEF. Viganò ha parlato delle buone pratiche venatorie, fondamentali per la corretta gestione delle carni di selvaggina, ricordando che anche la caccia deve rispettare un codice etico che preveda il rispetto degli

altri cacciatori, dei non cacciatori, dell’ambiente e degli animali cacciati. Nel momento dell’abbatti­ mento va infatti garantito il massimo benessere possibile all’animale, il che significa riuscire a sparare quando si è praticamente certi di abbattere l’animale sul colpo; non dare stress aggiuntivi all’animale; raggiungere e abbreviare prima possibile l’agonia dei capi feriti; non trasportare animali vivi e tanto meno portarli al macello. La

selvaggina vive libera e deve morire tale, solo così il suo benessere può essere tutelato. «L’etica con cui il cacciatore si approccia a questa attività deve partire da prima dello sparo», ha affermato per spiegare quanta formazione serva a un cacciatore di oggi e quanta sensibilità. Il cacciatore deve conoscere l’ambiente, il luogo in cui caccia e le specie che colpisce. Deve garantire un prelievo sostenibile, in modo da fornire una carne che possa

Le potenzialità della carne di selvaggina sono molte: è biomassa a km 0, favorisce il turismo enogastronomico, se eseguita con abilità garantisce il benessere animale. Ma per raggiungere questi obiettivi i cacciatori vanno formati adeguatamente. 128

Eurocarni, 10/17



Grafico 1 – Valori di proteine nelle carni di ungulati selvatici 23,5 23 22,5 22 21,5 21 20,5 CERVO

CAPRIOLO

CINGHIALE

Grafico 2 – Valori di lipidi nelle carni di ungulati selvatici

3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 0 CERVO

CAPRIOLO

CINGHIALE

Grafico 3 – Valori di colesterolo nelle carni di ungulati selvatici

100 80 60 40 20 0 CERVO

CAPRIOLO

CINGHIALE

I grafici sono il risultato di uno studio condotto da: Barbani R., Santachiara F., Sabbioni V., Sangiorgi E., Simoni M., Pellegrini E., Merialdi G., “Le caratteristiche della frazione lipidica delle carni di cinghiali selvatici (Sus scrofa) abbattuti nella provincia di Bologna”, pubblicato su “Progress in nutrition” vol. 13, n. 1/2011, Ed. Mattioli 1985. fregiarsi del titolo di carne etica, una definizione ripetuta spesso negli interventi dei vari relatori presenti all’incontro. Le potenzialità della carne di selvaggina infatti sono molte: è biomassa a km 0, favorisce il tu130

rismo enogastronomico, se eseguita con abilità garantisce il benessere animale. Ma per raggiungere questi obiettivi i cacciatori vanno formati adeguatamente. Esistono ancora cacciatori che non hanno frequen-

tato corsi di formazione oppure che non conoscono gli aspetti igienicosanitari della gestione delle carcasse e delle carni. E l’elevata età media di questa categoria non aiuta. Attraverso la collaborazione con gli IZS e le AUSL, alcune tradizioni vanno eliminate perché antigieniche: ad esempio, non è buona cosa inserire le foglie di felci nella cavità addominale, né lavare la carcassa. Il dissanguamento va eseguito il più rapidamente possibile, l’eviscerazione deve essere altrettanto rapida, il trasporto dell’animale deve avvenire correttamente in termini sia di tempistiche, sia di temperature, sia di modalità. Le carni danneggiate dal colpo del proiettile vanno eliminate in quanto sempre fortemente contaminate, la frollatura deve essere eseguita secondo le regole. Secondo Viganò, i macellai a cui le carcasse possono essere con­ segnate, come cessione prevista dalle norme, devono selezionare i cacciatori-fornitori in base alle loro competenze e diventare i garanti della qualità del prodotto. Certamente il colore è indicativo: le carni devono essere rosso-scure, non nere, ma non è possibile fare affidamento su questo carattere. La misurazione del pH delle carni è un ottimo strumento per raccogliere informazioni sulle condizioni dell’animale prima dello sparo, sullo stress che ha subito e sulla temperatura a cui è stata conservata la carcassa. Nelle 4 ore successive all’abbattimento, infatti, il pH deve scendere al di sotto di 5,8. Se tale valore non è stato raggiunto, le carni non sono idonee a certe lavorazioni. Un mancato abbassamento del pH significa che l’animale era cachettico, oppure non ha subito una morte immediata, non è stato sottoposto a idoneo dissanguamento o la carcassa non è stata conservata a temperature idonee. Un insuffi­ciente livello di glicogeno nei muscoli (provocato dallo stress) è responsabile di un mancato abbassamento del pH al di sotto di 5,8. Anche il dissanguamento influenza molto il livello di pH raggiunto poiché il sangue ha un potente effetto tampone sul pH della Eurocarni, 10/17


Segaossa industriale

Grafico 4 – Comparazione rapporto PUFA/SFA (il rapporto ideale fra grassi polinsaturi e saturi è > 0,4)

CINGHIALE SELVATICO

CINGHIALE SEMIBRADO

PANCETTA

COSCIA

SPALLA

PANCETTA

COSCIA

SPALLA

PANCETTA

COSCIA

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0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 0

SUINO INTENSIVO

Grafico 5 – Comparazione rapporto OMEGA-6/OMEGA-3 (il rapporto ideale fra grassi Omega-6 e Omega-3 è 4,8)

CINGHIALE SELVATICO

Le caratteristiche nutrizionali delle carni Roberto Barbani, della AUSL di Bologna, è intervenuto e ha presentato la tesi di laurea di una collaboratrice dell’Azienda che riportava i valori nutrizionali delle carni di selvaggina. «È necessario riuscire a valorizzare la carne di cacciagione nostrana: al momento, il 99,4% della carne di selvaggina consumata in Italia attraverso i canali legali proviene dall’estero. Con la grande quantità e qualità di biomassa che abbiamo a disposizione questo è un enorme inutile spreco», ha detto

PANCETTA

COSCIA

SPALLA

PANCETTA

CINGHIALE SEMIBRADO

carcassa e ne ostacola l’abbassamento. Oltre ad essere un ottimo terreno di proliferazione batterica. Infine, il corretto trasporto influenza il pH delle carni. Dunque è davvero indispensabile che i cacciatori conoscano approfonditamente anche le buone pratiche igienico-sanitarie, perché solo così è possibile ottenere un prodotto di qualità tale da poter essere commercializzato.

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COSCIA

SPALLA

PANCETTA

COSCIA

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20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0

SUINO INTENSIVO

Barbani, che ha poi illustrato le caratteristiche nutrizionali delle carni di ungulati selvatici. Va detto che, anche quando l’abbattimento, il trasporto e la frollatura avvengono correttamente, le carni di selvaggina sono più scure di quelle degli animali domestici. Si tratta di carni molto magre e queste caratteristiche le rendono di elevata qualità per i consumatori di oggi. La cosa è data sia da fattori di specie, sia da fattori ambientali. Ad esempio, le carni di cervo presentano un valore proteico di 22,96, quelle di capriolo di 21,5 e quelle di cinghiale di 21,51. I grassi nel cervo sono 2,42, nel capriolo 2,66 e nel cinghiale 3,33. Il colesterolo è presente in valori bassi in generale: 85 mg nel cervo, 18 nel capriolo e 55 nel cinghiale. Confrontando le carni di selvaggina di animali allevati semibradi e di animali provenienti da allevamenti intensivi, sono emerse alcune interessanti informazioni che rendono ancora più “preziose” le carni di animali selvatici. Ad

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Cervo con salsa di more. esempio, paragonando la qualità dei grassi presenti nella spalla, nella coscia e nella pancetta di cinghiali selvatici, cinghiali allevati semibradi e suini allevati intensivamente, si sono ottenute diverse inaspettate sorprese. Le carni di cinghiale selvatico, nei diversi tagli considerati, presentavano un miglior rapporto fra grassi PUFA e grassi SFA (che nelle condizioni ideali è superiore a 0,4) rispetto a quello dei cinghiali allevati e dei suini: la spalla di cinghiale presentava valori di 0,712 e quella di suino allevato intensivamente 0,493; la coscia di cinghiale aveva valori 0,834 contro 0,302; la pancetta raggiungeva i 0,704 contro gli 0,309. Barbani ha anche riportato i valori delle comparazioni fra Omega-6 e Omega-3 presenti in vari distretti del cinghiale selvatico, di quello allevato semibrado e del suino intensivo, mostrando come si differenzino. E come i valori del cinghiale selvatico si avvicinino al valore ideale di 4,8, mentre quelli del suino allevato intensivamente se ne allontanino fortemente (fra 7 e 8,5 nel cinghiale selvatico, fra 17 e 18 nel suino di allevamento intensivo). Dunque la carne di animale selvatico ottenuta con la caccia è 132

una carne che presenta un valore nutrizionale ottimo. Garantisce anche buoni livelli di benessere animale, se l’abbattimento viene eseguito velocemente e senza far soffrire l’animale. Il cacciatore deve riuscire a mirare alla testa oppure al torace dell’animale. Infine, la caccia permette di avere un impatto ambientale certamente limitato e di preservare la biodiversità del territorio. L’unica incognita delle carni ottenute in questo modo è la qualità igienico-sanitaria. Questa può essere garantita se l’animale abbattuto è sano e in salute e se l’abbattimento di per sé avviene con precisione e velocità. Ma anche la fase di eviscerazione e quella di scuoiatura — successive all’abbattimento — devono essere effettuate con procedure corrette per poter mantenere la buona qualità delle carni. L’esecutore deve essere adeguatamente preparato perché sono le fasi a maggior rischio di contaminazione dell’intera lavorazione. Eseguendo dei tamponi superficiali sul filetto, Barbani ha valutato le condizioni igieniche dell’eviscerazione, mentre eseguendo dei tamponi della coscia ha potuto giudicare le operazioni della scuo-

iatura. Gli animali studiati erano 37 cinghiali e 7 caprioli. Dai risultati è stato possibile concludere che in media il cinghiale ha valori di contaminazione superiori a quelli del capriolo, poiché è cacciato dopo essere stato braccato e l’inseguimento provoca nell’animale un forte stress, che si riverbera sulla qualità della carcassa. Il filetto presenta contaminazioni superiori a quelle della coscia poiché viene facilmente contaminato quando il proiettile colpisce l’animale all’addome. Di conseguenza, «solo quando l’animale è colpito male all’addome è opportuno lavare la carcassa; in tutti gli altri casi è sconsigliato il lavaggio della carcassa perché innalza i rischi di contaminazione batterica» ha detto Barbani. Il dissanguamento va eseguito preferibilmente entro tre ore dalla morte e va utilizzato il proiettile ideale per quell’animale. Se tutte queste fasi vengono eseguite correttamente, le qualità superiori delle carni di selvatico vengono apprezzate e diventa possibile implementare vere filiere locali di commercio e consumo di selvaggina, ha concluso Barbani. Giulia Mauri Eurocarni, 10/17


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STORIA E CULTURA

Brodo di carne inizio della gastronomia: verità e falsità Senza togliere merito all’uomo che crea la cucina della carne allo spiedo, è la donna che con il brodo di carne inventa la gastronomia di Giovanni Ballarini

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ella cucina della mia nonna — siamo nella prima metà del secolo passato — il brodo di carne, salvo il periodo di Quaresima, faceva parte di un rito settimanale che iniziava la mattina del sabato per terminare con il pranzo a mezzogiorno della domenica. Un rito che prevedeva l’uso della “cassetta di cottura”, che permetteva di cuocere a lungo, a bassa temperatura, risparmiando fuoco ed evitando di bruciare i cibi. Uno strumento che precorreva la moderna cucina delle basse temperature e dei lunghi tempi di cottura, oggi considerata avveniristica. Le cassette di cottura erano di legno, con una completa 134

chiusura, internamente ben coibentate, le più raffinate con lana, le più povere con stracci o paglia, delle dimensioni adatte per accogliere una pentola con il suo coperchio. Di primo mattino la pentola veniva messa sul fuoco e quando aveva raggiunto una temperatura vicina all’ebollizione, ben coperta, la si poneva nella cassetta, dove la cottura continuava, a settanta, ottanta gradi per tutta la mattina, senza bisogno di cure o di sorveglianza. Dopo molte ore il brodo era pronto. La scienza della cucina ha recentemente riscoperto che la cottura prolungata, a temperatura limitata, senza un rilevante contatto con l’ossigeno, è tra le più salutari.

Non solo predispone a una delicata digestione, ma mantiene intatti molti principi nutritivi, iniziando dalle vitamine. In modo analogo si conservano gli aromi vegetali e animali, che sarebbero invece degradati, se non in parte distrutti, dalle alte temperature e si perderebbero con ebollizioni tumultuose. La cottura lenta permette anche d’incorporare e amalgamare tra loro aromi di diversi alimenti. È il caso delle verdure, in particolare del sedano, che danno odore e sapore ai brodi di carne, o dell’aroma che si sprigiona dall’osso spugnoso soltanto con un lungo, modico e delicato riscaldamento in un ambiente acquoso. Eurocarni, 10/17



Ingredienti per il brodo Carne di bovino (manzo) Punta di petto, doppione o biancostato, sottospalla, girello di spalla, collo, geretto anteriore o posteriore (ossobuco), lingua, cappello del prete, reale, campanello, muscolo di spalla. Più raramente: codino di vitello. La carne di manzo magra, macinata serve per fare un consommé. Ossa Osso con midollo, osso spugnoso, osso del ginocchio (in questo caso il brodo tende a diventare leggermente gela­ tinoso). Consigliabile un misto: ginocchio, ossa da carne come le costole, ossa con i nervetti e un paio col midollo. Fondamentale è partire da carne e ossa il più possibile prive di sangue, pulendo e lavando bene gli ingredienti prima di iniziare a fare il brodo. Altre carni Gallina o cappone. Ortaggi e aromi Molti e diversi sono gli ortaggi e gli aromi. Tra questi in particolare sono apprezzati cipolla o cipollotto, carota, sedano, porro, patata, crosta di parmigiano, pepe in grani e sale grosso, aggiunto sempre a fine cottura. Le cipolle possono essere caramellate, ossia tagliate a metà e arrostite parzialmente in forno, oppure tagliate a metà e rosolate in pa­ della dalla parte del taglio. In questo modo conferiscono un colore dorato al brodo; oppure possono essere steccate con chiodi di garofano per un brodo più aromatico. Altri aromi sono quelli di alloro, prezzemolo, zenzero messo fin dall’inizio assieme ai cipollotti, mentre le restanti verdure è bene aggiungerle un’ora prima della fine cottura. Altre aggiunte sono la pastinaca oppure uno spicchio d’aglio (secondo una tradizione presente in varie zone d’Italia). Come aggiunta finale anche la scorza d’arancia.

Brodo di carne tra verità e falsità Molte sono le antiche saggezze sul brodo di carne — la più antica forma di gastronomia quasi certamente inventata dalla donna — come numerose sono le false credenze sfatate dalla ricerca scientifica. Vediamone alcune: • per fare un buon brodo bisogna immergere la carne in acqua fredda, perché mettendola in acqua calda questa sarebbe “sigillata” da un “colpo di calore”che impedirebbe l’uscita dei liquidi, consentendo invece di ottenere e un buon bollito: falso; • per avere un buon brodo, l’acqua non deve bollire, ma al massimo solo sobbollire: vero; • un buon brodo di carne ha bisogno di tempi lunghi: vero; • un osso spugnoso e altre ossa contenenti midollo sono necessari per fare un buon brodo. vero; • un buon brodo di carne si giova di odori e ortaggi vegetali e tra questi soprattutto di sedano: vero; • il sale va aggiunto solo alla fine della preparazione: vero; 136

• per fare un buon brodo bisogna usare carni di diversi animali: vero e falso allo stesso tempo. Il brodo di carne si ottiene dalla lessatura delle carni con l’obiettivo di estrarne i succhi, insaporendo il liquido che si ottiene. Ininfluente è partire da acqua fredda o solo modicamente riscaldata, ma mai bollente! Di solito si utilizzano tre litri di acqua per ogni chilo di carne o la proporzione di un quarto di carne e tre quarti d’acqua. L’acqua non va reintegrata durante la cottura, per non diluire troppo il sapore del brodo. Lavare le ossa ed eliminare il grasso visibile dalla carne. Quest’ultima va poi lavata in acqua calda, non bollente, e risciacquata in acqua fresca. È conveniente mettere le ossa in acqua fredda, portarle a bollore e lasciarle per dieci minuti a fuoco forte, in modo da far uscire tutto il sangue che ha un retrogusto amaro, poi si risciacquano in acqua fredda. Per fare il brodo di carne e ossa si parte con acqua fredda, portando il tutto quasi a bollore. Il brodo

non va coperto, il fuoco deve essere regolato in modo da non farlo nemmeno sobbollire, bisogna schiumarlo dalle impurità che risalgono in superficie, ma non mescolarlo. Non deve bollire, bensì rimanere sul fuoco, dalle cinque alle sette ore, attorno ai 70-80°C, come avveniva nel passato con la cassetta di cottura o la pentola messa vicino al fuoco sulla cenere calda. A fine cottura si aggiusta il sale, si travasa lentamente e, se necessario, si può filtrare con un panno. Per chiarificare un brodo si può aggiungere, quando è caldo, mescolando, dell’albume d’uovo battuto a neve, poi si filtra il tutto. Alcune leggende e tradizioni La storia dell’acqua fredda = ottimo brodo, e dell’acqua calda = ottimo bollito è una leggenda e non una realtà. Lo stesso vale per la teoria delle sette schiumature necessarie per ottenere un brodo limpido. Per avere un brodo limpido bisogna schiumare tutte le volte che occorre. Dopo ogni schiumatura si può Eurocarni, 10/17


LA SICUREZZA invece aggiungere un poco di acqua fredda prima di far ripartire il riscaldamento per la schiumatura successiva. Aromi e verdure sono da aggiungere dopo la schiumatura. Brodo di terza o in tèrsa o interza si rapporta alla solennità della Messa in Terza celebrata da tre sacerdoti: si tratta di un brodo preparato con tre tipi di carne diversa: cappone (o gallina), manzo e maiale (spesso costine), cotti separatamente e miscelando secondo il proprio gusto i tre diversi brodi ottenuti. In generale cinque parti di brodo di manzo, quattro di cappone o gallina e uno di maiale. Il brodo di quarta si ottiene con pollo, manzo, bue grasso (o vitello) e maiale. Osso spugnoso e sedano La “saggezza del brodo” risiede nel­l’obbligatoria presenza di una o più ossa grosse, contenenti midollo. Nelle ossa spugnose, in particolare nel midollo di quelle degli arti posteriori, sono infatti presenti molecole aromatiche che donano un buon sapore. Esse emanano aromi inconfondibili, ai quali, purtroppo, siamo sempre meno abituati. Per questo motivo, il detto “gallina vecchia fa buon brodo” è quanto mai appropriato, perché questo animale ha ossa aromatiche che non troviamo in animali giovani. Le virtù del sedano (Apium graveolens L.), invece, sono note fin dall’antichità e la prima testimonianza dell’impiego del sedano a fini alimentari sembra essere quella di un documento francese del 1623. Nelle foglie del sedano vi è un olio etereo (apione), oltre a molti sali minerali (potassio, sodio, ferro, manganese e calcio) e vitamine (A, PP e C). L’olio etereo (presente anche nel gambo o bulbo, insieme a zuccheri, amido, pentosani, colina, tirosina, glucosamina e glutammina, asparagina e vitamine B1 e B2) è molto importante: ha un aroma simile ai feromoni umani, e per questo gli sono attribuite azioni di tipo afrodisiaco, mentre la glucosamina, analoga all’ormone insulina, può essere utilizzata in casi di diabete. Poteri corroboranti del brodo di carne La ricerca dimostra che il potere corroborante del brodo trova la sua base nei peptidi (corte catene di amminoacidi) e soprattutto in alcuni grassi, quali l’acido linoleico coniugato (CLA), che regolano le contrazioni dello stomaco e stimolano l’immunità. Avevano quindi ragione gli antichi medici e le nostre antenate che riservavano il brodo agli ammalati e ai convalescenti, quando valeva il detto “un povero mangia un pollo quando è ammalato o quando è ammalato il pollo”. Tra tutti i brodi oggi vi è anche quello artificiale. Passi ancora, con molta moderazione, quello preparato con il vero estratto di carne, ma il liquido preparato con polveri o dadi, a base di sale, aromi e composti chimici, iniziando dal glutammato monosodico, non merita neppure lontanamente la qualifica di brodo. Sarebbe come confondere il vino con la coca-cola. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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STATISTICHE

Dati ANAS sulla suinicoltura

Bilancio comunitario carni suine: short term outlook della UE Produzione econdo il rap­porto Short term outlook della DG Agricoltura della UE, a causa della diminuzione della consistenza dei riproduttori registrata nel dicembre 2016, la produzione suinicola comunitaria è destinata a calare ulteriormente nel 2017, per stabilizzarsi nel 2018. Nel primo trimestre del 2017 si è registrato un calo della produzione UE dell’1,4% rispetto allo stesso trimestre 2016.

S

Export Sempre secondo il rapporto, nei primi tre mesi del 2017 si è registrato

un incremento delle esportazioni verso i Paesi Terzi. In aprile invece si è registrato un calo delle esportazioni del 30% rispetto allo stesso mese del 2016. Il calo di aprile è riconducibile a tre cause: la crescita dei prezzi comunitari ha reso la carne suina UE meno competitiva sul mercato mondiale; la Cina ha ridotto del 14% la propria domanda di carni suine sul mercato mondiale; la temporanea sospensione (ora superata) delle autorizzazioni all’export verso la Cina a due importanti aziende tedesche. Il Canada ha beneficiato di questa situazione e in aprile è stato il

secondo più importante esportatore verso la Cina dopo la Spagna. Prezzi I prezzi comunitari hanno registrato nel primo semestre dell’anno un andamento medio più sostenuto rispetto al 2016. Questa tendenza rende il prodotto comunitario meno competitivo sul mercato mondiale. Consumi Nel 2017 i consumi comunitari di carne suina dovrebbero crescere leggermente rispetto al 2016 (kg 31,8 pro capite) e lo stesso trend dovrebbe confermarsi nel 2018.

Bilancio comunitario delle carni suine e previsioni 2017 e 2018 UE-28

2015

2015/14

2016

2016/15

2017

2017/16

2018

2018/17

Produzione (.000 t peso carcassa)

23.276

+3,1%

23.589

+1,3%

23.442

–0,6%

23.494

+0,2%

Macellazioni (.000 t peso carcassa)

23.256

+3,2%

23.579

+1,4%

23.437

–0,6%

23.489

+0,2%

Import di carne suina (.000 t peso carcassa)

11

–19,6%

12

+6,0%

12

+2,0%

13

+8,0%

Export di carne suina (.000 t peso carcassa)

2.217

+13,9%

2.793

+26,0%

2.542

–9,0%

2.491

–2,0%

Consumo (.000 t peso carcassa)

21.050

+2,2%

20.798

–1,2%

20.907

+0,5%

21.011

+0,5%

Consumo pro capite (kg – peso prodotto al consumo) *

32,2

+1,9%

31,7

–1,5%

31,8

+0,2%

31,9

+0,2%

Autoapprovvigionamento (%)

111,0%

113,0%

112,0%

112,0%

(*) Il coefficiente di trasformazione da peso carcassa a peso del prodotto al consumo è 0,78. Fonte: elaborazione ANAS su dati della DG Agricoltura e dello Sviluppo Rurale della UE – Short Term Outlook for EU arable crops, dairy and meat markets – Summer 2017.

140

Eurocarni, 10/17


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Andamento consistenza del bestiame suino in Italia – giugno 2017 .000 di capi

2014

2015

2016

2017

Diff. % 2017/2016

Suini totale

8.617

8.682

8.707

8.775

0,8

578

584

572

579

1,2

458 120

487 97

472 100

478 101

1,3 1,0

Suini < 20 kg

1.393

1.410

1.442

1.369

–5,1

Suini da 20 kg a 50 kg esclusi

1.559

1.631

1.579

1.596

1,1

Suini da 50 kg a 80 kg esclusi

1.236

1.316

1.288

1.331

3,3

Suini da 80 kg a 110 kg esclusi

1.666

1.481

1.526

1.587

4,0

Suini da 110 kg e oltre

2.168

2.235

2.275

2.288

0,6

Scrofe totale di cui – scrofe montate – altre scrofe

Consistenza italiana capi suini e scrofe (.000 capi) – giugno 2017

Fonte: elaborazione ANAS su dati Istat.

142

Eurocarni, 10/17



LIBRI

Carne trita. L’educazione di un cuoco

O

ltre l’ossessione per i cuochi in TV, oltre la moda dei libri di ricette e delle recensioni stellate, oltre le copertine dei settimanali patinati, Leonardo Lucarelli racconta, in prima persona, la sua vita da vero cuoco, descrivendoci la cucina in cui i grembiuli sono sporchi di sugo e i piani di lavori sono pieni di farina e coltelli. Nessuna scuola costosa e nessuno studio di registrazione: rievocando la sua crescita da lavapiatti schiavizzato in un locale di Trastevere a chef, Lucarelli narra di se stesso e delle persone che ha incontrato in un mondo sospeso tra libertà anarchica e disciplina militare, tra lecito e illecito, mostrando cosa si cela al di là di quella porta che dalla sala del ristorante vediamo sbattere al passaggio di impeccabili camerieri: immigrati in nero, stagisti sfruttati, aiutanti cocainomani, maestri geniali, proprietari incapaci, amici abbandonati per fare carriera. Storie vere che restituiscono l’immagine di un mondo affascinante, dal rigido codice di condotta e dalla gerarchia ben definita. Con sincerità e stile personalissimo, l’autore mostra il lato oscuro, contradditorio e carnale delle cucine, un mondo parallelo in cui dominano amori e amicizie, droghe e sesso, culto del lavoro e soldi. E da questo osservatorio speciale, scatta un’istantanea inedita dell’Italia e degli Italiani di oggi. L’autore Leonardo Lucarelli nasce a Dalhousie, in India. A quattro anni si trasferisce in Umbria, dove si diploma in Restauro e Conservazione dei Beni Culturali, e poi a Roma per laurearsi in Antropologia. Per sostenersi nel corso degli studi, intraprende una carriera di cuoco che lo porta in giro per tutta l’Italia, e nel 2006 ha il suo 144

Leonardo Lucarelli, Carne trita. L’educazione di un cuoco Garzanti Libri, 2016 277 pp. – 16,40 € primo incarico da chef. Interrompe di tanto in tanto l’attività in cucina per compiere lunghi viaggi in moto, i cui reportage vengono pubblicati

su varie riviste. In questo momento vive e lavora a L’Aquila. Carne trita è il suo primo romanzo pubblicato da Garzanti (2016). Eurocarni, 10/17



Ginger Pig Meat Book

E

cco una pubblicazione non recentissima (la sua prima stampa risale infatti al 2011), ma che non può mancare nella libreria dei cultori della buona carne. Si tratta di Ginger Pig Meat Book, scritto a quattro mani da Tim Wilson, allevatore e proprietario di The Ginger Pig, e da Fran Warde, cuoco e autore di manuali di cucina. Un libro che abbiamo trovato al Borough Market di Londra e che si può facilmente acquistare anche su Amazon. L’obiettivo dei due autori è quello di dare una chiave di lettura delle ricette a base di carne partendo dal racconto della materia prima, ovvero degli allevamenti e delle migliori razze da carne inglesi, avendo coscienza del benessere animale e dell’uso corretto di tutti i tagli. Per ogni tipologia di carne (maiale, manzo, agnello, pollame e selvaggina) Wilson e Warde consigliano il lettore sulle razze migliori e sui vari tagli

da richiedere al proprio macellaio di fiducia. Tagli che saranno poi preparati in cucina e lavorati e cotti con ingredienti freschi e di stagione. Il libro riporta, infatti, le ricette scandite dai mesi, da settembre ad agosto, per orientare meglio il lettore tra le materie prime più idonee e sostenibili che serviranno nella preparazione dei piatti. The Ginger Pig, la storia e il cuore Tim Wilson ha fondato The Ginger Pig oltre vent’anni fa, partendo da un allevamento con tre capi di ma­iali di razza Tamworth. Oggi l’azien­da agricola si estende su 3.000 acri di pascolo nel North Yorkshire e conta su una fitta rete di relazioni con piccoli allevatori inglesi che riforniscono i sette punti vendita operanti a Londra, con un ottavo presto attivo a Loughton. Al centro della filosofia di The Ginger Pig c’è il buon allevamento degli animali,

Fran Warde e Tim Wilson Ginger Pig Meat Book 336 pp. – £ 25,00 www.thegingerpig.co.uk la selezione delle migliori razze e un’attenzione maniacale ai temi del benessere animale. Tutti elementi che si ritrovano nel piatto.

Carne, salute e benessere a tavola

I

l dibattito intorno alla carne e al rapporto tra il suo consumo e il nostro benessere è quanto mai aperto. Da chi consiglia di privarsene del tutto a chi mette sotto accusa le carni conservate. Slow Food si propone di trovare una via positiva, che tenga conto, oltre che dell’ingrediente, anche e soprattutto di che cosa succede negli allevamenti: il benessere animale può migliorare la “qualità” della carne che mangiamo e ridurre in modo sensibile i rischi per la salute. La qualità della carne dipende, quindi, da una serie di fattori concatenati fra loro. L’aspetto, il colore e l’odore, che sono a oggi i maggiori indici di freschezza, affiancati dalle caratteristiche nutrizionali del prodotto (carni magre, preferenza di carni bianche rispetto alle rosse…) o dalla 146

provenienza dello stesso (possibilità di leggere etichette informative o di acquistare carni con marchio). Conoscere questo alimento anche dal punto di vista nutrizionale ci aiuterà perciò a inserirlo, se desideriamo, con misura e consapevolezza nella nostra dieta. Il libro contiene anche 60 gustose ricette. L’autrice Patrizia Gnagnarella, dietista, dal 1997 lavoro presso la Divisione di epidemiologia e biostatistica dell’Istituto europeo di oncologia di Milano ed è la responsabile del progetto del database di composizione degli alimenti per studi epidemiologici in Italia (Bda). Ha partecipato a studi internazionali legati al rapporto tra alimentazione e malattie oncologiche.

Patrizia Gnagnarella Carne 144 pp. – € 12,50 € 10,63 (on-line) € 8,75 (soci Slow Food) Collana Slow Life – Slow Food Editore www.slowfoodeditore.it Eurocarni, 10/17


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Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero

L’

talia gode di un indubbio fascino a livello mondiale, e questo anche grazie al cibo e al vino made in Italy e all’importante ruolo che essi svolgono nell’immaginario collettivo “globalizzato”. Al tempo stesso, per molti consumatori oltre confine, questo forte appeal si riflette anche sui prodotti che esportiamo: dalla pasta al vino, dall’olio ai salumi e ai formaggi, mangiare e bere italiano è, per chi si trova all’estero, un modo per “visitare” il Belpaese rimanendo a casa. Per riuscire a portare questi eccellenti prodotti all’estero c’è sempre più bisogno di un approccio di marketing ben strutturato e di competenze specifiche che si sintetizzano in una figura professionale relativamente nuova, l’export manager. Tali competenze includono aree d’azione sempre più ampie e hanno spesso bisogno di altre risorse specializzate, interne o esterne all’azienda: dall’individuazione e la creazione di contatti e rapporti di fiducia con buyer e importatori alla scelta dei corrieri, dalle complicate norme doganali a un tipo di comunicazione sempre più digitale e transculturale. Scritto da Slawka G. Scarso, Luciana Squadrilli e Rita Lauretti — professioniste del marketing, della comunicazione e dell’export del settore enogastronomico — questo volume vuole fornire strumenti strategici e consigli pratici ai piccoli e grandi produttori e imprenditori del settore che vogliano rivolgersi a mercati diversi da quello italiano, e naturalmente a chi ambisca a ricoprire la figura di export manager o si trovi a dover coadiuvare tale figura o dei corrispondenti in loco, avendo come obiettivo l’internazionalizzazione e la gestione di nuovi mercati, dalla logistica alla 148

Slawka G. Scarso, Luciana Squadrilli, Rita Lauretti Marketing dei prodotti enogastronomici all’estero. Guida completa per l’export delle eccellenze italiane Collana: MDB, Modelli di Business – Edizioni LSWR – € 19,90 comunicazione attraverso i canali social e digitali. Dopo l’iniziale focus sul marketing dell’agroalimentare di qualità orientato all’export e l’attenta analisi delle risorse disponibili, si delineano le opzioni di internazionalizzazione più adatte alle specifiche esigenze aziendali. Si analizzano poi le figure chiave del settore che bisogna prendere in esame (competitor, buyer, consorzi, enti vari) e si affronta il marketing mix dell’export.
 Grande attenzione viene data alla comunicazione che da locale diventa globale: dal packaging usato — anche — come strumento di comunicazione all’importanza di creare una “marca globale” che sappia mantenere ben saldi i valori di fondo dell’azienda, fino all’annosa questione dell’Italian sounding. Infine si affrontano gli aspetti più operativi dell’export: dai suggeri-

menti per trovare e approcciare buyer e importatori ai consigli per affrontare il processo di selezione dei prodotti, fino alla partecipazione a fiere, eventi e concorsi e alla delicata gestione degli aspetti logistici, come le spedizioni e gli sdoganamenti. Un compendio teorico-pratico arricchito da numerosi esempi e testimonianze di chi lavora quotidianamente in quest’ambito, ulteriormente approfondite nella parte finale del libro attraverso casi pratici di aziende, format di successo e interviste a professionisti, le cui testimonianze si vanno ad aggiungere ai riferimenti concreti fatti nelle parti precedenti del libro. Una ricca serie di illustrazioni e grafici, esempi, dati, foto a colori e schemi riassuntivi rendono il libro di facile consultazione e molto utile come supporto didattico. Eurocarni, 10/17



Dogmi, teoria e pratica vegani: la verità scientifica, oltre le mode

Perché un chilo di lenticchie non vale una bistecca

I

n questi ultimi anni la schiera delle persone che hanno deciso di rinunciare alla carne, optando per la dieta vegetariana, o la più rigida vegana (niente uova, latte e derivati di origine animale), è aumentata in tutto il mondo industrializzato. A tale crescente diffusione del nuovo modello nutrizionale un eccezionale impulso lo hanno dato l’affermazione di internet e dei social network. E lo schierarsi a favore di personaggi famosi dello spettacolo, della cultura e perfino dello sport, ha rivestito la scelta vegetariana di un’aura di maggiore appeal e credibilità. Attori come Brad Pitt, Diane Keaton, Michelle Pfeiffer, il musicista Paul McCartney, la tennista Serena Williams, l’ex presidente USA Bill Clinton, e in Italia Adriano Celentano, Jovanotti, il regista Moni Ovadia e il rugbista Mirco Bergamasco sono tutti diventati — con le motivazioni più disparate — vegetariani o vegani. Ce n’è abbastanza per affrontare in modo approfondito l’argomento, che per le sue implicazioni esistenziali, filosofiche o ideologiche toutcourt, si pone ben oltre le tendenze alimentari di passaggio. Lo ha fatto con un libro di oltre 300 pagine il nutrizionista Luca Avoledo. Il titolo — “No vegan. La verità scientifica oltre le mode” — esprime con nettezza la posizione dell’autore, il quale, tuttavia, non si limita a confutare dogmi e luoghi comuni della mistica vegan. Avoledo ha raccolto dati, ricerche, studi e prove e nella sua opera risponde alle domande più ricorrenti dando puntuale risposta: il nostro corpo è fatto per vivere di vegetali? La dieta vegana è la più sana? Mangiare vegano guarisce le malattie? L’alimentazione 150

solo vegetale è adatta ai bambini? Non potendo ovviamente entrare nel merito di tutto lo scibile preso in esame dall’autore, proponiamo alcuni flash illuminanti. “I vegani — scrive Avoledo — anelano ad estendere ad altri le proprie convinzioni alimentari. Lo fanno con una massiccia opera di disinformazione propagandistica, tesa a influenzare l’opinione pubblica spaventandola, colpevolizzandola e colpendola allo stomaco. Lasciano intendere che le tesi vegane siano condivise dalla maggior parte degli esperti e, quando si presenta loro qualche studio che dimostra il contrario, ecco rispuntare l’inattaccabile teoria dei poteri occulti, del complottismo”. Insomma, chi mangia carne, obbedisce “alla lobby della braciola che governa il mondo”. Perché un chilo di lenticchie non vale una bistecca “Il nostro corpo ha fame di proteine — spiega l’autore — mattoni che costituiscono cellule, tessuti e organi e sono indispensabili per il corretto svolgimento delle funzioni vitali. Gli amminoacidi, da cui le proteine sono formate, servono all’organismo per produrre nuove proteine e molecole di enorme importanza fisiologica — ormoni, enzimi, anticorpi, neuro-trasmettitori — e praticamente per ogni processo metabolico. Un uomo di 70 kg dovrà quindi introdurre 63 grammi di proteine al dì. Facile no? Mica tanto. Una bistecca da un etto contiene poco più di 20 grammi di proteine. Un etto di lenticchie solo 9, mentre 100 grammi di pomodori di proteine ne apportano solamente 1 grammo e una mela appena mezzo

Luca Avoledo No vegan. La verità scientifica oltre le mode Sperling & Kupfer editore, 2017 322 pp. – e 17,00 grammo. Non c’è un cibo vegetale che sostituisca la bistecca”. Discorso che si accentua fino ad assumere contorni drammatici quando si parla di bambini. “I pediatri ospedalieri dichiarano con sgomento un aumento di ricovero di bambini di genitori vegani, spesso con gravissimi danni neurologici”. Al di là di tutto, chi abbraccia la via vegana “come puro atto di fede”, deve pur sapere “che non esistono motivi scientificamente per adottare tale dieta. Il veganismo è una convinzione morale, un assunto etico, non un modello di salute”. Conclusione: chi vuole essere vegan lo sia, ma lasci in pace i bambini. E tutti gli altri onnivori! “Ognuno è libero di decidere cosa mangiare e cosa no”. Eurocarni, 10/17


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Le razze bovine in un trattato del 1903 di Andrea Gaddini

I

l trattato “Razze bovine, equine, suine, ovine e caprine” di Ferruccio Faelli, pubblicato nel 1903 dall’editore milanese Ulrico Hoepli, è un testo che ha avuto una grande importanza per la didattica della zootecnia speciale in Italia. Il libro è stato scritto nel periodo di passaggio tra la cosiddetta Era del cavallo — in cui gli equini, soprattutto da sella, dominavano la scena zootecnica —, e quella del bovino, nella quale, con la diffusione delle automobili, il cavallo come veicolo perse interesse e la specie prevalente divenne quella bovina. La prima parte del trattato è dedicata infatti ai bovini e nella descrizione delle razze bovine si dà ancora un’importanza

152

considerevole all’attitudine alla produzione del lavoro, visto che la meccanizzazione dell’agricoltura era ancora agli inizi. Razze bovine Faelli suddivide la trattazione della parte speciale in capitoli dedicati ai singoli paesi, trattati in ordine d’importanza, dei quali dà anche ampi cenni sulle condizioni climatiche e pedologiche, sulle colture praticate, e sulle modalità di allevamento del bestiame. L’autore pone al primo posto l’Inghilterra (ma di fatto si riferisce all’intero Regno Unito), identificandola come la nazione nella quale la zootecnia aveva raggiunto il suo massimo

sviluppo, in tutte le specie. Sono descritte sedici razze, molte delle quali specializzate nella produzione di carne grassa, con attenzione anche alla produzione di sego, che all’epoca era molto utilizzato per la produzione di candele e saponi e come lubrificante. Nel testo, tra le razze che hanno tuttora diffusione, sono presenti la Hereford, la Angus e la Shorthorn, denominata Durham o Holderness o Teeswater, che all’epoca era una delle razze di maggior successo, frutto di un’intelligente opera di miglioramento. La Shorthorn aveva successo anche in Italia, anche se Faelli si mostrava scettico sulle sue possibilità di ulteriore diffusione nel nostro Paese, per il

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clima non adatto e per i bassi prezzi della carne, non remunerativi visti i costi di produzione imposti da una razza migliorata. Il medico invitava piuttosto gli allevatori italiani a lavorare sul miglioramento delle razze nazionali, per raggiungere risultati simili a quelli dei loro colleghi britannici. Alcuni paragrafi sono dedicati alle razze da latte, come la Ayrshire, la Jersey e la Guernsey, trattate come un’unica “razza delle Isole Normanne”. La seconda nazione descritta è la Svizzera e qui si parla di due razze, la Macchiata o Pezzata, comprendente quattro sotto-razze, tra le quali la Simmenthal, di cui si sottolinea la triplice attitudine, e la razza Bruna, con tre sotto-razze. Faelli descrive in modo minuzioso gli interventi pubblici, federali e cantonali, a favore del miglioramento genetico delle razze elvetiche. I Paesi Bassi sono rappresentati dalla razza Olandese, che in realtà comprende diverse tipologie di animali con caratteristiche ed attitudini tra loro molto diverse, chiarendo che il concetto di “razza” all’epoca era molto meno restrittivo di quello

attuale. Vengono infatti citati diversi libri genealogici o Herd Book, organizzati in base alla regione e non alla razza. Per la Francia Faelli descrive ben 31 razze, definite però d’importanza locale e poco conosciute all’estero. Molte di esse sono scomparse, come la Landaise, la Picarde e la Fémeline, mentre altre hanno invece assunto un’importanza rilevante negli ultimi decenni per la produzione di carne. Sono descritti i bovini della razza di Guascogna, definiti “poco atti alla produzione della carne”, ma in compenso “ottimi lavoratori”, le razze Garonnaise, Agenaise o Marmandaise e dei Pirenei, tutte dal mantello fromentino chiaro, che nel 1963 sono state fuse nell’attuale Blonde d’Aquitaine, e la “razza Limosina”, allora diffusa solo in pochi dipartimenti della Francia, con bestiame “ottimo lavoratore e buon produttore di carne”, grazie anche all’opera di miglioramento a cui era stata sottoposta. L’autore descrive poi la Aubrac, con ottima attitudine al lavoro ed all’ingrasso, e la Salers, definita

Ferruccio Faelli era un medico veterinario, docente universitario e clinico. Nacque il 5 novembre 1862 a Parma, dove si laureò nel 1885. Iniziò a insegnare nel 1895 e fu nominato direttore della Scuola superiore di medici­ na veterinaria di Torino nel 1911. Fu anche membro del Consiglio superiore di sanità e del Consiglio nazionale delle ricerche. Si impegnò in particolare sui temi dell’igiene negli allevamenti e dell’alimentazione del bestiame, ma fu anche l’autore di diversi testi di zootecnia speciale, che servirono da modello ai trattati italiani dei decenni successivi. Faelli vide sempre come un grave problema l’arretratezza dell’agri­ coltura italiana, e nei suoi testi portò spesso ad esempio i benefici ottenuti in agricoltura, all’estero ed in Italia, con l’innovazione, e per la zootecnia in par­ ticolare, con il miglioramento genetico e con una migliore nutrizione e tecnica di allevamento. Nel 1908 Faelli pubblicò “Cani e gatti: costumi, razze, riproduzione, allevamento, igiene, malattie”, uno dei primi testi in Italia sugli animali da compagnia. Andò in pensione nel 1935 e morì a Torino il 19 gennaio 1943.

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Ferruccio Faelli Razze bovine, equine, suine, ovine e caprine U. Hoepli, Milano, 1903 372 pp. anche “del Cantal”, già all’epoca rinomata per il mantello rosso carico e buona produttrice di latte. Alla Charolaise è dedicato un ampio paragrafo, in cui si ipotizza che derivi dal bestiame toscano della Val di Chiana, pur ammettendo l’assenza di prove a sostegno dell’ipotesi. Alla razza si attribuisce un’ottima attitudine alla produzione di carne, in miglioramento grazie all’attenta selezione a cui era sottoposta, e particolarmente adatta all’ingrasso al pascolo, soprattutto su erbai, tanto che “alle volte i bifolchi non riconoscono più i buoi che tenevano in custodia dopo alcuni mesi di regime all’erba”. Dopo la Francia, Faelli passa alla Germania, descrivendo di­ verse razze, quasi tutte estinte, in via di estinzione o assorbite da altre razze. Fanno eccezione razze locali, oggi a diffusione limitata, come la Angler, ma anche la razza dei polders dell’Holstein, probabile antenata della Holstein-Friesian, dal mantello bianco o pezzato nero, bruno o rosso, le cui vacche sono definite “molto lattifere”. Per la Germania è anche citata la forte presenza di bestiame Simmenthal, di origine svizzera, la cui selezione tedesca è definita migliore del bestiame originario elvetico. 153


Per quanto riguarda l’Italia, Ferruccio Faelli lamenta lo scarso impegno, sia delle autorità, sia degli allevatori, nel miglioramento genetico del bestiame, che potrebbe dare ottimi risultati visto il materiale di partenza, e cita Romagnola, Piemontese, Chianina e Reggiana come razze a forte reddito e di facile ingrassamento

Nel capitolo sull’Austria-Un­ gheria si riporta una grande varietà di razze, riflesso della com­ p osizione variegata del vastissimo impero asburgico. La trattazione inizia con la cosiddetta razza Podolica, allevata in Podolia e Volinia, da lavoro e carne, descritta come molto primitiva, con netta prevalenza del treno anteriore su quello posteriore. Come razza a sé stante è trattata l’Ungherese, migliorata rispetto alla precedente e particolarmente apprezzata come animale da lavoro, potente e rapido. Tra le razze austroungariche sono poi citate varie razze alpine, alcune estinte, come la Mürztal, altre in via di estinzione, come la Mariahof o la Tux-Zillertal, altre ancora tuttora diffuse, come la Pinzgauer e due razze la cui zona 154

di allevamento è oggi in Italia: la Rendena, dell’omonima valle trentina, e la Etchtal (Val d’Adige, più correttamente Etschtal), in seguito detta Grigia della Val d’Adige, e oggi compresa nella Grigia Alpina. Dopo un brevissimo accenno alle razze balcaniche, l’autore passa a descrivere quelle della Russia, con la razza delle steppe russe, definita come progenitrice delle razze podoliche, la razza Scita senza corna e la razza di Crimea. Faelli descrive poi la razza di Svezia e Norvegia, descritta come in calo numerico. Tra le razze del Belgio sono citate quella di Limbourg, del Nord di Bruges, di Furnes-Ambacht e delle Ardenne del Belgio, mentre per la Danimarca è citata la razza dello Jutland, oggi estinta.

L’autore ritiene che in Spagna non siano presenti razze di interesse zootecnico, citando solo quella dei tori da corrida (raza de Lidia) e quella di Cerdeña (regione divisa tra Francia e Spagna, oggi detta Cerdagna), mentre per il Portogallo sono citate nove le razze autoctone, Minhota o Gallega, Barrosâ, Arouquesa, Mirandesa, Brava o Ribatejana, Tarina (selezione locale dell’Olandese), Alentejana e Insulare (delle Azzorre e di Madeira), quasi tutte ancora esistenti e protette da denominazioni d’origine. Le razze italiane Per quanto riguarda l’Italia, Faelli parla di una popolazione bovina articolata in numerose razze, grazie alla diversità di ambienti, tuttavia poco migliorate e tutte a triplice Eurocarni, 10/17


In Toscana, secondo Faelli, esistevano due razze, entrambe di origine podolica, la Maremmana e la Chianina, ma ne citava anche altre, che considerava comunque riconducibili alla Maremmana. La Maremmana è descritta con aspetto semi selvaggio, ottima per il lavoro, poco stimata per la carne, mentre la Chianina era “bella, buona e mansueta” e di “aspetto gentile e vivace”, con morfologia simile a quella attuale

attitudine. Va premesso che il concetto di razza, come ricordato in precedenza, era all’epoca molto meno restrittivo di quello attuale, e per molte regioni o zone geografiche si parla di “razza” come insieme, anche molto eterogeneo, di animali allevati sul territorio, mentre si citano delle sotto-razze, che spesso corrispondono alle attuali razze, dotate di caratteri più omogenei. L’autore segnala una forte esportazione, non dovuta però ad eccedenze di produzione, ma piuttosto ad uno scarso consumo interno, a causa della povertà, soprattutto nel Meridione. Faelli cita una consistenza, riferita al 1881, di 4.772.162 capi bovini, su un territorio nazionale che non comprendeva il TrentinoAlto Adige e la Venezia Giulia. Eurocarni, 10/17

Considerando i dati odierni, della Banca Dati Nazionale del Ministero della Salute, sulla stessa superficie sono allevati, al 31 luglio 2017, poco più di 5.400.000 capi. Faelli lamenta lo scarso impegno, sia delle autorità che degli allevatori, nel miglioramento genetico del bestiame, che potrebbe dare ottimi risultati visto il materiale di partenza, e cita Romagnola, Piemontese, Chianina e Reggiana come razze a forte reddito e di facile ingrassamento. Per il Piemonte l’autore descrive la razza Piemontese, con spiccata attitudine per la produzione di lavoro, latte e carne, con pesi fino a 1.100-1.200 kg, con alcuni difetti di morfologia e di appiombo. La razza era distinta in una “razza scelta della pianura”, dal mantello fromentino chiaro, e a volte bianco, e una “razza

ordinaria della pianura”, dal mantello rosso, più o meno carico, con esemplari particolarmente pregevoli, in seguito a notevoli miglioramenti, nelle colline delle Langhe, che si ingrassavano molto bene, fornendo “carne squisita”. Va ricordato che la mutazione genetica che ha originato i bovini a doppia groppa detti “della coscia” era stata rilevata a Guarene, in provincia di Cuneo, nel 1886, non molti anni prima dell’uscita del trattato di Faelli. L’autore passa a descrivere la razza di Demonte e la Canavesana, entrambe a mantello fromentino, e simili alla Piemontese, la Valdostana, dalla morfologia molto variabile a seconda delle zone, con mantelli in prevalenza pezzati, ma anche fromentini e grigi. Sono infine descritte le razze di Susa e di Pinerolo, oggi estinte. 155


Faelli divide la Lombardia in una zona alta ed una bassa. Nella prima non rileva alcuna razza locale, e spiega che la rimonta è affidata all’acquisto di capi di razza Schwitz alla fiera dell’omonima città svizzera o in quella di Einsiedeln, mentre i tentativi di produrre la rimonta in Lombardia, a partire dai capi svizzeri, non aveva dato risultati soddisfacenti. Per la bassa Lombardia, e in particolare per il Mantovano, è citata una razza grigia dalle lunghe corna e dal treno anteriore più sviluppato del posteriore, appartenente alla popolazione podolica diffusa dal Polesine al Padovano, con ottima attitudine al lavoro, oggetto di inutili tentativi di miglioramento per incrocio con bestiame Simmenthal. Nel Bresciano l’autore segnala una razza di origine tirolese, ottima per il lavoro, ma anche con ottima conformazione ed attitudine alla produzione di carne; questa razza era diffusa in molte province della Lombardia e anche in Svizzera ed Austria. L’autore deplora quindi la cattiva gestione della genetica attuata nel passato in Veneto, con incroci senza criterio di razze straniere sulle razze locali, soprattutto nella provincia di Treviso. Nel nord delle province di Verona, Vicenza, Treviso e Belluno era diffusa la razza Tirolese, nel sud delle province di Padova e Rovigo si allevava la Pugliese, di origine Podolica, con corna a lira, e si cita la razza Friulana, dal mantello rosso, con occhiaie nere, che stava scomparendo, e che a partire dal 1870, per incrocio con vari ceppi di Simmenthal, diede poi origine alla Pezzata Rossa Friulana, dal 1984 denominata Pezzata Rossa Italiana. Infine, Faelli menziona due razze alpine, la Bellunese, da lavoro, con buona attitudine all’ingrasso, ma cattiva lattifera, simile alla Podolica, ma migliorata, e la Montanina delle Alpi venete, buona produttrice di latte, i cui bovini detti cengiaroi, erano di bassa statura. La Liguria secondo Faelli presentava soprattutto bovini di origine piemontese, al nord, podolica, al 156

confine con la Toscana, e reggiana, al confine orientale con l’Emilia, identificabili con la razza Pontremolese. Per l’Emilia-Romagna si cita la razza denominata Reggiana, Parmigiana, Piacentina o ParmigianaReggiana, a triplice attitudine, con grande importanza come lattifera, usato per la produzione di latte per il Parmigiano-Reggiano, grazie anche all’alto tasso di grasso, 4,5-4,8%, pur con una produzione di 4.500 kg per lattazione, più bassa di quella della Olandese e della Schwitz. Si descrive poi la razza di Bardi, considerata una derivata dalla Maremmana, e la Modenese o Carpigiana, entrambe ottime lavoratrici e produttrici di carne di ottima qualità. La razza Romagnola del piano, secondo Faelli “impropriamente chiamata Pugliese”, riconducibile all’odierna Romagnola, derivata dalla Maremmana o Romana, con ottima conformazione per la produzione di lavoro e carne. Per la Romagnola è citata la fattoria Torlonia di San Mauro (oggi San Mauro Pascoli), nell’entroterra riminese, diretta dall’ingegner Leopoldo Tosi, che esportava bovini all’estero, soprattutto in Russia. La tenuta era in passato diretta dal padre del poeta premio Nobel Giovanni Pascoli, Ruggero, assassinato nel 1867, come ricorda il figlio nella poesia “La cavalla storna” del 1903. In Toscana, secondo Faelli, esistevano due razze, entrambe di origine podolica, la Maremmana e la Chianina, ma citava anche altre razze, che considerava comunque riconducibili alla Maremmana, quali Val di Tevere, Val di Nievole, Val di Serchio, Volterra ed altre. La Maremmana è descritta con aspetto semi selvaggio, ottima per il lavoro, poco stimata per la carne, mentre la Chianina, ritenuta derivata dalla Maremmana tramite un più razionale sistema di allevamento, era “bella, buona e mansueta” e di “aspetto gentile e vivace”, con morfologia abbastanza simile a quella attuale, anche se con tratti da carne meno spiccati, visto che aveva ancora una prevalente attitudine al lavoro. In particolare Faelli descriveva sche-

letro voluminoso, groppa stretta e treno anteriore più sviluppato di quello posteriore (le immagini di un toro e di una vacca di razza di Val di Chiana, che accompagnano il testo, lasciano qualche perplessità sulla fedeltà della rappresentazione, NdA). Come visto, Faelli considerava la Chianina come possibile progenitrice della razza Charolaise. Infine, si menziona la razza Nera pisana, ritenuta di origine svizzera. Sono quindi descritte le razze dell’Umbria e delle Marche, di origine podolica, costituite da due popolazioni, della pianura e della collina. La prima aveva ottima attitudine al lavoro ed all’ingrassamento, a mantello bianco, per la forte influenza degli incroci con riproduttori chianini, tanto che, dopo un certo numero di generazioni, la razza Chianina avrebbe assorbito il tipo podolico originale. Sono segnalati animali di particolare pregio nei dintorni di Perugia. La razza della collina, diffusa sull’Appennino Umbro-marchigiano, è invece descritta come più vicina al tipo podolico, con lunghe corna, corporatura più tarchiata rispetto alla razza di pianura, pigmentazione apicale nera e mantello grigio, a causa del quale gli animali erano detti brini, brinotti o marini, e definiti adatti al lavoro, ma difficili da ingrassare. Per il Lazio è descritta una sola razza, indicata con il nome della regione, o anche come razza dell’agro romano, di derivazione podolica. Faelli riporta la tesi classica dell’introduzione del bestiame podolico da parte degli invasori barbarici dal IV al VI secolo, che avrebbe soppiantato il tipo primitivo romano, a mantello rosso e con corna piccole a mezzaluna. Il bestiame laziale è d’aspetto robusto e fiero, con grandi corna, treno anteriore molto sviluppato, più del posteriore, con groppa aguzza. Anche in questa razza si riferisce pigmentazione apicale nera e mantello grigio, fromentino nel vitello fino allo svezzamento. L’attitudine è per il lavoro con scarsa propensione all’ingrassamento e produzione lattea sufficiente solo Eurocarni, 10/17


per alimentare il vitello. Per Faelli la razza sarebbe suscettibile di miglioramento se solo fosse curata dagli allevatori. L’autore passa a descrivere le razze delle regioni meridionali adriatica e mediterranea, anche in questo caso considerate di origine podolica, divise in razza scelta di pianura, razza ordinaria della pianura e razza di montagna; le prime due note anche come razza Pugliese o di Basilicata. La razza scelta era diffusa nel Casertano, in Puglia e nel Saler­nitano, con mantello bianco argenteo, taglia elevata, treno anteriore più sviluppato, discreta produttrice di latte, ma non facile ad ingrassare. La razza ordinaria della pianura è descritta come meno migliorata della precedente, diffusa in Puglia, Basilicata, nel Casertano e nel Napoletano, con mantello tra biancastro e grigiastro, statura molto alta, lunghe corna, arti muscolosi, ma groppa stretta e cadente. Questi bovini erano resistenti al lavoro, buoni produttori di latte ma meno facili all’ingrassamento della razza scelta. La razza di montagna è presentata come ottima per il lavoro, mediocre per carne e latte, a mantello grigio, con lunghe corna, diffusa sulle montagne dell’Avellinese e di Abruzzo, Basilicata, Calabria. La razza bovina della Sicilia nel 1881 contava, secondo una statistica citata da Faelli, 125.396 capi (al 31/07/2017 c’erano circa 350.000 capi), con una densità di 42,8 capi per mille abitanti, la più bassa d’Italia. È descritta con mantello rosso, corna molto lunghe, forme aggraziate e temperamento vivace. Si distinguevano tre sotto-razze: 1. la Modicana o Sciclitana di pianura, con statura anche di 170 cm, ma con scheletro pesante, 2. la razza dei Mezzalini di 150-154 cm; 3. la razza di montagna, con altezza di 146-150 cm, facile a ingrassare, con corna ridotte rispetto alle altre e buona produttrice di latte ricco di grasso. La razza della Sardegna, sempre secondo la statistica del 1881, contava 279.403 capi (al 31/07/2017 Eurocarni, 10/17

erano circa 265.000), con una densità di 409,6 capi per mille abitanti. La razza è descritta come molto eterogenea, tranne che sulle montagne, dove era più conforme al tipo sardo, e simile a quella dell’Appennino centrale. L’altezza al garrese era tra 120-125 cm, con scheletro poco voluminoso, mantello fromentino, spesso tigrato con sfumature brunastre, corna medio-lunghe e a forma di “s”, ottima attitudine al lavoro e scarsa alla produzione di latte e carne. Faelli cita incroci, nelle pianure più fertili dell’isola, con Schwytz, Friburghese, Siciliana e razza scelta di pianura piemontese. A conclusione della prima parte, dedicata ai bovini, Faelli inserisce un breve paragrafo sul bufalo (definito come “buffalo”), descritto come animale da lavoro diffuso nel centro-sud d’Italia, con carne poco apprezzata, e produzione di latte appena sufficiente per lo svezza­ mento del vitello. Non è menzionata la trasformazione del latte bufalino in formaggi. Andrea Gaddini Bibliografia C ozzi B. (1994), Faelli, Ferruccio. Dizionario Biografico de­ gli Italiani, Volume 44, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma. Denis B. (2010), Races bovines, Castor & pollux, Chaumont, France. Porter V. (2002), Mason’s World Dictionary of Livestock Breeds, Types and Varieties, CABI Publishing, Wallingford, UK. S añudo A stiz C. (2011), Atlas Mundial de Etnología Zootécnica, Servet, Zaragoza, Spagna. Siti consultati • Ministero della Salute • Banca Dati Nazionale, http:// statistiche.izs.it/portal/page?_ pageid=73,12918&_dad=portal Note Grazie al prof. Riccardo Fortina dell’Università di Torino, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, per la foto del prof. Ferruccio Faelli.



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MISURAZIONE DI POTENZA STORDITORI Il presente certificato conferma che lo strumento sottoindicato è stato testato ed è conforme alle specifiche tecniche richieste. Modello: Numero di Serie: Testato da: Firma: Data: Valido con decorrenza dalla data di emissione. Lo strumento richiederà un nuovo test entro la data sottoindicata. Test Successivo (Data):


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