Eurocarni 11-2018

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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIII N. 11 • Novembre 2018

FAKE MEAT, stop da produttori e scienziati La Filiera Uno Prosciutti di LEVONI Notizie dalla GDO

€ 5,42





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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910 Ufficio stampa e Media Partner

Comitato di redazione Gianni Mozzoni (Legacoop) – Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 New York, NY 10128 Tel. +1 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.

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QUALITÀ

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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero: Agenda

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Anteprima

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Naturalmente carnivoro

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Tendenze

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Tatuaggi e carne

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Attualità

“Fiorentina” patrimonio dell’UNESCO?

Alessandro Giorgetti 24

Fake meat, stop da produttori e scienziati

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La correttezza nei rapporti tra i clienti e i fornitori

Sebastiano Corona

28

Slalom

Pessimismo delle cassandre internazionali

Cosimo Sorrentino

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La carne in rete

Social meat

Elena Benedetti

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Aziende

Filiera Uno Prosciutti: la scelta della famiglia Levoni per le lunghe stagionature

Gaia Borghi

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La Garronese Veneta di Sartori

Gian Omar Bison

44

I salumi di pecora di Veneto Ovini guardano al mercato halal europeo

Roberto Villa

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A pagina 20.

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Gaia Borghi

Eventi

Il Consorzio del Bue grasso di Carrù ci mette la coccarda

Suinicoltura

Un cambio epocale per il comparto suinicolo nazionale

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Mercati

Ismea, le tendenze del settore suinicolo

56

Benessere animale

Suini a coda lunga: si parte con l’autovalutazione del rischio

Indagini

Siamo sicuri di sapere qual è la dieta più green?

70

Gli uomini di oggi più attenti al benessere. E a tavola scelgono il pollo

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Semplicità, l’ingrediente più prezioso

74

Perché scegliere il manzo irlandese

76

Notizie dalla GDO

78

Consumer & Retail Summit 2018

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Marketing

Retail news

Macellerie del mondo

De Laet & Van Haver

Macellerie d’Italia

Grande festa carnivora per il restyling della Macelleria Fontana

Giulia Mauri

Elena Benedetti

52

66

84 88

Macelleria Zanotelli, una storia d’altri tempi

Riccardo Lagorio

90

Meat blogger

Sacramento 2020: l’Italia chiamò!

Andrea Laganga

94

Meat franchising

Meat sounding: arriva in Italia il burger di Bill Gates e Di Caprio

Sapori dal mondo

Iran, il paese del kebab dal profumo di zafferano

Nunzia Manicardi 100

Sono 180 grammi, lascio?

Turn On The Bright Lights, Interpol

Giovanni Papalato 106

Nutrizione

Meatlessmonday, vezzo conformista

Alfonso Piscopo

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A pagina 76.

EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIII N. 11 • Novembre 2018

€ 5,42

FAKE MEAT, stop da produttori e scienziati La Filiera Uno Prosciutti di LEVONI Notizie dalla GDO

In copertina: filetti di manzo in cottura (photo © kucherav – stock.adobe.com).

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Cinghiale carne dei forti

Giovanni Ballarini 112

L’oca: l’animale attorno al fegato

Giorgia Fieni

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Ristoranti carnivori

Trattoria del Gallo: piatti ancestrali per un brivido di eterna giovinezza

Riccardo Lagorio

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Rassegne

Terra Madre Salone del Gusto edizione 2018, il futuro è donna

Gaia Borghi

122

Fiere

L’imballaggio all’alba della sua rivoluzione

Razze

Le Grigie greche della steppa

Andrea Gaddini

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La pagina scientifica

L’antibioticoresistenza

Giulia Mauri

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Tecnologie

I sei “ingredienti” per la trasformazione digitale

Memento

Al caro amico Mimmo Richeldi

Tiziano Parmeggiani 152

Statistiche

Macellazione del bestiame a carni rosse, 1o semestre 2018

Aurora De Santis

La carne in tavola

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A pagina 88.

A pagina 84. A pagina 24.

www.eurocarni-online.com 8

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AGENDA

Brisighella (RA) La cittadina di Brisighella, splendido borgo medioevale sulle colline in provincia di Ravenna, domenica 4 novembre ospiterà Le delizie del porcello. Nel corso della sagra il rito di un tempo si ripeterà fin dal mattino, offrendo al pubblico l’opportunità di vedere all’opera gli esperti norcini brisighellesi, in particolar modo nella preparazione dei saporiti ciccioli. L’appuntamento permetterà di assaggiare gustose specialità, dalla coppa di testa ai prosciutti, salsicce e salami anche di Mora romagnola, fino al dolce migliaccio, realizzato in origine utilizzando il sangue cotto del maiale. Novità di quest’anno: una grande griglia, sistemata in piazza Carducci, come nella tradizione della graticola romagnola, per esaltare i vari tagli di carne di maiale alla brace, costolette, pancetta e braciola. Inoltre verrà presentato il nuovo marchio di certificazione dei prodotti 100% Mora romagnola, che vedrà i produttori e i norcini associati illustrare il progetto di tracciabilità genetica della razza. www.brisighella.org

Bologna “Salute, benessere, obblighi normativi, redditività. La ricerca di un equilibrio quasi perfetto”: è questo il titolo della prossima edizione della Giornata della Suinicoltura, che si terrà mercoledì il 21 novembre presso il Centro Congressi di FICO Eataly World, a Bologna. Si tratta del quarto di una serie di appuntamenti che nelle tre date precedenti (Modena nel 2016, Montichiari nel 2017 e Bologna nella prima parte del 2018) hanno riscosso un notevole successo sia per gli argomenti proposti che per il prestigio dei relatori intervenuti, registrando una numerosa partecipazione da parte di tutti gli operatori della filiera. Oggi il tema del benessere animale è centrale e deve dare risposte ad un consumatore sempre più attento al rispetto animale e alla sostenibilità ambientale. Tra mondo produttivo e consumatore, quindi, va creata un’alleanza e non una contrapposizione, difendendo al contempo una competitività internazionale che continua a premiare l’agroalimentare made in Italy che, secondo i più recenti dati diffusi da NOMISMA, nel 2017 registrerà sull’anno precedente un incremento dell’export compreso tra il 7 e il 9%. Percentuali in cui la voce “salumi”, DOP innanzitutto, si impone come una delle più importanti. La Giornata della Suinicoltura offre quindi, ancora una volta, l’occasione per approfondire un tema che coinvolge non pochi e fondamentali aspetti del comparto suinicolo: dalla logistica all’aspetto sanitario dell’allevamento passando per l’impiantistica, dall’alimentazione al ruolo della GDO senza trascurare il rapporto con quella fetta di consumatori che guarda con scetticismo il settore dell’allevamento suinicolo intensivo. Un’occasione importante, dunque, di approfondimento e formazione che ha gettato uno sguardo maggiormente conoscitivo sulla situazione esistente in quei Paesi europei con cui la suinicoltura italiana si confronta sempre più costantemente. www.expoconsulting.eu/suinicoltura

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Parigi, Francia Con cadenza biennale la manifestazione fieristica ALL4PACK Paris propone un’offerta completa che risponde alla strategia d’integrazione del mercato e mette in evidenza tutta la forza dell’innovazione dell’ecosistema dell’imballaggio: materie prime, macchine per il process, l’imballaggio e il confezionamento, marcatura-codifica, imballaggi e contenitori, stampa degli imballaggi e etichette, macchine per l’imballaggio secondario, terziario e da spedizione. Ma anche l’insieme della filiera dell’intralogistica, gestione continua, sistemi automatizzati, prestazioni logistiche e sistemi informatici, stoccaggio & attrezzature per il magazzino, sollevamento, carrelli elevatori. L’appuntamento con l’edizione è dal 26 al 29 novembre a Paris Nord Villepinte (photo © Faust Favart). www.all4pack.com

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A Bologna, il 28 e 29 novembre, SG Marketing lancia il corso specialistico “Applicare il Category Management ai freschissimi. Organizzazione, gestione e valorizzazione delle categorie nei reparti ortofrutta, carne e ittico” Una visione evoluta del category management non può più avere come focus solo il “largo consumo” e i suoi scaffali ricchi di scatolame, nelle più svariate forme e dimensioni, ormai tutte presidiate e ben orchestrate. La gestione strategica degli spazi deve, e può, oggi, essere allargata anche ai freschissimi e a tutti i suoi comparti chiave, per arrivare a ottimizzare il punto di vendita e migliorare l’experience del consumatore finale. Per rispondere alle necessità di maggior governo e valorizzazione degli spazi dell’intero punto di vendita, SG Marketing, società di consulenza leader in Italia nella valorizzazione dei prodotti alimentari freschissimi, ha ideato il corso specialistico “Applicare il Category Management ai freschissimi. Organizzazione, gestione e valorizzazione delle categorie nei reparti ortofrutta, carne e ittico”. L’appuntamento si terrà il 28 e 29 novembre, dalle 9:00 alle 18:00, presso l’Hotel de la Gare a Bologna (piazza XX settembre, 2). Il corso, che intende supportare la collaborazione fattiva tra produzione e distribuzione, si rivolge ai professionisti di entrambe le realtà: responsabili marketing e qualità, responsabili commerciali, category manager, direzione acquisti, direzione vendite, responsabili canali, product specialist. L’incontro rappresenta il primo corso specialistico dedicato specificamente ai freschissimi ed è frutto di 25 anni di esperienza che SG Marketing può vantare nel settore: i suoi consulenti hanno adattato il classico modello di category management rivolto al “largo consumo” e lo hanno declinato per i comparti ortofrutta, carne, pesce, e le relative specificità. Il modello, sostenuto da una completa base teorica, prevede già una concreta implementazione, come verrà spiegato durante la giornata. Proprio per esplorare le possibilità del category applicate ai freschissimi, il corso prevede una sessione live di space allocation nella quale un esperto, utilizzando un software di gestione degli spazi, mostrerà ai presenti come intervenire sul planogramma, all’insegna dell’efficacia e dell’efficienza, per una maggior qualità espositiva (e una conseguente migliore vendibilità delle referenze). Testimonianze qualificate di professionisti del settore completeranno i contenuti della giornata, per supportare la concretezza e l’operatività e consegnare ai presenti strumenti di valore da poter subito adottare nelle proprie strategie. • •

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Info: www.sgmarketing.it Iscrizioni: www.sgmarketing.it/it/corsi/applicare-category-management-freschissimi#iscrizione

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ANTEPRIMA

L’alimentazione ha a che fare con il gusto, con l’autenticità e con i sensi. Questo è stato SIAL Parigi, svoltosi dal 21 al 25 ottobre scorso. L’edizione 2018 ha esplorato e delineato un’istantanea dei consumatori e delle tendenze dell’offerta alimentare di tutto il mondo. Anche nel mondo carne. Sul prossimo numero di Dicembre vi racconteremo tutto (photo © Eurocarni).

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NATURALMENTE CARNIVORO

Rappresentante di una famiglia di allevato allevatorii da ben quattro generazioni, Dario Perucca porta avanti con passione insieme ai genitori Francesco e Laura l’azienda Cerutti Laura Maria (che risale al 1905) a Trinità, nel Cuneese: 250 capi di razza Piemontese, allevati secondi i principi di una produzione ecosostenibile, cura e benessere degli animali e zootecnia biologica. Appassionato cultore del bue carrucese e della sua carne straordinaria, Dario è socio e membro del CdA del Consorzio di tutela del Bue grasso di Carrù di recente costituzione. Qui mostra con orgoglio la coccarda tricolore che distinguerà i buoi certificati mediante DNA ed etichettati dal Consorzio che parteciperanno alla storica fiera che a dicembre celebra il bianco “trattore” delle Langhe e che sono stati presentati al pubblico in occasione della 3a edizione della “Festa della carne” piemontese, svoltasi lo scorso 30 settembre sotto l’ala Borsarelli in piazza Mercato a Carrù. Eurocarni c’era: trovate l’intervista a Dario e le immagini della bella festa a pagina 52.

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La qualità Bioalleva nasce da una reale scelta biologica nel totale rispetto del territorio e della genuinità: la si ritrova già negli ampi spazi aperti, dove i nostri animali seguono i ritmi naturali del pascolo, liberi di muoversi su terreni privi di pesticidi, OGM o altre sostanze di sintesi. Inizia da qui un percorso in armonia con la natura, una filiera tracciabile e certificata, per portare in tavola prodotti buoni, sani e sicuri. Con il sapore della qualità vera.

Bioalleva s.r.l. Via C. Colombo, 1 | 37030 Vago di Lavagno (VR) T +39 045 8980943 - F +39 045 8980065 | info@bioalleva.it


TENDENZE Meat Vending Machines mania, si fanno largo i distributori automatici per la carne fresca

Un distributore automatico aperto a qualsiasi ora del giorno e della notte da cui acquistare manzo, maiale e pollo. Non soltanto tramezzini, snack confezionati e succhi di frutta in bottiglietta ma anche quindi, e soprattutto, carne di primissima qualità. Tutto questo succede a Stone Ridge, nello stato di New York, dove JOSH APPLESTONE ha deciso di dotare la sua APPLESTONE MEAT COMPANY (applestonemeat.com) di un distributore automatico di carne fresca. L’idea strizza l’occhio alle celebri macchinette in grado di distribuire veri e propri pranzi comparse nella Grande Mela nei primi anni ‘90. Come ha spiegato lo stesso Josh, che ha trasformato da qualche tempo la sua macelleria in un ambiente con atmosfere vintage, in cui “l’esperienza” del cliente ha un ruolo di primo piano, questo distributore non è pensato solamente per chi viene sorpreso da improvvise e incontrollabili voglie di hamburger alle 4:00 del mattino, ma soprattutto per i lavoratori, che devono poter acquistare per sé e le proprie famiglie una carne di eccellenza indipendentemente dall’orario in cui possono dedicarsi alla spesa. Così, procedendo al pagamento e selezionando un semplice numero, è possibile acquistare salsicce e petti di pollo sottovuoto che la macchinetta provvede a erogare come un semplice pacchetto di patatine. Ovviamente il distributore in questione provvede a mantenere la carne alla corretta temperatura di conservazione e viene rifornito quotidianamente. La soluzione ideale per avere sempre a disposizione tutto il necessario per una grigliata sopraffina. Anche in Italia sono già presenti distributori di questo tipo. Noi ne abbiamo avvistati recentemente due, uno a Marostica (VI), all’esterno della Macelleria Fontana dei fratelli Valter e Andrea, e l’altro a Valdaora (BZ), davanti all’ingresso di Meatery: Steak-away (fonti: GQ – UNAItalia).

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TATUAGGI E CARNE Carne di cervo, dal naso alla coda

Autunno, tempo di selvaggina. Come la carne di cervo della neozelandese MOUNTAIN VENISON, che lavora e commercializza tagli seguendo la filosofia nose to tail (dal naso alla coda) per limitare sprechi e utilizzare l’intero animale in modo etico e sostenibile. Dal tipico colore rosso intenso, ricca di ferro e povera di grassi, la carne di cervo è un ingrediente sempre più ricercato anche nei ristoranti del Belpaese. HENNING KVICK, blogger svedese di Meats for Chefs che seguiamo su Instagram (@kvicken71), la mette in risalto in abbinamento ad un bellissimo tatuaggio (photo © instagram.com/kvicken71).

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ATTUALITÀ

“Fiorentina” patrimonio dell’UNESCO? di Alessandro Giorgetti

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l di là delle quasi generalizzate espressioni di soddisfazione, non prive di elementi di sorpresa, la notizia delle iniziative intraprese per far entrare la Bistecca alla Fiorentina nel Patrimonio dell’UNESCO merita qualche riflessione. E non potrebbe essere altrimenti quando, come in questo caso, si tratta di un prodotto risultante da una filiera complessa nella quale sono coinvolte molte, e diverse, categorie di operatori. A monte, però, è necessario porsi la domanda se la Fiorentina si debba considerare un bene materiale o immateriale. La risposta non può che essere: “entrambi”, perché la “materialità” della Bistecca, taglio particolarmente pregiato del quarto posteriore, è innegabile. D’altra parte la stessa è frutto di una lunga tradizione culturale caratteristica di Firenze e, in parte, dell’intera Toscana, tradizione che non ha nulla da invidiare ad altre che, in diversi continenti, sono andate fregiandosi di questo riconoscimento in anni recenti. “Bene” anche immateriale dunque, che peraltro, al contrario di balli e canti di culture lontane, non credo corra il rischio di essere dimenticato, come non possono essere dimenticate Firenze e la Toscana. Ma torniamo alla “materialità” della Fiorentina. Nessuno può negare che la tradizione preveda l’impiego di bistecche provenienti da bestiame locale, in primo luogo di razza Chianina, sia per le oggettive caratteristiche di qualità, sensoriale e dietetica, delle carni provenienti da questa razza, che per le dimensioni del taglio, che non possono limitarsi a questioni di spessore (voce troppo spesso

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esagerata) ma esigono anche una superficie ampia, raggiungibile solo in razze di grandi dimensioni come la nostra. In seconda istanza possono essere considerate altre razze autoctone locali (Calvana in primis, Marchigiana, Romagnola, Maremmana) che, se non altro, condividono con la Chianina gran parte del patrimonio genetico e dei sistemi di allevamento e di alimentazione, nel pieno rispetto proprio delle tradizioni culturali che si intende valorizzare. Non avrei perplessità sull’uso di lombate di Piemontese o di Limousine italiana, ma ne avrei sull’impiego di razze extracontinentali, non perché il risultato sia per forza mediocre (anzi, per esperienza posso dire che una Fiorentina fatta con un taglio di Angus può essere ottima) ma perché è “diverso” da quello delle nostre razze in termini di quantità e distribuzione del grasso, di composizione chimica e di aroma. Non dimentichiamo che la specificità è il primo vero requisito qualità di un prodotto alimentare e un prodotto che può essere tutto e il contrario di tutto non può essere di qualità e tanto meno fregiarsi di un marchio come quello in discussione, da alcuni considerato prestigioso. Totalmente da escludere sarebbero poi tutti i prodotti d’incrocio, al pari naturalmente delle carni provenienti da razze a prevalente attitudine lattifera, perché anche in questi casi il risultato, in termini di qualità sensoriale, è indubbiamente diverso da quello ottenibile con le nostre razze da carne. Da specificare, ed eventualmente codificare, anche il peso e soprattutto l’età alla macellazione che dovrebbe essere quella del

La Bistecca alla Fiorentina patrimonio dell’UNESCO: è questa l’idea del sindaco di Firenze Dario Nardella, che dichiara: «è un simbolo culturale, prima ancora che gastronomico, e fa parte di un patrimonio culturale immateriale»

classico vitellone italiano di 18 mesi, con piccole oscillazioni in funzione del tipo genetico, del sistema di allevamento e soprattutto del livello nutritivo adottato in fase di allevamento; età che la ricerca scientifica ha dimostrato la più idonea al raggiungimento di ottimi risultati in termini sensoriali (oltre che nutrizionali, in questa sede però meno importanti dei primi). Alla tradizione e alle produzioni locali dovrebbero inoltre essere ispirate le attrezzature e i combustibili per la cottura, in grado di influenzare fortemente le caratteristiche del piatto pronto per il consumo; e tutto ciò ovviamente significa altre ammissioni, esclusioni, regole, paletti. A questo punto potremmo anche chiederci se, con tutti i marchi e i disciplinari che già esistono, ci sia davvero necessità anche di un marchio UNESCO. Sicuramente la Fiorentina non ne ha bisogno ma, sempre che le cose siano fatte con serietà e competenza, in mezzo a certi altri “patrimoni dell’umanità” la Nostra farebbe la sua figura. Fonte: Accademia dei Georgofili www.georgofili.info

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T-bone steak (photo © VICUSCHKA – stock.adobe.com).

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Fake meat, stop da produttori e scienziati Dal Villaggio Coldiretti: il Ministero della Salute deve bloccarne la diffusione in attesa di colmare vuoti normativi e di conoscenze

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opo l’annuncio di un’imminente diffusione anche in Italia della carne in provetta e dell’hamburger sintetico, dal Villaggio Coldiretti, che celebra il primato della biodiversità alimentare italiana, produttori e scienziati chiedono al Ministero della Salute un immediato blocco: serve prima colmare i pesanti vuoti normativi e di conoscenze. Sul tema, lo scorso 5 ottobre, a Roma, si sono confrontati in un workshop ELISABETTA BERNARDI, nutrizionista dell’Università di Bari, MARIA CARAMELLI, direttrice dell’Istituto Zooprofilattico di Torino, R OBERTO M ONCALVO , presidente di Coldiretti, e LUIGI SCORDAMAGLIA, AD di Inalca. Oltre alla questione della carne prodotta in laboratorio, al centro del dibattito si è posto anche il tema del meat sounding,

ossia l’utilizzo fraudolento di denominazioni commerciali tipiche di prodotti carnei per prodotti di origine vegetale. Il meat sounding è in contrasto con le indicazioni della Commissione europea, in base alle quali le informazioni per il consumatore non devono essere fuorvianti riguardo alle caratteristiche dell’alimento e, in particolare, alla sua natura e composizione (Reg. CE 1169/2011). Tra le motivazioni legate alle scelte veg, viene erroneamente evocato anche il presunto problema dell’impatto ambientale degli allevamenti. «L’allevamento nel mondo — ha spiegato Scordamaglia — ha un peso molto relativo: è all’origine del 15-18% delle emissioni globali* ed è assurdo quindi ignorare i veri responsabili della crisi climatica in

corso, come il settore dei trasporti e quello energetico, che, a differenza di vacche, polli e maiali, sono tanto dipendenti dai combustibili fossili da incidere sulle emissioni globali per un massiccio 65-70%. Inoltre, in Italia vantiamo uno dei modelli zootecnici più sostenibili del pianeta, anche grazie all’impegno fatto nel promuovere le buone pratiche. Senza considerare il contributo del settore zootecnico nel preservare paesaggi, territori, tradizioni e culture, come è dimostrato dalla “bellezza della campagna” portata in città dal Villaggio Coldiretti. Sarebbe molto importante che anche in Italia, come già accaduto in Francia o negli USA, si emanassero leggi per impedire l’uso fraudolento del termine “carne”: senza tali interventi normativi, sempre più spesso

“Hamburger” a base vegetale.

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verrà consentito di ingannare i consumatori, ai quali si potranno somministrare, in sostituzione di un prodotto naturale, alimenti di sintesi, artificiali e pieni di ingredienti chimici sostitutivi. Una presa in giro ancora più grave per chi volesse scegliere la carne di laboratorio per motivi etici o salutistici. Le cellule coltivate in vitro crescono infatti in brodi animali (con buona pace dei vegani) arricchiti di antibiotici e farmaci che stimolano la crescita cellulare». Suona sconcertante l’idea di introdurre carne da laboratorio mentre rischiamo di vedere estinti gli animali veri. «Negli ultimi dieci anni la fattoria Italia ha perso 1,7 milioni di animali fra mucche, maiali, pecore e capre», ha affermato Roberto Moncalvo. «Si tratta di un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili, dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, prati per il foraggio, formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado, spesso intere generazioni. Così si mette a rischio anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane, dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze italiane». Per Maria Caramelli, «la carne è oggi uno degli alimenti più controllati tra quelli che arrivano alle nostre tavole. La rete degli istituti zooprofilattici, in sinergia con i veterinari del sistema sanitario nazionale, con gli oltre venti milioni di esami all’anno, costituisce uno strumento di prevenzione unico al mondo. I controlli quotidiani sono governati dal principio di precauzione: prima di essere immesso sul mercato, un alimento deve aver dimostrato la sua sicurezza, cosa estremamente complicata per un prodotto di laboratorio. Ormoni e antibiotici ad uso preventivo sono proibiti da decenni nel nostro Paese e i controlli effettuati dimostrano che la tolleranza zero funziona: il 99% dei campioni

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Dal 5 al 7 ottobre il Villaggio Coldiretti ha fatto tappa al Circo Massimo, nel cuore di Roma (photo © roma.repubblica.it). esaminati per la presenza di residui (di farmaci o contaminanti) risulta a norma. Anche gli hamburger vegetali in commercio sono naturalmente sottoposti a controlli di sicurezza alimentare, ma per quanto riguarda l’eventuale aggiunta di additivi, singolarmente autorizzati e certificati come innocui, non è noto l’effetto sinergico dal punto di vista dell’impatto sulla salute». «Dobbiamo innanzitutto distinguere tra carne prodotta in laboratorio e i sostituti della carne» ha precisato Elisabetta Bernardi. «La carne prodotta in laboratorio parte da un prelievo di cellule dall’animale per ottenere una coltura in grado di autorigenerarsi. Per sette settimane le cellule vengono nutrite con nutrienti (amminoacidi, carboidrati, vitamine, minerali), fattori di crescita (ormoni), gas (O2, CO2), in un ambiente fisico-chimico regolato (pH, pressione osmotica, temperatura). Poi si raccoglie quello che si presenta come un miotubulo, e ce ne vogliono circa 10.000 per arrivare ai 10 miliardi di cellule di un hamburger. Ma per migliorare consistenza e aspetto si aggiunge pangrattato, caramello, succo di rapa rossa, zafferano. Per produrre il primo hamburger sono stati necessari 250.000 euro. Si stima che la carne di laboratorio, quando verrà prodotta su larga scala, costerà 60-70 euro al kg. Dal punto di vista nutrizionale, la carne può essere paragonata a quella tradizionale per

il contenuto in proteine, ma per i micronutrienti come ferro e zinco, o la vitamina B12, potrebbero essere qualitativamente inferiori. E poi dobbiamo scordarci della bistecca, semmai pensare più ad un hamburger, e dimenticare anche quel sapore che spesso risiede proprio nella parte grassa, o nel tessuto connettivo, che per il momento non è previsto che accompagni le fibre muscolari artificiali. I sostituti della carne sono un miscuglio di ingredienti vegetali scelti per simulare la consistenza e il sapore della carne. Le proteine, in quantità più o meno simile, derivano o dai piselli o dalla soia. Ma per migliorarne il gusto e la consistenza vi si aggiunge olio di cocco, arrivando a un apporto di grassi saturi superiore a quello di un hamburger tradizionale. È aggiunta poi anche una sostanza, la legemoglobina, per avere un contenuto di ferro adeguato e un sapore “metallico” simile a quello della carne, e una grande quantità di additivi, il cui effetto sinergico non è stato ancora studiato. Insomma, per le caratteristiche nutrizionali, la sicurezza, i costi, teniamoci la nostra cara bistecca, nelle giuste quantità, per preservare così ambiente e salute». Note * www.nbcnews.com/think/opinion/can-vegetarians-save-planet-why-campaigns-ban-meatsend-wrong-ncna896811

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La correttezza nei rapporti tra i clienti e i fornitori Da sempre, il tema delle pratiche commerciali sleali turba gli animi dei diversi soggetti che compongono la filiera agroalimentare. Dopo vari tentativi è ora l’Unione Europea a voler trovare una disciplina comune che tuteli gli anelli più deboli e riporti equità nei rapporti commerciali di Sebastiano Corona

È

una questione tanto delicata quanto sentita e coinvolge ogni ambito del comparto sino ad arrivare al consumatore finale. Ci sono contesti in cui il problema è più grave ma, in generale, la questione investe tutti gli Stati Membri e a tutti i livelli. Stati che, negli ultimi anni, hanno provveduto

— dove più, dove meno —, a dotarsi di una legislazione propria che, oltre a non portare sempre risultati apprezzabili, ha generato un quadro ampio e variegato che in un mercato comune non fa che contribuire a creare disparità di trattamento e confusione. Il legislatore italiano ci aveva provato col famoso articolo

62 del DL 24 gennaio 2012 n. 1, introducendo, tra le altre cose, dei termini di pagamento perentori. Non hanno fatto meglio altri Stati, alcuni dei quali sono completamente privi di normativa specifica o hanno disposizioni molto deboli e inefficaci. Nella Politica Agricola Comune (PAC) è specificamente

Le pratiche commerciali sleali sono oggetto di interesse della Commissione europea che si pone l’obiettivo di trovare una disciplina comune che tuteli gli anelli più deboli della filiera agroalimentare (photo © Kzenon – stock.adobe.com). 28

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Il meglio della

C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).

“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio

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Nella filiera dell’agroalimentare il settore primario risulta il più svantaggiato nei rapporti commerciali attuali. Nel complesso, il danno stimato causato dalle pratiche commerciali sleali a carico di agricoltori e cooperative ammonterebbe ad oltre 10 miliardi di euro l’anno (photo © Dominique Vernier – stock.adobe.com). prevista la possibilità per gli Stati Membri di imporre contratti scritti tra agricoltori, trasformazione e distribuzione. In materia di pesca si è andati verso il rafforzamento di alcuni soggetti della filiera, sostenendo le organizzazioni di produttori. Ci sono poi norme che riguardano produzioni specifiche come latte, olio di oliva, carni bovine e seminativi, che sono dirette alla riduzione degli squilibri di potere tra agricoltori e altri operatori della filiera. Ma siamo ancora decisamente lontani

da quella condizione di legalità ed equilibrio che molti invocano da tempo. Le norme europee sulla concorrenza — disposizioni non specificamente riferite al comparto agroalimentare — avrebbero una loro valenza, se non si applicassero unicamente in caso di abusi di posizione dominante e di pratiche anticoncorrenziali. Moltissimi operatori si trovano infatti in una posizione di indubbia forza, ma non possono essere considerati dominanti e per

Nella proposta di direttiva è previsto che gli Stati Membri si dotino di un’autorità pubblica di contrasto, col compito di far rispettare la norma in ambito nazionale, svolgere indagini su richiesta e di propria iniziativa, comminare sanzioni e pubblicare le proprie decisioni e i nomi dei trasgressori. Viene altresì incoraggiata la cooperazione tra le diverse autorità di contrasto ed è lasciata agli Stati Membri la facoltà di mantenere o adottare norme più rigorose rispetto a quelle comunitarie

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questo sono esclusi dall’ambito di applicazione della legge. Allo stesso modo, anche la Direttiva 2011/7/ UE sui ritardi di pagamento si è dimostrata ininfluente. Pur stabilendo che le imprese devono pagare entro un massimo di 60 giorni, infatti, consente che il termine possa essere diversamente concordato nel contratto, qualora la deroga non sia gravemente iniqua per il creditore. Necessità di una norma comune Considerata l’eterogeneità di trattamento di problematiche uguali — inaccettabile se si considera che tutti operano nello stesso mercato — è evidente la necessità di un intervento legislativo deciso. Sollecitazioni che si ripetono negli anni hanno portato la Commissione europea a valutare un’ipotesi di direttiva (Com 2018 173) presentata nell’aprile scorso e che, nel momento in cui scriviamo, non ha ancora visto definitivamente la luce. Di una norma comune si sente una gran necessità, tanto più che le pratiche sleali si traducono nei

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comportamenti più disparati e fantasiosi, sempre a danno dei soggetti deboli e, in ultimo, del consumatore finale e dei lavoratori. Inoltre, in certi contesti in cui si annida anche la malavita, condizioni commerciali sempre più incalzanti rischiano di gettare le basi per fenomeni delinquenziali e inaccettabili come lo sfruttamento dei lavoratori e il caporalato. Tra le pratiche di cui gli operatori si lamentano di più vi sono le modifiche unilaterali e retroattive ai contratti, relative a volumi, standard qualitativi e prezzi. Seguono l’annullamento all’ultimo minuto di ordini relativi a prodotti deperibili e i termini di pagamento superiori ai 30 giorni; l’obbligo di contribuire al pagamento di spese promozionali o di marketing; la risoluzione unilaterale di un rapporto commerciale senza alcuna giustificazione oggettiva; la richiesta di pagamenti anticipati per garantire o conservare i contratti; l’obbligo di risarcimento per prodotti scartati o non venduti. E molto altro ancora. Queste politiche commerciali sbilanciate a favore del soggetto più forte sono possibili e frequenti perché il panorama imprenditoriale europeo dell’agroalimentare è rappresentato prevalentemente da aziende di piccole o medie dimensioni, con una concentrazione importante nella trasformazione alimentare e nel commercio al dettaglio. In questo scenario, le

grandi aziende, pur limitate nel numero rispetto al resto del tessuto imprenditoriale, detengono un potere spropositato e lo usano a proprio ed unico vantaggio. Produttori agricoli più vulnerabili È la stessa Commissione Europea nella proposta di direttiva a denunciare uno spostamento, negli ultimi anni, del potere di contrattazione verso il commercio al dettaglio — dove esiste anche una certa concentrazione di imprese transnazionali — a scapito dei fornitori, soprattutto di quelli del settore primario. I produttori agricoli sono infatti particolarmente vulnerabili, perché raramente dispongono di un potere contrattuale pari o simile a quello della controparte commerciale e perché hanno l’ulteriore problema della deperibilità immediata del prodotto a peggiorare la situazione. Nel complesso, il danno stimato causato dalle pratiche commerciali sleali a carico di agricoltori e cooperative ammonterebbe a oltre 10 miliardi di euro l’anno, con un’incidenza dello 0,5% del fatturato delle imprese. Queste ed altre considerazioni, hanno portato la Commissione europea a valutare l’introduzione di un livello minimo di tutela comune, che comprenda un elenco di pratiche commerciali sleali totalmente vietate e un elenco di pratiche ammesse, se concordate in

termini chiari e univoci, al momento della conclusione dell’accordo di fornitura. Nel primo sono contemplati i pagamenti tardivi per i prodotti alimentari deperibili; la cancellazione degli ordini all’ultimo minuto; le modifiche unilaterali o retroattive ai contratti; l’obbligo imposto al fornitore di pagare per gli sprechi generati dal distributore. Nelle altre è permesso, sempre che ci sia accordo tra i due soggetti, che l’acquirente restituisca al fornitore i prodotti alimentari invenduti o che imponga un pagamento per garantire o mantenere un accordo di fornitura relativo a prodotti alimentari. Così come è ammesso, nel caso, che il fornitore sostenga i costi legati alla promozione. Nella proposta di direttiva è altresì previsto che gli Stati Membri si dotino di un’autorità pubblica di contrasto, col compito di far rispettare la norma in ambito nazionale, di svolgere indagini, sia su richiesta che di propria iniziativa, di comminare sanzioni e pubblicare le proprie decisioni e i nomi dei trasgressori. Viene altresì incoraggiata la cooperazione tra le diverse autorità nazionali di contrasto ed è lasciata agli Stati Membri la facoltà di mantenere o adottare norme più rigorose rispetto a quelle comunitarie. La Direttiva ha lo scopo di tutelare i soggetti economici di piccole e medie dimensioni, i

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Pratiche sleali si possono rilevare anche da parte dell’industria alimentare sulla Grande Distribuzione Organizzata (photo © Иван Жданов – stock.adobe.com). produttori agricoli — comprese le relative organizzazioni, come le cooperative — e altre piccole e medie imprese fornitrici della filiera, come venditori al dettaglio, trasformatori di prodotti alimentari e grossisti. In merito all’oggetto delle transazioni, deve invece trattarsi di “prodotti alimentari”, ossia i prodotti agricoli ad uso alimentare elencati nell’allegato I del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), inclusi quelli della pesca e dell’acquacoltura, nonché i prodotti agricoli trasformati ad uso alimentare (che non rientrano nel citato allegato I) ma sono commercializzati lungo tutta la filiera alimentare. Una certa attenzione è data al fatto che le pratiche commerciali sleali non sono sempre stabilite in un contratto scritto e possono verificarsi in qualsiasi fase del rapporto commerciale, anche a posteriori, dopo la conclusione di un contratto. Tra le disposizioni degne di nota, oltre quelle già citate, vi è la possibilità che un fornitore presenti una denuncia all’autorità di contrasto dello Stato Membro in cui ha sede

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l’acquirente sospettato di avere attuato una pratica commerciale vietata. Inoltre, a tutela del singolo, anche le organizzazioni o associazioni di produttori possono presentare una denuncia. Deve essere l’autorità di contrasto a garantire la riservatezza sull’identità del denunciante, se da lui appositamente richiesto. Questo elemento è importantissimo, considerato che difficilmente un’impresa denuncia un suo cliente nella paura delle conseguenze che ne potrebbero derivare in termini commerciali. La direttiva — se approvata —integra, senza sostituirlo, il codice di condotta volontario del settore privato Supply Chain Initiative (SCI – Iniziativa della catena di approvvigionamento) e all’articolo 6 disciplina i poteri che gli Stati Membri sono tenuti ad assicurare alle autorità di contrasto: avviare indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia; chiedere agli acquirenti e ai fornitori di produrre tutte le informazioni necessarie al fine di effettuare indagini; adottare una decisione che constati la violazione dei divieti di pratiche commerciali

sleali e imporre all’acquirente di porre fine alla pratica commerciale vietata. E ancora, gli Stati Membri potranno imporre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e che tengano conto della natura, della durata e della gravità della violazione pecuniaria, all’autore della stessa. Potranno altresì prevedere ulteriori norme volte a combattere le pratiche commerciali sleali, che vadano al di là del livello minimo garantito dall’Unione. La proposta è senza dubbio valida, ma mostra margini di miglioramento. Si potrebbe, per esempio, ipotizzare un’estensione al settore florovivaistico e alla mangimistica. Un altro elemento dibattuto è l’ipotesi di applicare la norma a tutti i fornitori della GDO. Il problema, infatti non dipende dalle dimensioni dell’azienda, ma dai rapporti di forza che si possono creare nella relazione commerciale. Paradossalmente ci possono essere pratiche sleali anche da parte dell’industria alimentare sulla Grande Distribuzione Organizzata. Sebastiano Corona

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Meet the Lamb: Il sapore della nostra terra Con la campagna di informazione e promozione della carne ovina, Meet the Lamb: è sottolineata la qualità superiore della carne ovina, parte integrante del patrimonio alimentare europeo è potenziato il settore dell’allevamento ovino, pilastro della tradizione rurale europea, dall’antichità fino ai nostri giorni è promosso l’allevamento tradizionale che si basa sull’alimentazione naturale del bestiame è valorizzata la produzione con pratiche sicure e tracciabilità, secondo gli standard dell’U.E. è evidenziato il ruolo di tutti i componenti della filiera, dall’allevatore fino al macellaio.

Meet the Lamb: un progetto europeo dell’Organizzazione Nazionale Interprofessionale di Carne (ΕΔΟΚ)

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Pessimismo delle cassandre internazionali di Cosimo Sorrentino

I

n vista del varo della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza — che non è ancora il documento definitivo che dovrà contenere cifre e dettagli precisi —, si è scatenata una reazione fortemente negativa da parte di osservatori ed organismi internazionali, con profezie il più delle volte particolarmente faziose e anche arroganti. Non sono, altresì, mancate le reazioni negative da parte della stampa e degli ambienti nazionali, uniformatisi a quelli internazionali con toni rancorosi e ingiustificati. Ha cominciato l’agenzia di rating Fitch, la più piccola (ma non la meno importante) delle “tre sorelle” del magnate HEARST (le altre due sono Moody’s e Standard & Poor’s) che non hanno mai riscosso la nostra simpatia, in quanto società private non sempre obiettive nei loro giudizi nonché fonti di improvvide ed errate previsioni annunciate all’inizio della grande crisi che abbiamo attraversato. Tuttavia, sul piano internazionale, il loro giudizio viene tenuto in grande considerazione e, non si comprende bene per quale motivo citato come verità assoluta di fatti economici presenti e futuri. In quest’ultima occasione, l’opinione sull’Italia, pur essendo rimasta negativa, è stata meno pessimistica di quanto ci si potesse aspettare: siamo rimasti fermi a BBB, ma con un outlook da stabile a negativo; inoltre, non sono state evitate le preoccupazioni per l’andamento della nostra economia. Secondo Fitch, il PIL nominale dell’Italia è destinato a chiudere l’anno a quota 1,8, cioè uno 0,2% al di sotto dell’obiettivo fissato dal governo. Di conseguenza, il rapporto tra deficit e prodotto

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Laurence Boone. interno potrebbe salire, eccedendo di più di un punto la richiesta europea di riduzione pari ad almeno lo 0,6%. Non è stata meno tenera nei nostri confronti neppure l’OCSE, che con le sue previsioni intermedie ha ipotizzato il taglio delle stime di crescita, suggerendo anche di evitare di disfare la legge Fornero sulle pensioni. Secondo detta organizzazione, la crescita del PIL italiano subirà un ribasso, quest’anno, dal +1,4% all’1,2%, confermando il +1,1% nel 2019. L’Italia viene pertanto invitata, dal capo economista dell’OCSE, a continuare sulla strada delle riforme avviate dal precedente governo, allo scopo di “preservare la fiducia degli imprenditori, ma anche la fiducia sulla sostenibilità del debito pubblico italiano”. Per maggiore informazione dei nostri lettori facciamo notare che

l’invito viene dato dall’economista LAURENCE BOONE, ex consigliera dell’ex presidente francese HOLLANDE; il che fa nutrire dubbi sulle sue valutazioni, forse non solo di natura economica. Del resto, il rallentamento della crescita non riguarda solo l’Italia e il +3,7% raggiunto dal PIL globale costituisce il picco; quindi una riduzione sembra inevitabile. Pesano le tensioni sugli scambi commerciali e sui rischi finanziari che si stanno accumulando. Per adesso, comunque, le stime si limitano a un taglio minimo rispetto alle previsioni di maggio scorso: –0,1% punti quest’anno e –0,2 punti per il 2019; stessa ultima percentuale anche per l’area euro, dopo il +2,5% del 2017, anche a causa della Brexit. La situazione consiglia ulteriori riforme fiscali e bancarie e l’uscita dal Quantitative Easing a un “ritmo

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più graduale” da parte della Banca Centrale Europea. Quest’ultima istituzione non ha mancato di far sentire la sua voce solenne e ha inteso sgombrare l’illusione di essere pronta a coprire “scelte avventuristiche” del governo sul bilancio pubblico, che non può più avere alibi nell’assumere pienamente le proprie responsabilità verso il Paese e verso l’area monetaria di cui l’Italia fa parte. Per quanto concerne la politica monetaria, la BCE non ha modificato la linea di normalizzazione graduale e non è cambiata la valutazione della congiuntura, sebbene anche la stessa BCE abbia corretto al ribasso le proiezioni di crescita per quest’anno al 2% e all’1,8% nel 2019, mentre risulta invariato il dato dell’1,7% per il 2020; vengono peraltro confermate le stime dell’inflazione di 1,7% nei tre anni. Dal fronte europeo non sono certo mancati i “corvi”; il commissa-

rio all’economia MOSCOVICI e quello al bilancio OETTINGER hanno battuto la loro azione con fastidiosa offesa, il primo sostenendo di volersi «concentrare sull’Italia perché l’Italia è un problema», il secondo ribadendo con ostinazione che l’Italia «deve rispettare il tetto del 3% nel rapporto deficit/PIL» e, a proposito del debito, «non è buona cosa farlo salire ancora». Queste affermazioni hanno portato vari osservatori e competenti economisti del nostro paese a commentare che detti commissari sarebbero caduti nell’angoscia, nel timore, forse, di perdere il loro potere all’interno della UE, anche in vista delle prossime scadenze elettorali, che potrebbero rivelarsi molto innovative per quanto riguarda assetti politici, economici e culturali, come del resto era nelle aspirazioni dei padri fondatori. Nonostante i tanti falsi profeti, attualmente l’economia del nostro

paese si presenta diversificata e capace di fornire valore aggiunto alla nostra produzione; il sistema pensionistico è relativamente in equilibrio e il peso del debito, pur essendo alto, non si estende al settore privato. Le nostre esportazioni sono diminuite del 2,1% nel corso del primo trimestre 2018, ma la nostra economia resta competitiva e supportata da un costo del lavoro rimasto inalterato. Tanta aggressività nei confronti dell’Italia, secondo il nostro avviso, si può giustificare col timore che, a breve, si possano modificare quelle corrispondenze biunivoche che fin qui hanno consentito a un gruppo di potere, stretto intorno all’asse franco-tedesco, di guidare l’Europa anzitutto nel loro interesse e a spese di partner più deboli, non rappresentati in modo adeguato nelle sedi eurocratiche. Cosimo Sorrentino


LA CARNE IN RETE

Social di Elena

1. Il made in Italy agroindustriale Agrifood Monitor (www.agrifoodmonitor.it), nata come iniziativa di NOMISMA in partnership con Crif, è una piattaforma sull’agribusiness italiano che mette numeri e competenze a disposizione di imprese e policy makers, proponendo soluzioni di market intelligence a supporto dello sviluppo strategico del business nella filiera agroalimentare, facendo rete con la business community con cui condivide conoscenza sui mercati e supportando l’interpretazione delle sfide dello scenario competitivo globale (photo © freshidea – stock.adobe.com).

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2. Idee per la tua bottega Si può girare il mondo andando alla ricerca degli esercizi commerciali più belli e suggestivi stando comodamente sul divano? La risposta è sì. Basta seguire The_Shopkeepers su Instagram (instagram.com/the_shopkeepers) e, insieme ad altri 100.000 followers, lasciarsi contaminare da idee e suggestioni tra caffetterie, antichi forni, salumerie e botteghe. Stupendo!

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meat Benedetti

3. Una macelleria di qualità, anche on-line Bello il sito web di Primizia Macelleria di Qualità, la macelleria con tre punti vendita, a Mira (VE), Dueville e Caldogno (VI), che lavora carne fresca e preparazioni di giornata. Primizia Macelleria di Qualità offre carne bovina, equina, suina, ovina e pollame di prima scelta, proveniente da aziende ed allevamenti selezionati, con controlli di filiera rigorosi. www.macelleriaprimizia.it è un ottimo biglietto da visita che fornisce informazioni sui prodotti freschi e sui pronti a cuocere. Bravi.

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4. Dario Bressanini, divulgatore scientifico Vi suggeriamo di seguire le Instagram Stories di DARIO B RESSANINI (instagram.com/dario.bressanini), chimico, divulgatore scientifico e saggista italiano che, attraverso il canale social più in voga del momento, ogni giorno nelle micropillole video demolisce dicerie sull’agroalimentare e lavora per far passare il messaggio che nulla va banalizzato e comunicato superficialmente. Anche quando si parla di proteine animali! È suo il libro “La Scienza della Carne. La chimica della bistecca e dell’arrosto”.

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Dal 1950, il meglio dal mondo La BERVINI PRIMO nasce nel 1950 da una tradizione famigliare come bottega per la lavorazione delle carni. Proseguendo nella propria crescita in termini di qualità e servizio alla clientela, crea le condizioni per estendere la propria offerta inserendosi nel mercato sia nazionale che internazionale come azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni refrigerate e congelate di diverse specie animali consolidandosi negli anni. Da anni offriamo carni porzionate e confezionate skin pack e recentemente offriamo la linea gourmet di bistecche, macinati e “hamburger” con carni provenienti dal mondo. Importatrice e distributrice anche di altri prodotti congelati, quali articoli ittici e verdure surgelate, oggi l’azienda è in grado di fornire una ricca, diversificata e qualificata offerta di prodotti e un servizio accurato al mercato del catering e retail in Italia come all’estero.


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AZIENDE

A San Daniele del Friuli (UD)

Filiera Uno Prosciutti: la scelta della famiglia Levoni per le lunghe stagionature di Gaia Borghi

F

iliera Uno è innanzitutto il nome di un progetto del Gruppo Alcar Uno di Castelnuovo Rangone (MO), realtà leader a livello nazionale nel settore della lavorazione della carne suina di proprietà della famiglia Levoni. Filiera Uno significa gestione e controllo diretto della filiera, dall’allevamento dei suini nazionali

leggeri passando per la trasformazione delle carni nei salumi della tradizione italiana, con la garanzia di una qualità e tracciabilità controllata direttamente dalla società. Nel concetto di “filiera”, Filiera Uno Prosciutti rappresenta il settimo stabilimento di proprietà di Alcar Uno dedicato alla produzione di prosciutti crudi, in modo specifico

prosciutti a lunga stagionatura: prosciutti crudi di San Daniele DOP 18 mesi e oltre, prosciutti nazionali 16 mesi e prosciutti fuori dal circuito DOP. «Tre anni fa, nel 2015, abbiamo rilevato questo stabilimento da un concordato del Gruppo Brendolan» mi racconta LORENZO LEVONI, alla guida del Gruppo modenese insieme ai fratelli Luca e Leonardo

La particolarità dello stabilimento Filiera Uno Prosciutti è quella di essere dedicato alle lunghe stagionature. La capacità produttiva è di 600.000 prosciutti in stagionatura.

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dopo che il padre Sante, fondatore di Alcar Uno e figura di spicco nel settore della salumeria, si è ritirato dall’attività. «Lo abbiamo ristrutturato completamente a livello di impiantistica, adattandolo in base a quelle che sono le nostre tecnologie ed esigenze produttive, un reparto alla volta, perché non potevamo fermare la produzione. Il reparto disosso che era già presente è stato riattivato mentre è stato aggiunto il settore dedicato specificatamente all’affettamento del prodotto. La capacità del reparto di stagionatura arriva fino a 600.000 prosciutti». Lo stabilimento, 20.000 m2 coperti, è sito a San Daniele del Friuli (UD), su di un’area di 11 ettari circa. Disposto su tre piani, occupa una cinquantina di persone tra assunzioni dirette e indirette. «Al momento dell’acquisto l’impianto era già in possesso delle principali certificazioni nazionali (IFS, BRC) e di quelle necessarie per l’esportazione dei prosciutti praticamente in tutto il mondo» continua Lorenzo. «UE, USA, Canada, Argentina, Brasile, Sudafrica, Russia, Cina, Giappone, Hong Kong e Australia. La quota produttiva destinata all’export è del 30% e il contenuto di servizio fornito da questo stabilimento è totale: prosciutti in osso, senza e affettati, oltre all’abilitazione per la produzione di prosciutto crudo biologico (100% organic)». «L’elevata qualità di prodotto si deve anche alla grande esperienza del direttore di stabilimento GIANPAOLO BOLZONELLO, che occupava questo ruolo anche nella passata gestione» aggiunge LEONARDO LEVONI. «Non abbiamo un nostro brand ma come Alcar Uno ci siamo focalizzati da sempre sul servizio dell’industria italiana e straniera» puntualizza Lorenzo. «Il concetto che portiamo avanti oggi come azienda è appunto quello di “filiera”: ciò significa che tutti i prosciutti sono realizzati dalle cosce di animali che alleviamo nelle aziende del Gruppo o che provengono da allevamenti controllati direttamente da noi, questo a favore di una tracciabilità e di una sicurezza totale per la nostra clientela.

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In alto: Lorenzo Levoni e Gianpaolo Bolzonello, direttore dello stabilimento Filiera Uno Prosciutti. In basso: Leonardo Levoni con Gianpaolo Bolzonello, e i componenti dello staff del prosciuttificio di San Daniele.

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1) il logo di Filiera Uno Prosciutti che richiama quello del progetto Filiera Uno, concept che guida le attività del Gruppo Alcar Uno a garanzia di un prodotto italiano allevato e lavorato secondo la tradizione. 2) L’accurata selezione e il rifilo delle cosce. 3) La camera bianca. 4) L’esterno dello stabilimento. Per offrire prodotti adeguati alla crescente consapevolezza e attenzione dei consumatori in tema di benessere animale, inoltre, abbiamo creato il progetto Wellbeing secondo il quale il nostro impegno inizia dalla selezione delle materie prime certificate e prosegue con

investimenti consistenti fatti negli impianti di sezionamento e stagionatura del Gruppo per adeguarci ai restrittivi standard in campo bio e dell’animal welfare». Impegno da cui derivano prestigiose certificazioni e la produzione di prosciutti crudi Bio/Organic,

prosciutti crudi ABF (Antibiotic Free), da allevamenti in cui gli animali crescono senza l’ausilio di antibiotici fin dalla nascita, prosciutti crudi AW (Animal Welfare), da allevamenti impegnati nel rispetto del benessere animale, e ABF&AW. Gaia Borghi

Alcar Uno, l’arte di lavorare la carne suina: prodotti personalizzati al fine di soddisfare le singole esigenze Alcar Uno nasce alla fine anni ‘50 nel cuore dell’Emilia-Romagna dove l’arte di fare salumi ha radici millenarie e la lavorazione delle carni suine assume un ruolo centrale, un valore che si tramanda di padre in figlio. Il suo fondatore, Sante Levoni, con la collaborazione dei figli, ha guidato la società fino alla sua affermazione tra i più grandi gruppi alimentari italiani, con una capacità di 300.000.000 kg di carne fresca lavorata in un anno. L’attività principale dell’azienda è la lavorazione dei quartini posteriori (15.000.000 all’anno), provenienti da macelli selezionati. Grazie ad una struttura flessibile, il Gruppo risponde alle esigenze delle industrie salumiere offrendo una vera e propria personalizzazione sartoriale dei tagli. La Divisione stagionati è specializzata nella stagionatura e nel disosso di prosciutti crudi, prosciutti di Parma e di San Daniele Dop e speck non affumicati. Stabilimenti produttivi innovativi e rispetto del sapere tradizionale sono garanzia di qualità e pregio del prodotto. >> Link: www.alcaruno.it

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La Garronese Veneta di Sartori di Gian Omar Bison

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a Garronese Veneta è un marchio registrato. Risponde ad un sistema di allevamento e alimentazione dei bovini francesi da ingrasso di razza Blonde d’Aquitaine codificato in un disciplinare pensato e brevettato dalla SARTORI CARNI di Brenzone (VR). Dall’iniziale acquisto dei baliotti direttamente in Francia all’avvio recente della linea vacca-vitello con l’acquisto del seme da riproduzione, passando attraverso un’alimentazione a secco, priva di insilati e recentemente addizionata di farina di castagna (siamo in zona Marrone di San Zeno DOP) tutto il sistema poggia su una convinzione. «Parliamo di una razza geneticamente versata all’accumulo di carne di qualità — sottolinea CARLO SARTORI, ventinovenne figlio di Luigi, ingegnere dell’industria alimentare — con una fibra muscolare sottilissima

La Garronese Veneta è una carne molto pregiata in quanto è costituita da fibre muscolari particolarmente sottili, che le conferiscono una delle proprietà più ricercate dai consumatori, ovvero la tenerezza

e che per questo, anche priva di una marezzatura importante, resta comunque molto tenera». Ma la Garronese è anche un bovino complesso da allevare. «Ha qualche difficoltà nella gestazione e nel parto — evidenzia Carlo — ma soprattutto, come caratteristica, ha l’apparato broncopolmonare leggermente sottosviluppato al punto che tenderebbe spesso ad avere problemi di respirazione e tosse. E per questo bisogna stare sempre molto attenti a coprirle, che non prendano colpi d’aria, che non si

bagnino. Questo ci ha costretto a mettere mano all’allevamento da un punto di vista strutturale con tende e barriere antivento che si aprono e chiudono automaticamente». Nel laboratorio di porzionamento attiguo alla macelleria le maestranze lavorano per fornire mezzene alle otto macellerie convenzionate ed autorizzate per la rivendita di Garronese Veneta e sezionano per le HO.RE.CA. (non per la Grande Distribuzione Organizzata), e quindi per la ristorazione; per quest’ultimo segmento vengo-

Capi di Garronese Veneta della Sartori Carni di Brenzone (VR). La quasi totalità dei capi nasce nella zona dei Pirenei, da dove partono per essere poi trasferiti in Italia a termine dello svezzamento (5/6 mesi).

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no trattate anche altre razze bovine di cui acquistano i tagli anatomici. Facendo un passo indietro, «tutto nacque con nonno Carlo — ricorda l’omonimo nipote — nel 1955 quando decise di avviare una piccola macelleria periferica. La prima evoluzione avvenne con l’acquisto nel 1981 della nuova macelleria con annesso macello, poi chiuso a cavallo degli anni Novanta per diventare un laboratorio dove oggi lavorano sedici unità». Sempre tutto a Brenzone, un comune di 16 frazioni comprese tra il lago di Garda e il Monte Baldo (la cui cima più alta — Cima Valdritta — raggiunge i 2.218 metri di altezza). Carlo, mancato pochi anni fa, ebbe due figli, Luigi e Giannantonio, entrati molto giovani in azienda. A loro si deve l’avvio negli anni Novanta dell’attività all’ingrosso rivolta agli HO.RE.CA. come il progetto, partito nel 2008, della Garronese Veneta in concomitanza col fallimento di un macello dal quale i Sartori acquistavano le mezzene. «A quel punto — ricorda Carlo — ci siamo rivolti direttamente ad un allevatore fornitore del macello offrendoci di acquistare tutti i capi e da li tutto ha avuto inizio. E abbiamo intrapreso l’attività di allevamento con la classica soccida che tutt’ora prosegue: acquistiamo gli animali, il seme e gli alimenti e facciamo allevare da un professionista terzo. I vitelli si ingrassano fino all’età di 20 mesi circa, per quanto il minimo da Disciplinare sarebbero 15 mesi. Ad oggi, tra fattrici (17 capi al momento) e vitelli, ristalliamo circa 500 bovini». Il prossimo passo sarà l’ampliamento e l’ammodernamento del laboratorio per aumentare i quantitativi di carne lavorabile. «Un investimento impegnativo ma del quale siamo convinti. La certezza è che continueremo a restare dove siamo. È qui che vogliamo fare impresa e dare lavoro». Il negozio ad oggi si presenta con un banco di carni rosse che vanta una selezione di suino italiano, scottona, Garronese Veneta e vitello bianco veronese, e un reparto di carni bianche con prodotti dell’azienda italiana Club dei Galli, che produce pollame e tacchini nel

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Gli animali vengono nutriti con alimenti prevalentemente secchi tra cui: mais, orzo, soia non OGM, polpa di barbabietola di prima estrazione e fieno di foraggio. Centro Italia. «In collaborazione con loro si sta lavorando per prossima vendita di pollame certificato antibiotic free». Non manca l’ampia selezione di salsicce, salamini, cotechini di suino e di Garronese Veneta (l’Altro cotechino) e würstel, tutti prodotti in azienda. A questo si aggiunge il reparto pescheria inserito nel 1990 con pesce fresco proveniente sia dal vicino Lago di Garda che dal mare Adriatico. «Non ho mai pensato di fare un altro lavoro — sottolinea Carlo — perché c’è la passione di fondo. È così anche per le mie due mie cugine, Emma e Vera, figlie di Gianantonio rimaste in azienda per seguire la parte amministrativa». Per quanto riguarda l’utilizzo del marchio e del disciplinare di produzione pensate di aprirlo ad altri produttori? Costruire un consorzio e concedere il brand a tutti i consorziati? «No! Vogliamo aprire ad altri allevatori motivati a produrre secondo il capitolato di produzione, ma mantenere l’esclusiva proprietà del marchio». Gian Omar Bison Sartori Carlo e Figli Sas Via XX Settembre 19/21 37010 Brenzone sul Garda (VR) Web: www.sartoricarni.com www.garroneseveneta.it


Amadori investe 36 milioni in Abruzzo: la regione è uno dei punti cardine per lo sviluppo dell’azienda cesenate Amadori ha annunciato che da qui al 2022 sono previsti investimenti in Abruzzo per oltre 36 milioni di euro, dedicati in particolare al potenziamento dell’automazione in stabilimento, all’ampliamento delle capacità produttive, allo sviluppo degli impianti di lavorazione dei sottoprodotti e al costante aggiornamento del parco allevamenti di proprietà. L’azienda di Cesena è presente in regione con due stabilimenti produttivi, un incubatoio e un consolidato parco allevamenti. Solo nello stabilimento di Mosciano S. Angelo (TE), fra il 2015 e il 2017 sono stati già investiti 18 milioni di euro ottenendo importanti risultati a livello produttivo e logistico, oltre a migliorare anche l’assetto urbanistico dell’area, con un nuovo parcheggio e una nuova viabilità intorno allo stabilimento. «Oggi Amadori occupa in Abruzzo oltre 2.200 dipendenti, con un trend di crescita che solo negli ultimi vent’anni è stato di circa il 140%» ha dichiarato il direttore generale Francesco Berti. «Sono dati che testimoniano lo stretto rapporto di fiducia che abbiamo saputo instaurare nel tempo coi nostri consumatori e la proficua collaborazione con tutti i territori in cui il Gruppo opera. In Abruzzo siamo presenti sin dagli inizi degli anni ‘80 e qui abbiamo costantemente accresciuto la nostra attività. I nuovi investimenti previsti nei prossimi anni confermano il ruolo strategico di questo territorio nei nostri piani di sviluppo, crescita e innovazione» (fonte: © World Food Press Agency; in foto, Francesco, Flavio e Denis Amadori).

I primi 50 anni del Big Mac all’insegna della solidarietà Correva l’anno 1968 ed era il 20 settembre quando McDonald’s introdusse il Big Mac in tutti i suoi ristoranti degli Stati Uniti, un prodotto che avrebbe cambiato non solo la storia dell’azienda, ma quella dei consumi globali, e che ha compiuto quindi 50 anni. Fu l’imprenditore americano di origini italiane Jim Delligatti, che gestiva un McDonald’s in Pennsylvania, ad avere l’intuizione di raddoppiare il “semplice” hamburger creando una combinazione tra le due fette di carne, il pane ricoperto di sesamo, le cipolle, i cetriolini sottaceto, il formaggio, la lattuga e la salsa speciale. L’innovazione venne poi inserita in tutti i ristoranti McDonald’s degli Stati Uniti al prezzo di 45 centesimi di dollaro. Il panino divenne un’icona e come tale viene celebrato in un museo in Pennsylvania, a “lui” dedicato in occasione del 40o compleanno, dove svetta una statua del Big Mac alta più di 4 metri. McDonald’s ha festeggiato il genetliaco del Big Mac organizzando un compleanno speciale, all’insegna della solidarietà: la notte del 20 settembre il panino, infatti, è stato venduto, a coloro i quali sono registrati all’app McDonald’s, al prezzo di 50 centesimi. Tutti i ricavi sono stati poi donati in beneficenza alla Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald, che ogni anno aiuta migliaia di bambini malati e le loro famiglie che si trovano a dover affrontare cure e degenze lontano da casa. Oggi il Big Mac viene venduto in oltre 100 Paesi nel mondo ed è apprezzato ogni anno da più di 20 milioni di Italiani. È entrato nell’immaginario collettivo grazie al cinema e all’arte e anche gli economisti di Wall Street gli hanno reso omaggio coniando l’espressione “Big Mac Index”, in cui il panino — scelto come riferimento per la sua accessibilità universale — si trasforma in uno strumento di comparazione del potere di acquisto nelle varie nazioni del mondo. In Italia è prodotto da INALCA, fornitore di carne per McDonald’s da oltre 20 anni, solo con carni provenienti da allevamenti nazionali e un sistema che permette di risalire in sole 3 ore alla stalla, alla data e al luogo di macellazione dell’animale. Tra le regioni che apprezzano di più il Big Mac c’è la Lombardia, con un consumo medio giornaliero medio di 12.834 panini, il Piemonte, con 9.156 e l’Emilia-Romagna con 5.720 (fonte: © World Food Press Agency).

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100% qualità Bovillage 100% il gusto che ami 100% selezione La carne Bovillage proviene da vitelloni di razze da carne selezionate*, frutto del know how e

della tradizione dell’allevamento francese, per offrire un rendimento e una conformazione ottimali.

100% soddisfazione Il capitolato Bovillage è stato creato per ottenere una carne che gli italiani apprezzano per il colore a crudo, il sapore, la tenerezza e la succosità.

100% servizio Una marca adatta alle esigenze di mercato che offre un prodotto di qualità costante e un approvvigionamento regolare, garantito solo dalle migliori aziende francesi. * di cui almeno uno dei due genitori è di razza da carne

Bovillage Informa Un approvvigionamento di qualità costante La ricchezza, la qualità e la varietà dell’allevamento francese unite al savoir-faire e all’organizzazione che lo caratterizza, permette di realizzare una selezione permanente delle carcasse in conformità al disciplinare del marchio Bovillage, in modo da assicurare ai clienti una carne di qualità costante e un approvvigionamento regolare tutto l’anno. La carne Bovillage può essere venduta in carcasse o confezionata sotto vuoto. Le carcasse sono sezionate e disossate e i muscoli destinati alla commercializzazione sotto forma di carne sezionata sono generalmente confezionati sottovuoto per garantire le migliori condizioni igieniche e di conservazione. La tecnica del condizionamento sottovuoto permette di allungare la durata di conservazione dei prodotti alimentari stabilendo una barriera all’ossigeno, fonte di degrado delle proteine, dei lipidi e dei carboidrati ad opera dei batteri e/o degli enzimi naturalmente presenti negli alimenti. Gli alimenti deperibili si mantengono quindi freschi più a lungo perché lo sviluppo di microrganismi è ridotto. Le carni Bovillage confezionate sottovuoto presentano logicamente un colore più scuro, quasi marrone, rispetto alla carne fresca. Questa alterazione di colore risulta dal cambiamento dello stato del pigmento responsabile del colore rosso della carne. Con il confezionamento sottovuoto, il pigmento passa dalla forma ossigenata rosso vivo alla forma ridotta rosso scuro-marrone. Questo non significa che la carne sia andata a male, anzi, le qualità nutrizionali e gustative rimangono assolutamente inalterate. Prima dell’utilizzo, è necessario aprire il sottovuoto e lasciare riposare la carne per permetterle di riossigenarsi. Nel giro di un’ora la carne ritroverà naturalmente il suo colore iniziale.

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I salumi di pecora di Veneto Ovini guardano al mercato halal europeo di Roberto Villa

I

titolari della Veneto Ovini — ANDREA, LUCA e DAVIDE MORANDI — sono tre giovani, il più anziano dei quali ha trentacinque anni, ma l’azienda agricola che guidano è arrivata con loro alla terza generazione. Forti dell’esperienza accumulata dai genitori e dai nonni, e con un occhio orientato al mercato, i tre imprenditori hanno impresso all’azienda di famiglia una svolta: se prima l’allevamento era indirizzato prevalentemente alla vendita di carni e formaggi all’ingrosso, ora è stata valorizzata la produzione

grazie alla macellazione dei propri capi ed alla trasformazione in salumi delle carni. La storia di tre generazioni e la salvaguardia dell’ambiente L’azienda, con sede ad Anguillara Veneta, in provincia di Padova, alleva circa 2.000 capi ovini; il pascolo degli animali avviene prevalentemente in terreni lungo gli argini dell’Adige, tra le province di Padova e di Rovigo, ed è la modalità di allevamento preferita dai titolari, che ne sostengono l’alto

valore ambientale: gli animali al pascolo non necessitano che di poche risorse, mentre contribuiscono a mantenere il territorio pulito, sgombro da rovi e arbusti che ne impedirebbero l’utilizzo. Un progetto al quale l’azienda sta partecipando consiste nel far pascolare le pecore su un terreno coperto da pannelli fotovoltaici, che non sarebbe altrimenti utilizzabile anche per la presenza di cavi interrati nel suolo a pochi centimetri di profondità che non lo rendono lavorabile da mezzi meccanici.

L’azienda Veneto Ovini è situata nella Bassa Padovana, ai confini con la provincia di Rovigo. L’attività di pascolo viene svolta lungo gli argini del fiume Adige e nelle campagne limitrofe.

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Carne bovina e ovina di Alta QualitĂ ottenuta da risorse sostenibili Dawn Meats, fondata nel 1980 a Waterford nel sud dell’Irlanda, è cresciuta in modo costante ďŹ no a diventare oggi una delle principali realtĂ produttive irlandesi, con stabilimenti anche in Inghilterra, Scozia e Galles. Dawn Meats è rimasta fedele ai principi dell’impresa familiare ed al suo radicamento agricolo, con una forte attenzione all’innovazione ed alla sostenibilitĂ , ponendo un

costante impegno nel miglioramento della qualitĂ e del servizio al cliente.

Dawn Meats fornisce carne bovina in osso di scottona e vitellone e carne ovina in osso, nonchĂŠ la gamma completa dei tagli anatomici sottovuoto. Produce inoltre hamburger congelati da carni di razze pregiate e piatti pronti slow cooked, disponibili sia in formato retail che food service.

Dawn Meats considera il mercato italiano uno dei piĂš importanti ed è un fornitore di riferimento per gli acquirenti di carne bovina ed ovina. L’uďŹƒcio commerciale di Parma è stato creato appositamente per essere vicino alle esigenze dei clienti e consolidare partnership solide e durature.

DMS S.r.l , Via De ANicis O 43036 E: dms@dawnmeats.com / sales@dawnmeats.com

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1) Prosciutto di pecora. Dopo la selezione delle cosce, il prosciutto è salato ed insaporito con erbe aromatiche. Una volta pulito, sgrassato e conciato, viene messo a stagionare. Incredibilmente ricco di profumi, è uno spuntino perfetto. 2) Fiocchetto di prosciutto di pecora. 3) Sella di pecora. 4) Salame di pecora prodotto con 60% carne magra di pecora e 40% pancetta di maiale. Parte del gregge, nei mesi estivi, viene portato in alpeggio alla Malga Faverghera, sull’altipiano del Nevegàl nel Bellunese, periodo nel quale si producono degli ottimi e profumati pecorini. Le razze allevate sono caratterizzate da una spiccata rusticità, come la Bergamasca e la Biellese, e ben si adattano ad essere lasciate al pascolo per la maggior parte dei mesi dell’anno, con un ricovero in stalla limitato ai mesi più freddi. Completano il quadro imprenditoriale di Veneto Ovini la fattoria didattica (con molte attività a favore di studenti e famiglie, come la mungitura, la tosatura delle pecore) e l’Agriturismo Corte Bonicella, situato tra Venezia e il Delta del Po. Carni e salumi di pecora L’azienda produce agnelli, agnelloni, pecore e castrati sia per la

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macellazione sia per la vendita come capi vivi ai fini di allevamento. La vendita dei prodotti avviene presso il punto vendita aziendale, con consegne a domicilio nel Veneto e anche on-line sul sito. Tra le carni fresche sono disponibili su prenotazione l’agnello pasquale di 7-8 kg e il castrato di circa 25 kg, entrambi venduti sezionati (spalla, coscia, costolette) e confezionati sottovuoto. I salumi di pecora spaziano dal prosciutto al fiocco, al lonzino, ai salami, alla sopressa, alle salamelle (queste ultime nella versione 100% carne di pecora e con pancetta suina) e sono prodotti da artigiani locali selezionati. La sella è fatta con una parte della spalla, tenuta in una concia di sale, spezie, aromi per 20 giorni e successivamente asciugata per

circa 15 giorni; si presenta molto magra con poche nervature e di un rosso rubino intenso. La bresaola è prodotta seguendo un processo di salatura simile, partendo da porzioni della coscia ovina; dopo l’insacco si svolge una stagionatura di circa due mesi a temperatura controllata per ottenere il prodotto finito che pesa da 1,5 a 2 kg. Molto saporiti e al tempo stesso delicati il fiocchetto di prosciutto e il prosciutto intero di pecora, prodotto con cosce selezionate per conformazione e peso, sottoposte a mondatura dal grasso in eccesso, salatura con aggiunta di erbe aromatiche, infine appeso a stagionare per un periodo variabile tra i 3 e i 4 mesi: il prodotto finito, caratterizzato per un’inconfondibile aromaticità e sapidità, pesa intorno ai 2 kg.

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Il mercato, italiano e non solo L’azienda offre prodotti del territorio sia come alimenti km 0 a ridotto impatto ambientale, anche grazie alle modalità di allevamento sopra descritte, sia come alimenti idonei a consumatori che non possono consumare carni suine. L’ottenimento della certificazione dell’Halal Italian Authority apre nuove prospettive per un mercato che, a livello europeo, è stimato in 65 milioni di persone. Proprio qui sta la novità introdotta dai giovani, con un’apertura alle nuove esigenze di un mercato che cresce a doppia cifra ogni anno e che anche in Italia vede numerosi esercizi commerciali come macellerie, kebab e negozi di alimentari gestiti da cittadini di fede islamica. Roberto Villa Allevamento Veneto Ovini Via Porcaro 1 35022 Anguillara Veneta (PD) Telefono: 347 0326458 E-mail: info@veneto-ovini.com Web: www.veneto-ovini.com

L’allevamento Veneto Ovini produce agnelli, agnelloni, pecore e castrati con due finalità: la produzione di carne e la vendita di bestiame da riproduzione selezionato per chiunque voglia iniziare questo tipo di attività.

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EVENTI

Terza edizione per la Festa della carne in terra di Langa

Il Consorzio del Bue grasso di Carrù ci mette la coccarda di Gaia Borghi

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ltro che firma! Il Consorzio per la promozione, la valorizzazione e la tutela del Bue grasso di Carrù (www.consorziobuegrassocarru.it), a quattro anni dalla sua costituzione, sui propri capi ha deciso di metterci una… coccarda. Rigorosamente tricolore, al centro il ritratto dipinto di uno splendido Bue grasso, come il logo scelto dallo stesso Consorzio, sarà posta sulla fronte degli animali che parteciperanno alla storica fiera che a

dicembre celebra da ben 107 anni la storia e le carni di questi splendidi animali. «Ma soltanto dopo la scelta della giuria» mi racconta DARIO PERUCCA, allevatore insieme alla propria famiglia in quel di Trinità (CN), membro del CdA del Consorzio di tutela, ma, soprattutto, grande cultore delle carni di bue piemontese. «Abbiamo deciso di identificare tutti i nostri capi e, dopo quattro anni di attività, quelli che presentiamo oggi sono i primi

buoi certificati integralmente dal Consorzio. Animali che hanno specifiche caratteristiche, che nascono e vengono allevati in un territorio delimitato e alimentati secondo le modalità ferree previste dal Disciplinare di produzione approvato dal Consiglio di amministrazione del Consorzio nel corso della seduta del 27 dicembre 2014. Dalla prima registrazione del capo devono trascorrere 48 mesi perché si possa definire “Bue grasso”, prima reste-

Luigi Monieri, dell’omonima macelleria di Lentate (MB) e Sebastiano Gallo, allevatore e presidente del Consorzio di tutela del Bue grasso di Carrù, con la carne del primo bue etichettato e certificato dal Consorzio macellato dallo stesso Monieri e servito in occasione della Festa della carne. 52

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rebbe solo un manzo. La castrazione viene effettuata dal veterinario, in anestesia e c’è l’immediato prelievo di sangue». Non è più quindi l’analisi del pelo che certifica la provenienza del capo, ma il DNA ricavato dal sangue animale. Quattro campioni, quattro gocce di sangue che vengono inviate rispettivamente al Consorzio (per la creazione di una Banca del sangue del Bue grasso di Carrù), alla ASL, all’APA-Associazione Provinciale Allevatori e, naturalmente, all’allevatore stesso. «Ad oggi sono 251 i capi certificati attraverso il DNA» prosegue Dario. «Una garanzia assoluta per l’acquirente del nostro prodotto, dal macellaio al ristoratore fino al consumatore finale, che ha la certezza di avere nel piatto la carne proposta dal menù». Il controllo del DNA del parte del Consorzio può avvenire anche sulla carne macinata. «Soltanto per le paste ripiene non è possibile, perché non c’è un quantitativo sufficiente» puntualizza Dario.

Solo bue alla Festa della carne Quale migliore occasione per presentare questi esemplari 100% certificati se non la terza edizione della Festa della carne? Organizzata dal Consorzio di tutela del Bue grasso e la fattiva collaborazione di alcuni ristoranti aderenti insieme alla Pro Loco cittadina, l’evento si è svolto a Carrù domenica 30 settembre. «Abbiamo pensato che almeno una volta l’anno quante più persone possibili debbano avere la possibilità di assaggiare la carne dei nostri animali ad un prezzo equo» mi dice Dario. «Con un contributo anche da parte del Consorzio, infatti, pagando soli 30 euro, oggi sederanno a tavola quasi 500 persone per un pranzo interamente a base di bue. La carne della razza bovina Piemontese è la più magra del mondo — continua Dario — con una qualità organolettica elevatissima, soprattutto per quanto riguarda il rapporto Omega-3/Omega-6. Una carne ottima, che fa bene alla salute insomma». Il primo bue etichettato

e certificato dal Consorzio era un animale di 51 mesi, del peso di 990 kg, proveniente dalla Cascina Battaglia di Clavesana. Acquirente e macellatore orgoglioso LUIGI MONIERI dell’omonima storica macelleria di Lentate sul Seveso (MB) facente parte del Consorzio. «Siamo in attività da oltre 40 anni» racconta Luigi. «La passione per questo lavoro me l’ha trasmessa mio padre e io l’ho trasmessa a mio figlio Matteo, che mi affianca in bottega e a cui sto insegnando a comprare i capi vivi, la base per fare questo mestiere come si deve. Quest’anno ho già acquistato 2 buoi e sei manzi dal Consorzio: una carne eccellente, il top di gamma, e nel Milanese è molto richiesta. Quando ho sezionato il bue che assaggerete oggi nelle diverse preparazioni degli chef ciò che mi ha colpito di più è stato il profumo di questa carne, marezzata al punto giusto, “grassa”, come dice il nome, nel senso di piena di sapore». L’essenza di un territorio. Gaia Borghi

1) I primi buoi certificati dal Consorzio di tutela del Bue grasso di Carrù. 2) Gli animali sotto il tendone montato nella piazza del mercato a Carrù dagli allevatori del Consorzio. 3) Dario Perucca e lo chef Marco Servetto, che ha diretto la brigata in cucina per la preparazione del pranzo a base di bue. 4) L’allevatore Giovanni Rocca con Zebù. Eurocarni, 11/18

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SUINICOLTURA

Dal 1o gennaio 2019 il benessere sarà un imperativo

Un cambio epocale per il comparto suinicolo nazionale

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er il comparto suinicolo nazionale la data del 1o gennaio 2019 rappresenta un enorme spartiacque tra il mondo di oggi e quello di domani. Scatterà proprio da quella data, infatti, la fase operativa del Piano d’azione richiesto dalla Commissione europea ai Paesi membri a seguito degli audit condotti nel novembre 2017 che, per quanto riguarda l’Italia, hanno rischiato di farci incorrere in una procedura di infrazione per il mancato rispetto della Direttiva 2008/120/CE. Il Piano, elaborato dal Ministero della Salute in collaborazione con il CReNBA (Centro di referenza nazionale per il benessere animale) di Brescia, ha previsto una fase di monitoraggio iniziata nel 2018 (il cui termine è fissato al 31 dicembre) attraverso la compilazione di una scheda da parte degli allevatori per individuare i fattori predisponenti episodi di aggressività tra i suini, in primis le morsicature. In base ai risultati ottenuti, e quindi dal 1o gennaio 2019, dovranno essere adottati tutti i miglioramenti necessari per implementare le condizioni di benessere in allevamento quali, ad esempio, la quantità e la qualità dell’alimento e dei materiali di arricchimento, i contesti strutturali e di pulizia, il comfort termico e la qualità dell’aria, gli spazi a disposizione, le condizioni di salute dei suini. Soprattutto, però, in porcilaia dovranno gradualmente essere introdotti piccoli gruppi di suinetti con la coda non tagliata al fine di verificare l’efficacia dei miglioramenti ambientali adottati rispetto al contenimento delle morsicature. In buona sostanza, la pratica del taglio della coda, operazione di routine non solo in Italia ma in

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Loris Alborali, responsabile della sezione Diagnostica dell’IZSLER di Brescia. numerosi altri Paesi europei ad eccezione della Finlandia, sarà consentita solo quando gli allevamenti dimostreranno di essere totalmente conformi a quanto prevede la normativa e soprattutto quando i servizi veterinari la riterranno inevitabile. Il preambolo era necessario perché quello che aspetta il settore suinicolo è veramente un cambio di passo epocale. E proprio per l’importanza che esso riveste non poteva che essere al centro di un evento ormai riconosciuto nella sua autorevolezza come la Giornata Internazionale della Suinicoltura, che Expo Consulting Srl ha organizzato per il 21 novembre prossimo presso il centro congressi di FICO Eataly World, a Bologna, a partire dalle ore 9:00. Il programma dell’evento prevede un parterre di relatori di fama internazionale che saranno coordinati da LORIS ALBORALI, responsabile della sezione Diagnostica dell’IZSLER di Brescia (Istituto zoo-

profilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna), nonché uno degli estensori delle Linee guida per la prevenzione del taglio della coda nell’allevamento suino dallo svezzamento all’ingrasso. A lui abbiamo rivolto alcune domande. Dottor Alborali, da un po’ di tempo il comparto suinicolo italiano gode di una buona redditività. Questo andamento viaggia di pari passo con l’adeguamento delle porcilaie a quanto prevede la normativa in materia di biosicurezza, benessere animale e riduzione del farmaco? «Nell’ultimo anno gli allevatori hanno avuto il meritato e tanto atteso adeguamento del prezzo del suino. È importante però che ora comprendano che questo è un momento di cambiamento fondamentale e che non è più sufficiente parlare di prezzo: per il futuro è invece indispensabile adeguare biosicurezza, benessere e consumo di farmaco agli standard

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richiesti dal consumatore. Si tratta di investimenti, ma soprattutto di un cambio di cultura e di visione. Mi riferisco in particolare alle minacce rappresentate dalla Peste suina africana, al problema del taglio della coda e all’eccessivo consumo di antimicrobici». In vista di un divieto, quello del taglio della coda, che diventerà operativo, qual è il percorso a cui sono chiamati gli allevatori? «La problematica del taglio coda rientra nel cambiamento appena espresso. Dopo l’audit UE il Ministero della Salute, le Regioni e gli Istituti zooprofilattici hanno fatto un grande lavoro per arrivare a una strategia nazionale e rispondere puntualmente ai quesiti posti dalla Comunità europea. Il Piano nazionale predisposto prevede che l’allevatore, negli ultimi mesi del 2018, attraverso la valutazione del rischio del singolo allevamento abbia la possibilità di capire i punti critici e migliorare le misure carenti con l’aiuto del proprio veterinario aziendale. Questo, a partire dal 2019, permetterà di interrompere il taglio coda in pochi gruppi di suini per verificare l’efficacia delle misure applicate». Quali sono, se esistono, i maggiori scogli che gli allevatori devono affrontare per adeguarsi a un sistema di produzione che richiede anche un cambio di mentalità? «Questo cambio di mentalità deve essere necessariamente accompagnato da un processo di formazione che deve coinvolgere l’intero sistema, inclusi i medici veterinari e gli allevatori. Lo scoglio principale è rappresentato proprio dalla disponibilità al cambiamento che tali figure devono dimostrare». • Giornata della Suinicoltura Salute, benessere, obblighi normativi, redditività. La ricerca di un equilibrio quasi perfetto MERCOLEDÌ 21 NOVEMBRE 2018 Centro Congressi di FICO Eataly World, Bologna >> Link: www.giornatadellasuinicoltura.it

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MERCATI

Nel 2018 nuove dinamiche del mercato suinicolo internazionale

Ismea, le tendenze del settore suinicolo

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el 2018 la produzione mondiale di carne suina dovrebbe registrare un aumento, dovuto principalmente all’espansione del mercato cinese (+2% rispetto al 2017), mentre il contributo degli USA e della UE sarà di minore rilievo. Anche la Russia sta aumentando la produzione di carne suina come conseguenza di una profonda ristrutturazione del settore (nel 2018 la crescita è stimata in un +3%). Il ritmo costante di crescita dell’economia mondiale sta spingendo la domanda di carne suina in molti Paesi e, allo stesso

tempo, i prezzi relativamente bassi dei mangimi continuano a garantire i margini dei produttori. L’impatto dell’aumento dei prezzi di mais e soia in Argentina — a causa del tempo caldo e secco — è stato piuttosto trascurabile sui costi di alimentazione. A ciò si aggiunge la fase di quiescenza delle principali malattie di interesse per il settore che, nonostante il persistere di alcuni focolai (peste suina africana in Russia, Ucraina, Europa dell’Est, e virus della diarrea epidemica suina in Corea e Canada), non dovrebbe incidere in maniera rilevante per

la produzione. Sul fronte della domanda si sottolinea, invece, una contrazione delle importazioni cinesi a seguito di una maggiore autosufficienza interna, con inevitabili ripercussioni sul mercato UE di cui la Cina rappresenta il primo Paese di destinazione dell’export. Focus sul mercato cinese La Cina, player fondamentale nel mercato internazionale della carne suina, sta procedendo alla ristrutturazione del settore suinicolo nazionale, allo scopo di modernizzare le strutture e la tecnologia degli alle-

Il ritmo costante di crescita dell’economia mondiale sta spingendo la domanda di carne suina in molti Paesi e, allo stesso tempo, i prezzi relativamente bassi dei mangimi continuano a garantire i margini dei produttori (photo © davit85 – stock.adobe.com).

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Eurocarni, 11/18


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La Cina, player fondamentale nel mercato internazionale della carne suina, sta procedendo alla ristrutturazione del settore suinicolo nazionale, allo scopo di modernizzare le strutture e la tecnologia degli allevamenti, per adeguarli alle nuove misure ambientali più restrittive. vamenti e per adeguarli alle nuove misure ambientali più restrittive. Si sta assistendo al passaggio verso un sistema di allevamento intensivo con grandi investimenti di capitale: molte aziende poco competitive sono costrette a chiudere anche in seguito al crollo dei prezzi mondiali e sta iniziando il periodo delle fusioni. In prospettiva, il settore suinicolo cinese si assesterà intorno a poche aziende molto grandi che condizioneranno tutto il mercato, influenzando anche le dinamiche internazionali. In questo contesto di potenziamento del settore suinicolo cinese, si inserisce la recente “guerra commerciale” tra USA e Cina, che, in seguito ai dazi imposti dal presidente TRUMP su acciaio e alluminio cinesi, ha portato all’introduzione di dazi da parte della Cina sull’importazione di molti prodotti americani, tra cui la carne suina e la soia (uno degli alimenti base della razione dei suini). Ad una prima analisi, molto probabilmente i dazi cinesi sulle

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carni suine americane non avranno grandi effetti, dal momento che l’aumento della produzione nazionale comporterà una stabilizzazione o riduzione delle importazioni di carne suina dagli USA.

Rallentamento dell’export UE Dopo i livelli record del 2016, le esportazioni europee sono diminuite nel 2017 di 2,6 milioni di tonnellate, a causa della riduzione delle spedizioni in Cina (–34%), solo in

Grafico 1 – Quote di produzione dei Paesi UE (n. di capi)

Fonte: elaborazione ISMEA su dati EUROSTAT (2017).

Eurocarni, 11/18


parte bilanciate dall’aumento delle esportazioni verso altre destinazioni come USA (+31%) e paesi asiatici (Filippine +21%), dove si sta registrando un significativo aumento della domanda di carne suina. In generale, la variabilità dell’euro e la concorrenza di molti competitor internazionali (USA, Canada, Brasile) stanno rendendo le attività dell’UE sul mercato mondiale più impegnative. Anche le esportazioni comunitarie delle frattaglie di carne suina sono state colpite dal crollo della domanda cinese (–16% in volume), peggiorando la bilancia commerciale europea, considerato che le frattaglie rappresentano il 50% del volume delle esportazioni di prodotti di origine suina verso la Cina e il 34% delle esportazioni del settore suinicolo UE (21% in valore). A dicembre 2017, la Russia ha rimosso il divieto sanitario sulle importazioni di suini vivi, carni suine e altri prodotti a base di carne suina provenienti dalla UE. Il governo russo ha dovuto accettare l’intervento della WTO, che aveva dichiarato illegale questo divieto alla luce delle norme commerciali internazionali. Nonostante ciò, l’embargo politico è stato esteso fino alla fine del 2018 e include anche frattaglie e lardo, bloccando ancora le esportazioni della maggior parte dei prodotti di origine suina dalla UE.

Macellazioni UE All’inizio del 2018 si è registrato un aumento della popolazione di scrofe (+1,4%), dopo le riduzioni osservate nei precedenti due anni. Il numero di suini da ingrasso nella UE è aumentato di 1,5 milioni di capi (+1,6%) e il numero di suinetti di 1,2 milioni (+3%), confermando un potenziale per la crescita produttiva. Infatti, secondo le stime della Commissione europea, nel 2018 la produzione di carne suina interna dovrebbe aumentare, seppure in maniera molto contenuta (+0,8%), a causa della pressione sui prezzi dovuti all’elevata disponibilità e alla forte competizione sui mercati d’esportazione. Nel 2017 le macellazioni sono calate in tutti i principali Paesi produttori di carne suina europei rispetto al 2016, come conseguenza della riduzione del numero di scrofe osservato in UE nei due anni passati. In totale, le macellazioni UE hanno registrato una riduzione dell’1,4% del volume (in capi) rispetto all’anno precedente, tendenza che si può osservare in maniera evidente anche per l’Italia, in cui la riduzione dei capi macellati nel 2017 raggiunge il –3,9%. Anche la Germania ha ridotto del 3,6% il volume dei suini macellati, mentre la Spagna, secondo maggiore produttore, mostra segnali di ripresa con un aumento delle macellazioni

pari al +1,2% rispetto al 2016. Tuttavia, in linea con la previsione di aumento della produzione UE per il 2018, nei primi mesi dell’anno tutti i principali Paesi UE produttori di carne suina (ad esclusione dell’Italia) hanno registrato un aumento delle macellazioni: tra gennaio e febbraio 2018 si osserva, infatti, una crescita del +4,4% dei capi macellati rispetto allo stesso periodo del 2017. L’elevata disponibilità dell’offerta europea, come conseguenza di minori esportazioni e maggiore produzione, ha comportato un calo dei prezzi interni dei suini da macello (leggeri e pesanti) a partire già dagli ultimi mesi del 2017. Ad aprile 2017 il prezzo medio UE per i suini pesanti ha registrato un calo tendenziale del 17,2%, mentre per i suini leggeri il deprezzamento è stato leggermente inferiore (–15%). Il mercato comunitario potrebbe ulteriormente appesantirsi a seguito di un possibile aumento delle importazioni di carne suina per effetto del CETA, sebbene gli effetti siano ancora poco visibili. Italia: rallentamento della crescita delle quotazioni all’origine Dopo la crescita che ha interessato i prezzi durante tutto il 2017, in Italia, nei primi mesi del 2018, l’andamento positivo delle quotazioni all’origine si è confermato

Grafico 2 – Dinamica esportazioni principali prodotti – var. % 2017/2016

Fonte: elaborazione ISMEA su dati ISTAT.

Eurocarni, 11/18

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Il principale mercato per il prosciutto cotto italiano resta la Francia, pur se nel 2017 Germania e Regno Unito abbiano continuato ad incrementare, in modo importante, le importazioni dall’Italia (photo © www.emanuelabava.com). soltanto per la categoria dei suini da allevamento. A fine 2017, l’indice ISMEA dei prezzi all’origine (base 2010) dei suini si attesta a +17% rispetto al 2016; tuttavia, già nella parte finale dell’anno si assiste ad una frenata, tanto che nell’aprile 2018 l’indicatore presenta una variazione negativa del 9% su base tendenziale. In particolare, la categoria che mostra il decremento più rilevante rispetto al 2017 è quella dei suini da macello, per cui, ad inizio 2018, l’indice perde 11,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2017. Per

quando riguarda l’indice dei suini da allevamento, con un +8,4% registrato nel periodo gennaio-aprile 2018, si dimostra l’unica categoria di suini per cui le quotazioni all’origine continuano a crescere anche rispetto al 2017. Durante il 2017 l’intero settore ha goduto del trend crescente delle esportazioni UE sostenute dalla forte domanda cinese, che insieme ad una riduzione dell’offerta nazionale ha portato ad un eccezionale aumento delle quotazioni di tutte le tipologie di capi. Il calo dei prezzi dei suini da macello, che

Tabella 1 – Mercato mondiale del “prosciutto cotto” (SH 160241) – Posizionamento dell’Italia Valore (000. €) Paesi

2016

2017

Var. % 2017/2016

Esportazioni mondiali

941.471

990.756

5,2%

Germania

216.136

226.815

4,9%

Italia

143.755

160.576

11,7%

Irlanda

99.162

126.017

27,1%

Polonia

99.106

100.689

1,6%

Stati Uniti

86.777

84.344

–2,8%

Altri paesi

297

292

–1,4%

Fonte: elaborazione ISMEA su dati IHS-GTA.

60

sta caratterizzando questa prima parte del 2018, conferma la forte dipendenza dall’estero del settore, che già risente della contrazione della domanda cinese, e testimonia un riallineamento dei prezzi alle quotazioni del 2016. Ad aprile 2018, il prezzo medio del suino pesante (156-176 kg) — principale specializzazione produttiva italiana, destinato principalmente all’industria di trasformazione di alta qualità (DOP) — risulta pari a 1,48 €/kg, registrando un calo del 10% rispetto allo stesso periodo del 2017. Si rileva un andamento simile anche per il prezzo del suino leggero (90-115 kg), destinato alla produzione di carni fresche, che nello stesso periodo ha assunto un valore medio di 1,60 €/kg (–8,9% rispetto al prezzo medio registrato nell’aprile 2017). Decisamente diversa la tendenza del prezzo all’origine dei suinetti (30 kg): infatti, nel corso del 2017, le quotazioni avevano avuto un’accelerazione al rialzo fino a raggiungere l’apice a giugno (+46% rispetto al prezzo di giugno 2016), per poi arrestarsi e andare incontro ad un’inversione di tendenza che ha comportato il calo dei prezzi fino a 6 punti percentuali (tra ottobre e dicembre 2017). Tuttavia, a inizio 2018, il prezzo all’origine dei suinetti ha ripreso a crescere, raggiungendo ad aprile la quotazione di 3,82 €/kg, pari a +2,4% rispetto al prezzo di aprile 2017. I prezzi all’ingrosso Per quanto riguarda i prezzi all’ingrosso dei tagli di carne suina industriale, l’andamento è diventato flessivo nell’ultima parte del 2017, e questa tendenza negativa si sta confermando anche nei primi mesi di quest’anno. In particolare, ad aprile 2018, i prosciutti freschi destinati alle produzioni tipiche registrano un calo delle quotazioni, sia su base tendenziale che su base congiunturale. Per le cosce pesanti (12-15 kg) il prezzo si è ridotto dell’8,1% su base tendenziale e del 5,8% su base congiunturale; stessa dinamica per le cosce leggere (1012 kg), le cui quotazioni subiscono

Eurocarni, 11/18



Tabella 2 – Esportazioni italiane di “prosciutto cotto” per paese di destinazione Valore (000 euro) Paesi

Quantità (t)

2016

2017

Var. % 2017/2016

Paesi

143.755

160.576

11,7%

Export totale

Francia

31.875

36.249

13,7%

Germania

23.995

28.864

20,3%

Spagna

23.436

24.780

5,7%

Regno Unito

15.052

17.864

18,7%

Altri paesi

49.397

52.818

6,9%

Export totale

Var. % 2017/2016

2016

2017

24.483

26.235

7,2%

Spagna

7.436

7.669

3,1%

Francia

4.543

5.118

12,7%

Germania

3.550

3.714

4,6%

Regno Unito

1.785

2.571

44,0%

Altri paesi

7.169

7.163

– 0,1%

Fonte: elaborazione ISMEA su dati IHS-GTA.

una caduta pari al –6,7% rispetto ad aprile 2017 e pari al –4,8% rispetto a marzo 2018. La dinamica delle quotazioni del lombo di Modena, dopo l’abbassamento del prezzo deciso d’ufficio dalla CUN nel gennaio 2017 per adeguamento alla realtà commerciale di questo taglio, è stata abbastanza altalenante: nel 2017, il calo della quotazione media rispetto al 2016 è stato decisamente pesante (–25%) e il prezzo di aprile 2018 (3,33 €/kg), in flessione del 9,8% rispetto all’aprile 2017, testimonia ancora una certa oscillazione delle quotazioni anche durante gli ultimi mesi del 2017 e i primi del 2018. Nel periodo gennaio-aprile 2018, il prezzo del taglio della spalla disossata mostra una certa stabilità rispetto allo stesso periodo del 2017 (–0,3%), e in questi primi mesi dell’anno si sta attestando sulle quo-

tazioni medie registrate prima delle buone performance avvenute durante il 2017. Sebbene l'andamento dei tagli non sia stato brillante nel corso del mese di aprile, tuttavia, con l’avvicinarsi dei mesi estivi, è attesa una maggiore positività, soprattutto per i tagli da barbecue, tradizionalmente maggiormente richiesti con le migliori condizioni climatiche e con l’avvio della stagione turistica. I costi di produzione Dopo un importante calo negli ultimi mesi del 2017, la voce di costo dei suini da allevamento ha ripreso a salire: infatti, come già osservato in precedenza, i suinetti sono la categoria produttiva per cui è stato più evidente l’aumento di prezzo. L’indice ISMEA dei mezzi correnti di produzione (base 2010) relativo alla voce “animali di allevamento” a mar-

Tabella 3 – Mercato mondiale del “salsicce e salami stagionati” (SH 160100) – Posizionamento dell’Italia Valore (000. €) Paesi

2016

2017

Var. % 2017/2016

3.821.852

4.100.167

7,3%

Germania

617.098

651.017

5,5%

Stati Uniti

495.191

505.321

2,0%

Italia

417.583

444.522

6,5%

Spagna

376.952

414.863

10,1%

Polonia

259.707

300.058

15,5%

1.655.320

1.784.385

7,8%

Esportazioni mondiali

Altri paesi Fonte: elaborazione ISMEA su dati IHS-GTA.

62

zo 2018 assume il valore di 165,6 (in crescita rispetto al mese precedente di 7,6 punti percentuali). Da notare come anche l’indice dei prodotti energetici, dopo un ribasso registrato a metà 2017, mostra una crescita costante tra fine anno e inizio 2018. Macellazioni Italia In Italia si è registrata una contrazione delle macellazioni nel 2017. Il numero dei capi macellati è calato del 3,9%, che si traduce in una riduzione del 5% in termini di carne prodotta. Nel 2017, sono stati macellati 11,4 milioni di suini in Italia, mentre nel 2016 erano stati 11,8 milioni. Nel dettaglio, dai dati Istat si può osservare che la categoria di prodotto maggiormente interessata da questo calo delle macellazioni è quella del suino leggero (magrone), per cui si registra un calo del 15% dei capi rispetto al 2016. Si mantiene positivo l’export nazionale Anche per il 2017 si conferma l’andamento positivo del commercio estero per le carni suine trasformate, che registrano un aumento per quasi tutte le principali categorie di prodotto. In generale, le esportazioni italiane del segmento “preparazioni e conserve suine” ha registrato, nel 2017, un aumento pari al +3,1% in volume e al +7% in valore rispetto al 2016, a testimonianza di un innalzamento dei valori medi unitari all’export. Continuano, infatti, a crescere in maniera sostanziosa le esportazioni di prosciutto cotto

Eurocarni, 11/18



Tabella 4 – Esportazioni italiane di “salsicce e salami stagionati” per paese di destinazione Valore (000. €) Paesi

Quantità (t) Var. % 2017/2016

2016

2017

Export totale

66.492

69.827

5,0%

10,6%

Germania

13.619

14.380

5,6%

51.371

–1,0%

Francia

7.308

7.838

7,3%

44.828

48.571

8,3%

Regno Unito

6.447

6.217

–3,6%

42.329

41.417

–2,2%

Croazia

5.379

5.817

8,1%

173.479

186.926

7,8%

33.739

35.575

5,4%

2016

2017

Export totale

417.583

444.522

6,5%

Germania

105.051

116.237

Regno Unito

51.896

Francia Svizzera Altri paesi

Paesi

Var. % 2017/2016

Altri paesi

Fonte: elaborazione ISMEA su dati IHS-GTA.

Tabella 5 – Importazioni italiane per paese fornitore Suini vivi

Carni suine fresche

Valore (000. €) Paesi

2016

Valore (000. €)

2017

Var. % 2017/2016

Paesi

Var. % 2017/2016

2016

2017

1.765.653

1.910.516

8,2%

Import totale

94.473

105.897

12,1%

Import totale

Danimarca

27.741

22.799

–17,8%

Germania

656.214

681.489

3,9%

Paesi Bassi

21.571

22.744

5,4%

Spagna

275.511

305.953

11,0%

Spagna

16.830

21.523

27,9%

Paesi Bassi

252.433

280.291

11,0%

Croazia

12.297

10.652

–13,4%

Danimarca

158.568

178.513

12,6%

Francia

9.022

10.597

17,5%

Francia

130.226

170.402

30,9

Altri paesi

7.011

17.582

150,8%

293

294

0,4%

Altri paesi

Fonte: elaborazione ISMEA su dati ISTAT.

Tabella 6 – Consumi domestici carni fresche e salumi Principali prodotti

Var. % 2017/2016

Var. % gen-apr 2018/2017

Volume

Valore

Volume

Valore

Carni

1,3%

2,7%

– 0,5%

0,6%

Carni fresche suine

0,8%

2,9%

– 0,2%

3,3%

Salumi

1,3%

2,7%

– 0,5%

0,6%

Prosciutto crudo

–2,2%

0,5%

– 0,9%

–1,2%

Prosciutto cotto

1,4%

2,0%

– 0,7%

1,1%

Salami

3,4%

3,2%

– 0,5%

1,1%

Würstel

– 0,3%

1,5%

–1,7%

–1,7%

Mortadella

– 0,2%

0,0%

–2,2%

– 0,3%

Speck

2,1%

4,8%

2,5%

2,6%

Altri salumi

2,7%

4,4%

0,3%

1,6%

Fonte: elaborazione su dati ISMEA Nielsen – Consumer Panel Service.

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Eurocarni, 11/18


(+11,4% in valore) e di salsicce e salami stagionati (+8% in valore). Cresce del +9,6% anche il valore delle esportazioni delle pancette stagionate, destinate soprattutto al mercato britannico, che rappresentano però appena il 3,5% del volume totale delle esportazioni di preparazioni e conserve suine italiane. A livello mondiale, nel ranking dei principali Paesi esportatori di prosciutto cotto, l’Italia si conferma saldamente in seconda posizione, subito dopo la Germania. I principali mercati di sbocco per il prosciutto cotto italiano restano i Paesi della UE: la Francia si conferma il primo mercato di riferimento, sebbene nel 2017 Germania e Regno Unito hanno continuato ad aumentare, in maniera importante, le importazioni dall’Italia (rispettivamente +20,3% e +18,7% in valore). Anche per quanto riguarda salsicce e salumi stagionati made in Italy, il mercato tedesco e quello britannico rappresentano il riferimento per le esportazioni nazionali. In crescita le importazioni Nel 2017, continua ad aumentare il valore delle importazioni di suini vivi (+10,1% in valore rispetto al 2016) e di carni fresche, refrigerate e congelate (8,2%). Per quanto riguarda i Paesi di provenienza dei suini vivi, la Danimarca e i Paesi Bassi sono i principali fornitori di suinetti degli allevamenti italiani. Nell’ultimo anno è incrementato fortemente il valore delle importazioni da quei Paesi in cui si sta ampliando il patrimonio scrofe (ad esempio la Spagna: +27,9% rispetto al 2016). Nel caso delle carni fresche, Germania e Spagna sono i principali fornitori del mercato italiano, ma l’incremento maggiore nell’ultimo anno è stato registrato per le importazioni dalla Francia (+30,9% in valore nel 2017). La bilancia commerciale peggiora L’aumento delle importazioni, sia di suini vivi che di carne fresca suina, evidente soprattutto in termini di valore, insieme all’aumento meno sostenuto delle esportazioni, ha contribuito al peggioramento della

Eurocarni, 11/18

bilancia commerciale. Nel 2017, il deficit che caratterizza il settore suinicolo italiano ha raggiunto un valore pari a 516 milioni di euro (–17% rispetto al 2016), determinato dalla strutturale dipendenza dall’estero sia di carni fresche che di animali da ristallo. Dinamica dei consumi domestici I consumi interni di carni suine fresche nel periodo gennaio-aprile 2018, dopo la crescita registrata nel 2017 (+2,9 in valore e +0,8% in volume), si mantengono tutto sommato stabili, registrando una lieve flessione in volume (–0,2%) rispetto allo stesso periodo del 2017 e un aumento in valore del 3,3%, segno che si è realizzato un incremento del valore unitario della carne suina negli ultimi mesi. Il trend positivo che ha caratterizzato i consumi di salumi durante il 2017 ha subito un arresto nel primo quadrimestre 2018 e tutti principali prodotti registrano una riduzione in termine di volumi acquistati: i salumi perdono in generale 0,5 punti percentuali e, all’interno di questa categoria, il segmento della mortadella è quello che mostra un calo più rilevante rispetto al primo quadrimestre del 2017 (–2,2%). Tuttavia, sia il segmento del prosciutto crudo che quello dei salami mostrano un leggero aumento del valore dei consumi domestici (in entrambi i casi pari all’1,1%) che, a fronte di un sottile calo in volume, dimostra un incremento del valore unitario di questi prodotti nei primi quattro mesi di quest’anno. Nel primo quadrimestre 2018, si osservano segnali nettamente positivi per lo speck, per cui aumentano i consumi sia in volume che in valore (rispettivamente +2,5% e +2,6% rispetto allo stesso periodo del 2017). Grazie al contenuto di innovazione e servizio è risultata decisamente più entusiasmante la performance dei salumi confezionati, che nel primo quadrimestre del 2018 mostrano una tendenza positiva per quasi tutti i segmenti, sia in valore che in volume. (Fonte: ISMEA – Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale www.ismeamercati.it)


BENESSERE ANIMALE

Suini a coda lunga: si parte con l’autovalutazione del rischio Entro la fine del 2018 gli allevamenti devono dimostrare di aver stilato la check list e individuato i miglioramenti da mettere in atto di Giulia Mauri

I

l taglio della coda nei suini è una deroga che non può durare in eterno. Anzi, già da gennaio 2019 sarà indispensabile dimostrare di aver compiuto i primi passi concreti della lunga strada che porterà tutti i suini allevati a giungere a fine ciclo con la coda integra (e, ovviamente, in buone condizioni) entro il 2020. Queste sono le scadenze che si è imposta la Regione Emilia-Romagna, sulla base della normativa europea di settore. Entro la fine del 2018 ciascun allevamento dovrà dimostrare di aver valutato il livello di rischio

cui sarebbero esposti i suoi suini se non venisse mozzata loro la coda. Questa valutazione — al momento una autovalutazione — dovrà essere compilata da un veterinario libero professionista che abbia frequentato l’apposito corso da valutatore e che sia autorizzato al compito dall’allevatore. Per avere autovalutazioni omogenee e ripetibili, la Regione, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna e il Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale (CReNBA) hanno stilato una check list. Questo

Visita veterinaria in un allevamento di suini. L’Emilia-Romagna si è posta l’obiettivo di raggiungere l’eliminazione del taglio della coda dei suini entro il 2020 (photo © RGtimeline – stock.adobe.com).

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documento permette di eseguire un audit approfondito sullo stato dell’allevamento al momento della valutazione. È parte integrante del sistema di classificazione definito Classyfarm, costruito proprio per classificare gli allevamenti in base al rischio. Rischio di lesioni alla coda se tenuta integra, ma anche altri tipi di rischio. Il sistema, infatti, si interfaccia e verrà sempre più integrato con altri sistemi di classificazione e monitoraggio degli allevamenti (compresi biosicurezza, consumo di farmaci, antibioticoresistenza). Il corso di veterinario valutatore a livello regionale del rischio per la prevenzione del taglio della coda nei suini si è tenuto il 10 e il 18 settembre a Bologna, nelle sale della Regione. Anche gli allevatori sono stati chiamati a seguire una giornata di formazione sui prossimi sviluppi: i tempi sono stretti e bisogna partire. La compilazione della check list permette agli allevatori di valutare la situazione del proprio allevamento e di rilevare quali sono gli aspetti più critici che potrebbero compromettere la possibilità di allevare suini a coda lunga senza conseguenze sanitarie e di benessere (e quindi economiche). Ogni anno, e dopo ogni intervento di modifica, la valutazione deve essere ripetuta, in modo da poter rispecchiare sempre la situazione reale e attuale dell’allevamento.

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Il sistema Classyfarm (www.classyfarm.it), costruito per classificare gli allevamenti in base al rischio, è in grado di fornire una fotografia costante dell’allevamento in termini di salute e benessere degli animali e di consumo di farmaci veterinari. Sulla falsa riga di tutti i documenti di valutazione del benessere, la check list è strutturata su tre pilastri: la valutazione delle strutture di allevamento, della gestione dei capi e la visione diretta degli animali in modo da rendersi conto di quanto quei soggetti si adattano all’ambiente in cui vivono. Quindi il terzo pilastro sono le cosiddette ABMs, le misurazioni sugli animali stessi (livello di pulizia, body condition score, lesioni a coda e orecchie, attività di esplorazione, ecc…). I risultati dell’autovalutazione sono visibili dall’allevatore stesso, dal veterinario compilatore e dal veterinario del servizio pubblico competente per territorio. Una volta aggregati in modo da risultate anonimi e omogenei (per area geografica, ad esempio), i risultati possono rivelare all’allevatore le eventuali differenze fra la sua struttura e le altre: in questo modo potrà prendere coscienza del suo operato e delle eventuali modifiche che dovrà affrontare. Spetta al veterinario del servizio pubblico invece la compilazione di altre pagine del sistema, ad esempio quelle relative agli animali al macello. La check list è rilevabile sul sito www.classyfarm.it in cui viene presentato il Sistema di valutazione e

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quantificazione del rischio degli allevamenti denominato appunto Classyfarm. Questo è integrato con l’anagrafe degli allevamenti, con il sito per la compilazione della ricetta elettronica e con altri aspetti legati all’allevamento. Come dicevamo, pian piano nel tempo queste e altre informazioni registrate on-line si integreranno fra loro e avranno ricadute sia sulla sorveglianza sanitaria svolta dai veterinari del servizio pubblico, sai anche su aspetti della condizionalità. Potranno essere utilizzate anche per le certificazioni volontarie. I veterinari registrati e che hanno conseguito il corso di valutatori possono accedere alla check list anche tramite il sito www.vetinfo. sanita.it. Il compito di presentare il sistema Classyfarm alla platea di veterinari che hanno seguito il corso da valutatori del rischio legato al taglio della coda è toccato a Giuseppe Diegoli del Servizio Prevenzione collettiva e Sanità Pubblica della Regione: «Si tratta di un sistema integrato per categorizzare il rischio che rafforza la collaborazione fra allevatori, veterinari pubblici e liberi professionisti». Allo stesso Servizio appartiene anche GIOVANNA TRAMBAJOLO, che ha spiegato le basi normative del

piano triennale di cui l’autovalutazione con check list è il primo passo. La base di partenza è la Direttiva 2008/120/CE recepita con il DL 122/2011 in vigore dal 2013 e la Circolare del dicembre 2012. Queste norme illustrano alcuni requisiti obbligatori, quali l’allevamento di gruppo e le superfici minime a disposizione delle fattrici, le pavimentazioni, la presenza di materiale manipolabile e la disponibilità permanente di acqua fresca. A fine 2018 è indispensabile che tutti gli allevamenti si avviino al rispetto delle norme nella loro interezza. L’Europa e i consumatori infatti ci guardano. In occasione dell’audit condotto dalla UE in Veneto e Lombardia, il report pubblicato nel novembre 2017 ha rilevato come gli allevamenti non abbiano adottato provvedimenti per evitare il taglio della coda; non esista una strategia per il raggiungimento di questo obiettivo a livello nazionale; non vi siano istruzioni chiare in merito per i controllori; vengano accettati certificati stilati da veterinari liberi professionisti con motivazioni vaghe sulla necessità di proseguire con le caudectomie; gli allevatori non siano convinti della possibilità di allevare suini sani e a coda lunga. In sostanza, un fallimento completo. Nel settembre 2017 è stato pubblicato il report dell’audit condotto dalla UE in Spagna: l’esito è sovrapponibile a quello del Nord Italia. Tuttavia, rileva un atteggiamento di minor arroccamento e chiusura da parte del Paese iberico rispetto a quello adottato nello Stivale. È vero, riferisce la UE, che le autorità non hanno messo in atto azioni efficaci, ma i controlli del servizio pubblico hanno portato a iniziative più rigorose in merito alla gestione dei fattori di rischio e all’analisi degli allevamenti. Inoltre, in Spagna i dati delle lesioni rilevate al macello sono già disponibili. Insomma, non possiamo temporeggiare oltre, dobbiamo cominciare anche noi italiani a compiere i passi necessari a poter allevare animali a coda intera, in migliori condizioni di benessere. Giulia Mauri

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INDAGINI

Siamo sicuri di sapere qual è la dieta più green? Le evidenze scientifiche confermano che non serve bandire dalla propria tavola determinati alimenti per seguire una dieta più sostenibile

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on esistono diete o stili di vita a impatto zero. Il solo fatto che ci si alimenti di qualcosa ha, infatti, un impatto sull’ambiente. A volte ridotto, a volte elevato, altre volte nascosto. Ogni nostra azione porta a delle conseguenze sull’ambiente, ma cercare di avvicinarsi il più possibile alla sostenibilità non è solamente una questione ambientale. Secondo la FAO i modelli alimentari sostenibili non sono solo quelli che hanno una ridotta impronta ecologica, ma

anche quelli che contribuiscono al perseguimento della sicurezza alimentare e di uno stile di vita sano. Ma quali sono le diete più sostenibili per l’ambiente e per la salute? Per essere più eco-compatibile, un modello alimentare deve innanzitutto garantire una maggiore efficienza nell’uso delle risorse e ridurre le proprie impronte: idrica (Water Footprint), di carbonio (Carbon Footprint) ed ecologica (Ecological Footprint), oltre che la quantità di azoto rilasciato in ambiente. Altri

punti forti delle diete più sostenibili? La biodiversità alimentare e la promozione di cibi tradizionali e locali. Prendiamo due esempi: la dieta iperproteica e quella mediterranea. Confrontandone la Carbon Footprint (chilogrammi di anidride carbonica emessi per kg di prodotto), la Water Footprint (litri di acqua consumati per kg di prodotto) e l’Ecological Footprint (metri quadrati occupati per kg di prodotto), la dieta mediterranea ha un impatto decisamente inferiore, e lo stesso

Mangiare un po’di tutto nelle giuste quantità può avere un impatto positivo sull’ambiente, sulla salute e sul portafogli.

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Non esistono diete o stili di vita a impatto zero. Il solo fatto che ci si alimenti di qualcosa ha, infatti, un impatto sull’ambiente. A volte ridotto, a volte elevato, altre volte nascosto. Ogni nostra azione ha conseguenze sull’ambiente, ma cercare di avvicinarsi il più possibile alla sostenibilità non è solo una questione ambientale

vale per i costi da sostenere per seguirla. Ci sono poi le diete vegetariane e vegane, generalmente (ed erroneamente) considerate quelle con il minor impatto sull’ambiente. Secondo alcuni studi, queste non sono green come si dà ormai per scontato. Uno su tutti, lo studio Carnegie Mellon University, per cui le diete che comprendono più frutta e ortaggi e meno carne hanno addirittura un impatto ambientale maggiore. O il rapporto pubblicato nel 2013 da un gruppo di ricercatori francesi, in cui è stato dimostrato che le diete “basate su grandi quantità di cibi derivati da piante” portano a emissioni più alte di gas serra. Tra le cause di questo apparente paradosso: uno sfruttamento meno efficiente dei terreni, un uso più elevato della chimica in agricoltura e gli enormi sprechi del settore ortofrutticolo, molto più elevati che nel settore zootecnico, legati al rapido deterioramento di frutta e ortaggi. Lo studio che però ha messo più diete a confronto è probabilmente quello pubblicato nel luglio 2016 dalla University of California Press, in cui se ne sono paragonate fra loro ben dieci. Anche in questo caso, considerando anche lo sfruttamento del suolo per contribuire all’alimentazione di una popolazione globale in costante espansione, la dieta vegana non sembra l’opzione migliore. Per un semplice motivo: la sua efficienza di utilizzo dei terreni agricoli non è ottimale.

Non tutti i terreni agricoli sono adatti a qualsiasi scopo: su certe aree di pascolo, ottime per allevare il bestiame, la coltivazione non sarebbe praticabile, rendendo quei terreni sprecati in un mondo in cui non ci si dovesse cibare di carne, salumi, uova e latticini. In altre parole, continuare a mangiare un po’ di carne permetterebbe di nutrire più persone, cosa che diventa più difficile se tutti quanti fossero vegani. Un dettaglio che fa riflettere, soprattutto, su quanto siano ormai radicati alcuni luoghi comuni quando si parla della relazione tra cibo e ambiente. E che ci riporta al tema della sicurezza alimentare, intesa in questo caso non come food security, ma come food safety: aspetto fondamentale nella sostenibilità di un modello alimentare. I dati sui reali effetti ambientali degli alimenti sono molto complicati da misurare, cambiano molto a seconda dei luoghi e presentano diversi punti critici. Un passo in avanti è stato fatto di recente con l’impronta ecologica, o Carbon Footprint, non più valutata in termini assoluti, ma sulla base delle quantità di un alimento realmente consumate all’interno di una dieta equilibrata. Se si segue una dieta bilanciata come quella mediterranea, la Carbon Footprint di alimenti ricchi in proteine, come carne, pesce, uova, legumi, salumi, è allo stesso livello di quella generata dagli alimenti di origine vegetale. La validità scientifica di questi concetti e il modello della clessidra ambientale, riconosciuta dalla rivista scientifica Science of the Total Environment, dimostrano graficamente proprio questo: in un regime alimentare equilibrato, le diverse categorie di alimenti contribuiscono in modo quasi equivalente agli impatti ambientali. Insomma, le evidenze scientifiche confermano che non serve bandire dalla propria tavola determinati alimenti per seguire una dieta più sostenibile. Al contrario, mangiare un po’ di tutto nelle giuste quantità può avere un impatto positivo sull’ambiente, sulla salute e sul portafogli. (Fonti: bioecogeo.com, UNAItalia)

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Gli uomini di oggi più attenti al benessere. E a tavola scelgono il pollo

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olo il 3% degli Italiani pensa che non ci siano differenze tra lo stile di vita di oggi e quello delle generazioni precedenti, quelle dei padri e dei nonni. Tutto il contrario a dire la verità, anche secondo un’indagine DOXA/UNAITALIA condotta su un campione di uomini dai 20 ai 54 anni e che indaga gli stili di vita dei maschi italiani in fatto di alimentazione e abitudini a tavola. Le differenze emergono già a partire dalle abitudini domestiche: 7 uomini su 10 (il 70%) affermano di fare la spesa e di occuparsi degli acquisti della casa, il 66% ammette di curare maggiormente la propria alimentazione e il proprio benessere. Oltre il 90% degli uomini italiani si dedica alla cucina, solo

l’8% di loro dichiara di non farlo mai. Sempre o qualche volta, quasi tutti lo fanno per il piacere di farlo, per sé stessi e i propri familiari. Secondo il sondaggio, il 41% degli uomini afferma di cucinare sempre, il 47% qualche volta, quando si sente ispirato, mentre solo il 4% dichiara di cucinare solo quando deve. La cucina, infatti, è una necessità solo per il 28% degli uomini italiani. Per quasi tutti gli altri cucinare è un piacere. Il 27% di loro lo fa per divertimento, considerando la cucina una sorta di laboratorio creativo. Per un altro 25% cucinare è un’evasione, stare ai fornelli rilassa e aiuta a staccare dal resto. Per il 15% è una vera e propria passione che coltiva con impegno.

Fanno la spesa, amano cucinare e scelgono bene quello che mangiano. Diversi per stile di vita dai padri e dai nonni, gli uomini di oggi sono molto più attenti alla cura del proprio benessere, tanto da aver migliorato le proprie abitudini alimentari. Negli ultimi cinque anni, infatti, gli uomini italiani hanno aumentato i consumi di pollo e tacchino, pesce e legumi

Secondo un’indagine Doxa/UNAItalia condotta su un campione di uomini dai 20 ai 54 anni, oltre il 90% degli uomini italiani si dedica alla cucina e solo l’8% di loro dichiara di non farlo mai. Sempre o qualche volta, quasi tutti lo fanno per il piacere di farlo, per se stessi e i propri familiari (photo © Bryan Gardner).

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Attenti a tavola, più delle donne Senza ansia e con un atteggiamento rilassato, oggi gli uomini sono più attenti al proprio regime alimentare. Il 50% di loro dice di curare l’alimentazione, ma senza eccessiva preoccupazione. Più di uno su tre (il 36%) dice di essere una buona forchetta e di avere un atteggiamento disinvolto a tavola. Secondo i risultati del sondaggio, comparati con l’indagine DOXA/ UNAITALIA del 2017 che indagava le abitudini femminili, tra gli uomini e le donne italiane non c’è più differenza nell’atteggiamento a tavola e sull’attenzione rivolta all’alimentazione. La stessa (bassa) percentuale (3%) ammette di seguire una dieta, mentre il 51% degli uomini (il 50% delle donne) si dice attento ma senza troppa ansia. Al contrario di ogni prevedibile stereotipo, una piccola percentuale di uomini in più (l’11% rispetto al 4% delle donne) dichiara di curare l’alimentazione e controllare cosa mangia. Sono infatti leggermente di più (il 42% contro il 36% degli uomini), le donne che affermano di essere rilassate e lasciarsi andare a tavola. Pasta, pollo e benessere Secondo il sondaggio, l 34% degli uomini afferma di aver incrementato, nell’ultimo quinquennio, il consumo di pollo, il 22% quello di tacchino. Nello stesso periodo il 38% degli uomini afferma di aver aumentato il consumo di pesce, insieme a quello di legumi, aumentato per il 40% del campione» spiega il nutrizionista MICHELANGELO GIAMPIETRO. «Carni bianche, legumi e pesce rappresentano sicuramente delle scelte sane. L’uomo di oggi è attento e anche ai fornelli è in grado di trovare delle soluzioni adatte che gli permettono di fare meno errori, come non esagerare con i grassi di condimento, il sale o pietanze troppo ricche». La pasta non manca quasi mai: il 43% dichiara di consumare almeno un piatto di pasta al giorno e tutti o quasi (94%) la portano in tavola almeno una volta a settimana. Accanto alla pasta, le carni bianche. È

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Secondo gli uomini italiani la carne di pollo è la migliore alleata in cucina, apprezzata perché naturalmente povera di grassi e al tempo stesso nutriente, pratica e veloce da cucinare e più economica rispetto ad altre carni. proprio il pollo la carne preferita dagli uomini, e non solo. Al pari delle donne, i maschi italiani lo portano in tavola in media due volte a settimana, con un 20% che la consuma un giorno sì e uno no. Per il 74% degli uomini rappresenta una valida scelta almeno una volta a settimana, più di ogni altro tipo di carne. E qui nessuna differenza con le donne, gli Italiani sono dunque fan delle carni bianche. Perché il pollo? Secondo gli uomini italiani la sua carne è la migliore alleata in cucina, apprezzata perché naturalmente povera di grassi e al tempo stesso nutriente (lo sostengono il 59% degli uomini). È pratica e veloce da cucinare per quasi un Italiano su due (il 46%), mentre il 38% del campione ammette di preferire il pollo anche perché è economico rispetto alle altre tipologie di carne e si presta ad uno stile di vita sano. Giudizi che trovano d’accordo anche i nutrizionisti. «È indubbio che le carni bianche offrano numerosi vantaggi dal punto di vista nutrizionale» spiega ancora Giampietro. «Hanno pochissimi grassi, il petto di pollo ha solo 1 grammo di grasso per 100 grammi di carne, non ce ne sono uguali. Inoltre, le proteine della carne bianca sono, come tutte quelle di origine animale, eccellenti

e complete di tutti gli amminoacidi. Pollo e tacchino hanno inoltre un’ottima quantità di ferro, vitamine, minerali, mentre i grassi saturi sono in quantità minore. Hanno una digeribilità maggiore grazie al minor contenuto di collagene, al ridotto contenuto di grassi e alle fibre più piccole della carne». Facile e veloce da cucinare, il petto di pollo in padella è la ricetta preferita dagli uomini italiani (60%). Preferenza confermata anche dalle donne (61%). Al posto d’onore l’intramontabile pollo al forno, col 53% delle preferenze per gli uomini e il 57% per le donne. Seguono altri classici come il pollo allo spiedo, la cotoletta, e l’insalata di pollo. «Il gusto è un altro vantaggio della carne di pollo. È possibile ottenere il massimo sia nelle preparazioni classiche più elaborate come il pollo al forno o il pollo con i peperoni della tradizione gastronomica romana, ma anche con quei piatti più semplici e comuni come il pollo in padella o i bocconcini di pollo. Il petto di pollo in padella? Facile e versatile, basta stare attenti a non cuocerlo troppo per non farlo seccare, dopodiché è buonissimo» conclude Giampietro. Fonte: UNAItalia www.unaitalia.com

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MARKETING

È di nuovo stagione di Agnello gallese Igp sul mercato italiano

Semplicità, l’ingrediente più prezioso

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li ultimi mesi dell’anno sono sempre i più significativi per l’Agnello gallese IGP, prodotto ormai conosciuto ed ampiamente apprezzato dal mercato italiano per il gusto, la sua tenerezza e la sua versatilità. Con la fine dell’estate, la carne ovina a indicazione geografica protetta proveniente dai pascoli del Galles torna ad essere protagonista nei principali supermercati della Penisola. Il suo sapore si sposa perfettamente con gli ingredienti tipicamente autunnali che ne esaltano il gusto e fanno amare ancora di più ai consumatori una carne preziosa anche per le sue caratteristiche nutrizionali. Leggerezza e digeribilità che contraddistinguono il prodotto, infatti, rispondono all’esigenza sempre più sentita da parte della nuova generazione di una dieta sana e bilanciata. Social network e QR code: il futuro del Welsh lamb passa anche da qui L’agnello gallese da oggi è molto di più. Oltre alle sue innegabili caratteristiche, il Welsh lamb diventa infatti anche più social, per farsi conoscere in maniera capillare anche da coloro che ancora non ne hanno potuto gustare appieno il sapore e le potenzialità. «Una presenza sempre più importante nei punti vendita, un contatto diretto coi consumatori e un filo diretto con i retailer sfruttando anche le nuove tecnologie: questa sarà la strategia commerciale nei prossimi mesi», spiega JEFF MARTIN, responsabile Italia di HCC, l’ente promotore delle carni rosse gallesi. «Web e social network saranno il ponte verso il futuro di questa carne che ha origini

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antiche e metodi di allevamento tradizionali. Un filo indissolubile che lega ieri e il domani per prendere per mano il consumatore sempre più esigente e competente». A realizzare tutto questo concorrerà anche l’introduzione del QR code. «Sulle nuove etichette che

entreranno in commercio abbiamo deciso di inserire il QR code grazie al quale il cliente sarà indirizzato al sito internet italiano dove troverà facilmente informazioni sulla carne, l’origine, gli allevamenti e, soprattutto, tante ricette a cui ispirarsi in cucina», prosegue Martin.

Le costolette d’agnello gallese sono uno dei tagli più apprezzati dal mercato italiano.

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Semplicemente Gallese Anche i tagli saranno a misura di consumatore e delle sue esigenze: piccoli tagli sottovuoto e, su richiesta, anche le nuove confezioni skinpack. Costolette, spalla, cosciotto e pancia arrotolata sono fra i tagli più apprezzati dai consumatori italiani che, del Welsh lamb, apprezzano in modo particolare il gusto naturale dovuto all’ambiente in cui nasce e cresce, la tenerezza e l’origine garantita. Parola d’ordine semplicità, quindi: non a caso Semplicemente Gallese è il claim che è stato scelto per la nuova campagna.

«L’agnello gallese non ha bisogno di molte presentazioni: il territorio da cui proviene e il lavoro dei suoi allevatori sono garanzia di origine e unicità, mentre le sue eccezionali qualità organolettiche lo rendono un prodotto premium facilmente apprezzato da tutti» conclude Martin. >> Link: www.agnellogallese.eu www.manzogallese.eu Facebook.com/agnelloe manzogallese Twitter.com/ welshlambbeef

Igp, un vero marchio di qualità A tutela e a protezione delle caratteristiche tipiche regionali, l’agnello, unitamente al manzo, gallese ha ottenuto l’indicazione Igp dalla Commissione europea. L’IgpIndicazione Geografica protetta sta a significare che solo le carni di ovini e bovini nati e allevati in Galles, con tracciabilità garantita per tutta la filiera produttiva e lavorate in strutture di macellazione approvate, possano fregiarsi dell’appellativo“gallese”. Gli standard di qualità, sicurezza alimentare e tracciabilità dell’industria delle carni rosse gallesi, garantite da frequenti ispezioni durante tutti gli stadi della filiera produttiva, sono tra i più rigorosi al mondo. Per i consumatori ciò significa la sicurezza che, nell’acquistare questa carne, si troveranno sempre davanti a prodotti di qualità superiore. L’Igp conferma infine il riconoscimento che i produttori di carne meritano per gli elevati standard qualitativi che sono tenuti a rispettare in tutta l’intera filiera produttiva — dall’allevamento alla macellazione e lavorazione — conferendo alle carni gallesi una garanzia di origine, qualità e metodo di produzione.

HCC – HCC Hibu Cig Cymru è l’ente responsabile per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione delle carni del Galles. Tra i compiti di HCC vi sono: la promozione di tutti i prodotti di carne provenienti dal Galles, l’evidenziazione delle caratteristiche che differenziano i prodotti di carne Gallese, la collaborazione con le aziende agricole per diffondere la qualità, ridurre i costi e migliorare la salute degli animali, la collaborazione con tutta la catena di fornitori per migliorare l’efficienza e sviluppare la garanzia di qualità, l’attività per la diffusione e il miglioramento della comunicazione della qualità di questo settore. HCC rappresenta per vasta parte l’industria agricola del Galles e trae esperienza dai diversi componenti dei suo Board of Directors e dalle aziende a cui essi appartengono. >> Link: hccmpw.org.uk/en

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Perché scegliere il manzo irlandese Benessere degli animali, qualità della carne e piacere gastronomico: Bord Bia svela il segreto dei suoi allevatori

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econdo un’analisi di COLDIRETTI su dati ISMEA*, il 2018 sancisce la ripresa dei consumi di carne da parte degli Italiani dopo 5 anni di flessioni, con l’aumento di oltre il 5% della spesa delle famiglie per la carne bovina. Parallelamente ai consumi, continua a crescere l’attenzione verso il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali, fattori determinanti nelle scelte di acquisto da parte dei consumatori. Dalle macellerie tradizionali alla GDO, dallo street food alle hamburgerie, fino all’arrivo

della Carta delle carni nei menu proposti dagli chef più prestigiosi, la conoscenza delle caratteristiche specifiche dei diversi tipi di carne, della loro provenienza e dello stato degli allevamenti è diventato un valore aggiunto che arricchisce l’offerta enogastronomica a tutti i livelli della ristorazione. La natura prima di tutto Parlando di qualità, il manzo irlandese mette d’accordo tutti in termini di gusto e tenerezza. Ma cosa distingue il manzo 100%

Irish dalle altre tipologie di carne? Sono le sue virtù organolettiche e nutrizionali a renderlo un prodotto di primissima scelta. BORD BIA (www.bordbia.ie), ente per la promozione dei prodotti alimentari, delle bevande e dell’orticoltura irlandese, ha chiesto ad uno dei suoi migliori allevatori quali siano i segreti dell’inconfondibile profumo, del gusto deciso e della morbidezza della carne di manzo. «L’Irlanda è il luogo ideale per l’allevamento grazie ai suoi pascoli su terreni ricchi di minerali e sostanze nutritive

In Irlanda il bestiame è nel DNA non solo degli allevatori ma anche della popolazione stessa. Questo paese vanta infatti un’antica tradizione nell’allevamento del bestiame: le aziende agricole sono di tipo tradizionale e a conduzione familiare e gli allevatori ritengono che il cibo migliore sia quello più semplice e naturale (photo © Agriimages.co.uk).

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«La mia giornata inizia assicurandomi che i miei animali stiano bene: la serenità della mandria è il fulcro del mio lavoro», racconta l’allevatore irlandese Ivor Deverell, che spiega l’importanza del benessere animale in ogni fase, dall’allevamento alla macellazione finale

naturali» spiega IVOR DEVERELL della Ballyaville Farm, situata nel cuore dell’Irlanda. «Anche il clima gioca un ruolo fondamentale: infatti, sebbene le piogge siano costanti nel corso dell’anno, le temperature non sono mai né troppo rigide né troppo elevate. Questo permette di avere la giusta quantità d’erba fresca per i nostri capi di bestiame, a cui possiamo garantire di pascolare in un habitat 100% naturale in piena libertà, circondati da alberi e siepi verdeggianti. Il nostro metodo di allevamento è molto semplice e sostenibile — prosegue Ivor — seguendo la più autentica tradizione irlandese, lasciamo che il bestiame si nutra solo di erba al pascolo e questo influenza positivamente il tipico sapore del manzo irlandese». L’Isola di smeraldo ospita circa 122.000 aziende di piccole e medie dimensioni che operano secondo la storica tradizione irlandese. Un territorio che vanta 5 milioni di ettari di superficie agricola, di cui oltre l’80% è costituito da erba e trifoglio adibiti al pascolo naturale. Qui le mandrie possono pascolare liberamente per circa 8 mesi all’anno: la loro alimentazione a base di erba, naturalmente ricca di betacarotene, conferisce il color rosso borgogna tipico della carne di manzo irlandese. Per la stessa ragione, la carne da pascolo vanta importanti virtù nutrizionali: è 5 volte più ricca di vitamina A, di vitamina E e di Omega-3 rispetto alle carni derivate da animali allevati in stalla. Inoltre,

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Sostenibilità, km 0 e benessere animale in tutte le fasi dell’allevamento riassumono l’impegno degli allevatori irlandesi nella produzione di carni di manzo d’eccellenza e di qualità nutrizionale indiscussa (photo © Agriimages.co.uk). lo stato di libertà in cui possono muoversi i capi di bestiame incide notevolmente sulla distribuzione dei grassi nella carne, che risulta così più magra. «La serenità della mandria è il fulcro del mio lavoro e, naturalmente, la mia giornata inizia assicurandomi che i miei animali stiano bene» racconta ancora Ivor Deverell, che spiega quanto sia fondamentale il benessere dell’animale in ogni fase, dall’allevamento alla macellazione. In Irlanda, la distanza media tra allevamento e stabilimento di lavorazione è di appena 50 km per garantire il benessere psicofisico dell’animale, anche nella sua ultima

fase di vita prima della macellazione. Per preservare la qualità e i benefici nutrizionali della carne, anche la fase di frollatura avviene secondo tecniche antiche, a temperature controllate che garantiranno la tenerezza e il caratteristico gusto unico e distintivo del prelibato manzo irlandese. (Fonte: Bord Bia) Nota * Dati relativi al primo trimestre dell’anno, divulgata in occasione della Giornata nazionale della bistecca #bisteccaday lo scorso 15 giugno (www.coldiretti.it/economia/ consumi-carne-dati-2018).

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RETAIL NEWS

Notizie dalla GDO PayPal e Auchan Retail Italia: siglata partnership strategica nel settore dei pagamenti digitali PAYPAL e AUCHAN RETAIL ITALIA hanno recentemente siglato una partnership strategica nel settore dei pagamenti digitali. Grazie a questo accordo sarà possibile pagare gli acquisti effettuati sul sito www.auchan.it anche con un account PayPal. «Aiutare partner e utenti a perseguire sempre di più l’obiettivo di una concreta trasformazione digitale che semplifichi e migliori ogni tipo di loro attività quotidiana è da sempre il nostro principale obiettivo» ha commentato FEDERICO ZAMBELLI HOSMER, general manager per l’Italia di PayPal. «La collaborazione con un player importante nel mondo della Grande Distribuzione come Auchan è un ulteriore passo in questo senso. Offrire al gruppo francese l’opportunità di ampliare la propria proposta commerciale on-line, consentendo allo stesso tempo ai consumatori italiani di vivere concretamente una vera esperienza di spesa digitale a 360 gradi, infatti, è solo l’inizio di un processo su cui stiamo investendo molte energie e che ha l’obiettivo di rendere più semplice la vita dei consumatori di ogni tipo e generazione, con uno sguardo sempre attento alle loro esigenze e all’innovazione di un mercato, come quello dell’e-commerce, che rivela una crescita costante e senza precedenti anche nel nostro Paese». Collegandosi al sito è possibile effettuare i pagamenti dei prodotti inseriti nel carrello virtuale in maniera semplice, sicura e veloce. I clienti possono decidere di ricevere la merce a domicilio nel giorno e nell’orario preferito, oppure scegliere il ritiro gratuito presso un punto vendita Auchan e MyAuchan o supermercato Simply, IperSimply e PuntoSimply. Al momento il servizio è attivo nelle province di Milano, Bergamo, Piacenza e Olbia Tempio Pausania ma nei prossimi mesi sarà esteso su altre parti del territorio nazionale.

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L’italianità nella GDO ha un valore di 6,3 miliardi di euro Il richiamo all’italianità campeggia su un quarto delle confezioni dei prodotti alimentari e vale oltre 6,3 miliardi di euro, con un trend di crescita superiore alla media del largo consumo italiano. È quanto emerge dalla terza edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy che ha analizzato le informazioni presenti sulle etichette di 60.600 prodotti alimentari venduti in super e ipermercati nel 2017. Tra gli elementi on pack che richiamano l’italianità del prodotto, è la bandiera tricolore a guidare la classifica dei trend di crescita delle vendite (+13,8%), seguita dai claim “100% Italiano” e “Prodotto in Italia”. E, se resta modesta la presenza dei prodotti che riportano sulla confezione una delle quattro indicazioni geografiche riconosciute e tutelate dall’UE (circa il 5%), Doc, DOP, IGP e DOCG registrano però buoni tassi di crescita annua. Dati interessanti emergono anche dall’analisi della presenza delle regioni italiane sulle etichette: il Trentino-Alto Adige si conferma la regione più valorizzata sulle confezioni, sia per numero di prodotti che per valore delle vendite. Ma è la Puglia che registra il più alto tasso di crescita rispetto al 2016 (+17,7%), seguita da Toscana e Piemonte (fonte: World Food Press Agency; photo © Mauro – stock.adobe.com).

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Supermercato24.it e la spesa estiva on-line Cosa hanno acquistato on-line gli Italiani durante i caldissimi mesi dell’estate 2018? E quali sono state le categorie di prodotto più gettonate nelle diverse province? A queste e altre domande ha risposto “Abitudini di Consumo”, l’indagine di SUPERMERCATO24, il primo player italiano della spesa on-line con consegna a domicilio in giornata e anche entro un’ora, che analizza periodicamente le abitudini di consumo degli Italiani nella spesa on-line, per conoscere e confrontare le differenze di acquisto a seconda della stagionalità, della provincia e dei gusti (i dati sono calcolati sulla base degli acquisti effettuati dagli utenti di Supermercato24 tramite sito web o app nel corso dei mesi da giugno a settembre 2018. Le informazioni sono raccolte in forma anonima e vengono utilizzate a scopo esclusivamente statistico). I trend della spesa on-line dell’estate 2018 Nell’estate 2018 gli utenti di Supermercato24 hanno acquistato cibi, bevande e golosità, evitando trasporti di borse pesanti o noiose file alle casse, e risparmiando tempo prezioso da dedicare ai momenti di divertimento e svago tipici della stagione più bella dell’anno. La spesa media per carrello su Supermercato24 nei mesi che vanno da giugno a settembre è stata di 58 euro. Roma e Milano le province in testa per numero di ordini, seguite da Torino e, poi, dalle venete Verona e Padova, che chiudono la top five. Il podio dei prodotti più acquistati vede in testa la categoria Acqua, bibite e alcolici, col 13,5% degli ordini totali, seguita da Formaggi e salumi (12%) e, al terzo posto, Frutta e verdura (11,5%). A completare la top five ci sono poi Carne e pesce (8,5%) e Sughi, scatolame e condimenti (8%). Le province top per ogni categoria Esaminando più in dettaglio gli acquisti, emergono alcune interessanti curiosità. La capitale vince il premio di provincia più sana dell’estate 2018: Roma è stata infatti la provincia con la più alta percentuale di spesa per frutta e verdura sul carrello complessivo, con un 14% sugli ordini totali. Al secondo posto Bologna, con il 12,7% e, a seguire, Treviso (11%). Qual è la parte d’Italia che ha ceduto maggiormente alla gola durante questa calda estate? La risposta è Rimini, dove questa categoria di prodotti ha pesato quasi il 9% sulla spesa totale. Sul podio anche Bergamo e Verona (entrambi a circa l’8%). La provincia di Varese si aggiudica il primato nel consumo di carne e pesce: il 12% della spesa media di quest’estate nella provincia è stato dedicato infatti ai prodotti di questa categoria. Seguono Genova (10%) e Roma (9,5%) (photo © stockpics – stock.adobe.com).

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Consumer & Retail Summit 2018 Per Agostinelli, BCG, on-line irreversibile, ma il negozio non sparirà. Gradara, Federdistribuzione, «il digitale non sarà ecatombe lavoro». Vendite al palo, in dubbio fase di ripresa; domeniche tema delicato per ricadute. Da Santambrogio, AD Gruppo VeGè, appello a non demonizzare l’industria

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cambiamenti dei modelli di consumo e le sfide cui gli operatori devono far fronte in un’ottica di innovazione e crescita, analizzando i format vincenti e i nuovi fattori competitivi: sono questi i temi su cui si è concentrata, lo scorso 4 ottobre, la 12a edizione del Consumer & Retail Summit, organizzato da 24ORE EVENTI in collaborazione con IL SOLE 24 ORE, MARKUP e GDOWEEK. Retail, GDO e trasformazione digitale Il primo tema su cui si sono concentrati i lavori è stato quello di come

retail e GDO possono governare i cambiamenti conseguenti alla trasformazione digitale. ALESSIO AGOSTINELLI, partner and managing director di THE BOSTON CONSULTING GROUP, che ha aperto il Consumer and Retail Summit, ha sottolineato come la migrazione verso l’on-line nel commercio sia un processo irreversibile: la percentuale di vendite on-line sulle vendite totali è stimata passare dal 15% del 2017 al 48% nel 2022 nel settori giocattoli, dal 10% al 20% nell’elettronica di consumo, dal 6% al 16% nell’abbigliamento, dall’8% al 14% nelle

attrezzature sportive e dal 4% al 12% nelle calzature. Il canale fisico è sempre più in difficoltà, con un calo del traffico annuale dell’1,3%. Il retail fisico però «non scomparirà mai, ma deve interpretare un altro ruolo», ha detto Agostinelli. Il negozio fisico, infatti, cattura ancora più o meno 8 clienti su 10, con un 25% che magari cerca on-line, ma poi finalizza l’acquisto in negozio. Per attirare i consumatori bisogna quindi integrare il digitale con l’esperienza in negozio, espandere la propria marca e sviluppare nuovi formati di negozi.

Per attirare i consumatori bisogna integrare il digitale con l’esperienza in negozio, espandere la propria marca e sviluppare nuovi formati di negozi: questi sono alcuni spunti di riflessione emersi durante il Summit.

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Anche il presidente di FEDERCLAUDIO GRADARA ha affrontato il tema del digitale, sottolineando che la digitalizzazione non porterà una “ecatombe” nell’occupazione del commercio, ma «un grande rimescolamento, con la necessità di grandi investimenti. Noi stiamo facendo un’analisi degli strumenti legislativi e contrattuali per capire come vanno usati, ma indubbiamente è un processo che va affrontato. Abbiamo in corso un processo di digitalizzazione sul punto vendita che inevitabilmente tende a ridurre i dipendenti su alcuni ambiti, come per i pagamenti — ha aggiunto —ma apre una serie di opportunità» perché le aziende «si devono dotare di queste competenze» per gestire le nuove tecnologie. Bisognerà «investire sulla formazione delle persone e i giovani da questo punto di vista hanno la fortuna di entrare in un mondo che conoscono meglio, visto che certe conoscenze digitali sono più patrimonio loro che degli anziani». DISTRIBUZIONE

Rilancio dei consumi Il focus del summit si è quindi spostato sul rilancio dei consumi. A questo proposito, Gradara ha sottolineato che l’andamento futuro della GDO dipende molto «dall’impatto che avranno le misure contenute nella manovra. Siamo al palo con le vendite al dettaglio, i consumi sono in calo e quindi stiamo mettendo in discussione quella piccola ripresa che si è vista negli ultimi due anni». L’andamento dei consumi è legato «a un forte grado di incertezza per le famiglie» che hanno «aumentato la propensione al risparmio» e «aspettano di avere un quadro di riferimento più preciso». E sulle aperture domenicali? «Le posizioni sono molto articolate» ha detto Gradara. «Credo stia maturando la consapevolezza che siamo davanti ad un tema delicato per le ricadute che possono esserci e spero riesca a definirsi una soluzione che non crei problemi ad un settore che ne ha già di forti. È in corso l’approfondimento a livello parlamentare e sono in corso le audizioni con i soggetti che possono dare un con-

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Il palco dei relatori dell’edizione 2018 del Consumer & Retail Summit. tributo. La nostra posizione è nota e il momento storico rende questa iniziativa da prendere con le pinze: è chiaro che noi avremo un calo del fatturato, ma con un giorno in meno ci saranno ricadute sull’occupazione. Speriamo che ci siano le giuste soluzioni per rilanciare lo sviluppo dell’Italia». Sull’ipotesi di chiusure domenicali nel commercio si è espresso in modo netto anche STEPHANE COUM, operations director di CARREFOUR ITALIA. «Se questa è la volontà dei cittadini italiani sta a loro decidere, ma penso che sia un errore». Coum ha poi ricordato di parlare non solo per la GDO, ma anche per gli imprenditori che hanno negozi nei centri commerciali del gruppo. «Per noi la domenica è il secondo giorno di vendite, immagino anche per loro. Se si è preso la decisione di fare le aperture h24, è anche per rispondere al fatto che abbiamo tutti la possibilità di fare ordini h24 su posti come AMAZON PRIME» e quindi inibire le vendite dei negozi fisici alla domenica «creerebbe una concorrenza sleale con l’on-line». E questo è un tema «fondamentale per chi deve prendere la decisione». Dello stesso avviso MAURA LATINI, direttore generale di COOP ITALIA, che, dopo aver ricordato che Coop Italia non è mai stata fautrice di «aperture indiscriminate e continue», ha detto di ritenere «che serva un equilibrio con le necessità

di acquisto. Il legislatore deve riflettere su un giusto equilibrio ma se si andasse a legiferare in modo restrittivo per il commercio, non si può pensare di non fare la stessa cosa anche per l’on-line». LUCA BOSELLI, AD finanza di LIDL ITALIA, ha detto che, se dovesse cambiare la norma sulle aperture domenicali, «noi ci adegueremo, ma per assurdo, a parità di ore lavorate, è oggettivo che ci sarà un calo delle retribuzioni». Lidl Italia ha siglato a marzo un integrativo di secondo livello che prevede una maggiorazione del 135% (rispetto al +30% del contratto del commercio) delle ore lavorate alla domenica. Sul tema bisogna conciliare il servizio ai clienti con le esigenze di vita dei propri collaboratori: «per questo Lidl ha scelto che, oltre alla maggiorazione, anche il lavoro domenicale sia solo su base volontaria, e «fino ad ora non abbiamo avuto grossi problemi a coprire i turni». GIORGIO SANTAMBROGIO, AD di GRUPPO VÉGÉ, nonché presidente di ADM – ASSOCIAZIONE DISTRIBUZIONE MODERNA, ha sottolineato come l’industria del commercio italiano sia soprattutto «tutta la rete dei piccoli produttori con cui lavoriamo, quelli per esempio che fanno i nostri prodotti a marca. Questo è la nostra industria del commercio italiano, non è GDO, quella “Grande Distribuzione Organizzata” che qualcuno vuole demonizzare».

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MACELLERIE DEL MONDO

Ingrosso e dettaglio per carni belghe molto speciali

De Laet & Van Haver di Elena Benedetti

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edizione 2018 della Round Table svoltasi lo scorso 30 agosto a Bruxelles — giunta quest’anno alla sua tredicesima edizione e organizzata e moderata come d’abitudine da RENÉ MAILLARD, direttore del Belgian Meat Office —, è stata l’occasione per visitare una realtà in piena espansione e moderna per contenuti e modalità di business. Si tratta di DE LAET & VAN HAVEr, macelleria di Anversa che è anche ingrosso carni, food truck e ristorante

fondata da LUC DE LAET e PEGGY VAN HAVER. L’attività oggi conta 65 dipendenti suddivisi in 5 aree dell’azienda che conferiscono carni selezionate a oltre 150 ristoranti in Belgio e all’estero, vantando collaborazioni con chef internazionali del calibro dello spagnolo ALBERT ADRIÀ e del belga JOKA. Il loro obiettivo? Offrire agli amanti delle carni un’esperienza unica e innovativa nella lavorazione delle carni fresche e dei salumi. Grande attenzione è riposta nella

ricerca delle migliori razze da carne. Per quanto riguarda il bovino De Laet & Van Haver non predilige solo razze locali tipo Belgian Blue e Belgian Red, ma anche Black Aberdeen, Wagyu Kobe, Chianina, Piemontese, Aubrac, Charolais, Salers, Simmental, Holstein e Galiziana. Sul fronte suino lo staff lavora Duke of Berkshire, Duroc, Iberico e Zeelandic Flanders 100% Duroc. >> Link: www.thebutchersstore.com www.butchersstorehove.be

Luc De Laet, macellaio e imprenditore oggi a capo di un business che va dall’ingrosso carni al dettaglio, fino alla ristorazione, anche su quattro ruote (photo © madeinantwerpen.be).

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1) L’interno della macelleria De Laet & Van Haver (photo © Roel Dijkstra-Vlaardingen). 2/3/4/5) La macelleria di Anversa è anche ingrosso carni, food truck e ristorante (photo © madeinantwerpen.be).

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Quinto quarto protagonista nella Ristomacelleria Rosso 27 a Vercelli Lo scorso 14 settembre, a Vercelli, presso la Ristomacelleria Rosso 27 (il brand dedicato alla ristorazione della storica Bottega della Carne della famiglia LIMBERTI), in collaborazione con la condotta Slow Food di Vercelli, si è tenuta un’anteprima di Terra Madre-Salone del Gusto, dove a tenere banco è stato il quinto quarto, dall’antipasto al dolce (biscotti a forma di “cuore” con crema allo zabaione). A farla da padrone, infatti, sono stati quei tagli che oggigiorno sono un po’ snobbati nel banco della macelleria tradizionale, dai crostini del cacciatore alla lingua coi classici bagnetti piemontesi rosso e verde, al patè di fegato, per continuare con un risotto alla coratella ed una trippa alla milanese e concludere con la regina della serata, la Finanziera, piatto tipicamente piemontese a base di tutte le frattaglie di bovino e pollo. In contemporanea, nel piccolo capoluogo La battuta a coltello della macelleria di provincia ha avuto luogo Risò, manifestazione dedicata alla promozione del Limberti. riso DOP della Baraggia Biellese e Vercellese patrocinata dalla Regione Piemonte ed organizzata da Ascom Vercelli. Durante l’evento si sono alternati nei cinque servizi diversi ristoranti con 4 risotti diversi per turno e 2.300 razioni di riso distribuite; inoltre, sono state degustate anche le DOP dei formaggi piemontesi e i vini del Consorzio dei Nebbioli, mentre per la carne era presente Asprocarni Piemonte col Consorzio Carni Piemonte che ha ottenuto la certificazione SQNZ. Ad aprire la serata del tavolo d’onore è stata proprio la battuta a coltello della macelleria Limberti, accompagnata dalla loro giardiniera in agrodolce. La Ristomacelleria Rosso 27 ha poi coperto tutte le tre giornate con più di 600 battute a coltello preparate al momento ed altrettante porzioni suddivise tra Roast-beef del macellaio ed Brasato al Nebbiolo. Per Gabriella e Claudio è stata una sfida gestire per la prima volta due eventi importanti e In piedi, da sinistra, Alberto Corino, Valentina Ranghino, Um- in due sedi diverse in contemporanea ed è stata vinta berto Limberti e Gabriella Aietti; in basso, Luca Carlino, Roberto assieme ai loro collaboratori e ai ragazzi degli istituti alberghieri Pastore di Gattinara e Zegna di Cavaglià. Farinelli, Claudio Limberti e Mattia Frezzato.

La Chianina dalla stalla alla tavola. Le prospettive commerciali nei risultati del progetto Meat & Value “La filiera della Chianina dalla stalla alla tavola” è il tema del convegno che si è svolto lo scorso 6 ottobre a Sinalunga (SI), in occasione della Fiera dell’Agricoltura. «L’attività del progetto — ha spiegato il coordinatore del progetto STEFANO MENGOLI, di Bovinitaly — si è sviluppata con due principali obiettivi: migliorare l’efficienza produttiva degli allevamenti, partendo dalla conoscenza dei fattori ambientali e gestionali che incidono su una equilibrata crescita dei vitelloni IGP. E quindi, quello di sviluppare, a partire dalla macellazione fino al confezionamento, nuovi prodotti a base di Chianina in grado di intercettare i gusti e le esigenze dei consumatori». «Sinalunga si conferma — ha aggiunto il sindaco RICCARDO AGNOLETTI — patria della razza Chianina e più in generale luogo di rilancio per la competitività sui mercati delle carni IGP Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale. Un risultato raggiunto grazie al lavoro congiunto tra tutti gli attori della filiera. Ringrazio CIA Toscana per il convegno e Regione Toscana per aver finanziato il progetto della “cucina traslabile” per la preparazione della carne di Chianina. Un impianto innovativo ad induzione, sperimentato e inaugurato proprio in occasione della fiera». L’innovazione sviluppata dal progetto ha reso possibili importanti ricadute in termini di rilancio della competitività delle carni IGP Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale con particolare riferimento alla Chianina, in termini di tecniche di preparazione e somministrazione e di qualità percepibili delle stesse, consentendo lo sviluppo di protocolli commerciali con importanti catene di distribuzione (fonte: CIA Toscana).

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MACELLERIE D’ITALIA

Grande festa carnivora per il restyling della Macelleria Fontana

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o scorso 10 settembre a Marostica, in provincia di Vicenza, è stata festa grande. Anzi, grandissima! Promotori dell’evento ad alto contenuto carnivoro i fratelli FONTANA, VALTER e ANDREA, che hanno inaugurato il “restyling” della loro macelleria. Insieme a loro centinaia di amici e clienti, tra i quali DARIO CECCHINI, arrivato dalla sua Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti, il governatore del Veneto LUCA ZAIA e SAMMY BASSO, fresco di laurea in Scienze

naturali all’Università di Padova. Valter e Andrea Fontana da tempo sostengono l’associazione italiana Progeria Sammy Basso Onlus e anche in questa occasione non sono mancati sostegno e solidarietà per questa rara malattia genetica che provoca un invecchiamento precoce. Tantissima la carne al fuoco nei barbecue collocati all’esterno del locale e un mare di ospiti che hanno degustato le carni selezionate dalla famiglia Fontana annaffiate da ottimi vini.

Il nuovo look del locale La macelleria ha cambiato look nella parte della bottega aperta al pubblico e nell’area di macello e disosso, riservata allo staff. Il negozio di Valter e Andrea Fontana e della loro mamma Carla offre tagli scelti di manzo e suino, oltre ad insaccati, vini, sughi, pasta e pronti a cuocere. >> Link: www.macelleriafontana.it Note Photo © Leo Sanzo.

Dario Cecchini, Valter e Andrea Fontana, Sammy Basso e Luca Zaia. Nel 2005 Sammy ha fondato l’Associazione italiana Progeria Sammy Basso: al mondo sono in 70 con questa malattia, in Italia 4. Fresco di laurea, Sammy ha studiato la sua malattia scrivendo di una nuova terapia messa a punto fra Spagna e Italia per rallentare la sindrome. 88

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1/2) Oltre 600 ospiti, tra amici e clienti, hanno preso parte alla festa organizzata dai Meat Brothers, Valter e Andrea. 3) Silvio Mascarello e la sorella Carla Fontana, mamma di Andrea e Valter. 4) Uno dei barbecue allestiti in occasione della festa. 5) L’interno della macelleria sita in via Nonis a Marostica (VI). Eurocarni, 11/18

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Macelleria Zanotelli, una storia d’altri tempi di Riccardo Lagorio

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a Val di Cembra è un giardino di vigne, un altopiano che va percorso con lentezza, alla ricerca delle piramidi di terra e dei piccoli laghi che fecero innamorare il simbolo del Rinascimento tedesco, ALBRECHT DÜRER. In Val di Cembra il tempo sembra essere sospeso e se capita di scovare una macelleria come quella degli ZANOTELLI, si è nientemeno risucchiati indietro nel tempo. Non per le forme o le dotazioni che si trovano nella macelleria stessa, fornita di arredi e attrezzature moderni quanto e più qualificati di molte altre dello Stivale, ma per quello che ci sta die-

tro. E quello che ci sta dietro è una storia d’altri tempi, fatta di lavori, fatiche e modelli familiari che oggi sono per lo più ignoti. La macelleria apre i battenti nel 1949. Carlo Zanotelli fa il sensale: acquista un vitello, lo scambia con una vacca e poi con un manzo. Percorre la valle a piedi, di stalla in stalla alla ricerca del miglior scambio, della permuta più profittevole, fino all’altopiano di Piné, talvolta più su, in val di Fassa. Nella stalla di Cembra arrivano gli animali più adatti alla macelleria, quelli dalle carni più saporite e ben fatte. Inutili sforzi, se non ci fosse intanto Pia, la moglie,

spina dorsale della famiglia, sei figli e duro lavoro in macelleria. Nasce nel frattempo il turismo, quello verso le piste da sci o delle passeggiate estive, Canazei, Cavalese. I due figli maschi crescono, fanno casa pure quelli e si vive tutti insieme, secondo antiche abitudini. Gli affari girano al meglio e i fratelli Giuseppe e Silvano inaugurano la stalla accanto al Lago Santo, dove un tempo sorgeva una cava di porfido. Così la vecchia stalla viene trasformata in sala degustazione e stagionatura e il negozio sulla strada che attraversa il paese si amplia e arricchisce di gastronomia.

La conduzione della Macelleria Zanotelli è interamente a livello familiare e la carne proposta è un prodotto a km 0. Una peculiarità che diversifica l’offerta rispetto alle altre realtà territoriali.

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In alto: Giuseppe e Sara Zanotelli. In basso: i nuovi locali della sala degustazione ricavati dalla vecchia stalla. Arredato con legno di cirmolo, ha mantenuto la sua originaria struttura, con le mangiatoie, le pertiche, i volti in pietra. Gli avventori vengono accolti con calore e qualche tagliere di salumi propri, tra i quali spiccano carne fumada e carne salada, e formaggi trentini.

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Si allestisce persino una pasticceria, dove prende il comando Alessia, la figlia di Giuseppe. Improbabile vedere all’opera, in altri luoghi d’Italia, undici persone affiatate come queste, ciascuno con un compito, ognuno coinvolto nella missione di fare il meglio per il gruppo. Nella stalla, moderna e attrezzata per il benessere animale, vivono 150 bovini da ingrasso. Gli Zanotelli hanno preferito allevare animali di razza Limousine e Simmenthal incrociati con Blu Belga. «Il fieno proviene dai prati stabili di proprietà a Fornace in Val di Cembra e Nogaredo in Valsugana» racconta Sara, la moglie di Giuseppe Zanotelli. «D’estate alcuni animali pascolano a Grumès, a quasi 1.300 metri d’altezza. I capi vengono allevati dalla nascita a stabulazione libera adattandosi ai cambiamenti climatici. L’allattamento avviene secondo la linea vacca-vitello: il latte viene interamente ceduto al piccolo. Per la nostra famiglia è importante il contributo che portiamo al presidio ambientale e così facendo assicuriamo la provenienza della nostra carne e degli alimenti, a tutto vantaggio della sicurezza del consumatore. Il punto di forza consiste nel legare l’allevamento al laboratorio e quindi nella vendita diretta in macelleria». Oltre al consumo di carne fresca, nel laboratorio si producono salumi. In particolare da fesa o dal girello si ottiene la carne fumada, una sorta di bresaola che viene affumicata con fumo di faggio, alloro e ginepro che va assaggiata col raro spumante metodo classico d’uva Lagarino bianco di ALFIO NICOLODI (cembranidoc.it). «Era un’antica abitudine natalizia, e ancora sopravvive nelle famiglie di stretta osservanza, che il capofamiglia acquisti tagli di posteriore e, una volta tolta dalla salamoia, regolarmente massaggiata di tanto in tanto, la si affumichi nella bocca del camino e si regali infine ai figli». Accade anche che si produca carne salada, posteriore che viene tenuto per qualche tempo in bacinelle a contatto con vino bianco, sale,

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Sono 150 i bovini da ingrasso allevati. Le razze scelte Limousine e Simmenthal, incrociati con Blu Belga. Il punto di forza dell’azienda agricola consiste nel legare l’allevamento al laboratorio e nella vendita diretta in macelleria. pepe, aglio e spezie, specie ginepro. I tagli di carne vengono esposti ordinatamente e occupano buona parte del banco. Tuttavia, i pronti e cuoci stanno via via conquistando spazio: arrotolati, arrosti, brasati, spezzatini, ragù. «Specie durante il periodo di vendemmia, quando le persone sono impegnate tutto il giorno, prepariamo dei sottovuoto che è sufficiente scaldare». L’edificio che era la vecchia stalla è stato trasformato in sala degustazione. Arredato con legno di cirmolo, ha mantenuto la sua

originaria struttura, con le mangiatoie, le pertiche, i volti in pietra. I turisti vengono accolti con calore e qualche tagliere di salumi propri e formaggi trentini. La Val di Cembra. Chi la lascia, non la lascia mai veramente. Riccardo Lagorio Azienda Agricola Zootecnica Gastronomia e Macelleria Zanotelli Viale IV Novembre 35 38034 Cembra (TN) Telefono: 0461 683012 www.facebook.com/macelleriazanotelli

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MEAT BLOGGER

Sacramento 2020: l’Italia chiamò! La destinazione è tracciata. Eurocarni e Maremma che Ciccia raccontano in esclusiva quello che sta succedendo nella regia della Nazionale Italiana Macellai per i WBC. #ItaliaPresente di Andrea Laganga

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ono trascorsi soltanto pochi mesi dalla sfida di Belfast 2018, la competizione che ha tenuto tutti gli amici carnivori incollati a smartphone, tablet e computer, curiosi di scoprire cosa fosse questa sfida a colpi di coltello tra professionisti delle carni. Per la nostra Nazionale sono stati mesi di riorganizzazione, utili per mettere a fuoco ogni particolare vissuto durante l’evento. La nostra prima volta. «Un momento di riordino delle idee e pianificazione importante— ci ha raccontato FRANCESCO CAMASSA, capitano del team 2018 — utile soprattutto per riuscire a creare qualcosa di ancora più perfetto, facendo tesoro di ogni esperienza, anche quella apparentemente più insignificante». Dopo Belfast, la Nazionale Italiana Macellai è infatti pronta a scendere in campo per partecipare a quella che sarà, secondo il WORLD BUTCHERS’ ORGANISING COUNCIL, il più bel mondiale dei macellai di tutto il mondo. L’Italia oramai si è conquistata la fiducia del World Butchers’ Challenge (WBC) e parteciperà di diritto al mondiale a stelle e strisce che si terrà nel 2020 a Sacramento, capitale della California. «È stata un’esperienza indimenticabile quanto davvero, davvero difficile» ha sottolineato ORLANDO DI MARIO, presidente della Nazionale Italiana Macellai. «Partecipare a questa manifestazione per la prima volta, all’interno di un cir-

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Questa la formazione della Nazionale Macellai Italiana di Belfast 2018. In alto, da sinistra, Orlando Di Mario, Fabrizio Gasparrini e Davide Cecconi. Al centro, Federico Dal Lago, Andrea Laganga, Ale Fantasie e Gianni Giardina. In basso, da sinistra, Roberto Passaretta, Mara Labella e Francesco Camassa (photo © Massimiliano Rella).

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cuito in cui già altre nazione erano state protagoniste, non è stato cosa da poco, ma con orgoglio e onore siamo riusciti a portare la nostra testimonianza e il nostro Tricolore oltre le Alpi». Lo staff tecnico della Nazionale in questi mesi ha lavorato sodo, con incontri continui proprio per cercare di non lasciare nulla al caso. I componenti del team italiano hanno dovuto prendersi del tempo per dare risposta alle migliaia di richieste e informazioni da parte di tutti quei colleghi che da lontano avevano tifato con la speranza, un giorno, di lottare fianco a fianco. Ed è proprio nelle scorse settimane che i social sono impazziti a fronte della pubblicazione di tutte le info ufficiali e delle modalità per entrare in gara. Un video di pochi minuti e la voglia di mettersi in gioco: queste sono le semplici regole per candidarsi alle selezioni di ingresso nel TEAM ITALIA (tutte le info accessibili sulla pagina Facebook Nazionale Italiana Macellai: www.facebook. com/ItalianButchersTeam). Novità per il 2020: porte aperte ai giovani macellai che si vogliono mettere in gioco Una delle grandi novità è proprio la nuova categoria dei giovani macellai che il Team Italia presenterà nella sfida di Sacramento. In qualità di segretario della Nazionale sono il primo a sostenere che nell’edizione del 2018 non avevamo né il coraggio né tanto meno l’esperienza per portare dei giovani in un percorso ancora inesplorato. Belfast per noi è stato l’anno zero, l’esplorazione di un nuovo contesto che oggi possiamo dire di conoscere. «Cambia anche il modo di affrontare questo nuovo percorso» ha ribadito MARA LABELLA. «Ognuno avrà ruoli e compiti ben precisi, memori proprio dell’esperienza vissuta. Nel nostro primo mondiale ci siamo trovati a essere giudici e giudicati. Eravamo i giocatori e, contemporaneamente, gli allenatori di noi stessi, tecnici ed addetti marketing. Siamo persino diventati sarti e specialisti vetrinisti!

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Questo a causa del tempo ridottissimo a nostra disposizione e dell’inesperienza. Nell’arco di pochi giorni siamo però riusciti a creare una squadra affiatata come una famiglia, determinati a centrare l’obiettivo». I primi nomi del nuovo Team Italia 2020 Ma le anteprime non finiscono qui. In esclusiva per EUROCARNI, scopriamo i primi tre nomi che faranno da guida verso il WBC 2020. Chi non conosce FRANCESCO CAMASSA? Nel Mondiale di Belfast 2018 è stato il primo capitano della prima squadra italiana di macellai, portando a casa il riconoscimento di uno dei sei Top World Butchers. Oggi lo staff ha gridato all’unanimità quello che doveva essere il suo ruolo nella nuova avventura. La squadra ha bisogno di un coach, di una guida pronta a indirizzare con sapienza ed esperienza i sei uomini intorno al tavolo della gara. Questa sarà la nuova veste di Francesco Camassa quindi: il coach della Nazionale Italiana Macellai 2020. «È una decisione che mi ha colto di sorpresa ma che, allo stesso tempo, mi ha fatto crescere di due metri in altezza» ha detto felicissimo Francesco. «Una scelta voluta dalla squadra che mi fa sentire gratificato e, ancor di più, apprezzato per quello che sono. Non posso tirarmi indietro di fronte ad una decisione di colleghi che, ancor prima, sono oggi amici fraterni». Naturalmente i nomi dei partecipanti alla sestina in campo ancora sono tutti da scrivere. Sappiamo però che il volere del direttivo tecnico è quello di non cambiare completamente tutte le figure in campo. «Secondo noi l’esperienza maturata dalla precedente edizione è un’arma fondamentale che non possiamo sprecare» ha dichiarato FABRIZIO GASPARRINI, componente del direttivo della Nazionale e tecnico del Team Senior. «Aver già vissuto la forte emozione da gara è un vantaggio che dobbiamo giocarci bene, soprattutto per i nuovi che entreranno; anche se so già che ogni storia ha

le sue emotività, per così dire. Abbiamo quindi deciso di aprire 2 o 3 posti a nuovi componenti per la formazione del Team 2020». Chi rimarrà? Sorridendo il presidente Di Mario risponde che «questo è ancora è top secret!». Vi sveliamo, però, il nome di colui che prenderà la fascia di capitano della Nazionale Italiana Macellai 2020. «Questo posto non si assegna — dice Orlando — questo posto si conquista. Il siculo GIANNI GIARDINA ha lottato duramente nello scorso mondiale e, ad oggi, il ruolo di capitano gli spetta di diritto». Il tutor degli Junior italiani La gara Junior è una gara complessa: a Sacramento la sfida sarà affrontata singolarmente, e ognuno, in completa autonomia, dovrà portare a termine delle prove di macelleria. Seguire i giovani non è difficile solamente per la parte pratica. Serve un referente capace di motivare e formare i ragazzi dando loro strumenti e competenze. La persona giusta è ORLANDO DI MARIO, nominato coach dei Junior, colui che affronterà per la prima volta per l’Italia il ruolo di allenatore degli under 30. «Con grandissima voglia e determinazione sono pronto a mettermi in gioco per la squadra» ha dichiarato Di Mario. Il motore dei Macellai d’Italia in vista di Sacramento 2020 è oramai partito. Tutti pronti e determinati per scrivere altre pagine di storia per il bene della categoria dei macellai, ricchi e orgogliosi di una tradizione tutta tricolore. Andrea Laganga Macellaio e blogger www.maremmacheciccia.com

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MEAT FRANCHISING

Meat sounding: arriva in Italia il burger di Bill Gates e Di Caprio Venduto da Welldone, è realizzato da Beyond Meat solo con proteine vegetali, ma sa di bovino

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on sembra rallentare il fenomeno del Meat sounding (o del Fake meat), ossia lo spacciare per carne prodotti a base vegetale che nulla hanno a che vedere con cibi a base di proteine animali. Fenomeno per il quale da più parti si invoca un intervento regolatorio, come già accaduto in Francia o negli Stati Uniti. La novità di questo autunno è il lancio di un hamburger vegetale americano in una catena italiana. Infatti, è ora possibile assaggiare in tutti i Welldone d’Italia Beyond Burger, il burger di “non-carne” composto al 100% da proteine di origine vegetale prodotto dall’americana BEYOND MEAT, start up finanziata, tra gli altri, da BILL

GATES, LEONARDO DI CAPRIO e TYSON FOODS e distribuito in anteprima nel nostro Paese dalla catena di hamburgerie bolognesi. Beyond Burger è un burger che ha la stessa resa e lo stesso gusto della carne bovina. La ricerca di BEYOND MEAT ha portato alla realizzazione di una “non carne” che secondo l’azienda ha aspetto, gusto, succosità, profumo e consistenza della carne bovina. Sempre secondo l’azienda, avrebbe un altissimo apporto di proteine e sarebbe ricco di ferro quanto la carne bovina. Non contiene OGM, soia, ormoni o antibiotici, è privo di colesterolo e glutine. Questo tipo di proteine è adatto sia a chi sceglie una dieta vegana sia a chi ama la

carne ma vuole ridurre l’impatto sull’ambiente e sulla propria salute. È stato calcolato infatti che il risparmio rispetto alla lavorazione della carne animale equivale al 95% di terra utilizzata, al 75% di acqua, con un abbattimento delle emissioni di gas serra dell’87%. Welldone, catena di hamburgerie fondata da ANDREA MAGELLI e da SARA ROVERSI nel 2013, annoverata tra le 5 migliori hamburgerie d’Europa dal Wall Street Journal, si è aggiudicata la distribuzione in anteprima per l’Italia di Beyond Burger all’interno del proprio menù. Conta 16 locali tra Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Sardegna (fonte: © World Food Press Agency).

Welldone Burger di via Fioravanti 37/C a Bologna (photo © welldoneburger.com).

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Michelle Hunziker nuova testimonial di Roadhouse È partita lo scorso 3 ottobre la nuova campagna adv di Roadhouse Restaurant. Protagonista e testimonial è la showgirl Michelle Hunziker che accompagna lo spettatore a vivere “l’experience” Roadhouse a ritmo di musica e danza. Lo spot da 45 secondi si sviluppa, infatti, come un vero e proprio musical di Broadway, in un crescendo di emozioni narrate attraverso una spettacolare coreografia all’interno di un ambiente suggestivo. Lo spot è stato diretto dal regista newyorchese BLAKE FARBER, che vanta la direzione di numerosi video di pop star americane e spot di primari brand internazionali come Nike e Ray-Ban. Ideato dall’agenzia creativa Life Longari & Loman e prodotto da Visionworks, lo spot è on air in TV sulle reti Mediaset ed è declinato su radio, stampa e on-line. È visibile inoltre sul sito www.roadhouse.it/it/spot-michelle. Roadhouse Restaurant ha attualmente 125 locali in Italia, distribuiti in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lazio e Sicilia. I ristoranti sono aperti al pubblico 7 giorni su 7, a pranzo indicativamente dalle 12.00 alle 14.30 ed a cena dalle 19.00 alle 23.30. Il menu prevede un vasto assortimento di piatti unici a base di carne alla griglia (Ribeye, New York Strip, Filet Mignon, T-Bone Steak, hamburger, ecc…), accompagnati da un’ampia scelta di contorni e seguiti da una ricca varietà di dessert. Il prezzo medio a persona è compreso tra i 17 e i 19 euro. Il tutto condito da un attento servizio al tavolo e dalle migliori opportunità offerte anche dalla Roadhouse Card, con tutti i vantaggi esclusivi per la community, che ad oggi ha già superato il milione di iscritti. >> Link: www.roadhouse.it

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SAPORI DAL MONDO

Viaggio nell’antichissima Persia

Iran, il paese del kebab dal profumo di zafferano Con questa spezia usata da circa 3.000 anni, le carni di agnello, pecora, montone, pollo e bue ricevono un particolare sapore e colore che rende la gastronomia iraniana unica al mondo di Nunzia Manicardi

L’

Iran, la favolosa Persia, culla di una civiltà di fondamentale importanza per la storia dell’umanità e le cui origini risalgono addirittura a 7.000 anni fa, è un paese sorprendente. Qui tradizione e innovazione si fondono nel nome di quella rivoluzione

popolare che nel 1979 portò al rovesciamento del regno dell’ultimo scià, REZA PAHLAVI II, e all’instaurazione della Repubblica Islamica. Era stato Reza Pahlavi I ad introdurre il cambiamento del nome da Persia (derivato da quello del clan del grande imperatore Ciro il Grande) a Iran

(che significa terra degli Ari, intesi in origine come i nobili, i migliori), rischiando così di staccare il paese dalla propria storia. In effetti i due nomi sono intercambiabili, sebbene prevalga Iran in riferimento allo Stato, mentre i sostantivi e aggettivi “Persiani” e “persiano” sono tuttora

Il kebab o kabob viene tradizionalmente accompagnato da verdure e riso con zafferano (molto diverso dal nostro risotto però) e frutta secca, una delle colonne portanti della gastronomia persiana.

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Selezione del prezioso zafferano nella provincia del Khorasan del Nord. usati frequentemente in riferimento alla popolazione e alla lingua del paese (lingua derivata dall’arabo, ma completamente autonoma e dalla quale è fiorita una meravigliosa poesia che tuttora è amatissimo nutrimento per l’identità nazionale). Tuttavia, il doppio nome crea confusione e, soprattutto, impedisce alle persone meno informate di rendersi conto dell’importanza e dell’unicità di questo territorio, vasto come cinque volte e mezzo l’Italia e abitato da quasi 80 milioni di persone. I Persiani sono indoeuropei come noi, sebbene di religione islamica. Anche questo nell’opinione pubblica meno informata crea confusione, perché talvolta vengono considerati arabi. A differenza della maggior parte degli islamici però, che sono sunniti, essi appartengono alla minoranza scita, concentrata quasi tutta nel paese, che quindi, anche da questo punto di vista, è unico al mondo. Quanto detto può forse bastare a dare una prima sommaria idea della complessità storica e culturale di questa nazione al centro degli

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equilibri politici mondiali e ben consapevole di esserlo. Una nazione straordinariamente ricca di materie prime naturali e ormai totalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare, ma sempre a rischio di precipitare in un conflitto armato dalle conseguenze imprevedibili. Per fortuna la sua tradizione gastronomica non risente delle tensioni e dei cambiamenti epocali e si mantiene ben salda nel solco più antico. La carne qui la fa da protagonista ma, secondo i dettami islamici, è bandita quella di maiale. Sono gli ovini, soprattutto, ad essere presenti: dall’agnello alla pecora, al montone, e poi il pollo, graditissimo e fornito da validissimi allevamenti, e il bue. La carne in Iran si chiama genericamente kebab (o kabob), che a sua volta originariamente significava “spiedo”. Il kebab è diventato famoso in Europa e in tutto l’Occidente attraverso i Turchi, ma sia la parola che la tradizione di cuocere la carne arrostita sullo spiedo sono derivate proprio dai Persiani. L'espressione

“kebab” è essenzialmente di origine persiana e, inoltre, il kebab persiano non ha nulla a che vedere con quello turco, il dôner kebab che significa letteralmente “spiedo che gira”, con riferimento allo spiedo verticale rotante in cui la carne viene infilzata e fatta abbrustolire facendola ruotare sull’asse del girarrosto. In Iran, invece, con kebab si intende qualunque tipo di carne arrostita e poi tagliata in qualsiasi modo a fette. Ve la trovate nel piatto, non di rado simile a una nostrana fettina, sottraendola così alle critiche e ai dubbi che non di rado accompagnano il kebab turco per quanto riguarda la provenienza e la garanzia di controllo sanitario dell’impasto di carni che lo costituiscono. La tradizione araba vuole che il piatto sia stato inventato nel Medioevo da soldati persiani che usavano le loro spade per grigliare la carne sul fuoco in campo aperto. Qualunque ne sia stata l’origine, il kebab in Iran è il piatto principale che — con o senza riso — diventa anche piatto unico a seconda delle

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verdure alle quali si accompagna e con le quali dà vita a numerose varianti locali. In Iran una delle varianti più diffuse è quella con la carne tritata. La preparazione è nota come kebab kubideh ed è costituita da carne tritata di manzo e/o montone o agnello insieme con cipolla e aromi (zafferano, curcuma, pepe, sale) che viene avvolta intorno a spiedini piatti larghi 2 cm e poi grigliata, preferibilmente su braci di carbone ben calde. Ne risultano delle strisce lunghe e sottili, tenerissime, dalle caratteristiche striature orizzontali più scure. Il segreto per un’ottima riuscita sta nell’amalgama dell’impasto, che si consiglia di far rassodare in frigorifero prima dell’utilizzo. Kubideh significa infatti “battuto”, nel senso che le carni devono essere impastate per bene insieme con tutti gli ingredienti (come nelle nostre polpette) in modo che rimangano attaccate allo spiedo e non si sfaldino. Non di rado, infatti, le strisce — una volta cotte — se non fate attenzione, si sfaldano già mentre le sollevate con la forchetta (cosa quindi da non fare, o almeno aiutatevi con due posate). Per questo motivo la carne non deve essere troppo magra, altrimenti indurirebbe, e la cipolla deve essere affettata molto sottilmente ma privata del succo, che renderebbe l’impasto troppo morbido. Questo succo verrà poi spalmato (con l’aiuto di un pennello) sugli spiedini già arrostiti, insieme al burro fuso con lo zafferano. Il kebab kubideh, come per tutti i piatti iraniani asciutti, si accompagna con riso bianco (corrispondente alla varietà basmati) cotto al vapore in modo tale da privarlo il più possibile dell’amido e renderlo quindi altamente digeribile o arricchito a sua volta con zafferano e con pomodori arrostiti (tondeggianti e lasciati interi). Può anche essere avvolto dal lavash, il sottilissimo pane persiano corrispondente alla piadina sottile riminese. Viene infatti steso molto sottile e cotto velocemente sbattendolo contro le pareti calde di un forno di argilla.

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Pollo fesenjan, stufato con salsa agrodolce a base di noci tostate tritate e succo concentrato di melagrana. Il piatto viene quasi sempre accompagnato da riso basmati al vapore. Può essere condito con semi di sesamo o di papavero. Eccellente è anche il kebab-e barg, fette sottili di agnello o manzo insaporite anche in questo caso con succo di limone e cipolla e con zafferano e burro. Il kebab di pollo, conosciuto come joojeh, tradizionalmente si ricava da un pollo intero, cucinato quindi con gli ossi e tutte le interiora, che per avere più sapore viene marinato a sua volta con limone, cipolla, zafferano e burro. Meno consueto è il jigar, un kebab di fegato di agnello guarnito con foglie di basilico fresco e una

fetta di limone. Ma io ho gustato i fegatini anche con sugo di pomodoro e cipolla ed erano ugualmente squisiti e per me piacevolmente insoliti. Raramente tuttavia troverete in Iran una pietanza che non sia accompagnata dallo zafferano, e questo non soltanto per il profumo incomparabile che esso conferisce insieme con il magnifico colore (non sempre però evidente quando gli ingredienti sono tanti), ma anche per le sue straordinarie proprietà salutari. Con lo zafferano vengono insaporiti anche i tanti piatti a base

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Il kabab koobideh è costituito da carne tritata di manzo e/o montone o agnello insieme con cipolla e aromi (zafferano, curcuma, pepe, sale) che viene avvolta intorno a spiedi piatti e poi grigliata su braci di carbone ben calde. di verdure e frutta che, sia cotte in forma di salsa che crude, arricchiscono e completano la tavola persiana. Indimenticabile, a mio avviso, è il fesenjan a base di succo concentrato di melagrana e noci tritate finemente che, insieme con aceto bianco, succo di limone, zucchero e un pizzico per ciascuno di peperoncino rosso, pepe, curcuma, cardamomo, coriandolo, cannella e zafferano, va a formare una densa salsa di colore scuro che, cotta in un po’ d’acqua e con l’aggiunta di olio di semi di girasole, ricopre la sottostante carne stufata.

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Spesso però non si tratta di zafferano, che anche in Iran è costosissimo, ma di curcuma, come nel caso dello stufato di agnello e albicocche, in cui gli ingredienti inoltre comprendono cumino e cannella in polvere, pepe e miele, o del ghorme sabzi con porro, bietole e prezzemolo (anch’esso utilizzato come ortaggio a parità di peso con gli altri due) cucinati insieme con fagioli all’occhio lessati (di una varietà però non presente in Italia), fette di limone, curcuma, fieno greco, olio di semi di girasole e sale.

Tornando allo zafferano, non si può tralasciare il bellissimo effetto cromatico, oltre che gustativo, del riso bianco decorato con fili sottili di questa spezia pregiatissima. Il riso preparato semplicemente con burro e zafferano viene chiamato chelo e accompagna le diverse pietanze o salse. Quando invece contempla l’aggiunta di altri ingredienti, prende il nome di polo e costituisce di solito il piatto unico In questo caso possiamo trovare erbe, verdure, fagioli, frutta secca, noci e nocciole, carne e anche noodles (la cui origine, lo ricordo, è orientale). Molto gustoso è il baghali polo, con fave e aneto. Anche in queste preparazioni lo zafferano non manca, aggiunto di solito alla fine. Tra le verdure predominano le melanzane, cucinate in diversi tipi di salse, così soffici da diventare vere e proprie creme, sia rosse (khoresh bademjan, con carne macinata, pomodoro, zafferano, cipolla e succo di uva acerba) che bianche (kashke bademjan, con siero di latte acido e menta secca), oppure stufate o anche presentate come involtini o, infine, cucinate con le uova (mirza ghasemi). Dagli accenni fatti finora si capisce come la cucina persiana sia interessante e affascinante, sia perché tramanda una tradizione antichissima e ancora intatta, sia perché combina sapientemente gli ingredienti non soltanto secondo il gusto, ma anche secondo una filosofia alimentare che è anche filosofia di vita. Niente è casuale in Persia e anche la combinazione degli ingrediente è calibrata in modo da fornire un apporto nutritivo completo ed equilibrato. Non a caso la medicina è nata qui, ad opera del grande AVICENNA (9801037), e ancora oggi questo paese è all’avanguardia in campo medico e chirurgico. La consapevolezza regna anche a tavola, in una mescolanza di ricchezza gustativa mai però sovrabbondante o invasiva. Il popolo persiano è composto, educato ed elegante e la sua cucina, raffinata e speziata ma sempre con garbo, lo dimostra al meglio. Certamente

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bisogna però avere, da parte dello straniero, l’indispensabile curiosità e apertura mentale e culturale per poterla apprezzare. Altrimenti è meglio restarsene a casa, onde evitare lo sgarbo — come purtroppo ho riscontrato personalmente — di lasciare nel piatto, addirittura con disprezzo e sospetto, cibi straordinari preparati con ogni attenzione e amorevolezza. In Iran l’ospitalità è sacra e anche le preparazioni culinarie lo rivelano. Basti pensare che tradizionalmente vengono preparate delle porzioni in più nel caso in cui arrivi eventualmente un ospite all’improvviso! Tornando allo zafferano, va ricordato che per un grammo di questa spezia occorrono gli stigmi (lo stigma è la parte del fiore che riceve il polline durante l’impollinazione) di ben 150 fiori (Crocus sativus) raccolti con estrema delicatezza da 40 lavoratori in un arco di tempo oltretutto brevissimo, fra le prime luci dell’alba e il sorgere del sole affinché il calore non rovini l’aroma. Lo zafferano ha origini antichissime. Le prime documentazioni del suo utilizzo si ritrovano presso i Medi (popolo iranico che occupò gran parte dell’odierno Iran centrale e occidentale, a sud del mar Caspio) intorno al 700 a.C. Il nome stesso deriva dal persiano e significa “che ha le foglie dorate”. Lo zafferano in Iran viene classificato in classi in base alle quantità relative di stigmi rossi e stili gialli. Le classi dello zafferano iraniano sono: • sargol (solo le punte degli stili rossi, la classe con la maggior intensità; lo stilo è il prolungamento dell’ovario al termine del quale appare lo stigma); • pushal o pushali (stigmi rossi più alcuni stili gialli, intensità più bassa); • bunch (stigmi rossi più una maggiore quantità di stili gialli, presentato in piccoli mazzetti come fascetti di grano in miniatura); • konge (solo stili gialli, per cui con aroma ma con uno scarso potenziale colorante). Lo zafferano viene anche chiamato “fiore della salute” per le sue accertate proprietà curative nel

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caso di molteplici patologie: cancro, Alzheimer, Parkinson, epatite, diabete, influenza, bronchite, malattie e disturbi di reni e pancreas, pressione alta, ipercolesterolemia. Ha inoltre effetto antiepilettico, antidolorifico, antispasmodico e rilassante, rafforza la memoria ed è ricco di vitamine A, C, B6, B2, B1 e di sali minerali (potassio, magnesio, fosforo). È uno dei più potenti antiossidanti, combatte i radicali liberi e stimola le funzioni digestive. Il safranale, composto organico presente nei pistilli, è quello che conferisce l’aroma ed è in grado di influenzare positivamente l’attività cerebrale. Il colore è dovuto invece alla crocina e alla crocetina, due carotenoidi che fungono anche da antiossidanti. L’Iran è il maggior produttore mondiale di zafferano, con il 90% della produzione stimata fra le 80 e le 160 tonnellate annue, esportate in oltre 50 nazioni nel mondo. Per dare un’idea dell’importanza di questa coltivazione, si pensi che il prezzo delle varietà più pregiate arriva a € 60,00 al grammo, cioè quasi il doppio dell’oro (lo zafferano viene definito “oro rosso”), e in ogni caso raramente scende sotto i € 16,00. Per questo motivo il governo iraniano ha comunicato che è stata creata una Banca Mondiale dello Zafferano, di proprietà statale, nella città di Torbat-e Heydariyyeh, uno dei maggiori centri della produzione, nella regione del Razavi Khorasan, a Nord-Est del paese. La sede — fornita di sistemi di conservazione all’avanguardia e adattati alle differenti esigenze di ogni determinata varietà — è tenuta segreta per ovvi motivi di sicurezza (la banca potrà conservare fino a 10 tonnellate di zafferano, con prossimo obiettivo l’aumento a 20 tonnellate). Lo scopo è di favorire sia gli imprenditori che i risparmiatori. Al fine di garantire a questi ultimi la possibilità di investire, gli agricoltori che depositano in banca il proprio zafferano ricevono dei bond di valore equivalente che possono essere venduti e comprati, o anche, all’occorrenza, riconsegnati riavendo in cambio la propria merce. Nunzia Manicardi


SONO 180 GRAMMI, LASCIO?

Risvegliarsi dopo l’11 settembre nel Meatpacking District

Turn On The Bright Lights, Interpol di Giovanni Papalato

“Shhhh C’mon, c’mon Hey, my best friend’s a butcher, he has sixteen knives He carries them all over the town at least he tries — oh look, it stopped snowing My best friend’s from Poland and, oh, he has a beard But they caught him with his case in a public place, that is what we had feared” Interpol, Turn On The Bright Lights, 2002

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ono versi da Roland, un brano da Turn On The Bright Lights, l’esordio di INTERPOL. Racconta di un assassino, un macellaio che porta con sé i suoi coltelli e che, forse girando nell’attuale Meatpacking District, un tempo conosciuto come La macelleria di New York, viene fermato e scoperto. Il motivo? Perché non si può girare con coltelli in posti pubblici nella metropoli statunitense post 11 settembre 2001. È trascorso quasi un anno quando viene pubblicato questo album, che fin dal titolo vuole raccontare, attraverso il personale, il tentativo di reagire di una città e della sua gente. Non ci sono riferimenti politici, né rabbia verso qualcosa o qualcuno, ma solo il desiderio di rilasciare il dolore ed esprimere il ritorno alla normalità, anche se in fondo si sa che è impossibile. Sezione ritmica e chitarre che affilate sottraggono e completano, con la voce di PAUL BANKS che è una medicina che non vuoi mandare giù, ma sai essere ne106

cessaria. Come un risveglio, cresce tra le melodia di chitarre che prima suonano come tastiere poi arrivano ad urlare prima di assopirsi, untitled.

Non potrebbe avere titolo migliore per aprire l’album, alla luce di quello che abbiamo detto fino ad ora. Obstacle 1 è una di quelle Eurocarni, 11/18


canzoni che ti entra in testa prima del ritornello e non se ne andrà mai più: ci sono echi di Joy Division, soprattutto nella drammaticità e nel baritono di Banks, ma è tutto il resto che la alza e la trasforma in una sorta di intimo inno. È nella sigla della loro città NYC che, pur essendo solo al terzo brano, tocchiamo uno dei vertici di questo disco: un po’ come dopo una sbronza, reggendosi a fatica in piedi ma comunque camminando, raggiungiamo un posto illuminato dove poter dire che ci siamo, che vogliamo un cambiamento, che ne abbiamo bisogno: “It’s up to me now, turn on the bright lights (got to be some more change in my life) New York cares (Got to be some more change in my life) New York cares Oh, it’s up to me now, turn on the bright lights (got to be some more change in my life) (Got to be some more change in my life)” Nemmeno un attimo per elaborare che parte la batteria di PDA, il secondo singolo veloce e solenne in cui troviamo altri riferimenti meno immediati della già citata band di Curtis: Sonic Youth, Television, Chameleons e certi Wire. Tutto vero, ma i quattro newyorchesi sono capaci di una identità comunque forte e di una scrittura personale.

Dopo cinque brani così importanti, Say Hello To Angels arriva a confermare senza stupire, anche se certe chitarre prima marziali e poi in levare lasciano il segno. È invece Hands Away a colpire. Torniamo alle atmosfere rarefatte di untitled ma ancora più minimali, senza perdere in consapevolezza. Tra brusii e synth il brano sterza e non può prescindere dall’urgenza. Un Lato A davvero importante, che già così ha preso spazio e si è insediato in chi ascolta. Girando il 33 giri è come se si volesse sottolineare una continuità con ciò che abbiamo appena lasciato, a partire dal titolo: in Obstacle 2 infatti ritroviamo determinate dinamiche ed è il basso a certi passaggi ritmici a guidarci per rimanerci impresso senza fatica alcuna. Un’inedita esperienza psichedelica, prima in un rimpiattino concentrico tra la sezione ritmica e la chitarra di DANIEL KESSLER che poi ad un certo punto riesce a liberarsi e danza prima di essere trascinata di nuovo giù. Stella Was A Driver And She Was Always Down: in questo come in altri brani, anche la voce di Banks contribuisce a comporre una sorta di tracciato che viene percorso collettivamente, nel ripetere senza ossessione, ma con costanza, certe frasi, come un mantra.

Roland desta dalla fascinazione con un schiaffo new wave e porta via, con in bocca un sapore aspro. Un inedito intro acustico ci porta a The New, che ha luce particolare, guidata dalla dolcezza del basso di Dengler, fino alla disarmonia di Kessler, che devia il corso del brano portandolo in territori opposti e contrari. L’epilogo è affidato a Leif Erikson che come una somma comprende e racchiude diverse espressioni emerse nella sequenza dei brani e racconta, tra bagliori, un mare di oscurità e intricate tessiture strumentali, il viaggio di una nave che si perde al largo nelle acque di New York. Turn On The Bright Lights è un disco importante, emozionale, che racconta di catarsi e risvegli, di smarrimento e disorientamento, di quella New York. È un debutto che emerge, sia in quel periodo ispirato e florido che sono stati i primi Duemila, discograficamente parlando, sia ora, in cui la musica è liquida ed effimera. Un album che vuole raccontare e lo fa con riferimenti al passato inequivocabili, ma con brani che hanno una potenza espressiva rara e indimenticabile. Giovanni Papalato Nota Photo © Lucio Pellacani.

Il Meatpacking District è un quartiere situato nella zona sud-ovest di Manhattan. Confina a nord con Chelsea, a sud e ad est con il Greenwich Village e ad ovest con il fiume Hudson. Conosciuto anche come Gansevoort Market, deve il suo nome agli stabilimenti di lavorazione della carne che, fino a non molti anni fa, affollavano il quartiere. Negli anni ‘60 l’area subì un declino che durò fino agli anni ‘80: era una zona industriale, epicentro del traffico di droga e della prostituzione. Alla fine degli anni ‘90 le cose cambiarono completamente. Una trasformazione che iniziò quando negozi e ristoranti alla moda, locali notturni e club esclusivi si insediarono in quest’area. Nel 2004 il Meatpacking District vinse il titolo di quartiere più trendy della città, pur rimanendo una zona “autentica”, grazie anche alla presenza di alcuni venditori di carne all’ingrosso. Un’attrazione speciale del District è rappresentata dall’High Line Park, un parco costruito su una vecchia linea ferroviaria soprelevata che offre vedute uniche della città dall’alto, circondati da piante e opere d’arte.

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NUTRIZIONE

Meatlessmonday, vezzo conformista di Alfonso Piscopo

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n un’epoca in cui i mezzi di comunicazione o, meglio, di distrazione di massa lanciano proclami sul veganesimo come regime alimentare politically correct, si sta imponendo un nuovo modello alimentare, di primo acchito giudicato più “equilibrato”, poiché prevede un’alimentazione completa dal punto di vista nutrizionale, e che viene presentato al pubblico come reducetarianesimo. I reducetariani prevedono una dieta completa di tutti gli alimenti, compresa la carne, purché di qualità e ridotta di quantità (il motto del movimento è appunto “we reduce”, noi riduciamo). L’obiettivo di questa filosofia di pensiero, una sorta di “mondo di mezzo” costituitasi in un vero e proprio movimento fondato da BRIAN KATEMAN, ricercatore della Columbia University, è quello di arrecare benessere alla salute e nel

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Vegani? No, reducetariani. Lanciato da Brian Kateman della Columbia University, il movimento dei reducetariani vorrebbe soppiantare veganesimo e vegetarianesimo, proponendo una dieta ecosostenibile ma non drastica. L’idea è quella di non rinunciare alla carne, ma controllarne qualità e quantità, evitandola ad esempio a cena il lunedì o il fine settimana

contempo non arrecare danno all’ecosistema e all’ambiente attraverso la riduzione dei consumi di carne e l’aumento di quello di vegetali. L’hastag lanciato dallo stesso ideatore del nuovo stile alimentare è appunto #lessmeat: mangiare meno carne, scegliendola di ottima qualità e accertata provenienza. Istruzioni per l’uso L’obiettivo di ridurre la quantità

di carne sulle nostre tavole, senza rinunciare completamente a questo alimento, potrebbe accontentare un po’ tutti, compresi gli scontenti vegani e vegetariani, che nel tempo si sono resi conto delle difficoltà che comporta un regime drastico strettamente vegetale e (statistiche alla mano) sono in parte ritornati a una dieta integrata contenente anche cibi di origine animale. Per diventare reducetariani si devono

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seguire delle indicazioni di riduzione graduale della carne, fino a raggiungere un regime alimentare stabile nel tempo. Durante il primo mese, ad esempio, occorre ridurre il quantitativo di carne settimanale, eliminandola dal pranzo o dalla cena, e, successivamente, il numero di giorni di consumo a settimana. Piano piano si devono ridurre le porzioni di carne, evitando comunque di consumare quella proveniente da allevamenti intensivi e preferendo quella proveniente da animali al pascolo. Infine, prevedere un giorno settimanale di astinenza dalla carne: il movimento predispone che sia il lunedì (il cosiddetto meatlessmonday, lunedì senza carne). Considerazioni Lascio ai lettori le considerazioni personali su questo nuovo stile alimentare, che si aggiunge ai tanti

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altri di moda oggigiorno. Quello che mi preme sottolineare è come, ancora una volta, un modello alimentare venga commutato in corrente filosofica, scuola di pensiero e, soprattutto, definito come politically correct in maniera esclusiva. La realtà è che per anni si è assistito a false comunicazioni sul cibo, soprattutto quello di origine animale, in modo particolare la carne, oggetto, da un ventennio a questa parte, di attacchi mediatici senza precedenti. L’inversione di tendenza recente è stata resa possibile grazie ad una corretta informazione scientifica, che tiene conto di studi epidemiologici che hanno come obiettivo quello di lanciare i giusti messaggi sulla carne e sul valore biologico che questo alimento ha per l’uomo e per la sua salute, in tutte le fasi della sua età evolutiva. Pertanto è necessario stabilire un cambio di passo, senza processare questo o quell’alimento, ma passare dal modello di vita politically correct, che si addice ai vegetariani, vegetaliani, fruttaristi, crudisti, reducetariani, ecc…, ad uno stile di vita alimentare/ambientale più a misura d’uomo, che si potrebbe definire scientifically correct, cioè supportato da solide basi scientifiche, che tengono conto di ricerche e studi epidemiologici. Lo stile alimentare che più si avvicina a questo modello “scientificamente corretto” è certamente quello della dieta mediterranea. La piramide alimentare che la caratterizza resta un modello di riferimento su cui convergono tutte le principali raccomandazioni nutrizionali emanate nei diversi ambiti della medicina. Oggi lo studio dell’alimentazione sta allargando i propri ambiti; comprende non solo quello strettamente nutrizionale, ma si estende a quelli di carattere sociale, economico e ambientale. Le scelte alimentari infatti hanno una notevole influenza sui singoli e sulla collettività e possono concretamente influenzare il futuro dell’uomo sul pianeta. Dott. Alfonso Piscopo Dirigente Veterinario Az. San. Prov. Agrigento Veterinario Servizio San. Nazionale

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Cinghiale carne dei forti Fin dall’antichità la carne del cinghiale era l’ambito cibo dei forti e oggi mantiene il suo posto nella cucina e nella gastronomia di Giovanni Ballarini

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ià nel Mesolitico e nel Neolitico i nostri diretti antenati Cro Magnon e i loro stretti parenti Neanderthal, per il proprio sostentamento, cacciavano il cinghiale con lance primitive. La caccia a questi animali era particolarmente pericolosa perché l’uomo, per quanto armato di lance o coltelli, doveva confrontarsi con loro corpo a corpo, come ben racconta OMERO (Odissea, XX, versi 428-466), quando descrive la ferita in una gamba e la conseguente cicatrice, provocata da un cinghiale a Ulisse, che gli consentì, al suo ritorno a Itaca, di essere riconosciuto dalla nutrice. La loro uccisione era considerata un vero e proprio atto d’audacia — costituiva una prova

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di coraggio e un allenamento ai combattimenti già nell’antica Roma — che suscitava scalpore e ammirazione: nel 799, la soppressione di un cinghiale con una lancia da parte di CARLO MAGNO venne apprezzata addirittura da PAPA LEONE III. La caccia divenne più efficace e meno rischiosa quando, durante il Medioevo e in epoche successive, si iniziò a compierla a cavallo, con l’ausilio di cani di grossa taglia, come levrieri e molossi, dotati, per la difesa, di ampi collari di cuoio con punte di acciaio o di maglia di ferro che a volte si estendevano sino a ricoprire il torace o parte della testa. Compito dei cani era scovare il cinghiale, inseguirlo, morderlo fino a indebolirlo e farlo crollare

esausto, permettendo al cacciatore di finirlo a distanza ravvicinata. Dal Rinascimento in avanti lo sviluppo delle armi da fuoco rese la caccia al cinghiale molto meno pericolosa: i nobili uccidevano senza sforzo grandi quantità di animali, finché si arrivò alla loro quasi totale scomparsa (i cinghiali sopravvivevano in pochi territori isolati ancora selvaggi. Oggi, in Italia e nei paesi industriali la caccia al cinghiale è praticata come svago, ma spesso la specie è allevata per venderne la carne, sia fresca che sotto forma di insaccati, considerata una vera specialità gastronomica Cinghiale e cinghiali Col termine “cinghiale” si fa riferi-

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Stinco di cinghiale brasato con soia e anice stellato. mento ad un genere di mammiferi suini che comprende quattro specie e diverse sottospecie. Il rappresentante più noto e ricercato per la sua carne è il cinghiale “comune” (Sus scrofa), molto diffuso in Italia dove vivono il cinghiale “maremmano” (Sus scrofa majori), poco più piccolo del cinghiale comune e diffuso soprattutto nell’Italia centrale, e il cinghiale “sardo-corso” (Sus scrofa meridionalis). Il cinghiale è un maiale selvatico interfecondo col maiale domestico; da adulto raggiunge un peso che varia tra i 100 e i 200 chilogrammi, ma nelle sottospecie più grosse può arrivare a 350 chilogrammi. Carne di cinghiale Il progressivo abbandono delle montagne e delle alte colline, di cui l’Italia è ricca, ha visto l’estensione dell’incolto, che è stato occupato dagli animali selvatici, sicché nelle radure si sono moltiplicati i grandi ungulati e nei boschi i cinghiali. Sulle Alpi sono oggi presenti 80.000 cervi, mentre in tutta Italia l’ISPRA (Istituto per la Protezione e la Ricerca

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Ambientale) stima che i cinghiali superino il milione di esemplari, diffusi in tutte le regioni e nel 95% delle province. Il grande incremento della popolazione di cinghiali è la conseguenza di diversi fattori. Partendo dallo sviluppo del bosco, habitat a loro favorevole, l’odierna esplosione demografica della specie è anche la conseguenza di un mancato controllo da parte di “eventi naturali”, quali la scomparsa di animali predatori e l’assenza di infezioni, e di una caccia che nei suoi diversi aspetti è fortemente controllata. In diversi casi essa provoca squilibri ecologici e forti contrasti sociali con eventi sempre più spesso al centro della cronaca: dai danni alle coltivazioni agli incidenti stradali. Eccezion fatta per le popolazioni di religione musulmana e israelitica, la carne del cinghiale è apprezzata da molti; una certa disaffezione è manifestata da parte di chi la trova di sapore troppo forte o preferisce le carni bianche. In Italia, la carne di cinghiale solitamente proviene, oltre che da

allevamenti, da cinghiali selvatici abbattuti dai cacciatori o uccisi all’estero, principalmente in Ungheria, nei Balcani e in Europa centrale. Una piccola quantità proviene anche da parchi che praticano abbattimenti selettivi, e in questo caso è di ottima qualità, anche perché gli animali abbattuti sono immediatamente trattati, gli abbattimenti compiuti con proiettili privi di piombo così che la carne risulta esente da residui di questo metallo pesante pericoloso per la salute umana. Prima del consumo, le carni di cinghiale andrebbero per legge sottoposte ad esame trichinoscopico effettuato presso l’Azienda Sanitaria Locale, e solo dopo un responso negativo potrebbero essere destinate alla vendita e al consumo. Tuttavia, questa prassi, attuata dai cacciatori, non è seguita dai bracconieri, che nella maggior parte dei casi destinano la carne al consumo familiare fidandosi dell’azione sterilizzante dovuta alle lunghe marinature e cotture che si usano tradizionalmente in cucina per la selvaggina.

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Tabella 1 – Composizione nutrizionale della carne cruda di cinghiale (valori riferiti a 100 g) Nutrienti

Valori

Energia

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Acqua

72,0 g

Proteine

21,5 g

Lipidi

3,3 g

Colesterolo

85,0 mg

Sodio

51,0 mg

Ferro

3,4 mg

Calcio

5,0 mg

Fosforo Magnesio Potassio

202,0 mg 23,0 mg 318,0 mg

Tiamina (vitamina B1)

0,2 mg

Riboflavina (vitamina B2)

0,4 mg

Niacina (vitamina B3 o vitamina PP)

6,3 mg

Vitamina E

0,2 mg

La carne di cinghiale è disponibile in diverse modalità. Oltre la carne fresca, più frequente è la carne conservata sotto vuoto, refrigerata e soprattutto congelata. Poco calorica e piuttosto magra, ad oggi non sono note controindicazioni al suo consumo, a meno che non si soffra di allergia a questo alimento. In presenza di particolari stati patologici, come uricemia e ipercolesterolemia, è comunque opportuno limitare il consumo di tutti i tipi di carne. Sul mercato ha prezzi variabili: si va dai circa 6-7 €/ kg per mezzene di animali ottenuti da abbattimenti selettivi ai 18 €/kg per la polpa con osso e 20 €/kg o più per la polpa senza osso. Cucina del cinghiale In tutte le cucine mediterranee ed europee il cinghiale è una carne molto ambita. Risalendo all’antica Roma, il cinghiale è più volte citato negli Epigrammi di MARZIALE (I sec. d.C.). Nel Satyricon di PETRONIO ARBITRO (I sec. d.C.), il cinghiale occupa il posto d’onore tra le vivande servite alla cena del ricco TRIMAL-

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CIONE, famoso per i suoi banchetti spettacolari, dove è protagonista il porcus troianus, un grande cinghiale arrostito da cui escono tordi in volo e salsicce. Presso i Celti il totem del cinghiale è presente in moltissime storie, spesso direttamente o indirettamente coinvolto nella morte dell’eroe di turno, ed è il compagno di Diana, la dea celtica che partecipa alla “caccia selvaggia”, un corteo ultraterreno di fate e fantasmi. Per questo la carne di cinghiale è la preferita da questo popolo, in quanto l’animale è un emblema di fertilità, coraggio, forza ed è sinonimo di ospitalità. Secondo la cultura celtica, negli incontri importanti deve essere sempre presente la carne di cinghiale: servire cinghiale indica, oltre all’abilità del villaggio a cacciarlo, la posizione d’onore data all’ospite. Il cinghiale appartiene al gruppo della cosiddetta “selvaggina da pelo” (insieme a lepre, capriolo, camoscio e cervo) e la sua carne è classificata come “nera”, contrapposta alle carni “bianche” di uccelli e pesci e a quelle “rosse” della selvaggina di grande

taglia (come caprioli, cervi e daini). La carne del cinghiale adulto ha una consistenza piuttosto dura e un sapore selvatico intenso; è rinomata e apprezzata perché al sapore della carne suina unisce quello della cacciagione. Come per il maiale, la coscia è il taglio maggiormente impiegato in cucina, ma anche altri tagli sono usati per brasati e spezzatini, soprattutto pancia, costoline o stinco, e per preparare ragù. Per cotture in forno si usano, oltre alle cosce, anche spalle e carré. La carne deve essere trattata in modo diverso a seconda dell’età. Negli animali molto giovani (dai tre ai sei mesi di vita) è tenera e delicata e non necessita di alcun tipo di trattamento prima della cottura. I cinghiali giovani (da sei mesi a un anno) hanno una carne tenera dal sapore non accentuato, mentre per gli animali maturi (di uno o due anni) occorre effettuare una marinatura prima della cottura. Pregiati sono i tagli della coscia, ma in alcune zone anche la carne della testa è valutata una prelibatezza. Essendo piuttosto fibrosa, la carne del cinghiale si presta a cotture in padella, come stufati, a cotture in umido o sughi, usati per esempio nelle pappardelle al cinghiale o nel cinghiale alla maremmana, ma non sfigura in arrosti o carni allo spiedo (in questi ultimi casi deve essere lardellata). I cinghialetti o piccoli di cinghiale, ritenuti particolarmente squisiti, sono arrostiti interi, previa eviscerazione. Per ridurre il gusto di selvatico, la carne andrà sottoposta, prima della cottura, ad una marinatura a base di vino rosso, cipolla, sedano e carote, con una permanenza di almeno dodici ore in frigorifero. Questa è la più utilizzata perché gli enzimi presenti nel vino contribuiscono a modificare le fibre muscolari rendendo la carne più morbida e digeribile. Altro tipo di marinatura, particolarmente adatta per il cinghiale in agrodolce, è a base di aceto, erbe fresche e spezie. In alternativa esiste la marinatura a base di latte, che agevola la distribuzione del grasso della carne, rendendola più morbida.

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Nella cultura religiosa dei Celti il cinghiale rappresentava il potere spirituale dei druidi, contrapposto a quello temporale dei cavalieri, simboleggiati dall’orso

Salumi di cinghiale L’esigenza di conservare la carne il più a lungo possibile, quando congelamento e surgelazione non esistevano, ha fatto sì che, soprattutto in Italia centrale, divenisse popolare la produzione di salumi analoghi a quelli ottenuti dal maiale domestico. Inoltre, essendo il cinghiale presente in tutte le regioni italiane, altrettanto diversi sono i salumi ottenuti in analogia a quelli di maiale. Tra i salumi di cinghiale sono da ricordare il prosciutto, il salame (dalle forme classiche cilin-

driche a quelle tese e schiacciate), e le salsicce (preparate con una miscela di carne magra, grassa e spezie), come nella produzione dei salumi tradizionali di suino. Per preparare il salame di cinghiale, i norcini usano solitamente le carni magre dell’animale con l’aggiunta di grasso di maiale (soprattutto pancetta), al fine di renderlo meno asciutto e prolungarne la conservabilità, dal momento che la carne di cinghiale, se utilizzata da sola, per le sue caratteristiche, stagionerebbe rapidamente. Una volta preparato il composto, che prevede l’impiego di spezie e aromi naturali differenti per ogni regione, lo si insacca nel budello e lo si pone prima ad asciugare poi a stagionare. Per il prosciutto (e talvolta la spalla) si seguono le stesse procedure applicate al maiale. I salumi di cinghiale hanno un prezzo variabile tra 11,00-18,00 €/kg e un prosciutto stagionato, del peso di circa 4 kg, può anche costare 180,00 €.

Sicurezza della carne di cinghiale Rischi di infezioni da Trichinella o da altri agenti infettivi, non ultimi quelli da epatite E, si possono avere mangiando salsicce crude o poco cotte, oppure prosciutti e salami a breve stagionatura. Per la Trichinella, la prevenzione migliore è una cottura delle carni almeno a 77 °C o un congelamento a –23 °C per almeno 10 giorni. Salatura, affumicatura, essiccazione spesso risultano inefficaci, almeno a breve termine, e lo stesso è per la cottura con forni a microonde, troppo breve per inattivare il parassita. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma Nota A pagina 112, Obelix, coprotagonista della serie a fumetti Asterix, creata da RENÉ GOSCINNY e ALBERT UDERZO. Il cibo preferito dai Galli è il cinghiale, cucinato in vario modo. Ed è con un ricco banchetto a base di cinghiale arrosto che si conclude ogni avventura.

La selvaggina possibile di Michele Milani e il cinghiale di Igles Corelli Il cacciatore “vero” è colui che pone il suo animo in sintonia con la natura, la rispetta in modo quasi religioso, se ne prende cura. Si trova tutto questo, oltre che decine di ricette di grandi chef dedicate alla cacciagione, nel libro La “Caccia” di Igles e dei suoi amici, scritto dallo chef Igles Corelli, grande firma dell’alta cucina italiana. Al suo fianco il cacciatore-editore Michele Milani, che ha fortemente voluto realizzare quest’opera, un’esibizione corale in versione gastronomica con 25 colleghi chef di Igles che hanno dato il loro contributo a quello che più che un volume di ricette è un progetto. Sì, un progetto che vuol ribadire il valore, organolettico e salutistico, di carni di selvaggina, carni di animali che hanno vissuto liberi in habitat incontaminati. Cervi, daini, lepri, caprioli, cinghiali… hanno carni magre, ricchissime di ferro, naturalmente prive di residui farmacologici. Nelle regioni che hanno recepito la normativa comunitaria in materia (in primis l’Emilia-Romagna) è possibile commercializzare le carni prelevate con la caccia e ciò assicura anche quei controlli da parte di veterinari AUSL che le rendono ineccepibili dal punto di vista igienico-sanitario. Le Regioni individuano ogni anno un numero di capi da far abbattere a causa di una proliferazione eccessiva che mette a rischio l’ecosistema, le colture, che causa incidenti… La commercializzazione di questi capi è dunque etica, un modo per non buttare, letteralmente, al macero animali comunque destinati a morire. In più i cacciatori vengono censiti e formati in modo da cacciare solo quel dato tipo e numero di animali che è stato stabilito. Il libro-progetto vuole riaffermare la dignità di un’attività dell’uomo che lo riporta a comportamenti e riti ancestrali, e che oggi ha una sua funzione ecologica. Selvaggina risorsa, insomma, selvaggina ritorno a tradizioni antiche ma anche riserva di gusto.

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L’oca: l’animale attorno al fegato di Giorgia Fieni

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sentirla nominare non penso mai alla ragazza svampita e stupida. Penso alle simpatiche ochette che, con l’aiuto di un maiale, intonano è tanto bello passeggiarle accanto nel film “Mary Poppins” (di ROBERT STEVENSON, 1964)… e mi passa la voglia di mangiarla. Già, perché non c’è altro animale, in tavola, che generi più discussioni. E siccome in un precedente articolo ho già trattato l’argomento foie gras, stavolta preferisco concentrare la mia attenzione gastronomica su tutto ciò che sta attorno al fegato. Petto, collo, zampe o magnifica nella sua interezza Il petto, per esempio, può cuocere col suo grasso in un intingolo di

aceto balsamico, aglio e peperoncino. O il collo, ripieno di uovo, pane ammollato nel latte, macis e prezzemolo e cotto nella passata di pomodoro. O le zampe, che i Romani consideravano vivanda prelibatissima (succede ancora, nel Sud-Ovest della Francia). O possiamo tagliare tutto a bocconcini per confezionare un salame o i ciccioli (prodotti tipici della Lombardia e di alcune zone del Piemonte e del Friuli, dove si preparano anche il prosciutto, sia cotto che crudo, e il petto affumicato). Senza contare l’oca nella sua interezza, che, come riporta “Lo scalco alla moderna” (1692): si può accomodare in tutte le vivande: ripiena; sottotestata al forno; intera o con riempi-

tura; impasticciata o stufata; arrostita, con empitura o senza, lardata e servita calda; incarbonata, con Malvasia arrostita sulla graticola, unta con lardo liquefatto e bagnata d’aceto. Nel 1705 il GAUDENZIO la propone farcita di ventresca di maiale (o di prosciutto), finocchietto e prezzemolo (a cui IPPOLITO CAVALCANTI, nel 1837, aggiunge riso cotto e interiora). In tempi più recenti, l’oca ripiena di salvia e cipolle era servita con salsa di mele e costituiva (prima della sua sostituzione col tacchino) il classico piatto natalizio in Gran Bretagna, nelle case comuni così come a corte. Altre specie animali ne hanno dunque gradualmente preso il po-

L’oca arrosto, spesso ripiena di frutta, frutta secca o castagne, resta per molti Paesi ancora un classico delle tavole delle feste di fine anno.

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Prosciutto e salame d’oca (photo © Comugnero Silvana – stock.adobe.com).

Il petto può cuocere col suo grasso in un intingolo di aceto balsamico, aglio e peperoncino. O il collo, ripieno di uovo, pane ammollato nel latte, macis e prezzemolo e cotto nella passata di pomodoro. O le zampe, che i Romani consideravano vivanda prelibatissima. In tempi più recenti, l’oca ripiena di salvia e cipolle era servita con salsa di mele e costituiva, prima del tacchino, il classico piatto natalizio in Gran Bretagna, nelle case comuni e a corte

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sto, ma l’oca è comunque rimasta in alcune ricette francesi, del Mitteleuropa e anche italiane, come il cassoulet, il confit (o Batù), l’oca con panna e funghi secchi (Polonia), gli strangozzi al sugo d’oca (piatto umbro tipico del periodo della mietitura), il pörkölt d’oca (il liba pörkölt, una specie di gulasch ungherese), lo strudel di oca (specialità austriaca con funghi e cipolla) e l’oca in onto veneta. Esperimenti degli chef e… Alcuni chef ed esperti hanno perciò deciso di riportarla in tavola, a patto che sia ben spiumata (o, meglio, fiammeggiata) e, se selvatica, frollata almeno 4-5 giorni. BRUNO BARBIERI ci consiglia gli abbinamenti migliori: asparagi, cipolla di Tropea, porri, sedano rapa e la frutta: ananas, datteri, fichi, mele e pere sapendola trasformare in un crème caramel al Porto, da servire con salsa di porri e mele. GIORGIO MISTRETTA la cuoce al forno e la accompagna con salsa Madera. ROBERTO FRANZINI prepara la Carbonara d’oca con i bigoli (unendo simbolicamente Lazio e Veneto). A Taste of Milano 2012, NICOLA CAVALLARO ha preparato l’Oca in onto con purè di patate allo zenzero mentre nel menù del 2011 di AURORA MAZZUC-

CHELLI c’era l’Oca battuta al coltello con zabaione al tè nero. ARTUR MOROZ, chef polacco, cerca di valorizzare la tradizione dell’allevamento locale (risale infatti al Seicento l’allevamento dell’oca di Kołuda Wielka) proponendola in diverse varianti: ripiena con mele selvatiche della Pomerania, per esempio, o cuocendone il petto in padella con le prugne. ALESSANDRO BORGHESE, infine, trasforma i tradizionali vincisgrassi marchigiani in Vincismagri al ragù d’oca in brodetto di liquirizia.

… esperimenti a casa Per chi volesse tentare qualche esperimento, ecco qualche idea. Oca farcita con castagne e cotta arrosto con peperoni e vino bianco. In umido con luganega, pancetta, salsa di pomodoro e vino rosso robusto. Marinata con erbette (basilico, salvia, maggiorana) e vino bianco e cotta nel sugo di pomodoro con olive verdi aromatizzando al brandy. Attenzione, però: con tutte queste golose ricette non vorrei vi ritrovaste tutti in fila attaccati alle sue piume, come i protagonisti della fiaba “L’oca d’oro” dei FRATELLI GRIMM. Giorgia Fieni

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RISTORANTI CARNIVORI

A Palazzolo Acreide, Siracusa, la magia della Sicilia gastronomica

Trattoria del Gallo: piatti ancestrali per un brivido di eterna giovinezza di Riccardo Lagorio

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e sfolgoranti bellezze barocche di Palazzolo Acreide sono lì fuori girato l’angolo e rappresentano l’attrazione turistica più avvincente, se si esclude il teatro greco di Akrai, appollaiato lontano dall’attuale centro storico. Sbuffa l’Etna, opposto a un lontanissimo tramonto che illumina radente la cavea. Stimoli che scuotono l’anima. Chi cerca emozioni più corporali

si ferma in centro ed entra alla Trattoria del Gallo, che è pure un pezzo di storia della città. Di storia gastronomica. Settant’anni e non sentirli: la sensazione di attualità inizia con l’aperitivo delle 18:00, ora come allora, fatto di uova sode e peperoncino, polpette di carne e patate, arancine e mpanate con le verdure (simile al calzone farcito), gelatina di maiale seguite da un

bicchiere di vino rosso. Non pare quindi che nelle metropoli di tendenza, insomma, abbiano inventato nulla. La putìa del vino di smagliante freschezza continua a dispensare benessere la sera con piatti senza età, che non rincorrono mode e avventate sperimentazioni. Le volte in pietra bianca, i listoni di legno alle pareti, le tovaglie a quadrettoni

La Basilica di S. Sebastiano con la sua scenografica gradinata nel centro storico di Palazzolo Acreide (photo © emk).

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gialli, verdi e rossi compongono un dipinto da trattoria d’altri tempi, gradevole e familiare. Il brivido dell’eterna giovinezza si esprime nei piatti ancestrali di GIANNI SAVASTA. «I clienti sono affezionati, cercano sistematicamente la carne di maiale, secondo l’usanza locale. Anche nel sugo per la pasta». Un sovradosaggio meraviglioso che ha il suo preludio con l’antipasto: tra frittate, ricotta fresca di pecora e crocchette di patate si levano le strabilianti polpette e la salsiccia di Palazzolo Acreide, la star con sentore di finocchietto e peperoncino. Guida con competenza il racconto del piatto EROS RIZZA, l’altra faccia del duo indispensabile per l’esecuzione dell’armonia. Racconta dell’origine dei suini, dal pelo nero, originari dei Nebrodi e allevati da alcuni anni anche nelle campagne di Palazzolo Acreide. Suini dal filetto sodo, ideale per condire, con un manto delicato e impalpabile di cipolla, carote e sedano, i paccheri, al dente, gustosi, untuosi, colorati. Si scatena con piatti cult Gianni Savasta, appena gli si fa capire che si è ben predisposti per le emozioni forti. «Vendiamo la nostra trippa con le patate anche in piena estate perché si tratta di un piatto fortemente legato al territorio e la clientela la ama». Morbida e succulenta, senza pari. «Produciamo la pasta in casa. I cavatelli e i ravioli di ricotta in particolare li condiamo con il sugo di maiale». Il pomodoro locale, profondo e denso, avviluppa i tocchetti suini grossolani, dalla cotica alta e collosa, una punta di peperoncino, la pasta rugosa che ospita la ricotta ovina. Un’esplosione di gusti, consistenze, sfumature di rosso. «La tradizione popolare vuole che non manchino mai testina, orecchie e zampetti bolliti e conditi con una spruzzata di limone e qualche granello di sale, una preparazione che ormai in casa si cucina raramente perché ha bisogno di tempo e pazienza». Per farla breve la trippa di Eros e Gianni è una cintura nera dei fornelli, per parafrasare la passione dei due soci amici.

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In alto: Eros Rizza e Gianni Savasta. Fondata 70 anni fa, in via Roma, nel quartiere San Paolo, la Trattoria del Gallo viene gestita oggi dalla terza generazione. In basso: la trippa. C’è poi la sorpresa del cavallo, carne improbabile nelle cucine, che qui si rivela di forte richiamo per gli avventori. Le sottili strisce di fesa vengono servite ben cotte in aceto balsamico e radicchio rosso, infine impreziosite da riccioli di Caciocavallo Ragusano DOP. Si può scegliere tra i secondi per un assaggio di arrosticini di pecora e salsiccia di Palazzolo Acreide grigliata, forse l’accoppiata rustica più ben riuscita della zona. Con alle spalle un territorio vocato per sua natura all’allevamento e grazie al puntiglio e serietà dell’Associazione

Vicoli & Sapori (che riunisce sette ristoranti palazzolesi e dei quali fa parte la trattoria) le meraviglie golose di Gianni ed Eros entrano di diritto negli appuntamenti gastronomici d’obbligo per chi desidera apprezzare quest’angolo di Sicilia sotto il profilo gastronomico. Riccardo Lagorio Trattoria del Gallo Via Roma 228 96010 Palazzolo Acreide (SR) Telefono: 0931 881334 E-mail: info@trattoriadelgallopalazzolo.it Web: trattoriadelgallopalazzolo.it

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RASSEGNE

Terra Madre Salone del Gusto edizione 2018, il futuro è donna L’evento numero uno targato Slow Food dedicato ai cibi del mondo rientra negli spazi del Lingotto dopo l’esperienza open air di due anni fa e il suo fondatore, Carlo Petrini, lo inaugura sottolineando il valore e la forza delle donne, spina dorsale dell’alimentazione, dalla cucina all’agricoltura a livello globale. Sono le donne che alimentano il pianeta di Gaia Borghi

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ello spazio riservato ai convegni delle fiere del Lingotto, inaugurando la 12a edizione del Salone del Gusto, l’ottava per Terra Madre, il fondatore di

Slow Food CARLO PETRINI parla ad una sala gremita, di giornalisti, rappresentanti istituzionali, uomini e donne del cibo arrivati a Torino da ogni parte del mondo. A loro

Petrini racconta della soddisfazione del lavoro fatto in ventidue anni dal movimento della chiocciola, lenta sì, ma tutto sommato non così tanto se si guarda “da dove” si

Simonetta e Annarita Coccia dell’omonimo salumificio viterbese specializzato nella produzione dei salumi tipici del territorio, susianella in primis. Tra le novità portate a Torino, il salame al vino Violone e “Guancia mia”, il primo brevetto per un guanciale!

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partiva, se ci si ferma ad ammirare orgogliosamente gli importanti traguardi raggiunti. «Quando abbiamo iniziato questa avventura — dichiara Carlo Petrini — la sensibilità sulle tematiche del cibo non era assolutamente paragonabile a quella di oggi. Ricordo anzi che in apertura della prima edizione del Salone del Gusto dissi “il giorno in cui il cibo avrà la stessa attenzione della moda forse potremo dire che abbiamo risolto un problema di dignità e valorialità”. Oggi ci siamo arrivati, anche se l’approccio mediatico alla gastronomia non rende giustizia del percorso intrapreso in questi due decenni». Eh sì, perché il cibo oggi è davvero sotto i riflettori, al centro dei discorsi della gente, protagonista della comunicazione a 360 gradi, web, TV, carta stampata. «Pure troppo» ironizza Carlin. «Non se ne può più di programmi televisivi deliranti nei quali ci sono persone che spignattano ad ogni ora del giorno e della notte. Tra l’altro, dietro ai fornelli, ci sono quasi sempre uomini. Eppure la “cultura del cibo” è donna. Sono le donne la spina dorsale della cucina e, prima ancora, dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca». La parola alle donne Diversi gli appuntamenti nei quali le donne hanno avuto un ruolo di primo piano, con dibattiti specifici sugli stereotipi ancora vivissimi nella società contemporanea, dalla caduta dell’angelo del focolare alla manager in carriera, e sulla ricerca di un nuovo equilibrio. Valga su tutti il forum Dal campo ai ristoranti: potere alle donne, durante il quale LELLA COSTA ha coordinato alcuni interventi di produttrici e cuoche della rete di Slow Food, partendo da un concetto fondamentale. «La questione femminile si fonda su un equivoco: che riguardi solo le donne» ha detto l’attrice. «È un errore stupido, perché le questioni femminili non riguardano solo le donne ma tutti. Anche e soprattutto gli uomini. Il talento delle donne è una risorsa straordinaria. Da valorizzare, sostenere, ammirare».

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In alto: tutte le sfumature della nocciola nello stand della Maison della Nocciola, da 150 anni specializzata nella sua lavorazione. In basso: l’Acetaia Giusti di Modena.

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1) Speck al naturale, mortandela, salami e chi più ne ha più ne metta nello stand della Macelleria Corrà – Dal Massimo Goloso di Coredo (TN). 2) Una pioggia di Culatelli di Zibello Dop nello stand dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Parmense (PR). 3) Armando Benedetto dell’omonimo salumificio di Campo Calabro (RC). 4) Lo straordinario prosciutto di San Daniele targato La Glacere. Un prodotto artigianale, totalmente naturale, profumato e buonissimo. 5) Il Salumificio Nadia di Caluso (TO), produttore dei salumi tipici del Piemonte, come il salampatata del Canavese. 6) I sapori delle montagne del Trentino nei salumi della Macelleria Magnani di Salorno (BZ) di Loris Ferrari. Perdersi e innamorarsi al Salone del gusto Girovagando tra i padiglioni 1, 2, 3, quelli dedicati agli espositori italiani e alle collettive regionali, abbiamo incontrato vecchie conoscenze, ne abbiamo fatte di nuove, abbiamo

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ritrovato amici, storici produttori da sempre seguaci della filosofia del buono, pulito e giusto e siamo incappati in alcune interessanti novità, anzi, veri e propri colpi di fulmine. Come il salame con i fiori di montagna della Macelleria Magnani di Salorno,

Bolzano (telefono: 0471 884536), indirizzo arcinoto in Sud Tirolo per le golosità salumiere che escono dalla sua soglia. Questo salamino viene privato del budello, stagionato per 60 giorni circa e ricoperto con una gelatina che consentirà ad

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1) La porchetta della Porchetteria Giorgini di Selci (RI), tradizione dal 1890, con Damiano Giorgini. 2) Manuele Avagliano con gli straordinari salumi di suino e di cinghiale della sua macelleria-norcineria di Sabaudia (LT). 3) Luciano Catellani con i formaggi de I Sapori delle Vacche Rosse di Reggio Emilia. 4) Il Blu di bufala delle Bufale di Cuneo del Caseificio Moris di Caraglio (CN). 5) Tutta la gamma preziosa degli aceti dell’azienda agricola Leonardi di Magreta di Formigine (MO). 6) Donatella De Pietri e il figlio Francesco nello stand dell’acetaia La Bonissima di Casinalbo (MO). una delicata miscela di fiori secchi finemente spezzettati di restare attaccata: davvero delizioso. A rappresentare la quarta generazione di macellai della sua famiglia (www.avaglianocarni.it), MANUELE AVAGLIANO è qui a Torino con gli straordinari salumi della sua

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macelleria-norcineria di Sabaudia, i prosciutti e i salami di suino — un occhio di riguardo per quello aromatizzato alla paprika con una tavoletta di legno che gli dona una forma appiattita e lo rende simile ad una soppressata — le tipiche coppiette di vitellone ma,

soprattutto, i salumi realizzati con la carne di cinghiali provenienti da aree naturalistiche protette della provincia di Latina (Parco Nazionale del Circeo e Parco Naturale Regionale di Gianola e Monte di Scauri, «con i quali abbiamo apposite convenzioni per la cattura degli animali vivi», mi

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In alto: Sergio Falaschi, grande macellaio, norcino e, soprattutto, “venditore di salubrità” a San Miniato (PI). Al centro: allo stand del presidio della mortadella classica e dei salumi rosa tradizionali bolognesi, Vidmer Cantelli, Dino Negrini, Giuseppe Cavalli e Pierluigi Porzi. In basso: le bontà di Langa del Salumificio Chiapella di Clavesana (CN).

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dice Manuele), perfetta espressione della territorialità, della tracciabilità e della filiera corta. La Pasticceria Dolcemascolo di Frosinone (www.pasticceriadolcemascolo.it), per la sua terza volta al Salone del Gusto, oltre alle proprie specialità dolci come gli amaretti morbidi alle mandorle, ha voluto proporre la versione salata del maritozzo laziale, la tipica pagnottella soffice dalla particolare forma un po’ allungata che solitamente viene spaccata a metà e riempita di panna montata o di crema. SIMONE DOLCEMASCOLO mi racconta che l’idea del maritozzo salato nasce dalla volontà di collaborare con altre aziende “vicine di casa” e dar voce su un palcoscenico importante come quello del Salone ad un intero territorio quindi: il maritozzo Dolcemascolo, realizzato con farine macinate a pietra, diventa un involucro per ospitare altre specialità della Ciociaria, come la mortadella della Macelleria Sella di Arpino, la salsiccia di Amaseno della Fattoria Lauretti e, in versione green, il carciofo di Cori, il peperone Pontecorvo DOP e la salsa di cavolo nero bio. Lo speck di Nero calabrese di ARMANDO BENEDETTO dell’omonimo salumificio di Campo Calabro, in provincia di Reggio Calabria (salumibenedetto.it), aromatizzato alle erbe grecaniche e al bergamotto. Grande attenzione alla scelta della materia prima, proveniente da maiali di proprietà allevati allo stato semi-brado in zone di alta collina ricche di querce e castagni. «Lo speck calabrese nasce dalla rivisitazione di un’antica ricetta della tradizione grecanica, impreziosita attraverso l’impiego di sapori tipici della nostra terra, come il bergamotto, il rosmarino e l’alloro» mi racconta Armando. «La stagionatura lunga e lenta esalta il sapore della coscia dei nostri maiali, rendendola dolce e aromatica». Il Salumificio produce anche diversi salumi completamente naturali, senza alcun tipo di conservante aggiunto, come il salame casereccio o la salsiccia, anche in versione piccante. Natura made in Calabria.

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1) Francesco Brunazzi e i ragazzi dell’azienda agricola Tenca di Casalmaggiore (CR), che produce salumi artigianali dal 1957. 2) Raffaele Bertolini, super “cortador” nostrano, e Moreno allo stand del Salumificio Pedrazzoli di San Giovanni del Dosso (MN), leader nella produzione di salumi biologici. 3) Giovanni Battista Testa, segretario del Consorzio del Prosciutto crudo di Cuneo Dop, con i collaboratori Maria Bonaria Bozzo e Gianfranco Moine.

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Maritozzo con la panna, traboccante di crema o… con la mortadella? Al salone del Gusto di Torino ci siamo innamorati dei maritozzi salati che la Pasticceria Dolcemascolo di Frosinone ha proposto per l’occasione. Quelli in foto sono con la mortadella della macelleria Sella di Arpino (FR). Il Blu di bufala delle Bufale di Cuneo Moris (www.caseificiomoris.it), il cui caseificio è situato a pochi passi dall’allevamento di proprietà, è un formaggio erborinato a pasta semidura realizzato con solo latte di bufala pastorizzato e fermenti del Roquefort e stagionato minimo tre mesi. “In ogni goccia di questo latte, puoi assaporare tutto il buono prodotto da bufale che vivono all’aperto, respirano aria buona e si cibano delle nostre coltivazioni. Se il latte è di una bufala allevata nel rispetto dei suoi ritmi e spazi, si sente” scrivono sul sito dell’azienda. Beh, è vero! Il Piemonte va alla Granda! Allo stand dell’associazione di allevatori e Consorzio La Granda (www.lagranda.it) del veterinario SERGIO CAPALDO ci siamo letteralmente innamorati della Gradisca, un prodotto speciale, «il nostro cavallo di battaglia» mi dice lo chef LUCA CANTÙ. Si tratta di carne marinata, il cuore della coscia di un bovino adulto di razza Piemontese, lasciata in infusione 40 giorni con miele e tè affumicato cinese Lapsang Souchong. Ha una consistenza simile ad un carpaccio

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o ad una bresaola tagliata non troppo sottile. Da gustare condita con solo olio extra vergine d’oliva: dolcissima, indimenticabile! Il concentrato dell’Emilia in un involtino? Si può fare! Prendete una fetta di culatello di Zibello Dop 24 mesi dell’Antica Corte Pallavicina di Polesine Zibello (PR) dei FRATELLI SPIGAROLI (www.anticacortepallavicinarelais.it), adagiatevi un paio di scaglie del dal formaggio di vacche rosse di razza Reggiana sempre 24 mesi di LUCIANO CATELLANI (I Sapori delle Vacche Rosse, www.isaporidellevaccherosse.com) di Reggio Emilia e conditelo, infine, con qualche goccia di aceto balsamico tradizionale di Modena DOP di 80 anni di invecchiamento dell’Acetaia La Bonissima di Casinalbo (MO) della FAMIGLIA DE PIETRI (www.acetaialabonissima. it). Ora mangiatelo e siate felici, soprattutto di vivere in un Paese come l’Italia, così ricco di prodotti che il resto mondo ci invidia e, sempre più spesso, e ci auguriamo continui a farlo in abbondanza, viene a cercare, mangiare e comprare. Il panettone della pasticceria Olivieri

1882 di Arzignano (VI), premiata lo scorso anno dal GAMBERO ROSSO tra le migliori colazioni d’Italia. Il panettone classico, la fetta di un bel giallo carico, è realizzato con lievito madre, farine macinate a pietra, burro fresco belga, uova biologiche da galline allevate a terra, arancia e limoni canditi in proprio, uva sultanina australiana grande e sugosa, vaniglia Bourbon. Grazie ad un packaging curatissimo può essere messo sotto l’albero senza aggiungere nulla, così come quello in vasocottura, contemporaneo nella proposta, super tradizionale nel gusto. Non mancheremo di assaggiare quello impreziosito dalle amarene di Cantiano, quello con pere e cioccolato fondente Valrhona 55% o il Gianduia con pasta di nocciola delle Langhe IGP. Enjoy Christmas time. Bilanci e prospettive per il 2020 I dati finali forniti dall’ente organizzatore parlano di numeri in linea con la manifestazione di due anni fa (i passaggi registrati al Lingotto

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Allo stand dell’associazione e consorzio piemontese La Granda lo chef Luca Cantù e tante prelibatezza “carnivore” a base di carne di razza Piemontese, come La Gradisca, carne marinata, lasciata in infusione 40 giorni con miele e tè affumicato cinese Lapsang Souchong (photo © www.lagranda.it).

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sarebbero 220.000), l’esperienza all’aperto tra il centro e il Parco del Valentino che tanto aveva diviso gli operatori, chi entusiasta e chi totalmente insoddisfatto per le difficoltà logistiche incontrate e per l’impossibilità reale di affrontare l’orda barbarica, che si ritrova spesso negli eventi a carattere alimentare, fatta di persone che pensano solamente a riempirsi la bocca senza rendersi nemmeno conto di ciò che hanno di fronte. In barba alla famosa “educazione” del consumatore. Qualcosa di simile si è visto anche quest’anno e, raccolte tante e diverse opinioni in giro per i padiglioni, apparsi in generale un po’ sottotono rispetto alle aspettative, può essere sia arrivato il momento di fermarsi un attimo e “ripensare” un appuntamento che è davvero unico nel suo genere, così importante per Torino, l’Italia tutta e oltre. Quello che rende magici il Salone del Gusto e Terra Madre, infatti, sono la “rete” che ne sottende la realizzazione, il principio di accoglienza, i produttori che lottano da sempre contro l’omologazione del gusto, per la salvaguardia del proprio territorio, di antichi saperi e tradizioni millenarie, sono i 7.000 delegati giunti da tutto il mondo che, come ha ricordato DANIELE BUTTIGNOL, segretario generale di Slow Food, «fanno sì che da qui partano nuovi progetti per il futuro del nostro movimento e, soprattutto, la nostra proposta per una società migliore». «Terra Madre è vedere chef israeliani e libanesi che cucinano insieme, delegati russi e statunitensi che discutono di un futuro comune, in cui è il cibo a rappresentare la soluzione», ha detto RICHARD MCCARTHY, direttore esecutivo di Slow Food USA, presentando Food for Change, la nuova campagna di Slow Food che si concentra sulla relazione tra cibo e cambiamento climatico. Tanto è stato fatto, tanto c’è ancora da fare e il 2020 non è poi così lontano. Gaia Borghi >> Link: www.slowfood.it

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L’alternativa di Slow Meat Varietà e qualità: sono queste le parole d’ordine emerse dagli appuntamenti dedicati al tema Allevamento di qualità nei giorni di Terra Madre Salone del Gusto 2018, quattro incontri ospitati nelle aree #foodforchange Slow Meat e Slow Fish. Varietà di specie e di razze. Differenze nelle tecniche di allevamento e di lavorazione delle carni. Ricchezza culturale e ambientale. Sono gli aspetti da tutelare per ottenere cibi di qualità e avere carne e pesce che siano buoni, puliti, giusti e sani. Pescatori, allevatori, delegati ed esperti da ogni parte del mondo sono intervenuti per raccontare la loro esperienza, dare il loro contributo e trovare insieme soluzioni alternative allo sfruttamento intensivo praticato negli allevamenti animali. “Meno carne ma di migliore qualità” è il monito che gridano all’unisono. Il professore ACHILLE SCHIAVONE, del Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Torino, è d’accordo e spiega: «Se è vero che un pollo in allevamento intensivo viene macellato dopo 30-35 giorni mentre negli allevamenti che seguono i criteri slow vive dai cinque ai sei mesi; e se è vero che una gallina ovaiola arriva a produrre anche 300 uova in un anno in un allevamento intensivo mentre una slow ne produce 150-200 al massimo, è anche vero che la carne e le uova di polli e galline che sono lasciati liberi di razzolare sono senza dubbio più buone, non solo dal punto di vista organolettico ma anche da quello nutritivo. Infatti, quando gli animali non sono costretti in gabbia, si muovono e mangiano erba e lombrichi e non solo mangime, e questo implica un maggiore apporto di vitamina E e altri nutrienti che finiscono poi nella carne e nelle uova». CAROLINE MCCANN, consigliera di Slow Food e responsabile del progetto New Harmony Farm in Sudafrica, ricorda che «bisogna ottenere una carne che non sia solo buona per chi la mangia ma anche per l’ambiente» sollevando così una questione fondamentale nel discorso sul cambiamento climatico. Per produrre un chilo di carne di manzo industriale si immettono nell’atmosfera 36,4 chili di anidride carbonica e si consumano circa 15.500 litri d’acqua e 7 kg di alimenti vegetali. Ma come invertire la rotta? Come contrastare lo sfruttamento dei suoli e degli animali e preservare il pianeta. Secondo SERGIO CAPALDO, veterinario e referente del Presidio della razza Piemontese, «sono l’uomo e l’animale insieme che possono salvare il territorio e l’ambiente. L’obiettivo è insegnare a tutti a fare un’agricoltura di qualità perché è proprio l’agricoltura il punto di partenza. Bisogna imparare come lavorare la terra eliminando la concimazione chimica esasperata. Le piante possono crescere anche con l’idroponico ma l’idroponico non è cibo. Non possiamo nutrirci di formule chimiche e matematiche. È importante comprendere che l’allevamento dell’animale ha una ricaduta sociale enorme, perché permette di coltivare la terra in armonia con l’ambiente». L’allevatore giapponese Kazunori Matsumoto racconta l’allevamento della pregiata razza bovina Matsusaka, attività portata avanti dalla sua famiglia da generazioni che adesso sta trasferendo alla giovane figlia. Qui gli animali vengono alimentati a mano, portati al pascolo ogni giorno in modo che possano muoversi, respirare aria, cibarsi di erba fresca e bere acqua di fonte. In questo modo Kazunori e la sua famiglia sono convinti che la carne ne guadagni in gusto e consistenza. RUSS CARRINGTON, presidente di Rural Youth Europe, racconta dell’associazione di cui è direttore generale. Col progetto PastureFed Livestock Association gli animali vengono nutriti solo con erba che trovano nei pascoli della campagna britannica. In questo modo il vantaggio è doppio perché la carne ne guadagna in qualità, mentre la biodiversità nei pascoli è garantita. Infine, JACOPO GORACCI, allevatore e referente del Presidio della razza Maremmana, conclude affermando l’importanza di investire in una cultura che accompagni giorno per giorno il consumatore nell’acquisto di carne di qualità (fonte: salonedelgusto.com/allevamenti-qualita-terra-madre-salone-del-gusto-2018; photo © www.lagranda.it). •

Slow Meat è la campagna internazionale di Slow Food dedicata al consumo e alla produzione di carne, e al benessere animale.

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Crudo di Cuneo Dop: più trasparenza verso il consumatore «Il Salone del Gusto rappresenta la principale manifestazione nel food in Piemonte e per il Consorzio di tutela e promozione del Crudo di Cuneo è un appuntamento irrinunciabile» ha dichiarato CHIARA ASTESANA, presidente del Consorzio, presente all’evento con un grande stand allestito con la collaborazione della Carni Dock di Lagnasco, unico produttore del crudo di Cuneo Dop. Nel corso della manifestazione è stato presentato ai visitatori il sistema di etichettatura elettronica che consente di conoscere, di ogni singolo prosciutto, ogni dettaglio e informazione sulla sua storia produttiva. «Alla base del sistema qualità della Dop crudo di Cuneo ci sono quattro segni/tracce indelebili che vengono fissare sulla coscia del maialino, sulla coscia e poi sul prosciutto stagionato. Senza questi segni non sarebbe possibile ricostruire il percorso del prosciutto e dare alcune garanzia al consumatore» ha spiegato il segretario del Consorzio GIOVANNI BATTISTA TESTA. «Tutti i passaggi sono verificati e controllati dagli enti terzi incaricati dal MiPAAFT. Un attento esame rivelerà quindi tutto il percorso di ogni singola coscia». A partire dal tatuaggio sulla coscia del maialino, uno speciale tatuaggio indelebile posto dall’allevatore su entrambe le cosce del suino, con il proprio codice di identificazione e il mese di nascita dell’animale; il timbro a fuoco sulla coscia apposto al macello (PP) e l’identificativo dello stabilimento di macellazione; il timbro a fuoco di inizio stagionatura con giorno, mese e anno riportati sulla cotenna del prosciutto (la data di entrata in salagione costituisce anche il numero di lotto di lavorazione); il marchio a fuoco della Dop. «Al termine di questo lungo processo produttivo, dopo un attento esame di verifica della conformità di ogni lavorazione, l’ente terzo imprime il marchio a fuoco sui due lati maggiori della coscia e su ogni trancio nel caso di porzionatura. La marchiatura è realizzata direttamente dall’INOQ incaricato dal Ministero delle Politiche agricole. Il marchio simboleggia tre importanti elementi dell’area di produzione: la forma a punta delle montagne che circondano la zona di produzione, la città capitale che ha pianta topografica a forma di “cuneo” e la forma stilizzata del prosciutto Crudo di Cuneo. Il crudo di Cuneo per essere autentico deve riportare sulla cotenna il marchio a fuoco ben visibile». «Ogni singolo prosciutto crudo di Cuneo Dop è identificato con una carta d’identità che illustra i connotati del prodotto e sulla quale è fissato il QR Code che contiene tutti i dati della storia del prosciutto stesso» conclude SERGIO MANZONE, responsabile qualità di Carni Dock. «Il QR Code viene esposto nel punto vendita e può essere letto dal consumatore con un semplice click del proprio smartphone o altro dispositivo. Esso contiene le seguenti principali informazioni: l’allevamento dove è nato e dove è stato allevato il suino, cosa ha mangiato, dove è stato trasformato, dove sono state salate le cosce e per quanto tempo è stato stagionato il prosciutto. In questo modo la tracciabilità è certa, completa e messa in vetrina. Una semplificazione e una garanzia in più per il consumatore». >> Link: www.prosciuttocrudodicuneo.it

A Torino il Gruppo Raspini presenta un nuovo brand Raspini ha scelto Terra Madre Salone del Gusto per presentare al grande pubblico un’importante novità. L’azienda, con oltre 70 anni di tradizione artigianale e innovazione industriale alle spalle, ha infatti recentemente acquisito il Prosciuttificio San Giacomo, realtà familiare specializzata nella produzione di prosciutto di Parma, sito a Sala Baganza (PR), potendo così completare la proprio offerta di prodotto. Il prosciutto di Parma San Giacomo è un perfetto mix di tradizione ed innovazione, un risultato reso possibile dalla meticolosa scelta della materia prima e dal rispetto dei metodi naturali e tradizionali di produzione, al fine di garantire un prodotto con caratteristiche inconfondibili, come il color rubino chiaro e uniforme, l’elevata stagionatura bilanciata con la morbidezza, il gusto dolce e fragrante. Fondato nel 1975 e oggi con una produzione annua di circa 70.000 Prosciutti Parma DOP, il Prosciuttificio S. Giacomo va dunque ad aggiungersi agli altri due brand del Gruppo, Raspini e Rosa. Il prodotto sarà destinato soprattutto all’export e a canali distributivi attenti all’alta qualità. >> Link: www.raspinisalumi.it

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«Terra Madre ci chiede di preservare il Pianeta. Scegliere tra Fast Food e Slow Food è la nostra scelta, è una scelta di etica e sostenibilità», ha dichiarato Vytenis Andriukaitis, commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, alla cerimonia di apertura di Terra Madre Salone del Gusto. Durante la prima giornata dell’evento, il commissario ha affrontato i temi dello spreco alimentare e dell’uso degli antibiotici nelle aziende agricole e si è impegnato in un dialogo con i cittadini. «Lo spreco alimentare è uno scandalo del XXI secolo» ha dichiarato Andriukaitis al forum tematico “Combattere lo spreco alimentare con intelligenza e creatività”, definendo “inaccettabile” il fatto che i consumatori europei sprecano tra i 95 e i 115 kg di cibo all’anno, mentre milioni di persone vanno a letto affamati. Andriukaitis ha sottolineato l’importanza di cambiare il comportamento in materia di rifiuti alimentari. «Abbiamo bisogno di alternative creative, soluzioni accessibili e pertinenti alla realtà», ha affermato il Commissario, citando come buon esempio gli eventi Disco soup organizzati da Slow Food. Tra le varie soluzioni per combattere lo spreco di cibo, il capo dell’UE per la salute e la sicurezza alimentare si è distinto per le donazioni alimentari. La Commissione ha promosso questa idea negli ultimi anni. Alcune organizzazioni non governative, tra cui Slow Food, ritengono, tuttavia, che le donazioni alimentari non affrontino fondamentalmente lo spreco alimentare e affrontino i sintomi piuttosto che le cause. L’UE si è impegnata a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, uno dei quali è quello di dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2030. Secondo Andriukaitis, la Commissione valuterà la possibilità di stabilire obiettivi di riduzione dello spreco alimentare a livello europeo, da raggiungere entro l’anno in questione. Tuttavia, Slow Food si rammarica che gli obiettivi non siano stati inclusi in una direttiva quadro sui rifiuti recentemente approvata. Durante il forum dedicato alla resistenza agli antibiotici, il Commissario ha chiesto di porre fine all’uso inutile e inappropriato degli antibiotici in agricoltura, affermando che «la resistenza antimicrobica peggiorerà in futuro solo se non ispiriamo cambiamenti nel presente». Nella sola UE, la resistenza agli antimicrobici (AMR) è legata a 25.000 decessi l’anno. Nel 2006, l’UE ha imposto uno dei primi divieti di antibiotici negli additivi per mangimi per animali da allevamento, inducendo altri paesi a fare lo stesso. L’anno scorso ha introdotto un nuovo piano d’azione dell’UE che mira ad aiutare gli Stati Membri a fornire risposte innovative, efficaci e sostenibili alla resistenza antimicrobica. La società civile, tuttavia, si aspetta un’azione più concreta e urgente (fonte: Indre Anskaityte, salonedelgusto.com; photo © Alessandro Vargiu, Archivio Slow Food).

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FIERE

L’imballaggio all’alba della sua rivoluzione Da un sondaggio di YouGov realizzato in occasione del salone ALL4PACK Paris, in programma dal 26 al 29 prossimi, sono emerse le “sfide” prioritarie del settore prima del 2050 che porteranno alla rivoluzione dell’imballaggio

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li organizzatori del salone ALL4PACK Paris, in programma nella capitale francese dal 26 al 29 novembre, hanno intervistato in partnership con EPDA–European Brand & Packaging Design Association 22 designer di 16 Paesi europei e del Maghreb per conoscere il loro punto di vista in merito alle sfide che aspettano il settore dell’imballaggio. Partendo dalle loro riflessioni, la società di sondaggi YOUGOV ha intervistato 8.253 consumatori di 6 Paesi europei per comprendere le loro aspettative riguardo alle innovazioni future del settore. Invecchiamento della popolazione Secondo lo studio YouGov, ciò che i Baby-boomer (50 anni e oltre) ed i Millennials di oggi (18-34 anni) — che avranno più di 60 anni nel 2050 — chiedono maggiormente sono imballaggi più facili da aprire e da richiudere. Inoltre, saranno necessari imballaggi ancora più facilmente leggibili. Superata la boa della quarantina, infatti, i problemi di vista cominciano a manifestarsi e si accentuano col tempo. • Il 42% dei consumatori europei ritiene che la leggibilità del packaging non sia adeguata; • il 47% delle persone intervistate considera che il miglioramento dell’apertura e della chiusura degli imballaggi sia un argomento da prendere in considerazione; • il 31,5% dei consumatori francesi, spagnoli, britannici e italiani

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solleva la problematica del peso di alcuni imballaggi; • il 32% di Belgi e Tedeschi critica il formato poco adatto al consumo. Esaurimento delle risorse del pianeta L’educazione dei cittadini rimane la soluzione migliore per diffondere le buone pratiche in materia di salvaguardia dell’ambiente. Tuttavia, è ancora lontana dall’essere sufficiente al giorno d’oggi… Gli intervistati richiedono però più obblighi legislativi e più incentivi! Vorrebbero il divieto di utilizzo di imballaggi non riciclabili così come del sovraimballaggio. Auspicano inoltre che sistemi di riconoscimento economico siano applicati alla riconsegna degli imballaggi utilizzati. Misure radicali che dimostrano che i consumatori desiderano più che mai eliminare l’imballaggio superfluo e favorire il riciclo. • il 47% dei Britannici ed il 49% dei Tedeschi vorrebbero fosse vietato il sovraimballaggio; • il 52% degli Spagnoli ed il 40% degli Italiani desiderano venga premiata economicamente la riconsegna degli imballaggi utilizzati; • il 40% degli Europei è favorevole al divieto di utilizzo di imballaggi non riciclabili. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale Questo progresso tecnologico dovrebbe permettere di rendere gli

imballaggi più “responsabili”. In effetti, sia per i Baby-boomer che per i Millennials europei, l’intelligenza artificiale ha un senso se può aiutare a differenziare meglio gli imballaggi utilizzati e se questo consente di limitare lo spreco avvertendo sulla data di scadenza. In misura minore, è anche un mezzo per accedere ad ulteriori informazioni sul prodotto e ad un utilizzo più facile. Tutti suggerimenti in direzione dell’evoluzione verso un imballaggio intelligente. • Il 34% di chi ha risposto percepisce l’intelligenza artificiale come un’opportunità a livello economico: in particolar modo per limitare lo spreco, avvertendo il consumatore sulla data di scadenza; • il 38% considera che apporterà anche dei benefici ecologici aiutando la popolazione nel processo di differenziazione degli imballaggi utilizzati. Aumento della mobilità con veicoli a guida autonoma, anche nello spazio In viaggio, ancor più che a casa, gli imballaggi dovrebbero diventare

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più facili da riciclare e più facili da aprire e richiudere senza il rischio di eventuali perdite. In effetti, la gestione dell’imballaggio dopo il suo utilizzo è la principale preoccupazione degli Europei. L’apertura e la chiusura passano leggermente in secondo piano e preoccupano maggiormente i Baby-boomer rispetto ai Millennials.

Ancora una volta aspettative chiare che sottolineano l’importanza della perfetta funzionalità d’utilizzo dell’imballaggio e la sua capacità di essere indirizzato facilmente verso il riciclo. • Il 35% di chi ha risposto vorrebbe che il settore lavorasse per rendere migliore la gestione dell’imballaggio dopo il suo

utilizzo; • il 37% richiede un miglioramento dell’apertura e della richiusura degli imballaggi tra due utilizzi; • il 29% desidera che siano riviste le dimensioni degli imballaggi, spesso non appropriate. Fonte: Saloni Internazionali Francesi

Cibus Connect: unire il mondo alle aziende alimentari italiane e ai loro territori Alla sua seconda edizione, Cibus Connect 2019 (che si tiene negli anni dispari ed è organizzato da Fiere di Parma in collaborazione con Federalimentare) ha raddoppiato i padiglioni occupati, raggiungendo quasi il numero di aziende espositrici di Cibus e a meno di 6 mesi dall’apertura (Parma, 10-11 aprile), le aziende alimentari italiane stanno confermando la propria adesione, mostrando di gradire la formula smart di questa fiera: soli due giorni, stand chiavi in mano, grande spazio alla cooking station per le degustazioni riservate ai visitatori professionali e un’ampia Buyers’ lounge riservata agli operatori esteri, utile per gli incontri di business. Centinaia di nuovi prodotti alimentari saranno presentati in fiera, in virtù di una sempre maggiore attenzione all’innovazione da parte delle aziende italiane. Cibus Connect è poi collocato strategicamente contemporaneamente a Vinitaly, dando vita ad una spettacolare settimana del food & wine italiano che sta creando grande interesse tra i buyer esteri. Grazie anche all’attività di ICE Agenzia, migliaia di buyer esteri stanno confermando la visita a Parma abbinata a un tour speciale a Vinitaly e presso principali distretti produttivi agroindustriali del Nord e del Sud Italia. La presenza di tutta la filiera nella due giorni di Cibus Connect servirà anche ad approfondire nei convegni le tematiche più pressanti dell’agroalimentare italiano, in primis i risultati e le prospettive degli accordi commerciali bilaterali tra Italia, Europa ed altri Paesi che stanno rimodulando la crescita dell’export grazie al contributo partecipante dei nostri imprenditori nonché gli accordi di filiera che stanno trasformando anche grazie alle nuove tecnologie digitali abilitanti il ruolo e la consapevolezza di tutti gli attori coinvolti, dal campo alla tavola. Esperti, ricercatori e i rappresentanti delle istituzioni ad ogni livello affronteranno questi due temi, profondamente intrecciati, cercando di dare al settore una visione prospettica e condivisa. Altro tema che verrà affrontato nei giorni di Cibus Connect sarà quello della valorizzazione del Centro-Sud italiano come piattaforma di sviluppo quali/ quantitativo del food & beverage italiano; verranno confrontate le performance e i fattori critici di successo di un’area che, negli ultimi anni, ha saputo coniugare una straordinaria crescita a volumi e valore. Come di consueto a Cibus gli operatori troveranno in fiera, oltre a migliaia di industrie alimentari italiane, centinaia di produttori alimentari artigianali o semi-industriali presenti nell’area espositiva di Slow Food, area dotata di un proprio spazio talk & show cooking. •

Cibus Connect 10-11 aprile 2019 – Parma www.cibus.it

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RAZZE

Le Grigie greche della steppa di Andrea Gaddini

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a Grecia conta due razze bovine appartenenti al ceppo podolico, la Katerini e la Sykia, entrambe minacciate di abbandono, dotate di grande rusticità, in grado di sopravvivere in zone impervie e con limitate risorse nutritive, resistenti alle malattie, ai parassiti e ai predatori. Tuttavia, secondo molti zootecnici locali, le due razze greche non appartengono al ceppo podolico, ma a quello delle razze Grigie della steppa, caratterizzate da dimensioni ridotte e mantello grigio scuro, mentre le podoliche greche, oggi scomparse, sarebbero state simili a quelle del resto della penisola balcanica, con grandi dimensioni, e mantello grigio chiaro. In Italia e nei Balcani, i termini “della steppa” e “podolico” si con-

siderano invece sostanzialmente equivalenti, corrispondenti ai termini “asiatico” o “primigenio”, usati fino all’inizio del ‘900 per definire il bestiame dalle lunghe corna e dal mantello grigio. Il nome “primigenio” era attribuito in quanto questi bovini erano considerati i discendenti più diretti dell’uro, progenitore selvatico del bovino, all’epoca classificato come Bos primigenius (BOJANUS, 1827). Le vecchie podoliche greche erano diffuse nel Nord-Est del paese, dove costituivano la quasi totalità del bestiame bovino. Erano simili alla Iskar, originaria della vicina Bulgaria, ma avevano taglia più ridotta, tanto che i tecnici consigliavano incroci con la razza bulgara.

All’inizio del secolo scorso si intrapresero iniziative di studio e miglioramento, poi abbandonate, fino all’estinzione. PAPADOPOULOS, nel 1934, censiva addirittura sei razze appartenenti al ceppo “primigenio”. Oltre alla Katerini citava la Sykia, definita “Calcidica”, la Gura, oggi ritenuta un tipo della Katerini, la Macedone delle pianure (zona di Salonicco, Serres e Drama), la Trace delle pianure (Xanthi, Komotini e fiume Evros) e la Tessala delle pianure (zona di Larissa e di Volos). Esistevano quindi razze diverse in pianura e in montagna, con una situazione analoga a quella delle razze Marchigiana e Romagnola, nelle quali in passato si distingueva una varietà montanara, più rustica e meno potente nel lavoro,

Vacca di razza Katerini (Outras).

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Vacca di razza Katerini. e una di pianura, di taglia e vigore maggiori, ma meno resistente alle avversità. Nel 1966, secondo F RENCH , sull’isola di Tinos esisteva un tipo di bovino delle steppe di dimensioni maggiori degli altri, con altezza al garrese di 120-125 cm e peso di 325-340 kg. Per GRÜNENFELDER et al. la razza Sykia era diffusa nelle isole Sporadi. Le Grigie greche, come le razze simili dei Balcani e dell’Italia, nel passato erano a triplice attitudine, con prevalenza per il lavoro, e furono messe in crisi dalla meccanizzazione agricola e dalla diffusione di razze estere, Brown Swiss, Simmental e, più di recente, Limousine e Charolaise. L’introduzione di queste razze creò tre fasce di bestiame, una di razze autoctone da carne e lavoro (Katerini, Sykia e Vrachykeratiki), una di incroci con razze autoctone (da carne e da carne-latte) ed una di razze pure estere (da latte e da carne-latte; LIGDA). Va sottolineata l’importanza in Grecia della citata Vrachykeratiki, razza autoctona greca di ceppo illirico dalle corna corte e mantello rossiccio, simile alla Busha presente nel resto della penisola Balcanica, diffusa in Etolia-Acarnania, Macedonia orientale, Epiro e a Cefalonia. Confinate oggi nelle zone marginali, specie di montagna, le due Grigie della steppa superstiti vivono

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per gran parte dell’anno all’aperto, al pascolo, necessitando solo di ripari ed integrazioni di foraggio nei 2-3 mesi più freddi, con fecondazione naturale e senza necessità di assistenza per il parto, grazie alla bassissima percentuale di distocie. La Katerini e la Sykia sono rinomate per la qualità organolettica e nutrizionale delle loro carni: per la Katerini i lavori di KARATOSIDI et al. (2013a e 2013b) hanno evidenziato una bassa percentuale di grassi e un alto contenuto di Omega-3. Spesso sono gli stessi allevatori a commercializzare direttamente le carni o a servirle nei loro esercizi di ristorazione, dove sono molto richieste, in quanto ritenute dai consumatori di qualità superiore. Nel 1999 un gruppo di ricerca del laboratorio di Genetica e Allevamento Animale della facoltà di Agraria dell’Università Aristotele di Salonicco, guidato dal prof. ANDREAS GEORGOUDIS e dalla dott.ssa CHRISTINA LIGDA, portò a termine un censimento, come parte di un progetto sulle razze bovine autoctone, finanziato dal Ministero greco dell’Agricoltura. Il censimento rilevò 2.000 capi di razze autoctone e 420.000 incroci. Il coordinatore nazionale per la gestione delle risorse genetiche animali, per il Sistema di Informazione per la Diversità degli Animali Domestici (DAD-IS) della FAO, è la stessa dottoressa Ligda, ora all’Istituto di

Ricerca Veterinaria di Salonicco, unità di ricerca dell’Organizzazione Agricola Ellenica Dimitra. Entrambe le razze sono state inserite nel Piano di Sviluppo Rurale 2007-2013, tra le misure agroambientali, azione 3.1 (Conservazione delle razze animali autoctone minacciate di estinzione). Un contributo fondamentale alla sopravvivenza delle razze tradizionali greche a rischio abbandono è dato dall’associazione greca Amaltheia, e dalla fondazione internazionale SAVE (Safeguard for the Agricultural Varieties in Europe), alla quale Amaltheia è associata, che ha finanziato le azioni di protezione e recupero, e ha fornito supporto per il difficile compito di rintracciare piccole mandrie di animali in ambienti scarsamente popolati e impervi. Katerini Il nome della razza deriva dall’omonima cittadina di oltre 80.000 abitanti della Macedonia centrale (unità periferica di Pieria), dove oggi non è più allevata, mentre la zona di diffusione attuale coincide con la Tessaglia, regione centrale della Grecia, e in particolare con le zone montuose che circondano le ampie pianure centrali. Secondo DAD-IS la Katerini aveva, nel 2017, una popolazione di 770 capi, di cui 27 tori e 480 vacche, in crescita dopo un minimo di circa 80 capi rilevato nel 1995, saliti a 198 nel 2005 e a 373 nel 2013. Il Libro genealogico è stato istituito nel 1999 ed è tenuto dal Centro di miglioramento genetico animale (KGVZ) di Karditsa, sempre in Tessaglia, del Ministero dell’agricoltura greco, che al 31 dicembre 2017 riporta la consistenza in Tabella 1. Gli allevamenti sono quattro, riconducibili a tre allevatori, tutti iscritti al Libro genealogico, e probabilmente corrispondono al totale degli allevamenti esistenti. DIMITRIOS DIMOS, di Avra, presso Trikala, in Tessaglia, nel 2002 ha vinto il premio Slow Food per la sua attività di salvataggio della biodiversità zootecnica. Oltre alla Katerini alleva altre razze a rischio di abbandono: i suini neri greci, capre di razza Skopelos, Oulokeratika e Kymi,

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messo a confronto le caratteristiche organolettiche ed analitiche delle razze Katerini e Podolica italiana. L’iniziativa, finanziata per 50.000 euro, ha visto la partecipazione del Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, dell’Organizzazione Agricola Ellenica Dimitra e dell’allevatore DIMITRIOS DIMOS.

Toro di razza Sykia a Stratoni. pecore Karystos, pony e cavalli della Tessaglia e di Creta. KONSTANTINOS OUTRAS, di Trikala, alleva la Katerini a Paliosamarina, presso Paliopyrgos, oltre a Limousine, Charolaise e Simmental, cavalli del Pindo, arabi e di Tessaglia, e bufali, in varie località della regione. In tutto sono allevati 1.200 capi semibradi, 450 dei quali in biologico. Il terzo allevatore è NIKOLAOS TSANTOURIS, di Anavra, nella Tessaglia sud-orientale, che alleva la varietà Gura o Anavra, che, come visto in precedenza, era considerata una razza a parte e occupava l’intero altipiano omonimo. Oggi, invece, quello di Tsantouris è l’unico allevamento di Katerini in una zona dominata da mandrie di Rossa greca, una delle razze più diffuse nel paese, nata dall’incrocio tra Katerini e Vrachykeratiki con Bruna, Simmental e Limousine. La Katerini evidenzia i caratteri tipici del ceppo podolico, ma con taglia ridotta: l’altezza media al garrese è di 123 cm per i maschi e 113 cm per le femmine e il peso medio è di 375 kg per i tori (con punte di 400 kg) e 280 kg per le vacche. Il mantello è grigio, in genere più scuro di quello delle altre razze podoliche, tende al nero nel 30% dei capi e può presentare sfumature rossicce. Il musello è bordato di bianco. Il vitello alla nascita ha mantello fromentino, che diventa

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grigio intorno allo svezzamento, Gli adulti hanno corna a lira, ampia giogaia e coppo marcato nei tori. L’età media dei riproduttori è di 40 mesi per i tori e di 84 mesi per le vacche, con grande longevità: la carriera media è di 9 anni, ma le vacche possono partorire anche 20 volte nella loro vita. La maturità produttiva è a 24 mesi per i maschi e a 20 per le femmine. L’età al primo parto è in media di 34 mesi (variando da 20 a 48), con interparto medio di 450 giorni. I vitelloni sono macellati a 15-20 mesi, con peso vivo di 200-300 kg e rese alla macellazione molto variabili, dal 40% al 55%; in una prova su vitelloni macellati a 18 mesi il peso medio alla macellazione è stato di 216 kg con resa del 53,89% (KARATOSIDI, 2012). La produzione di latte è appena sufficiente per alimentare il vitello, ed è di 400500 kg, raggiungendo i 700 kg in condizioni ottimali di allevamento, in una lattazione di 5-6 mesi. Diverse razze moderne sono derivate da antenati Katerini, come la citata Rossa greca e la Agrinio, derivata da incroci della Katerini con la Vrachykeratiki (KUGLER). Da gennaio 2009 a maggio 2012 nell’ambito del bando internazionale per buone pratiche sostenibili, nell’ambito del tema di Expo Milano 2015, si è svolta l’iniziativa “Assessment of the meat quality of Italian Podolian and Greek Katerini cattle”, che ha

Sykia La Sykia è simile alla Katerini, ma con differenze nella conformazione e taglia e corna più ridotte. Prende il nome dal villaggio nel comune di Toroni, nella penisola calcidica, area tradizionale di allevamento zootecnico (bovini e caprini), su pianure e boschi di conifere. Anche nella Sykia il mantello è grigio, ma nel 30% dei capi è nero, con possibili sfumature rossicce. Il musello è bordato di bianco. Le corna sono a lira e dirette in alto. Il peso degli adulti è di 210 kg per i maschi e 190 kg per le femmine, e il peso alla nascita è in media di 30 kg. L’altezza al garrese è 115 cm per i tori e 112 cm per le vacche. Lo svezzamento è intorno ai 6-8 mesi e la macellazione è in media a 16 mesi, con peso vivo di 130 kg (LIGDA et al.). Fino al 1923 nella Calcidica era in funzione un Centro di riproduzione della Sykia, che forniva animali da lavoro e vacche agli agricoltori della zona, compresa la comunità monastica del monte Athos. In quell’epoca esistevano 13.000 capi, ma dopo il 1922 la distribuzione delle terre e la messa a coltura di aree a pascolo causò una diminuzione del numero dei capi. Nel 1936, secondo il Centro di riproduzione, esistevano solo 1.330 capi e il declino continuò in modo costante, fino alla sostituzione quasi completa con razze estere, più adatte ad un’agricoltura intensiva. A fine millennio la razza era praticamente estinta, o almeno considerata tale, in quanto, pur essendo inserita tra le razze ufficialmente riconosciute, non erano registrati capi in purezza e si conoscevano solo un centinaio di incroci riconducibili alla razza. Da questi si ipotizzava di ricostruire una “nuova Sykia” ap-

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2017 EC Type-examination Certificate issued by PTB Braunschwieg / D


Vacche di razza Sykia a Stratoni. plicando adeguati schemi selettivi, sfruttando anche la richiesta di carni da sistemi tradizionali, seguita alla crisi della BSE. Secondo altri zootecnici, invece, la razza era tuttora esistente, in quanto esistevano capi aderenti allo standard di razza. Nel 2001 si avviò, nella zona di Toroni, uno studio per verificare la fattibilità di una certificazione della carne locale, basata sulla tracciabilità, che consentisse di salvare la razza, garantendone la redditività e applicando uno schema di selezione. Nel quadro dello studio si iniziò una registrazione delle prestazioni produttive, in particolare di conformazione, fertilità, facilità di parto, longevità, qualità della carcassa e caratteristiche morfologiche tipiche della razza (GEORGOUDIS et al. 2001b, LIGDA et al.). Contemporaneamente è stato avviato un programma di genotipizzazione delle diverse razze bovine greche a rischio abbandono, tra le

quali la Sykia. I campioni di DNA raccolti sono stati analizzati presso la facoltà di agraria dell’Università di Atene e l’Università di Monaco di Baviera. In totale, al momento si stima la presenza di circa 160 capi in quattro allevamenti, anche se in Calcidica esistono mandrie semi selvatiche di bestiame di tipo Sykia, alcune delle quali probabilmente non ancora individuate, che potrebbero aumentare in modo decisivo la diversità genetica della razza, ferma restando la difficoltà di metterle sotto controllo, non avendo proprietari. Nel 2008, a Stratoni, presso Stagira, città natale del filosofo Aristotele, Amaltheia rintracciò, dopo tre anni di ricerche, una mandria comprendente tori e vacche, che comprendeva circa 70 animali, di cui 25 con le caratteristiche più spiccatamente proprie della razza, sui quali costituire un nucleo in purezza. L’allevatore ha ora spostato

Tabella 1 – Consistenza della razza Katerini al 31 dicembre 2017, riportata dal Centro di miglioramento genetico di Karditsa Età/genere

M

F

TOT

> 24 mesi

36

466

502

6 ÷ 24 mesi

10

34

44

< 6 mesi

159

132

291

TOT

205

632

837

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la mandria, ridotta a 20 animali, a Marmari-Chalkidikis, una penisola ad est di Ierissos, in Calcidica. I partner scientifici di Amaltheia e SAVE rimarcarono la necessità di creare un secondo nucleo di Sykia, per fare fronte a ogni possibile imprevisto ed evitare i rischi di contrazione del patrimonio genetico con conseguente aumento della consanguineità della razza. Nel 2011 furono quindi acquistati alcuni capi dal gruppo di Stratoni, con l’assistenza, anche finanziaria, di SAVE, e si formò un piccolo nucleo di dieci animali ad Agrelia, sui monti della Tessaglia settentrionale. Questa mandria è stata poi soppressa dall’allevatore per problemi finanziari. Nel 2014 un altro allevatore formò una nuova mandria a Sochos (al confine tra la regione di Salonicco e la Calcidica), acquistando 40-50 capi dalla mandria di Stratoni, integrati da almeno altri 70, acquistati nel 2017, portando il totale a circa 100 animali. Un nuovo gruppo di 30 capi, originario della mandria di Stratoni, è stato costituito nel 201617 a Ierissos, in Calcidica, da un allevatore che aveva una sua mandria di Sykia, ma aveva dovuto abbatterla nel 2015 per motivi sanitari. La ricerca da parte dei membri di Amaltheia sui luoghi d’origine ha portato ad individuare nel 2013 un nuovo nucleo di 15-18 animali, detenuti presso Salonicco da un anziano allevatore che intendeva abbandonare l’attività e voleva quindi disfarsi degli animali, per macellarli o incrociarli. Si è quindi organizzata una raccolta di fondi per salvare questa linea di sangue, che sarebbe altrimenti andata perduta. Sono stati acquistati due vitelli, cinque vitelle, oltre a due vacche dalla zona di Serres, in Macedonia centrale. Dopo lunghe peripezie dovute a intralci burocratici, il 15 luglio 2014 è iniziato il trasporto dei capi, che dopo due giorni sono arrivati a Perdika, sulle montagne dell’Epiro, ospitati presso un allevatore. La mandria conta attualmente 11 capi, 2 maschi e 9 femmine. Nell’aprile del 2018, a Olympiada-Sykias, in Calcidica, Amaltheia ha individuato un piccolo gruppo di

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Mappa della Grecia. animali verosimilmente puri, tipicamente Sykia, compreso un toro ben conformato. In Grecia esistono sei centri statali di miglioramento genetico (KGVZ) e le mandrie sono registrate presso il centro competente per territorio: quelle di Stratoni/Marmari, Ierissos e Sochos sono registrate dal Centro di Nea Mesimvria, presso Salonicco, che tiene il Libro genealogico che nel 2015, secondo DAD IS, comprendeva 116 capi adulti, di cui 13 tori e 103 vacche, in due allevamenti. La mandria di Perdika è invece registrata presso il Centro di Ioannina, in Epiro. Al momento

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le mandrie non ricevono sussidi come razze in via di estinzione, per vari motivi legati alle norme in vigore: ad esempio, un Decreto presidenziale garantisce sussidi solo agli animali allevati in Calcidica, e quindi esclude le mandrie di Sochos e dell’Epiro. Altri allevatori non hanno le autorizzazioni e le strutture necessarie per ottenere sussidi. È attesa una modifica della normativa che consenta al bestiame Sykia di ottenere aiuti a prescindere dalla zona di allevamento. L’opera di riattivazione delle registrazioni ufficiali è iniziata grazie ad Amaltheia, che ha portato la razza

all’attenzione delle autorità e ha ricevuto supporto dal Centro di Nea Mesimvria. Dati nazionali Secondo EUROSTAT, nel 2017, in Grecia, erano presenti 555.000 capi bovini, con un forte calo, di circa centomila unità, avvenuto dopo il 2014, a causa della crisi economica. Le razze sono in prevalenza quelle cosmopolite, Limousine, Charolaise, Holstein e Brown Swiss, ma esistono anche razze ottenute per incrocio tra razze autoctone ed estere, come la citata Rossa greca. In Grecia, oltre alle razze grigie e

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La foto d’epoca mostra la vecchia razza Podolica greca (photo © Vasilis Lekkas). alla Vrachykeratiki, sono allevate altre razze, con consistenze molto ridotte, soprattutto nelle isole (Kea, Tinos, Amorgos, Nysiros, Andros, ecc…). Per EUROSTAT le macellazioni bovine in Grecia, nel 2017, sono state 181.250, con una diminuzione che supera il 30% in confronto al 2007, pur registrando un incremento dell’8,23% sul 2016, dopo cinque anni consecutivi di calo costante. Andrea Gaddini

Ringraziamenti Grazie a VASILIS LEKKAS, IOSIF BIZELIS e NICHOLAS KOSTARAS, di Amaltheia, e a SOTIRIS KARETSOS, del KGVZ di Karditsa, per il prezioso aiuto. Bibliografia • AMALTHEIA (2014), Safeguard project for the establishment of a second nucleus of the Sykia cattle breed in Northwestern Greece, AMALTHEIA HELLENIC SOCIETY FOR THE PROTECTION & SAFEGUARD OF THE AUTOCHTONOUS DOMESTIC BREEDS. • DERVISIS D., LIGDA C., GEORGOUDIS A. (2006), Management of Animal Genetic Resource in Greece with Undertaken and Planned Primary Activities, www.agrobiodiversity.net • FRENCH M.H. (1966), European breeds of cattle, prepared in as-

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in Puglia (Italia) e in Tessaglia (Grecia), Atti del IX Convegno Nazionale sulla Biodiversità, 5-7 settembre 2012, Valenzano (BA), Vol. 2 Biodiversità, Alimenti e Salute: 238-244. KARATOSIDI D., Marsico G., LIGDA C., TARRICONE S. (2013a), Assessment of the meat quality of Italian Podolian and Greek Katerini cattle, Animal Genetic Resources, 53:141-146. KARATOSIDI D., TARRICONE S., MARSICO G., MARSICO A.D., COLANGELO D. (2013b), Physical parameters and chemical composition of the meat of Katerini cattle breed, Proceedings of the 4th Pan-Hellenic Congress in Technology of Animal Production, Thessaloniki, 8th February 2013: 177-182. KUGLER W. (2009), Rare Breeds and Varieties of Greece-Atlas 2010, Monitoring Institute for Rare Breeds and Seeds in Europe, St. Gallen. LIGDA C. (2011), Status of Podolic cattle in Greece, in Podolic Cattle. Characterisation of Indigenous and Improved Breeds (a cura di Imre Bodó), Te-Art-Rum Bt., Budapest: 79-83; 112-116. LIGDA C., GEORGOUDIS A., FLOROS A., XENOUDAKIS E., BOYAZOGLU J. (2006), Certified beef production from local breeds in Chalkidiki, Greece, in Livestock farming systems, EAAP publication n. 118, Benevento: 189-192. MASON I.L. (1951), World Dictionary of Livestock Breeds, Types and Varieties, Commonwealth Agricultural Bureaux, Slough, Bucks, England. MONCHIERO A. (2003), Dimitrios Dimos, Slowark, The International Herald of Taste Issue, 35, January 2003. PAPADOPOULOS D.O. (1934), Das griechische brachyzere Rind: Die Rinderschläge von Hellasfestland, der Insel Euböa, Peloponnes und der Insel Kreta, Zeitschrift für Tierzüchtung und Züchtungsbiologie, 30: 289-369.

Siti consultati • outras.gr • www.save-foundation.net • www.amalthia.org

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LA PAGINA SCIENTIFICA

L’antibioticoresistenza Con un utilizzo indiscriminato, gli antibiotici diventano inefficaci. Somministrazioni scorrette o inutili in allevamento costituiscono un costoso spreco e rendono più difficile la lotta alle infezioni di Giulia Mauri

I

l contrasto alla diffusione della capacità dei batteri di resistere agli antibiotici è una priorità. Sicuramente lo è per la salute umana, visto che le infezioni in cui sono coinvolti questi “superbatteri” provocano migliaia di morti ogni anno e sono destinate a crescere vertiginosamente se non interveniamo con forza. Ma lo è anche per la gestione e la sostenibilità economica di un allevamento. Ora che il fenomeno ha acquisito dimensioni allarmanti in medicina, si cercano

soluzioni percorribili che coinvolgano anche il mondo zootecnico e veterinario. GIUSEPPE DIEGOLI, del Servizio Prevenzione collettiva e sanità pubblica della Regione EmiliaRomagna, è uno dei relatori della mattinata dedicata alla presentazione delle Linee guida sull’uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento del bovino da latte e del suino che si è tenuta il 13 giugno a Bologna. Un documento destinato ad allevatori e veterinari per aiutarli ad individuare le terapie necessarie e ad eliminare

il sovrautilizzo, con le versioni specifiche per i suini, per i bovini da latte e per gli animali da compagnia scaricabili gratuitamente dal sito della Regione: www.alimenti-salute. it/taxonomy/term/30 Anche se secondo i monitoraggi raccolti con il PNR (Piano Nazionale Residui, attivo da un decennio), a livello nazionale, risulta positivo alla presenza di antibiotico solo lo 0,04% dei campioni di carni analizzati — dunque non è affatto frequente il contatto fra consumatori e residui

Secondo i dati raccolti, le filiere più esposte ad un sovrautilizzo di antibiotici sono quelle del coniglio, del suino e degli avicoli e fra questi quella del tacchino in particolare. In questi allevamenti si fa un ampio uso dell’antibiotico, anche per metafilassi e profilassi, quindi non solo sui soggetti clinicamente malati.

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Italia, Cipro e Spagna sono i Paesi europei che registrano le maggiori vendite di antibiotici a uso veterinario in proporzione alla popolazione di animali zootecnici. In Italia, soprattutto nel periodo 2010-2015, si sono vendute tetracicline, penicilline, sulfamidici, macrolidi e polimixine. di antibiotici nell’alimento, fattore che si ritiene favorisca la diffusione dell’antibioticoresistenza — è giusto modificare il nostro modo di lavorare. E di usare finalmente con criterio una risorsa preziosa come sono queste molecole. «La Sanità pubblica non ha mai messo in discussione le modalità di diagnosi né le quantità di antibiotico utilizzate negli allevamenti. È stato un errore che la rende corresponsabile della situazione attuale», ha detto Diegoli. Secondo i dati raccolti, le filiere più esposte sono quelle del coniglio, del suino e degli avicoli e fra questi quella del tacchino in particolare. In questi allevamenti si fa un ampio uso dell’antibiotico anche per metafilassi e profilassi, quindi non solo sui soggetti clinicamente malati. Inoltre, i trattamenti di massa non associati a diagnosi erano una consuetudine, almeno fino a non molto tempo fa. Tutto ciò innalza molto

il rischio di sviluppare resistenze: ecco perché serve cambiare metodo di lavoro, per riuscire a conservare l’efficacia di queste molecole negli allevamenti, oltre che per contrastare la diffusione del fenomeno della resistenza. L’allevamento del bovino da latte, invece, non riveste un ruolo di primo piano nella lotta all’antibioticoresistenza: secondo dati riportati da Norma Arrigoni della Sezione di Piacenza dell’IZS, su un totale di vendite di antibiotici a uso zootecnico di 1.300 tonnellate annue, quelle destinate alle bovine da latte sono appena 18 tonnellate, pari all’1,38%. Nonostante questo, l’allevamento da latte è spesso oggetto di restrizioni a livello europeo. Ad esempio, giustamente, le Linee guida UE 2015/C299/04 vietano di somministrare ai vitelli il latte di scarto contaminato dai trattamenti antibiotici. Ed è possibile che la

Il consumo stimato di CIA in Italia in genere è molto superiore alla media UE. Più di quattro volte per i macrolidi, quasi il doppio per le cefalosporine e tre volte superiori per le polimixine. Solo per i fluorochinoloni rimaniamo nella media di vendita degli altri Paesi UE

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prassi di effettuare una terapia antibiotica di routine, al momento della messa in asciutta, venga messa seriamente in discussione. ANDREA LUPPI, della Sezione di Reggio Emilia dell’IZS, ha spiegato il meccanismo di diffusione dell’antibioticoresistenza, «un fenomeno naturale, che in una certa misura è sempre esistito, ma che un uso sconsiderato di queste molecole sta rendendo molto più diffuso di un tempo». Alcuni batteri sono naturalmente resistenti agli antibiotici grazie a diversi possibili meccanismi di difesa. Ad esempio, questi batteri hanno modificato il target verso cui l’antibiotico è attivo, oppure hanno sviluppato sistemi per espellere rapidamente la molecola. Talvolta i batteri sono da subito resistenti a una classe di antibiotici perché non presentano la caratteristica che l’antibiotico colpisce, ad esempio la Bordetella è da sempre resistente al Ceftiofur. Altre volte, invece, questa capacità è acquisita o per mutazione genetica spontanea o per trasferimento di materiale genetico. Queste capacità, infatti, sono codificate nel DNA del batterio oppure in plasmidi (piccoli anelli di materiale genetico) presenti all’interno del microrganismo. Il caso di mutazione genetica spontanea è poco preoccupante, perché il batterio-madre trasferisce la resistenza ai batteri-figli, ma il processo è poco efficiente e in genere, nell’arco di poche generazioni, si esaurisce. Il problema sorge quando la resistenza passa da un batterio all’altro per trasmissione di materiale genetico, sia per trasduzione che per trasformazione o per coniugazione. In questi tre processi, infatti, il plasmide può passare da un battere all’altro numerose volte e anche fra batteri di specie diverse. È il caso del gene MCR1 che consente agli E. coli e ad altre specie batteriche di essere resistente alla colistina. Quando un batterio ha la capacità di resistere all’antibiotico, la presenza di questo nell’ambiente in cui il batterio vive comporta un’eliminazione dei batteri concorrenti non resistenti: il batterio resistente ha in sostanza campo libero e si diffonde. Ma c’è un però. La carat-

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teristica di resistere all’antibiotico costa in termini energetici al batterio: comporta una carica di DNA maggiore, un’esigenza di nutrienti superiore e altri svantaggi. Nel momento in cui l’ambiente non è più contaminato dall’antibiotico, il vantaggio della resistenza mostra tutti i suoi difetti e in breve tempo i batteri non più sottoposti a questa pressione selettiva si “sbarazzano” della caratteristica di antibioticoresistenza per essere più competitivi. In sostanza, è un fenomeno dinamico che non ha mai fine. Le popolazioni di batteri resistenti aumentano di numero e con velocità crescente in base al livello di esposizione agli antimicrobici presenti nell’ambiente. Italia, Cipro e Spagna sono i Paesi europei che registrano le maggiori vendite di antibiotici a uso veterinario in proporzione alla popolazione di animali zootecnici. In Italia, soprattutto nel periodo 2010-2015, si sono vendute tetracicline, penicilline, sulfamidici, macrolidi e polimixine. Luppi ha anche spiegato l’importanza degli antibiotici classificati con l’acronimo di CIA: si tratta di quelle molecole antibiotiche di importanza critica per l’uomo secondo il WHO. Spesso sono farmaci salvavita perché non esistono altre opzioni terapeutiche a queste quattro categorie di antibiotici. Queste sono principalmente quattro: le cefalosporine di terza, quarta e quinta generazione, i macrolidi, le polimixine e i chinoloni (soprattutto i fluorochinoloni). Ecco perché in Italia dobbiamo modificare le nostre abitudini, perché se osserviamo i volumi di vendita, ricorriamo troppo spesso all’uso di queste molecole in generale e anche — cosa ben più grave — usiamo i CIA in numerosi contesti. Il consumo stimato di CIA in Italia in genere, infatti, è molto superiore alla media UE. Più di quattro volte per i macrolidi. Quasi il doppio per le cefalosporine. Tre volte superiori per le polimixine (le cui vendite ora sono in calo). Solo per i fluorochinoloni rimaniamo nella media di vendita degli altri Paesi UE. Studi condotti dai nostri IZS su campioni di materiale

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zootecnico nel periodo 2002-2011 hanno rilevato che per dieci tipi di antibiotici la resistenza è passata da circa 0% fino al 25%. Certo i campioni utilizzati rappresentano sicuramente situazioni particolarmente critiche, ma la situazione non può essere sottovalutata. Il problema però non è solo quello della quantità di prodotti acquistati e conseguentemente utilizzati in zootecnia. Alcune prassi aumentano il rischio di sviluppare resistenze e vanno ridotte, ad esempio i trattamenti per os, quelli preventivi e metafilattici eseguiti di routine. Perché gli antibiotici non possono essere usati per coprire carenze strutturali o di management, con ricadute sulla biosicurezza o sul benessere animale. È ormai entrato in vigore il Piano Nazionale di Contrasto all’Antibioticoresistenza (PNCAR) 2017-2020. Questo ha l’obiettivo di monitorare l’utilizzo degli antimicrobici grazie alla raccolta dati resa possibile dall’entrata in vigore, il 1o gennaio 2019, della ricetta elettronica. Il PNCAR potrà così classificare gli allevamenti in base al livello di rischio di insorgenza, mantenimento e diffusione dell’antibioticoresistenza. Gli obiettivi al 2020 nel settore veterinario, rispetto ai dati del 2016, sono quelli di una riduzione della somministrazione di antibiotici pari al 30%; di una riduzione della modalità di somministrazione per os del 30%; di un calo di utilizzo dei CIA del 10% e della colistina in particolare, in modo da arrivare ad essere al di sotto dei 5 mg/PCU. Le Linee guida per l’uso prudente dell’antibiotico nell’allevamento sono allora degli strumenti, delle indicazioni utili per guidare veterinari e allevatori nella scelta dei trattamenti, nell’individuazione delle vie di somministrazione più opportune e nella riduzione dell’utilizzo poco oculato di queste molecole. Non sono punitive, né coercitive. Rappresentano una fotografia della situazione attuale e uno strumento per riuscire ad allevare in maniera più moderna ed efficiente. Giulia Mauri


TECNOLOGIE

I sei “ingredienti” per la trasformazione digitale La Smart Food Factory promette molti vantaggi. Ma come ci si arriva? Quali tecnologie possono essere utilizzate già oggi in modo redditizio?

L

a Smart Food Factory sta arrivando. Non con una grande rivoluzione ma a tanti piccoli passi, che numerose aziende stanno già compiendo. Chi oggi dà uno sguardo ad un’azienda alimentare moderna, si imbatte sempre più spesso in impianti automatizzati, dipendenti con terminali mobili e magazzini che si organizzano automaticamente. In futuro i robot industriali svolgeranno compiti di importanza sempre maggiore e anche i sensori, la base della produzione in rete, funzioneranno meglio. Attraverso una digitalizzazione costante, gli obiettivi principali per il futuro, ovvero flessibilità, trasparenza completa, servizio al cliente ed elevata efficienza, saranno all’altezza delle sfide. Le possibilità della Smart Food Factory sono immense, ma non esiste ancora un metodo di implementazione unico e vincolante. Questo rende più complessa la scelta degli elementi necessari ma allo stesso tempo concede più libertà d’azione, che si può sfruttare per l’ottimizzazione dei processi, proprio come con una buona ricetta!

consentono l’acquisizione di capacità ed esperienza. In questo modo si favorisce la creazione di un’infrastruttura tecnica idonea e la si amplia pian piano fino alla Smart Factory. Per orientarsi alla realizzazione della Smart Factory, la CSB-System suggerisce i seguenti sei “ingredienti”: 1. Sistema ERP, cuore pulsante della Smart Food Factory.

2. Pianificazione, per produrre in modo economicamente vantaggioso. 3. Soluzioni per l’automazione, nastri trasportatori e macchine intelligenti. 4. Elaborazione industriale delle immagini, la fabbrica impara a vedere. 5. Quadri di controllo, utilizzo mirato dei dati delle macchine. 6. Web & Cloud Apps, anello di congiunzione tra Produzione e Management.

Think big, start small Qual è la ricetta per il successo della digitalizzazione? In che modo la fabbrica intelligente può diventare realtà? La CSB-System fa suo il motto: think big, start small. Gli attuali esempi di successo mostrano che non è necessaria una strategia elaborata fin nel più piccolo dettaglio. Si tratta piuttosto di migliorare passo per passo processi, metodi e tecnologie già esistenti. Piccoli progetti pilota

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1. Sistema ERP Nella fabbrica intelligente i dati prodotti da processi, macchine e risorse umane acquisiscono importanza solo se riescono a fornire agli utenti informazioni giuste e rilevanti ai fini decisionali. Ma non è tutto: lo scopo centrale della Smart Food Factory è che il maggiore numero possibile di processi proceda in modo automatizzato. L’intervento manuale deve aver luogo solo in caso di guasti o modifiche nello svolgimento del processo. In quanto cuore pulsante della fabbrica intelligente, il sistema ERP collega in rete in tempo reale l’intera infrastruttura tecnologica. Pertanto, rispetto ad uno stabilimento produttivo convenzionale, la Smart Factory assicura processi rapidissimi dall’ordine alla produzione, passando per la logistica, fino alla messa a disposizione sugli scaffali, offre più assortimento di prima ai costi di una produzione in massa, fornisce prodotti personalizzati. Il CSB-System, sistema ERP all’avanguardia, implementato in modo strategico, non supporta solo i classici processi come la gestione dei costi e delle ricette, la pianificazione di vendite e produzione, la

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gestione qualità e la rintracciabilità, bensì organizza anche il flusso delle informazioni tra sedi, dipendenti, macchine, fornitori e clienti coinvolti nel processo. All’interno della fabbrica il CSBSystem scandisce i processi in modo ottimale e garantisce l’integrazione verticale e orizzontale dei sistemi coinvolti, gestendo le interfacce con i partner upstream e downstream e con gli altri stabilimenti dell’azienda. 2. Pianificare in anticipo La capacità di reagire immediatamente alle variazioni degli ordini di produzione è una delle sfide più grandi che l’industria dovrà affrontare negli anni a venire. Il CSBSystem, grazie al suo modulo per la pianificazione della produzione, offre l‘integrazione tra produzione, magazzino e acquisti, disponendo così di tutti i dati necessari in tempo reale. Gli aggiornamenti dovuti a cambiamenti delle specifiche si possono avviare senza intervento di un operatore o per lo meno si possono accelerare le decisioni, grazie alla messa a disposizione di informazioni aggregate. Di tutto ciò si avvantaggia non da ultimo il reparto Acquisti: grazie alla

pianificazione supportata da IT si potranno armonizzare le quantità di materie prime che fluttuano in base alle stagioni, con il fabbisogno di materie prime vincolate alle vendite. 3. Soluzioni per l’automazione Il potenziale maggiore si trova al momento nell’intralogistica. Tecnologie come gli impianti di produzione e confezionamento, i sistemi di preparazione ordini parzialmente automatizzati, gli impianti di smistamento e i magazzini a scaffalature per pallet o singole casse forniscono soluzioni pratiche per rispondere in modo ottimale a richieste quali l‘incremento degli assortimenti, l‘oscillazione delle vendite e cicli brevi ordini-consegne. Soprattutto in presenza di margini ridotti o di un’elevata pressione sui prezzi, l’automazione collegata in rete di produzione, confezionamento, stoccaggio e preparazione ordini fornisce la migliore strategia per ridurre i costi e migliorare la competitività. 4. Riconoscimento automatico delle immagini Gli ambiti di applicazione del riconoscimento automatico delle

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immagini sono molteplici. Nell’assicurazione qualità, per esempio, il riconoscimento automatico delle immagini consente “dichiarazioni positive o negative” o riconosce deformazioni e corpi estranei, tutto senza contatto. O in entrata merci dove le materie prime possono essere classificate direttamente, secondo gli scopi d’uso, al fine di trasportarle nel giusto magazzino. Anche in uscita merci, nel riconoscimento delle confezioni, si può per esempio inserire in modo rapido ed efficace il contenitore a rendere che torna indietro: identificare, pagare, documentare. 5. Quadri di controllo L’allestimento di impianti con sensori e connettività consente una manutenzione attenta di processi e macchine. Anche i parametri dei processi upstream devono essere inseriti, aggregati e analizzati per rilevare, ad esempio, i dati sull’attività e lo stato di singole macchine, processi o fasi della produzione. I lavori di manutenzione si possono quindi realizzare per tempo e secondo i piani, al fine di evitare costosi tempi di inattività. Il CSB-System mette a disposizione i dati sullo stato

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delle macchine, sui consumi o sui guasti attraverso dispositivi diversi sia sulle macchine sia in ufficio. In questo modo operatori e management sono supportati in maniera ottimale grazie ad analisi integrate, fino ad arrivare ad un’analisi complessiva degli impianti (OEE), comprensiva di documentazione in tempo reale. 6. Web & Cloud Apps La disponibilità decentralizzata di informazioni rilevanti sul flusso continuo dei dati è un fattore di successo nella produzione alimentare. Il CSB-System mette a disposizione dei suoi clienti App basate su web e cloud per monitorare e gestire l’intero processo produttivo e fornire su PC, tablet o smartphone, dashboard per gli indici finanziari, dati sulle vendite o KPI della produzione. Gli studi confermano che l’accesso mobile alle statistiche è una richiesta centrale del Management all’IT. Le moderne Web-Apps stanno diventando sempre più ausili digitali che assistono il management, consentendo una trasparenza dati di ampia portata, idealmente in una forma personalizzabile e ottimizzata.

Il partner IT giusto verso la trasformazione digitale Non c’è, dunque, una corsia preferenziale per entrare nel mondo della Smart Food Factory. Ma vi sono sufficienti tecnologie pratiche che possono essere utilizzate con profitto. Il gruppo CSB-System è il partner IT giusto verso la trasformazione digitale; vi supporterà con consulenza, soluzioni concrete e progetti di successo.

Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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Devi rinnovare i pavimenti della tua azienda ma l’idea di fermare la tua produzione ti terrorizza?

“Come trasformare i pavimenti rotti, crepati e rovinati della tua azienda in pavimenti perfettamente integri, uniformi, resistenti e renderli finalmente igienici e a norma HACCP - SENZA FERMARE LA TUA PRODUZIONEâ€? Se i pavimenti del tuo stabilimento sono ormai ›˜Â&#x;’—ŠÂ?Â’Ç°ČąÂ•ÂŽČąÂ™Â’ÂŠÂœÂ?Â›ÂŽÂ•Â•ÂŽČąÂœÂ˜Â—Â˜ČąÂ›Â˜Ä´ÂŽČąÂ˜ČąÂ‘ÂŠÂ’ČąÂžÂ—ČąÂ™ÂŠÂ&#x;’–Ž—Â?˜ Â’Â—ČąÂŒÂŠÂ•ÂŒÂŽÂœÂ?Â›ÂžÂŁÂŁÂ˜ČąÂŠÂ—ÂŒÂ˜Â›ÂŠČąÂ?ŠȹÂ?›ŠĴŠ›Ždz Se vuoi dimenticarti per sempre della preoccupazione di un controllo dell’ASL o peggio, Â?ÂŽÂ•ČąÂ›Â’ÂœÂŒÂ‘Â’Â˜ČąÂ?Â’ČąÂœÂ˜ÂœÂ™ÂŽÂ—ÂœÂ’Â˜Â—ÂŽČąÂ?Ž••ȂŠĴ’Â&#x;Â’Â?ÂĽČąÂ™Â›Â˜Â?žĴ’Â&#x;Šȹ ™Ž›Œ‘¡ȹÂ’ČąÂ?ÂžÂ˜Â’ČąÂ™ÂŠÂ&#x;’–Ž—Â?Â’ČąÂ—Â˜Â—ČąÂœÂ˜Â—Â˜ČąÂŠČąÂ—Â˜Â›Â–ÂŠÇł ÂŽČąÂ&#x;ÂžÂ˜Â’ČąÂŽÂ&#x;Â’Â?ÂŠÂ›ÂŽČąÂŒÂ‘ÂŽČąÂ&#x;ÂŽÂ?ÂŽÂ›Â’Â—ÂŠÂ›Â’ČąÂŽČąÂ’ÂœÂ™ÂŽÄ´Â˜Â›Â’ČąÂ?Â’ČąÂ?ÂŠÂŒÂŒÂ’ÂŠÂ—Â˜Čą Â™ÂŠÂœÂœÂŠÂ›ÂŽČąÂžÂ—ČąÂ’Â—Â?ÂŽÂ›Â—Â˜ČąÂ‹ÂžÂ›Â˜ÂŒÂ›ÂŠÂ?Â’ÂŒÂ˜ČąÂŽČąÂ?Â’ČąÂœÂ&#x;ž˜Â?Â’Â—Â˜ČąÂ’Â•Čą ™˜›Â?ŠÂ?˜Â?Â•Â’ČąÂ™ÂŽÂ›ČąÂŒÂ˜Â•Â™ÂŠČąÂ?Â’ČąÂœÂŠÂ—ÂŁÂ’Â˜Â—Â’ČąÂŽČąÂ–ÂžÂ•Â?ÂŽČąÂœÂŠÂ•ÂŠÂ?Â’ÂœÂœÂ’Â–ÂŽÇŻÇŻ ÇłÂŠÂ•Â•Â˜Â›ÂŠČąÂ‘Â˜ČąÂ?ÂŽÂ•Â•ÂŽČąÂ‹ÂžÂ˜Â—ÂŽČąÂ—Â˜Â?’£’Žȹ™Ž›ȹÂ?ÂŽǡ

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Ma chi sono io e perchĂŠ dovresti credere ad ogni singola parola Â?Â’ČąÂšÂžÂŽÂ•Â•Â˜ČąÂŒÂ‘ÂŽČąÂ‘ÂŠÂ’ČąÂ•ÂŽÄ´Â˜Çľ Â’ČąÂŒÂ‘Â’ÂŠÂ–Â˜Čą ›Â?Š—ȹ ˜Â?ÂŠČąÂŽČąÂœÂ˜Â—Â˜ČąÂ’Â•ČąÂŒÂ›ÂŽÂŠÂ?Â˜Â›ÂŽČąÂ?ÂŽÂ’ČąÂœÂ’ÂœÂ?Ž–’ȹ țǰȹ țȹŽȹ țǯ ÂŠČąĹ˜ĹžČąÂŠÂ—Â—Â’Ç°ČąÂ’Â—ÂœÂ’ÂŽÂ–ÂŽČąÂŠÂ’ČąÂ–Â’ÂŽÂ’ČąÂŒÂ˜Â•Â•ÂŠÂ‹Â˜Â›ÂŠÂ?Â˜Â›Â’Ç°ČąÂ&#x;ÂŽÂ?Â˜ČąÂŽČąÂ›Â’ÂœÂ˜Â•Â&#x;Â˜ČąÂ?ÂžÄ´Â’ČąÂ’ČąÂ™Â›Â˜Â‹Â•ÂŽÂ–Â’ČąÂ?’ȹ™ŠÂ&#x;’–Ž—Â?ÂŠÂŁÂ’Â˜Â—ÂŽČąÂŠÂ•Â•ÂŽČąÂ’Â—Â?žœÂ?›’Žȹ alimentari. Â—ČąÂšÂžÂŽÂœÂ?’ȹŠ——’ȹŗŚŞřȹ’–™›Ž—Â?Â’Â?Â˜Â›Â’Ç°ČąÂŒÂ˜Â—ČąÂ’Â•ČąÂœÂ’ÂœÂ?Ž–Šȹ‹›ŽÂ&#x;ŽĴŠÂ?Â˜Čą Č›Ç°ČąÂ‘ÂŠÂ—Â—Â˜ČąÂ›Â’ÂœÂ˜Â•Â?Â˜ČąÂ?Žę—’Â?Â’Â&#x;Š–Ž—Â?ÂŽČą Â’Â•ČąÂ™Â›Â˜Â‹Â•ÂŽÂ–ÂŠČąÂ?Ž’ȹ™ŠÂ&#x;’–Ž—Â?Â’ČąÂ›Â˜Ä´Â’ČąÂŽČąÂ›Â˜Â&#x;’—ŠÂ?Â’ȹȎȹin pochi giorni e senza fermare la produzione della loro azienda. ȹŠÂ?ÂŽÂœÂœÂ˜ČąÂ™ÂžÂ˜Â’ČąÂ?ÂŠÂ›Â•Â˜ČąÂŠÂ—ÂŒÂ‘ÂŽČąÂ?žǡ

Vai su    ǯ›Žœ’Â?ÂŠÂ•Â’ÂŠÇŻÂŒÂ˜Â–Ç° inserisci la tua email e guarda subito i video o CHIAMA IL 800 244 372 Â™ÂŽÂ›ČąÂžÂ—ÂŠČąÂŒÂ˜Â—ÂœÂžÂ•ÂŽÂ—ÂŁÂŠČąÂ™ÂŽÂ›ÂœÂ˜Â—ÂŠÂ•Â’ÂŁÂŁÂŠÂ?ÂŠČąÂŽČąÂ™ÂŽÂ›ČąÂ˜Ä´ÂŽÂ—ÂŽÂ›ÂŽČąÂ?žĴŽȹ•Žȹ’—Â?Â˜Â›Â–ÂŠÂŁÂ’Â˜Â—Â’


MEMENTO

Al caro amico Mimmo Richeldi di Tiziano Parmeggiani

R

accontare la vita di Mimmo Richeldi richiederebbe non un semplice articolo; ci vorrebbero mesi e tante persone che lo hanno conosciuto, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. La sua vita, tutta dedicata al lavoro, lo ha portato nei Paesi dell’Est all’epoca del comunismo. «Non sarò mai comunista — mi diceva — ma meno male che ci sono»; si riferiva al suo lavoro, le budella, che in Italia nessuno voleva lavorare. Negli anni Settanta, pur non parlando nessuna lingua straniera se non il modenese, in un misto di italiano e dialetto, col suo sorriso e il tipico gesticolare italiano riusciva a farsi capire. Ricordo una sera in cui volle che andassi a cena nella sua vecchia casa di Portile, perché doveva incontrare un cinese per parlare di lavoro. Inutile dirgli che non parlavo cinese o altro al

di là dell’italiano e che non sarei potuto quindi essergli di aiuto: sono dovuto andare. Fu una serata indimenticabile, al limite del comico: il cinese diceva sempre sì e rideva; Mimmo parlava in modenese, rideva e gesticolava; ogni tanto, rivolto verso di me, mi incitava «dai, diglielo anche tu». Non ho ancora capito cosa avrei dovuto (o potuto) dirgli, così anch’io ridevo; non ricordo nemmeno cosa abbiamo mangiato, quella era una casa dove qualcosa da mangiare, a tutte le ore, la trovavi, magari una buona pasta e fagioli, ma non mancavano mai i salumi e del buon lambrusco. La conquista della Cina Mimmo, al seguito di FRANCO GROSOLI, che negli anni Sessanta aveva fatto delle conoscenze quando l’Italia importava la carne di suino

dalla Cina, riuscì in un’impresa che ha fatto la storia ovvero inventare le vesciche per la cottura delle mortadelle utilizzando la budellina di maiale. Partendo non dalle tradizionali vesciche di bovino, che erano quasi introvabili e avevano pesi e forme con enormi differenze, utilizzò appunto la budellina di maiale, tagliandola a strisce che venivano poi incollate, una ad una, su un sacco di tela ripieno di segatura che riproduceva in modo regolare la forma della mortadella. Non sto qui a raccontare il percorso complicato prima di arrivare al risultato finale. La difficoltà maggiore era rappresentata dalla colla: purtroppo in Cina non esisteva un prodotto resistente alle temperature di cottura della mortadella, che arrivavano a superare i 90 gradi. Nelle prime ore di cottura, infatti,

Villa Quiete, 7 settembre 1987, ospiti di Mimmo Richeldi alla cena dedicata ai salumi della CIAM. In piedi, da sinistra, Massimo Lombardo, dott. Nando Benimeo, Marcello Parmeggiani, Mimmo Richeldi, Giorgio Bedeschi, Tiziano Parmeggiani, Pierluigi Natalini, dott. Ubaldo Zambonini, Giuliano Cavazzuti, Gigi Gualerzi, Agostino Calzolari, Attilio Montorsi, Enzo Villani, Alessandro Montorsi. Seduti, a presidiare la tavola, Giuseppe Ganapini, Giorgio Bortolotti, Santino Levoni e Giuseppe Villani. Foto scattata da Onelio Benedetti, editore e Gran Maestro dei Salumieri modenesi.

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Mimmo Richeldi. tutto procedeva bene, ma quando la temperatura si avvicinava ai valori massimi la colla cinese si scioglieva e le mortadelle si aprivano. Facemmo decine di prove, ma il problema non si risolveva. Finché un lunedì, in mercato a Modena, si presentò Mimmo con un pacchetto contenente una trentina di vesciche, dicendomi che era andato in America insieme ad un professore universitario e che avevano trovato una colla resistente alle alte temperature. Mi mostrai scettico, ma dalle prove in azienda risultò che era proprio vero: le mortadelle non si aprivano più. Sta di fatto che ancora oggi, dopo oltre cinquant’anni, la vescica per insaccare e cuocere le mortadelle è quella inventata dalla caparbietà e dal genio di Mimmo Richeldi, che ha lasciato un grande patrimonio per tutti, sia alla sua azienda che a tutto il settore dei salumi: grazie Mimmo! Non ho mai conosciuto un imprenditore del nostro settore che non parlasse bene di lui. Non che nel lavoro fosse perfetto, anzi: poche volte i suoi budelli erano come te li aveva promessi, in particolare la calibratura non era mai uniforme, ma la sua simpatia, il suo sorriso, il suo gesticolare, alla fine avevano il sopravvento. Credo sia giusto anche ricordare la persona che più di tutte è stata vicino a Mimmo, la sua memoria

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storica, il suo “luogotenente” BEPPE CAVANI (Beppe Manola), che ha iniziato da ragazzino a lavorare al suo fianco e che ancora oggi lavora per la ditta Richeldi. Le cene di Villa Quiete Mimmo amava i salumi, ma non era un grande mangiatore. Gli piaceva avere tanta gente a cena, soprattutto i salumai modenesi. Alle sue cene non mancavano mai personaggi come GIULIANO CAVAZZUTI, PAOLO MALETTI, PIPPO VILLANI, PIERLUIGI NATALINI, SANTINO LEVONI, LUIGI CREMONINI, GIUSEPPE CREMONINI, ONELIO BENEDETTI (editore delle riviste EUROCARNI e PREMIATA SALUMERIA ITALIANA), ATTILIO MONTORSI, GIORGIO BEDESCHI, GIGI GUALERZI da Parma, GIUSEPPE GANAPINI, tanti amici di Portile, di Castelnuovo, ma anche gli “amici degli amici” che si aggregavano alla già numerosa compagnia. Naturalmente erano sempre presenti i familiari, tutti intorno a Mimmo. Bellissima famiglia… Ricordo i nipoti, allora ragazzini, i fratelli GRANI, che non solo hanno continuato il lavoro dello zio nel settore della lavorazione delle budella, ma hanno cercato nuove attività, creando e importando dalla Cina molti oggetti, i famosi gadget, dei quali i bimbi andavano e vanno matti. Mi scuso se non ho ricordato

tutti, anche perché di volta in volta i commensali cambiavano. Mimmo aveva nominato GIORGIO BORTOLOTTI e me maestri di cerimonia delle serate a Villa Quiete. Il menù era stupendo. Ogni serata era dedicata ad una ditta, che portava i suoi prodotti, così si potevano gustare i salumi di tutti e di ogni tipo. Non mancavano mai i vini, in particolare il lambrusco, e anche un buon piatto di pastasciutta, ben condita da abbondante ragù modenese; così come non poteva mancare il Parmigiano Reggiano dei migliori caseifici di montagna. Fu durante una di quelle cene che ONELIO BENEDETTI suggerì di creare una confraternita che riunisse i salumieri modenesi, e così nacque, anche grazie ai suggerimenti di Attilio Montorsi, l’Ordine dei Maestri Salumieri Modenesi. Quello che però ricordo oggi con piacere, oltre ai buonissimi salumi, sono la gioia, la felicità, il piacere di stare assieme che accompagnava quelle serate e la sua grande generosità: era questo che il nostro indimenticabile Mimmo, nella sua bellissima villa di Portile, offriva a tanti amici, in onore dei buoni salumi italiani. Il ricordo e il ringraziamento ad un amico Una sera eravamo a cena nella vecchia casa di Portile, erano i primi anni Settanta. Vidi un quadro molto bello che rappresentava una coppia di nomadi seduti vicino al loro carro ed al cavallo che mangiava l’erba. Dalla luce si intuiva che era l’ora del tramonto, i colori della natura quelli dell’autunno. Chissà cosa pensava Mimmo guardando quel quadro, forse alla sua vita, certamente un po’ da nomade. «Ti piace — mi chiese — se ti piace te lo regalo». Io non volevo accettare ma non ci fu niente da fare: lo staccò dalla parete e me lo mise in macchina. Oggi lo tengo appeso nella mia camera da letto, sopra una piccola scrivania dove mi siedo la sera per leggere un libro prima di addormentarmi. Sono felicissimo di averlo: è il più bel ricordo di un carissimo amico. Tiziano Parmeggiani

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STATISTICHE

Macellazione del bestiame a carni rosse, 1o semestre 2018 di Aurora De Santis

L

L’indagine nel 2018 e indagini congiunturali sulla macellazione del bestiame hanno interessato i mattatoi pubblici e privati, a bollo CEE, a capacità limitata e in deroga, risultati attivi sul territorio nazionale. Più in particolare, l’universo dell’indagine relativa alle “carni rosse” è costituito da circa 2.000 mattatoi tra i quali è stato estratto, in modo casuale, per l’anno 2018, un campione di circa 400 impianti rappresentativi del totale. A decorrere dal 1o gennaio 2009 il modello prevede la divisione della categoria dei vitelli in due nuove categorie: vitelli fino a 8 mesi e giovani bovini (da 9 a 12 mesi). Tale modifica è stata inserita in

conformità al nuovo Regolamento n. 1165/2008. La rilevazione è compresa nel Programma Statistico Nazionale con il codice IST00163 e per essa è previsto l’obbligo di risposta. I risultati Nel periodo considerato, per i bovini si registra un numero di capi abbattuti pari a 1.297.000 per un peso medio pari ai 497,4 kg e una resa media del 57,5% (Tavola 1). I bufalini ammontano invece a 54.795 capi abbattuti nel corso dell’anno per un peso morto pari a circa 107.000 quintali. Per i suini si registrano circa 5,8 milioni di capi abbattuti per una resa media pari all’81,0% e un peso vivo medio di

163,2 kg. La categoria che più contribuisce alla macellazione della specie suina è la categoria dei grassi che costituisce il 93,6% del totale. Per gli ovini, i capi macellati risultano pari a un totale di 1.294.000 capi, mentre i caprini macellati sono in totale 79.000 capi. Per gli equini, la categoria dei cavalli, pari al 93,7% del totale degli abbattimenti, fa segnare un numero pari a 9.995 capi abbattuti su un totale di equini abbattuti pari a 10.669. Bibliografia • Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), www.istat.it • Sistema Statistico Nazionale (SISTAN), www.sistan.it

L’indagine relativa alle “carni rosse” fa riferimento a circa 2.000 mattatoi tra i quali è stato estratto, in modo casuale, il 2018, un campione di circa 400 impianti rappresentativi del totale.

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Tavola 1 – Macellazione per categoria del bestiame a carni rosse (gennaio-giugno 2018) Capi (numero)

Peso vivo (quintali)

Peso vivo medio (kg)

Peso morto (quintali)

Vitelli minori di 8 mesi

280.336

643.578

229,6

381.330

59,3

Vitelli da 8 mesi e piĂš

25.522

68.728

269,3

41.362

60,2

Vitelloni maschi e manzi

432.285

2.527.001

584,6

1.467.119

58,1

Vitelloni femmine

298.547

1.701.683

570,0

981.295

57,7

Buoi

1.935

11.278

582,8

6.330

56,1

Tori

6.206

41.802

673,6

24.402

58,4

251.825

1.554.258

617,2

809.082

52,1

1.296.656

6.449.603

497,4

3.710.920

57,5

Vitelli bufalini

31.347

75.929

242,2

41.978

55,3

Bufale

19.468

104.650

537,5

54.171

51,8

3.980

19.686

494,6

10.376

52,7

54.795

200.265

365,5

106.525

53,2

1.351.451

6.649.868

492,1

3.817.445

57,4

1.099.438

162.077

14,7

97.644

60,2

42.017

14.645

34,9

8.086

55,2

Castrati

184

106

57,6

59

55,7

Pecore

150.869

79.544

52,7

41.715

52,4

1.723

1.094

63,5

577

52,7

1.294.231

257.466

19,9

148.081

57,5

Capretti e caprettoni

66.132

10.796

16,3

6.443

59,7

Capre

12.497

5.024

40,2

2.588

51,5

Becchi

420

245

58,3

129

52,7

Caprini

79.049

16.065

20,3

9.160

57,0

1.373.280

273.531

19,9

157.241

57,5

Lattonzoli

192.839

41.523

21,5

32.973

79,4

Magroni

180.707

135.130

74,8

106.645

78,9

Grassi

5.426.844

9.288.970

171,2

7.523.949

81,0

Suini

5.800.390

9.465.623

163,2

7.663.567

81,0

9.995

48.478

485,0

28.687

59,2

70

234

334,3

127

54,3

604

1.486

246,0

808

54,4

Equini

10.669

50.198

470,5

29.622

59,0

Struzzi

80

76

95,0

33

43,4

Categorie

Vacche Bovini

Altri bufalini Bufalini Bovini e bufalini Agnelli Agnelloni

Montoni Ovini

Ovini e caprini

Cavalli Muli e bardotti Asini

Resa media (%)

Fonte: ISTAT.

Eurocarni, 11/18

157






AUSTRALIAN Fed Beef

Gr ai

n-

BEEF

Gr ai

n

d Beef - Fe

NO OO ORMONI RMO RM ON NI

BE

EF

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è distrib distribuito ibui u to in es escl esclusiva clus usiva per l’Italia da:

Il manzo australiano di NH Foods Australia è distribuito in esclusiva da Black Angus Premium Farms S.r.l • Gruppo Quabas Via Mascherpa 12 • 29010 Castelvetro Piacentino (PC) • Italia • Tel. +39 0523 257100 • Fax +39 0523 257139 • info@quabas.it


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