EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 11 • Novembre 2019
Il metodo CUOMO L’hub innovativo di FIORANI
€ 5,42
Monday Lamb Class I primi 50 anni di UNICEB
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi
Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura EURO ANNUARIO CARNE 2019
Euro Annuario Carne La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2019 Copia cartacea: € 95,00
Abbonamenti Fioretta Fiorentin Amministrazione Andrea Tomassone
Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2018. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2018.
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
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Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
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EUROCARNI La prima rivista veramente europea
In questo numero:
Agenda
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Anteprima
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Immagini
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Naturalmente carnivoro
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Tendenze
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AttualitĂ
Ethical butchers: chi sono e perchĂŠ lo fanno
Elena Benedetti
Nuova ripresa dei consumi domestici nel 1o semestre 2019
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Slalom
Taglio dei tassi e spesa per la ripresa
Cosimo Sorrentino
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La carne in rete
Social meat
Elena Benedetti
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A pagina 104.
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Aziende
FABO, 25 anni di storia e di successi a livello nazionale
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Il metodo Cuomo®
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Fiorani, l’innovazione nel mondo della carne parte dall’hub Tenuta di Borgoluce, dove si seminano cereali e si raccolgono salumi
54 Gian Omar Bison
60
Comunicare la carne
Smontiamo le bufale più diffuse sul mondo della carne
64
Speciale carne bovina francese
L’arte française del taglio della carne
68
Speciale UNICEB
I primi 50 anni di UNICEB
Eventi
Bord Bia presenta: “Le eccellenze italiane e irlandesi si incontrano”
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Formazione
Monday Lamb Class
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Analisi di settore
La filiera in etichetta
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Retail news
Carrefour Italia e Coldiretti: accordo per valorizzare il made in Italy…
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Trend
Cibo da asporto, il grande business
Sebastiano Corona
Mercati
Il bio: passato, presente, futuro
Sebastiano Corona 100
Razze
Il manzo di Hida arriva sul mercato italiano
Riccardo Lagorio
Suinicoltura
Antibioticoresistenza e redditività aziendale
110
Benessere animale
ClassyFarm: la valutazione del benessere animale nella specie suina
112
Macellerie d’Italia
Marco e Roberta Papalotti, attenti a quei due!
Elena Benedetti
Elena Benedetti
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXIV N. 11 • Novembre 2019
Il metodo CUOMO
€ 5,42
Monday Lamb Class
L’hub innovativo di FIORANI
I primi 50 anni di UNICEB
A pagina 114.
In copertina: Marc McArdle mentre disossa un Welsh lamb presso la macelleria Pellegrini (photo © Diego Bonacina).
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Institute of Masters of Meat La Vache tigre, questa sconosciuta
Elena Benedetti
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Gare carnivore
L’Italia dei macellai Campioni d’Europa
Andrea Laganga
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Curiosità
Da San Miniato alle Isole Faroe, inseguendo la carne
Elena Benedetti
126
Speciale BBQ
Caput Mundi BBQ Competition
Sono 180 grammi, lascio?
Colazione psichedelica tra la Via Emilia e il grande Nord
Fiere
L’innovazione in macelleria a iMEAT® España 2019
136
Tecnologie
Digitalizzazione: il punto di vista dei decision makers a livello globale…
138
Niederwieser Spa: la nuova linea di film e buste riciclabili…
142
Aceto aromatico GPI 6.2, batteriostatico naturale
146
La pagina scientifica
130 Giovanni Papalato 133
Giovanni Ballarini 148
Profumo di carne La Piemontese è promossa a pieni voti
150
Libri
Tutto parte dalla terra
Elena Benedetti
152
Storia e cultura
Dilettevoli horrori: la corrida a Napoli
Andrea Gaddini
154
A pagina 54.
A pagina 68. A pagina 38.
www.eurocarni-online.com 8
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AGENDA
Cremona L’edizione 2019 della Giornata della Suinicoltura, organizzata da EXPO CONSULTING SRL e giunta al suo quinto appuntamento, si occuperà di antibioticoresistenza in allevamento e delle sue ripercussioni sulla redditività aziendale. L’appuntamento è in calendario per mercoledì 13 novembre presso la Sala congressi del Palace Hotel di Cremona a partire dalle ore 9:00 (photo © krumanop – stock.adobe.com). www.expoconsulting.eu/suinicoltura
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ConsulenzaAgricola.it: a Rimini il 18 dicembre il convegno sulle novità economico-fiscali 2020 È un evento che, crescendo nel tempo, si è trasformato in un appuntamento fisso per il mondo agricolo ed economicofiscale italiano. Si tratta del Convegno sulle novità economico-fiscali 2020, in calendario per il prossimo 18 dicembre al Palacongressi di Rimini e organizzato da ConsulenzaAgricola.it, il portale di informazione on-line specializzato nel settore dell’agricoltura fondato da LUCIANO MATTARELLI, che ne è anche direttore scientifico. Anche quest’anno il convegno vanterà la presenza dei maggiori esperti nazionali come STEFANO ZAMAGNI, economista presso l’Università di Bologna e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali; ANGELO FRASCARELLI, docente di Politica agroalimentare all’Università di Perugia; MICHELE VIETTI, già vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura; MAURIZIO LEO, docente presso la Scuola nazionale dell’amministrazione – Presidenza del Consiglio dei Ministri ed editorialista de Il Sole 24 Ore; GIAN PAOLO TOSONI, tributarista ed editorialista de Il Sole 24 Ore. Com’è nata questa idea e quali sono gli obiettivi che si pone? «È vero — risponde Mattarelli — penso a quell’incontro tra amici di una trentina d’anni fa quando per discutere dei problemi dell’agricoltura ci sedemmo quasi per caso intorno a un tavolo. Da allora, senza nemmeno programmarlo, ogni anno ci siamo ritrovati con lo stesso obiettivo, ma con un numero sempre crescente di colleghi e persone interessate all’argomento, fino ad arrivare ai nomi e ai numeri di oggi: professionisti di chiara fama e una platea che, anche lo scorso anno, ha sfiorato le 500 unità. Un obiettivo che intendiamo centrare anche quest’anno insieme a quello che è lo scopo del convegno: favorire un momento di aggregazione tra professionisti di altissimo livello del settore e imprenditori agricoli per uno scambio di opinioni e per un confronto costruttivo in un clima di grande familiarità». Dove sta andando l’agricoltura italiana? «Verso un paradigma e un’organizzazione diversi da quella degli ultimi 50 anni. Siamo passati dall’agricoltura tradizionale a quella industriale, multifunzionale, sostenibile e, oggi, smart. Innovazione, diversificazione, sostenibilità, salute e creazione del valore: sono queste le strategie vincenti. E qui si apre un grande capitolo che dovrebbe partire da una maggiore capacità di sfruttare le opportunità offerte dalle attività connesse all’agricoltura. Parlo di trasformazione, agriturismo, qualità, innovazione nei processi e nei prodotti, ma soprattutto dei due driver del cittadino/consumatore di oggi: ambiente e salute. Nel mondo globalizzato l’Italia non può competere sui prezzi delle commodity, può farlo con prodotti e servizi diversificati, innovativi e di valore. Le parole chiave della nuova agricoltura sono agrifoodtech, precision farming, robotics, IoT, blockchain for safety food, smart labelling, sustainable packaging, organic waste recycling, carbon foot print, water foot print, social foot print». >> Link: ConsulenzaAgricola.it
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ANTEPRIMA
Anuga 2019, in calendario da sabato 5 a mercoledì 9 ottobre presso il quartiere fieristico di Colonia, ha festeggiato quest’anno la sua 100a edizione. Appuntamento globale per gli operatori dell’agroalimentare, Anuga si conferma ancora una volta piattaforma espositiva capace di registrare numeri da capogiro, com oltre 170.000 visitatori provenienti da 200 Paesi e 7.500 espositori. Noi abbiamo consumato le suole delle scarpe visitando in lungo e in largo i padiglioni 5, 6 e 9, quelli cioè dedicati alle carni e ai prodotti di salumeria. Non perdetevi Eurocarni n. 12/2019, perché troverete uno speciale ricco di informazioni e immagini su chi c’era e sulle novità presentate in fiera.
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Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
Ricetta
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Intraco S.r.l. di Niclas e Simona Herzum Tel: +39 010 374 277 8 E-mail: herzum@ekro.nl
Tel: +31 055 549 82 22 E-mail: info@esafoods.com
IMMAGINI
Avete mai sentito parlare dei cosiddetti ethical butchers? Sono maestri delle carni con un passato nel quale le proteine animali erano escluse dalle loro diete. Questo movimento, che si sta sempre più diffondendo negli Stati Uniti, è stato approfondito dalla giornalista Melissa Clark in un articolo recentemente pubblicato dal New York Times. A pagina 22 l’articolo di Elena Benedetti sull’argomento (in foto, Jered Standing nella sua macelleria a Downtown Los Angeles; photo © justamoment.in).
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Ad Andrea Falaschi, macellaio a San Miniato, amico e grande viaggiatore, può succedere di incappare, durante il proprio soggiorno nelle sperdute Isole Faroe, a TĂłrshavn, in una festa di macellai, anzi, in una vera e propria celebrazione della carneâ&#x20AC;Ś Faroese style naturalmente. Elena Benedetti ha incontrato Andrea al suo rientro in Toscana e lui le ha raccontato la sua esperienza, che potete leggere a pagina 126.
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NATURALMENTE CARNIVORO
Lorenzo Rizzieri è a pieno titolo il “Naturalmente lme carnivoro” del mese con l’uscita del suo libro “Tutto parte dalla terra”, edito da Mondadori. Abbiamo avuto il piacere di partecipare alla presentazione della pubblicazione a Ferrara lo scorso 28 settembre. A pagina 152 vi raccontiamo com’è andata nel parlare insieme all’autore di filiere delle carni, di benessere animale e di sostenibilità.
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“La bontà è più facile da riconoscere che da definire”
(Wistan Hugh Auden)
Il “buono” si trova nelle cose semplici e fatte con amore!!! I bovini Chianini, Marchigiani e Romagnoli nascono e vivono da sempre in questi territori dove i profumi dei nostri pascoli e la tradizione secolare dei nostri allevamenti, rendono le loro carni uniche al mondo.
SOTTOMISURA 3.2 “Sostegno alle attività di informazione e promozione attuate da gruppi di produttori nel mercato interno”
UNIONE EUROPEA FONDO EUROPEO AGRICOLO PER LO SVILUPPO RURALE: l’Europa investe nelle zone rurali
TENDENZE
Crollano le vendite in Italia della fake meat: secondo il Rapporto Coop i sostitutivi vegetali della carne sono sempre meno amati
Torna la carne nel carrello, con una spesa in aumento del 3,5% e battendo i prodotti sostitutivi a base vegetale, a partire dal tofu, che perde l’8,8%. È una delle novità rilevate nel Rapporto Coop 2019 che traccia il profilo di un Italiano sempre più attento alla sua salute ma poco propenso a mettersi ai fornelli, dove passa appena 37 minuti al giorno. Dai dati emerge inoltre in generale un crollo di tutti i sostitutivi vegetali della carne, ossia quei prodotti che evocano in etichetta prodotti carnei, come würstel vegetali (–40,9%), seitan (–8,6%), piatti pronti, con burger e crocchette vegetali (–7,6%), e piatti di polpette vegetali (–5,8%). Nel 2018 il giro d’affari dei prodotti di “falsa carne” è stato di 357 milioni di euro, con un calo a valore del 4,7% (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © lchumpitaz – stock.adobe.com).
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ATTUALITÀ
Ethical butchers: chi sono e perché lo fanno I protagonisti e i principi di questo movimento nato negli Stati Uniti una quindicina d’anni fa e arrivato fin qui di Elena Benedetti
L
o scorso agosto la giornalista MELISSA CLARK ha firmato un articolo sul NEW YORK TIMES dal tema singolare: la svolta a 360° di tanti vegetariani che nel corso degli anni si sono convertiti alle proteine animali al punto tale da aprire una macelleria e fare della lavorazione della carne il perno centrale della loro professione. Una sorta di ossimoro, nel fare dell’alimento che prima era totalmente
ricusato dalla dieta personale la nuova ragione di vita, per lo meno a livello professionale. Il viaggio di Melissa attraverso gli Stati Uniti inizia a Denver, Colorando, presso la WESTERN DAUGHTERS BUTCHER SHOPPE (westerndaughters.com), dove la trentenne KATE KAVANAUGH disossa e lavora personalmente i tagli che vende nella propria macelleria. Prima di innamorarsi di questo mestiere, Kate era una vegetariana
convinta e tale è rimasta per oltre dieci anni, eliminando la carne a favore di un’ideologia che tutelava il benessere della vita animale e il rispetto per l’ambiente. Oggi Kate è una macellaia professionista e la sua dieta è incentrata per la maggior parte in verdure acquistate nei mercati agricoli di Denver, che lei visita regolarmente insieme al socio e compagno di vita JOSH CURTISS. Cosa l’ha quindi spinta a rivoluzionare il
Kate Kavanaugh nella sua macelleria, la Western Daughters Butcher Shoppe a Denver, Colorado (photo © Ryan Dearth 2018).
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suo punto di vista? “Kate — scrive Melissa Clark — è probabilmente la più famosa ex vegana-vegetariana diventata macellaia per rivoluzionare l’attuale food system negli Stati Uniti”. Kate e Josh amano definirsi ethical butchers e hanno aperto più punti vendita nei quali offrono carni provenienti da animali allevati a erba allo stato brado, a cereali di autoproduzione, seguendo standard di benessere animale, nel rispetto della conservazione ambientale e nella concezione del lavorare l’animale intero. Si tratta di una visione lavorativa in netto contrasto col modello industriale su larga scala che oggi produce la stragrande maggioranza di proteine animale negli USA e che è stato spesso oggetto di pesanti critiche per l’abuso di antibiotici e ormoni della crescita e per le modalità di allevamento degli animali. Ad oggi molti produttori stanno recuperando il terreno perso, modificando le proprie metodologie per avvicinarsi ad un modello più in linea con le aspettative dei consumatori più attenti. “Ciò nonostante — scrive Clark — questa nuova generazione di macellai ritiene che l’industria si stia muovendo ancora troppo lentamente e senza quella trasparenza che dovrebbe ispirare più fiducia”. Tornare indietro per cambiare tutto Questo movimento americano della cosiddetta macelleria etica ha iniziato a formarsi una quindicina di anni fa sulla scia di un articolo firmato
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Dettaglio sulla maturazione delle carni bovine all’interno della macelleria Western Daughters Butcher Shoppe (photo © www.eater.com). da MICHAEL POLLAN, e pubblicato sul NEW YORK TIMES MAGAZINE, relativo all’abuso di industrializzazione degli allevamenti bovini, e sul suo successivo libro, THE OMNIVORE’S DILEMMA, pubblicato nel 2006. Secondo Pollan, il sacrificio dell’animale per essere fonte di nutrimento per l’uomo richiede un atto di responsabilità e, come tale, una visione che comprenda corrette prassi di allevamento e di benessere degli animali da reddito. Questa sorta di sfida colpì molte persone, inclusi vegani e vegetariani, che decisero di dare il loro
contributo per modificare il sistema allevatoriale industriale esistente. JANICE SCHINDLER, 28 anni e un passato di 5 anni di dieta vegana, è oggi general manager di THE MEAT HOOK, stilosissima macelleria nel cuore di Brooklyn, a New York. Anche per lei la chiamata è arrivata frequentando alcuni allevamenti e sviluppando l’idea di dare un contributo personale alla creazione di un sistema alimentare diverso, che andasse oltre i burger di soia senza OGM che comprava al supermercato con stampata sopra la bella immagine di una finta fattoria.
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In alto: uno scatto all’interno di The Meat Hook (photo © the-meathook.com). In basso: Janice Schindler, general manager di The Meat Hook a Brooklyn, alle prese con il disosso di un anteriore di bovino (photo © Benjamin Norman per The New York Times).
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In alto: Joshua Applestone (photo Š Jennifer May / Applestone Meat Company). In basso: i distributori automatici di Applestone Meat Company a Stone Ridge, NY, disponibili 24/7 (photo Š Jennifer May / The Applestone Meat Company).
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Jered Standing e le sue carni a Los Angeles (photo © justamoment.in e voyagela.com). Il comun denominatore che lega Janice a Kate e a molti altri ethical butchers affonda le radici su un allevamento a pascolo, a erba, nel quale la crescita degli animali è integrata al concetto, ben più ampio, di sostenibilità. Come raggiungere questo obiettivo? Con la coltura dei foraggi a rotazione al fine di non impoverire la terra, col riciclo delle deiezioni per fertilizzare i terreni, con una visione che ingloba allevamento ad ambiente circostante fino ad arrivare sulla tavola del consumatore. I difensori di questa visione sostengono che questo modo di
fare zootecnia da carne favorisca al contempo il recupero di ampie superfici agricole prima in disuso e oggi fonte preziosa di erba e foraggi dedicati all’accrescimento degli animali e che queste aree verdi impattino positivamente sull’emissione di anidride carbonica. Naturalmente, questa visione è altresì criticata da quanti sostengono, dati alla mano, che sia complesso dimostrare l’effetto dei nuovi pascoli sulla qualità dell’aria e che il sistema, in generale, non sia assolutamente in grado di far fronte alla domanda di carne che, ricordiamolo, negli USA è molto elevata.
Il movimento degli ethical butchers in USA ha colmato una domanda del mercato che chiedeva prodotti locali, legati a razze e allevamenti del territorio, veicolo di una cultura inclusiva che tutelasse benessere animale e ambientale. E alla luce dei trend e delle analisi di mercato, la fetta di consumatori che si rivolgerà verso un prodotto carne sostenibile è destinata ad aumentare sensibilmente
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C’è poi la questione economica da considerare, in quanto “allevare bovini a pascolo è ben più costoso — scrive Melissa Clark — rispetto agli allevamenti intensivi”. Un esempio? Mezzo chilo di controfiletto di Kate Kavanaugh si vende a $21 contro gli $8.99 al vicino supermercato. Quando JOSHUA APPLESTONE, 49 anni, aprì FLEISHER’S GRASS FED & ORGANIC MEATS a Kingston, NY, era il 2004 e lui era un macellaio di quarta generazione ed ex vegetariano di prima generazione. Aprendo Fleischer’s, Joshua ha dato il suo contributo ad avvicinare i consumatori ad un modello di filiera delle carni più etico e sostenibile. “Quando aprimmo i clienti si lamentavano dei prezzi più elevati” riporta Melissa Clark sul New York Times, “ma i nostri costi erano ben più alti rispetto alle grandi industrie. Noi paghiamo per il controllo della qualità dei nostri animali, per i mangimi, per il benessere animale, per come vengono trattati e curati, per i trasporti e per la macellazione e la lavorazione. Una volta compreso questo punto, il nostro business è decollato”.
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Anya Fernald con alcuni collaboratori nell’azienda agricola di Belcampo a Gazelle, California (photo © Carolyn Drake / Panos). Spesso queste macellerie che lavorano su piccoli numeri perseguendo una politica di qualità e non di prezzo creano rapporti con piccoli allevamenti locali che vengono visitati periodicamente. Joshua ha poi venduto Fleisher’s (che è diventato FLEISHERS CRAFT BUTCHERY) e ha aperto la APPLESTONE MEAT COMPANY (applestonemeat. com), una macelleria H24 con due sedi, una a Stone Ridge e una a Hudson, NY. Entrambi i negozi utilizzano distributori automatici refrigerati che consentono di mantenere i prezzi bassi e i prodotti più accessibili per una clientela più ampia. ANYA FERNALD, 44 anni e un passato da vegetariana — dieta che abbandonò nel periodo che trascorse in Italia, prima di lanciarsi in questo progetto imprenditoriale negli USA — è tra i fondatori di BELCAMPO MEAT COMPANY (belcampo.com). “Non appena ricominciai a mangiare carne la mia salute migliorò e persi peso, l’acne in viso sparì, i capelli si rafforzarono ed ebbi
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l’impressione che quella coltre di nebbia in cui mi trovavo da sempre fosse sparita” racconta Anya a Melissa Clark. Anche J ERED S TANDING , proprietario della macelleria STANDING’S BUTCHERY a Los Angeles, è stato convito vegetariano per 5 lunghi anni, per poi tornare alla carne prima lavorando a Belcampo e poi nel proprio laboratorio di LA. Nel suo lungo periodo sabbatico lontano dalle proteine animali Jered non era contrario alla carne a priori, lo era verso un certo tipo di industria che modellava l’offerta e i prodotti. E in Italia? Questo articolo fa riflettere su come a volte un cambio di pensiero, un’inversione di rotta in una certa visione del mondo, quel mondo un po’, magari, riesce anche a cambiarlo. Ricordiamo che le steak americane sono apprezzate in tutto il mondo per tenerezza, sapore e marezzatura. L’industria delle carni statunitensi oggi vanta alimentazioni e ingrasso
a erba, certificazioni biologiche che devono soddisfare i requisiti del National Organic Program (NOP) dell’USDA e allevamenti che bandiscono gli ormoni della crescita e la somministrazione di antibiotici, come quelle esportate in Europa. Il movimento degli ethical butchers, ex-vegetariani-vegani, in USA ha colmato una domanda del mercato che chiede prodotti che provengono da realtà dimensionate su piccola scala, prodotti locali, legati a razze e allevamenti del territorio, veicolo di una cultura inclusiva che tuteli in primis il benessere animale e ambientale. Alla luce dei trend e delle analisi di mercato la fetta di consumatori che si rivolgerà verso un prodotto carne sostenibile è destinata ad aumentare sensibilmente. Nel nostro Paese ROBERTO LIBERATI (instagram.com/bottega_liberati) ha percorso un viaggio analogo. Figlio di Emilio, macellaio del quartiere romano di Don Bosco, Roberto si staccò per anni dal consu-
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Carne bovina e ovina di Alta QualitĂ ottenuta da risorse sostenibili Dawn Meats, fondata nel 1980 a Waterford nel sud dellâ&#x20AC;&#x2122;Irlanda, è cresciuta in modo costante ďŹ no a diventare oggi una delle principali realtĂ produttive irlandesi, con stabilimenti anche in Inghilterra, Scozia e Galles. Dawn Meats è rimasta fedele ai principi dellâ&#x20AC;&#x2122;impresa familiare ed al suo radicamento agricolo, con una forte attenzione allâ&#x20AC;&#x2122;innovazione ed alla sostenibilitĂ , ponendo un
Dawn Meats fornisce carne bovina in osso di scottona e vitellone e carne ovina in osso, nonchĂŠ la gamma completa dei tagli anatomici sottovuoto. Produce inoltre hamburger congelati da carni di razze pregiate e piatti pronti slow cooked, disponibili sia in formato retail che food service.
costante impegno nel miglioramento della qualitĂ e del servizio al cliente. Dawn Meats considera il mercato italiano uno dei piĂš importanti ed è un fornitore di riferimento per gli acquirenti di carne bovina ed ovina. Lâ&#x20AC;&#x2122;uďŹ&#x192;cio commerciale di Parma è stato creato appositamente per essere vicino alle esigenze dei clienti e consolidare partnership solide e durature.
%.4 4 S M 7JB EFM 5FBUSP O o 'JEFO[B E: dms@dawnmeats.com / sales@dawnmeats.com
T: +39 0524 84414 / +353 51309 200 F: + 39 0524 335294
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Green Large Organisation of the Year
The Sustainable Supply Chain Achievement Award
www.dawnmeats.com
Il macellaio Roberto Liberati (photo © instagram.com/bottega_liberati). mare carne e si nutrì di altri interessi e lavori per poi ritrovare in bottega una nuova motivazione: quella della continua ricerca di piccoli produttori e allevatori, di prodotti biologici e dell’agricoltura biodinamica. In che modo? Attraverso un colloquio quotidiano e personale con chi alleva, quasi empatico e magistralmente raccontato alla sua clientela che, come la sottoscritta, dal centro di Roma si fa volentieri 12 fermate della metro A per fare la spesa in BOTTEGA LIBERATI. La sua idea è sottrazione, puntare all’essenza, rispetto del valore che la carne — e con essa l’animale da cui proviene — rappresenta.
La comunicazione è importantissima in qualsiasi settore di attività e lo è naturalmente anche in macelleria. Roberto Liberati questo lo sa molto bene ed utilizza i social per raccontare il suo lavoro e quello che potete trovare — o non troverete mai — nella sua bottega. Queste immagini sono tratte dal profilo instagram.com/bottega_liberati. 1) Carne di razza Mangalica. 2) Salsicce preparate con magro di suino bianco marchigiano e grasso suino di Nero brado ciociaro. 3) Il pollo brado di Pulicaro. 4) Quinto quarto, solo di animali tracciati e naturali.
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Storie diverse ma un’unica visione Tutti i macellai citati in questo articolo hanno alle spalle storie e percorsi diversi ma sono accomunati dalla medesima visione e dalla capacità straordinaria del saperla raccontare a chi, ogni giorno, decide di scegliere loro. Elena Benedetti Nota Fonte: www.nytimes.com/2019/08/ 06/dining/butchers-meat-vegetarian-vegan.html
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Nuova ripresa dei consumi domestici nel 1o semestre 2019 Nel comparto dei proteici di origine animale prosegue il recupero delle carni fresche, per le quali aumentano nel complesso i volumi esitati (+0,6%) e ancor più la spesa sostenuta (+1,5%)
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el primo semestre 2019, dopo un 2018 chiuso con un deciso rallentamento del trend di crescita, la spesa delle famiglie per i prodotti alimentari ha ripreso a crescere a ritmi più elevati. I dati sui consumi delle famiglie del panel ISMEA NIELSEN, nella prima metà
dell’anno in corso, evidenziano infatti un incremento complessivo della spesa del +1,1% rispetto all’analogo periodo 2018. Sono stati di nuovo i prodotti a Largo Consumo Confezionati (LCC) del comparto a trainare la spesa (+2%), mentre per i prodotti sfusi la spesa si è ul-
teriormente contratta dello 0,9%. Gli acquisti in promozione presso la Distribuzione Organizzata (DO) nei primi sei mesi dell’anno hanno interessato un quarto del fatturato, vale a dire che circa una referenza su quattro è stata acquistata a prezzo scontato. Questo andamento con-
#meatthefacts, la campagna che combatte la disinformazione sugli allevamenti in Europa Il gruppo European Livestock Voice, formato da 10 associazioni europee di rappresentanza del settore agricolo e zootecnico, ad ottobre ha lanciato a Bruxelles, nelle sede del Parlamento UE, la campagna #meatthefacts, per raccontare la realtà degli allevamenti europei e riequilibrare il dibattito sul settore con il punto di vista di allevatori, esperti e protagonisti della filiera. Il manifesto della campagna e i primi contenuti messi a disposizione sono consultabili sul sito meatthefacts.eu. European Livestock Voice è un gruppo multi-stakeholder di partner europei che rappresentano i vari anelli della filiera zootecnica — dalla salute degli animali ai mangimi, all’allevamento e alla zootecnia e agli agricoltori — che mira a informare sul valore sociale della produzione animale e sul suo contributo alle sfide globali, offrendo un’altra prospettiva di lettura. Il settore zootecnico è oggi al centro di un dibattito pubblico, in Europa e non solo, spesso basato su stereotipi e false credenze che restituiscono un’immagine del settore in netto contrasto con la realtà vissuta da agricoltori e professionisti sul campo. Mentre argomenti come il benessere animale e l’allevamento sono in cima all’agenda pubblica, agricoltori e allevatori, insieme a tutti i professionisti del settore, devono fronteggiare una crescente quantità di disinformazione senza avere sempre la possibilità e la capacità di rispondere in modo adeguato. La campagna #meatthefacts vuole cambiare questa prospettiva e ribadire che la zootecnia, in tutte le sue forme, ha portato e continuerà a portare molti benefici all’Europa, migliorando e innovando costantemente i suoi processi. Il modello di allevamento dell’Unione Europea è la spina dorsale delle aree rurali, impiega un gran numero di lavoratori e contribuisce all’economia circolare, garantendo al contempo una fornitura costante e conveniente di alimenti nutrienti, necessari per una dieta equilibrata (fonte: UNAItalia, www.unaitalia.com).
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Secondi i dati di Ismea, nel primo semestre 2019 a trainare il comparto sono state le carni bovine fresche (photo © alessia – stock.adobe.com). ferma una tendenza generale: è ormai consolidato che il consumatore si muove per i suoi acquisti cercando di sfruttare tutte le occasioni di risparmio. I prodotti proteici di origine animale Nel comparto dei proteici di origine animale, prosegue il recupero dei consumi per le carni fresche, per le quali aumentano nel complesso i volumi esitati (+0,6%) e ancor più la spesa sostenuta (+1,5%). Nel primo semestre 2019 a trainare il comparto sono le carni bovine fresche, per le quali i volumi acquistati, rispetto all’analogo semestre 2018, risultano incrementati del 2% con esborsi superiori del 2,9%. Positiva la performance anche per le carni avicole, per le quali aumentano volumi e spesa (rispettivamente +1,2% e +2,2%); restano invece stabili le vendite per le carni suine (+0,1% i volumi), ma con prezzi medi unitari in aumento (+1,6% la spesa complessiva). Di contro, le “carni minori” (ovine e cunicole) continuano il percorso flessivo con riduzioni delle vendite che viaggiano a 2 cifre (–12% e –18%). Stabili nel complesso gli acquisti di salumi, con trend positivi in volume solo per i salami (+1,2%), contrastati da lievi riduzioni per i prosciutti, sia crudi che cotti, e dal costante cedimento del consumo di würstel. Nel segmento dei lattiero-caseari, il bilancio della spesa rispetto al primo semestre 2018 torna a stabilizzarsi dopo un lungo periodo negativo. In particolare si evidenzia un incremento nei consumi di latte UHT (+0,7% i volumi), a fronte di un costante decremento degli acquisti di latte fresco (–1,5% in volume). Aumentano i consumi per i formaggi molli e per gli industriali, mentre restano stabili i consumi per i freschi. Si contraggono, invece, i volumi acquistati per i formaggi duri, a fronte però di una crescita dei prezzi medi che implica nel complesso un aumento della spesa di 3,1 punti percentuali. (Fonte: ISMEA – Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale www.ismea.it – www.ismeamercati.it)
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Taglio dei tassi e spesa per la ripresa di Cosimo Sorrentino
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bbiamo avuto modo di illustrare, negli scorsi numeri della nostra Rivista, la situazione economica che attualmente stanno vivendo il nostro Paese, l’Eurozona e il mondo intero. Situazione certamente non brillante a causa anche delle tensioni e dei rischi geopolitici che si stanno verificando, tanto che si parla spesso di recessione alle porte. Il paese maggiormente interessato è oggi la Germania, già locomotiva dell’Europa, ora però afflitta da gravi problemi che condizionano l’intera zona euro. Ed è proprio la realtà dell’Eurozona, più seria del previsto e sempre più in indebolimento, anche rispetto alle aspettative per l’inflazione, che ha spinto la BCE a prendere forti provvedimenti, che vanno dal taglio dei tassi ad alcuni aiuti alle banche, all’acquisto dei titoli di stato senza limiti di tempo. Prima di illustrare in dettaglio le misure intraprese, la BCE ha chiesto agli Stati di fare la propria parte “con una politica di bilancio che dia sostanza alla domanda”. Non si tratta di un sostegno alla revisione del patto di stabilità; al contrario, per la BCE, i Paesi ad alto debito, come l’Italia, debbono continuare sulla strada “delle politiche prudenti”, ma quelli che hanno un maggiore spazio per agire, come la Germania, con un basso debito, dovrebbero utilizzarlo “in maniera efficace e tempestiva”. Le misure di intervento adottate riguardano quindi: il taglio dei tassi d’interesse sui depositi di 10 punti base a –0,50; una nuova ripresa di attivazione del Quantitative Easing (immissione di liquidità sul mercato) per 20 miliardi ogni mese, a partire dal prossimo mese di novembre e senza limiti prefissati sul piano temporale;
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Christine Lagarde e Mario Draghi (photo © Ansa). nuove condizioni più favorevoli per i prestiti a lungo termine alle banche, con l’eliminazione del sovrapprezzo di 10 punti base sul tasso (si tratta di più liquidità a costi bassi a disposizione di famiglie e aziende). Effetti positivi si potranno avere anche per le grandi imprese, che si finanziano con l’emissione di obbligazioni e che vedranno scendere i tassi di interesse, destinati a restare bassi per molto tempo. Anche le aziende esportatrici potranno beneficiare di un euro più debole rispetto al dollaro, aumentando così le loro esportazioni, mentre il nuovo Quantitative Easing avrà un effetto benefico sui titoli governativi e lo Stato potrà sostenere un minor costo per rifinanziare il proprio debito, in quanto la spesa per interessi diminuirà. Inoltre, è stato affermato che i tassi di interesse della BCE si “manterranno su livelli pari o inferiori a quelli attuali finché le prospettive di inflazione non convergeranno saldamente su un livello sufficientemente prossimo ma non inferiore al 2%”, che, com’è noto, è la cifra ritenuta da sempre
congrua per consumi e crescita. Non è stata una decisione facile da parte della BCE, il cui presidente uscente MARIO DRAGHI conosce bene gli effetti collaterali di una fase prolungata di politica monetaria accomodante e sa dove possono arrivare. Ma lamentando la quasi inerzia da parte di coloro che non hanno praticato una politica adeguata alle necessità del momento, ha sostenuto che i milioni di posti di lavoro creati dal 2013 ad oggi (circa 11 milioni) sono stati, in larga parte, “effetto della politica monetaria, non della politica fiscale”, ora chiamata ad azioni “tempestive ed efficaci”. Evidentemente il riferimento è rivolto ai Paesi che hanno maggiori disponibilità, come la Germania, ma anche a quelli con alto debito, come l’Italia, invitata da Draghi a consolidare i conti pubblici e a perseguire prudenti politiche in modo da creare le condizioni per permettere “agli stabilizzatori automatici di operare liberamente”. In piena continuità con Draghi, si è espressa la presidente che gli
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subentrerà alla guida dell’istituto, CHRISTINE LAGARDE, la quale ha già lanciato un appello ai Paesi che hanno margini sui conti pubblici, come la Germania, affinché intervengano per scongiurare una recessione. Lagarde ha poi aggiunto che, in caso negativo, non resterà che confermare la politica precedente, tenendo presente che i maggiori responsabili della stessa Germania e dell’Olanda hanno mostrato tiepidezza, per non dire irritazione, soprattutto per l’indicata misura riguardante il Quantitative Easing. Le misure adottate dalla BCE hanno generato una dura reazione da parte del presidente TRUMP, il quale, con l’ormai consueta richiesta alla Federal Reserve di abbassare i tassi negli Stati Uniti, ha affermato, secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, che la BCE “tagliando con una mossa repentina 10 punti base, lavora con successo a deprezzare l’euro nei confronti del dollaro forte, e questo danneggia le nostre esportazioni. Loro (i paesi europei) guadagnano ogni volta che emettono debito, mentre noi dobbiamo pagare gli interessi”. A detta dei principali osservatori internazionali, non sono stati ben compresi i veri motivi della reazione presidenziale, a meno che non si voglia nascondere la questione attuale degli USA, che farebbero registrare uno sforamento della spesa pubblica (con aumento del debito pubblico), unitamente al mancato effetto positivo che avrebbe dovuto portare alle imprese la riforma fiscale. In contraddizione, però, con l’indicazione dell’aumento continuo del PIL annuale. Inoltre, l’inflazione, ad agosto, ha fatto registrare un aumento significativo al 2,4%, e cioè un livello giudicato “aureo” dalla FED, che ha sempre esitato a ridurre i tassi di interesse, pur avendo apportato diverse riduzioni fino al 2%. I rapporti conflittuali tra presidenza dello Stato e FED continueranno ad esistere, ma non si può escludere che la questione commerciale tra USA e Cina sia una delle cause, se non la principale, dell’instabilità alla base del rallentamento della crescita globale. Cosimo Sorrentino
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LA CARNE IN RETE
Social di Elena
1. Il Meatologist svedese ALBERT KUBAKA si definisce Meatologist, ovvero esperto di carne, e col suo business Gourmet Food importa e commercializza pregiate proteine animali per la ristorazione e i distributori. La sede dell’attività è in Svezia e su Instagram è molto attivo con l’account instagram. com/albert.kubaka. Da seguire senza se e senza ma (photo © instagram.com/albert.kubaka).
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2. Manifesto Carnivoro, il nostro blog Lo sapete che EUROCARNI non è solo una rivista mensile di settore ma anche un blog? L’abbiamo battezzato Manifesto Carnivoro e veicola contenuti e informazioni rivolte ad un target consumer, per avvicinare curiosi e consumatori al mondo delle carni di qualità. Seguiteci su www.manifestocarnivoro.it
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3. L’Europa che piace e la carne di vitello Siete amanti della carne di vitello? Vi suggeriamo allora una visita a vivailvitello.it, il sito realizzato da ASSOCARNI, SBK, INTERBEV e VLAM per la campagna triennale di comunicazione e promozione della carne di vitello finanziata con l’aiuto dell’Unione Europea. L’obiettivo? Informare i consumatori italiani, francesi, olandesi e belgi nei cui Paesi si concentrano, per tradizione, la produzione e i consumi di carne di vitello. La campagna è incentrata sulla valorizzazione dei tanti plus di questa carne: tenera e saporita, si può gustare anche a crudo, ed è alla base di tante ricette della tradizione italiana, da scoprire anche on-line.
4. Carni Sostenibili anche su Twitter Salute, sostenibilità e ambiente sono i temi del momento. Carni Sostenibili (carnisostenibili.it) contribuisce al dibattito sulla produzione e sul consumo di carne con un’attività di fact-checking e divulgazione scientifica alla portata di tutti. Anche degli amanti del tweet con l’account @SostenCarni.
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AZIENDE
FABO, 25 anni di storia e di successi a livello nazionale Districarsi nel labirinto di bandi e finanziamenti ed ottenere grandi opportunità di crescita e sviluppo per la propria azienda grazie al giusto partner
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l tema dei contributi in conto capitale e dei finanziamenti a fondo perduto è spesso visto dagli imprenditori, anche quelli del settore della carne e dei prodotti a base di carne, come qualcosa di complesso che non vale la pena approfondire. Eppure, non c’è errore più grave del mostrare diffidenza e chiusura verso queste opportunità.
Giacomo e Marco Fabbri, titolari di FABO S.I.
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25 anni di storia nel settore delle pratiche di finanziamento Per raggiungere la sede della FABO S.I. si viaggia fino a Massa Lombarda, cittadina in provincia di Ravenna conosciuta anche come il “paese della frutta”, poiché tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento alcuni pionieri illuminati sperimentarono i primi impianti a livello nazionale per la coltivazione degli alberi da frutto, dando impulso alle esportazioni della frutta verso l’Europa. Qui incontriamo GIACOMO e MARCO FABBRI, padre e figlio, imprenditori con una storia consolidata, che, insieme a diversi collaboratori interni e a parecchi consulenti e tecnici esterni, operano da 25 anni con successo nel mondo delle pratiche di finanziamento, con un continuo ritorno dei clienti che si rivolgono a FABO, continuano ad investire e a crescere e quindi darle fiducia, e l’acquisizione costante di nuovi. Il loro obiettivo? Interfacciarsi tra le aziende del settore agroalimentare, destinatarie delle risorse e le pubbliche amministrazioni, a livello sia regionale che ministeriale.
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LEM Carni, la determinazione che porta al successo L’azienda LEM Carni Spa di Dozza (BO) venne fondata nel lontano 1971 da GIAMBATTISTA LAMA (lemcarni.it), mosso da un’innata passione per le carni di qualità. Leader nel suo comparto di mercato, LEM si rivolge ad una ristorazione di medio-alta categoria, con una clientela che privilegia le carni di qualità di razze straniere allevate in Italia, come la pregiatissima Wagyu giapponese, la Black Gold irlandese, l’Angus argentino, solo per citarne alcune, oltre che le più conosciute Chianina e Romagnola del patrimonio bovino nazionale. Nel caso specifico, LEM Carni rappresenta forse l’unico esempio in cui la sagacia e la perspicacia dell’imprenditore hanno avuto ragione rispetto ad un’analisi razionale eseguita dalla FABO S.I. sul fatto di presentare o meno la richiesta di finanziamento. I dubbi di FABO partivano da una serie di considerazioni: in primis, dalla conoscenza del bando in essere e della sua dotazione finanziaria, quindi dalla valutazione dei punteggi che la pratica da presentare avrebbe potenzialmente ottenuto e, infine, dal calcolo delle probabilità che verosimilmente il cliente avrebbe avuto di ottenere il finanziamento. Tutti elementi che, per serietà nei confronti del cliente, portavano FABO a sconsigliare la presentazione di una pratica. Giambattista Lama invece, da imprenditore caparbio e carismatico qual è, volle a tutti i costi presentare la domanda. Lo si fece attraverso una serie di soluzioni progettuali suggerite da FABO S.I. utilizzando la misura 4.2.01 del PSR programmazione 2014/2020. Anche grazie alla scarsa partecipazione dei competitor di LEM Carni nel settore bovini e all’inammissibilità di qualche nome importante del panorama italiano della lavorazione carni, all’inizio del 2017 ci fu l’ammissione a finanziamento con un progetto per un importo totale di euro 490.000 circa, 195.000 circa dei quali — vale a dire il 40% del costo totale dei lavori —, concessi come finanziamento a fondo perduto. La ristrutturazione e l’adeguamento dei locali, uniti all’acquisto di nuovi impianti di confezionamento, una nuova cella di frollatura e linee di disosso all’avanguardia, hanno contribuito a migliorare il rendimento e, soprattutto, la competitività dell’impresa, rendendola all’avanguardia e pronta ad affrontare le nuove sfide di un mercato in continua evoluzione e sempre più attento alla qualità.
Una società di consulenza che sente la responsabilità del proprio ruolo L’approccio di FABO S.I. è orientato a dare un supporto fattivo solo a quelle realtà che dimostrano di avere le capacità di gestire una crescita e uno sviluppo di business. «Noi offriamo la nostra esperienza e competenza solo verso chi utilizza gli investimenti con la consapevolezza e le capacità di poter gestire, a livello organizzativo e gestionale interno, una crescita di medio-lungo periodo» afferma Marco Fabbri. FABO S.I. riveste dunque quel ruolo di promotore dello sviluppo di aziende che, accedendo ai finanziamenti pubblici, possono ad esem-
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pio consolidare il proprio sviluppo produttivo, incrementare il numero di dipendenti, espandere le quote di mercato. Il tutto in un’ottica di crescita consolidata e duratura. «Cerchiamo di seguire poche pratiche ma come si deve» precisa Marco, tornando ad evidenziare concetto di responsabilità che sta alla base della filosofia societaria. E la prova della bontà del lavoro fatto in tutti questi anni è proprio nei clienti che si rivolgono di nuovo alla FABO dopo una prima esperienza e nei nuovi, in continua crescita. «Il finanziamento di progetti di investimento sia delle aziende agricole per allevamento e trasformazione sia delle aziende
agroindustriali di macellazione e lavorazione carni e salumi passano per il Regolamento UE 1305/2013 PSR 2014-2020» specifica Marco Fabbri. «Il Reg. UE 1305/2013 ha assegnato all’Italia una dotazione di risorse finanziarie del FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale) pari a 10,43 miliardi di euro per il periodo 2014-2020. A questo importo, si aggiungono altrettante risorse finanziarie del cofinanziamento nazionale. Pertanto, il valore complessivo della spesa pubblica per lo sviluppo rurale per l’Italia è di 20,85 miliardi di euro nei sette anni. Tale dotazione finanziaria — prosegue Marco Fabbri — è divisa
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Lo staff di FABO S.I. tra le regioni che gestiscono poi direttamente il rapporto con Bruxelles per quanto riguarda la contrattazione relativa ai piani operativi regionali, comprensiva della divisione delle risorse messa a disposizione sulle diverse misure di intervento. Questa procedura permette sì alle regioni di poter veicolare le risorse verso gli obiettivi strategi-
ci del proprio territorio, il che è un aspetto sicuramente positivo, ma, per contro, crea un notevole dispendio di tempo con conseguenti ritardi per l’avvio della procedura stessa. Alcune regione sono potute partire con i bandi PSR molto in ritardo, causando notevoli disagi al mondo agricolo ed agroindustriale e spesso questo è un ritardo incol-
FABO S.I. Srl è una società di servizi nata sulla precedente FABO Srl, l’azienda fondata da Giacomo Fabbri che, dal 1987 al 1994, si è occupata della progettazione, vendita e installazione di impianti di refrigerazione industriale nel settore ortofrutticolo. In quegli anni Fabbri si rese conto delle difficoltà che il settore incontrava nell’accedere ai fondi pubblici per realizzare degli investimenti. Nel 1994 la società romagnola decise di focalizzare il proprio business proprio sull’attività di consulenza volta alla ricerca di finanziamenti a fondo perduto con un interesse specifico verso il comparto agroalimentare ed ittico. Con all’attivo venticinque anni di esperienza, FABO S.I. è oggi una società di primo livello che opera su tutto il territorio nazionale. Oltre ad aiutare le aziende a superare la diffidenza verso le opportunità che i fondi offrono, il team di Giacomo e Marco Fabbri, che ha all’attivo una decina di persone tra interni ed esterni, offre consulenze in ambito commerciale, tecnico, produttivo, amministrativo e finanziario.
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mabile sulla spesa, con conseguente disimpegno delle risorse». Sembra che, a fronte di quanto sopra detto, la nuova programmazione 2021-2027 possa prevedere un rapporto diretto Ministero dell’Agricoltura-Bruxelles, per permettere una più veloce partenza del programma ed un migliore controllo della spesa. «Come accennato — racconta Marco Fabbri — oggi ci sono regioni anche con dotazioni finanziarie importanti che hanno già impegnato e speso quasi tutta la disponibilità del PSR e ci sono invece regioni che hanno erogato solo una minima parte della dotazione e che non riusciranno a spendere entro fine programmazione, con conseguente disimpegno delle risorse. La nostra speranza è quindi che in futuro, grazie ad una gestione centralizzata, si possa riuscire a trasferire risorse tra regioni che per motivi diversi non riescono a fare spesa e regioni invece in cui c’è carenza di fondi rispetto alla richiesta, evitando così il disimpegno di fondi che vadano a beneficio di altri stati. Tra l’altro
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SA-CAR, la passione per la carne da tre generazioni L’azienda SA-CAR sorge nelle campagne di Sant’Albano Stura, paese situato in provincia di Cuneo. Qui la famiglia Rossi da tre generazioni dedica tutta la sua passione al mondo della carne, vantando un’organizzazione di filiera come solo pochi grandi nomi italiani possono vantare. La SA-CAR, un’isola produttiva di 17.000 m² immersa nella natura delle campagne piemontesi, con una forza lavoro di circa 100 effettivi, è in grado di spaziare dall’allevamento di bovini vivi alla loro macellazione, al raffreddamento e sezionamento delle carcasse in tagli anatomici e, infine, alla loro commercializzazione, grazie ad una flotta di automezzi di proprietà. FABO S.I. incontra l’azienda nel 2017 e subito emerge la necessità di ampliare l’area produttiva a disposizione per la lavorazioni delle carni ma, soprattutto, le aree a disposizione per il congelamento delle carcasse; uno spazio già esistente ma ubicato in uno stabilimento distaccato, fatto che generava evidenti perdite di tempo e denaro per la logistica degli spostamenti di prodotto. Durante i mesi successivi, FABO S.I. e SA-CAR, oltre a conoscersi meglio, pianificano il futuro imbastendo progetti ed idee, focalizzandosi su un’area adiacente allo stabilimento principale su cui poter pensare di progettare un ampliamento di circa 3400 m2 in attesa dell’uscita di un bando di finanziamento adatto alle esigenze aziendali. Appena possibile, si è provveduto a presentare con successo una domanda di finanziamento presso la Regione Piemonte, facendo riferimento ad un bando PSR - Programmazione 2014-2020 misura 4.2.1 Trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, con un contributo concesso di circa 800.000 euro a fronte di una spesa ammessa di circa 2.000.000 di euro. Il connubio e la sinergia tra un imprenditore lungimirante ed una società come la FABO S.I. in grado di assecondare dove possibile e dettare linee guida dove necessario hanno prodotto un progetto di successo, che ad ultimazione lavori garantirà alla SA-CAR minori costi di gestione e possibilità di ampliare il fatturato. Progetto che strizza l’occhio anche all’ambiente, eliminando di fatto tutti i trasporti che prima venivano eseguiti con autoarticolati dall’area produttiva all’area di stoccaggio.
Oberto: un progetto di successo con la Fassona piemontese protagonista Siamo di fronte ad una delle più importanti realtà del Nord Italia per quel che concerne la lavorazione e trasformazione di un prodotto di altissima qualità, che rappresenta un fiore all’occhiello nel panorama italiano del settore della macelleria e, nello specifico, delle carni bovine: la razza Fassona piemontese. La MACELLERIA OBERTO® – CARNI PREGIATE PIEMONTESI DAL 1965 (www.macelleriaoberto.it) collabora con FABO S.I. dal 2016. A quei tempi la produzione aziendale avveniva ancora all’interno di un solo stabilimento ubicato a Roddi, in provincia di Cuneo. Le crescenti esigenze del mercato della ristorazione, sempre più incline a ricercare prodotti con standard qualitativi di eccellenza, portarono presto l’azienda di fronte ad un bivio imprenditoriale importante. La scelta, condivisa da FABO S.I. — anche in virtù di sondaggi di marketing realizzati ponendo sul mercato esigui quantitativi di prodotto —, ricadde sull’ampliamento dell’area produttiva della macelleria, con l’acquisizione e la relativa ristrutturazione di un immobile adiacente allo stabilimento produttivo, che permetterà, una volta entrato a pieno regime, di raddoppiare la produzione dei prodotti lavorati pronti per essere cucinati a base principalmente di Fassona piemontese. La domanda di finanziamento redatta da FABO S.I. e presentata da Oberto in Regione Piemonte è stata ammessa per un importo di 1.860.000 euro circa, il 40% dei quali — vale a dire 745.000 circa — verranno erogati a fondo perduto a progetto ultimato. Restano evidenti i vantaggi economici che si riversano sulla macelleria e che consentiranno nel futuro prossimo all’azienda la possibilità di eseguire ulteriori modifiche o sviluppi verso la direzione che il mercato suggerirà.
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giova ricordare che in seguito all’uscita della Gran Bretagna dalla UE, l’Italia risulta il terzo contribuente dopo Germania e Francia, vale a dire che versiamo più di quello che la Comunità europea ci restituisce. Non riuscire ad utilizzare per intero queste risorse che sono a disposizione, rappresenta per l’economia delle aziende Italiane del settore un grave problema su cui riflettere». Il lavoro di FABO «In tutto questo FABO S.I. tenta
di fare la sua parte lavorando su pochissime misure del PSR — continua Marco Fabbri —, essenzialmente due, su buona parte del territorio italiano. Operiamo innanzitutto tentando di informare le aziende del settore sulla opportunità che si prospettano per i loro investimenti. Le due misure su cui operiamo sono: • PSR misura 4.1.01, riguardante gli investimenti delle aziende agricole. Operiamo su investimenti medio-grandi per im-
portanti sviluppi aziendale legati all’aumento della produzione agricola (stalle, impianti di mungitura, interventi sul benessere degli animali, ecc…) o alla trasformazione delle proprie produzioni agricole (macello o salumificio aziendale, ecc…); • PRS misura 4.2.01, riguardante gli investimenti delle aziende agroindustriali per la prima trasformazione dei prodotti agricoli carne, salumi, latticini
Petrucci: una grande sfida in un territorio difficile per una grande iniziativa imprenditoriale La conoscenza con la famiglia Petrucci, fondatrice della F.LLI PETRUCCI SRL (www.petrucciformaggi.com), azienda di riferimento a livello italiano e non solo del panorama caseario, in particolar modo nella produzione del Pecorino Romano, risale al 2013. Ai tempi, le necessità della famiglia Petrucci erano quelle di acquistare uno stabilimento per poter ampliare il proprio controllo sulla filiera, passando dall’essere semplici stagionatori all’interno di ambienti a temperatura e umidità controllati, a veri e propri produttori di formaggio, eseguendo dalla A alla Z tutte le operazioni necessarie per la produzione. La crisi dei caseifici nel Centro Italia aveva infatti prodotto una richiesta importante di prodotto finito ed un surplus di materia prima proveniente dagli allevatori locali non più in grado di trovare aziende di trasformazione che potessero acquistare la loro. La FABO S.I. presentò quindi una domanda di finanziamento per la Fratelli Petrucci Srl utilizzando un bando PSR misura 123 Sull’accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli e forestali. Venne studiato un progetto di acquisto di un immobile industriale ad Amatrice con relativa ristrutturazione e il contemporaneo acquisto di macchinari, per un importo totale richiesto ammissibile di quasi 4.000.000 di euro ed un contributo concesso di circa 1.570.000 euro. Successivamente ai tristi fatti che tutti conosciamo, collegati al sisma dell’agosto 2016, la F.lli Petrucci Srl si trovò nuovamente di fronte alla necessità di effettuare una scelta ovvero abbandonare lo stabilimento in parte danneggiato o decidere di investire proprio su Amatrice, contribuendo così in qualche modo alla sua rinascita. La possibilità di poter accedere ad uno speciale bando proposto da INVITALIA-Legge 181/89 per le zone definite “del Cratere sismico”, con l’eventualità di ottenere una parte di denaro a fondo perduto ed una parte in conto interessi, proposto dalla società FABO S.I., diede la chiave di lettura alla F.lli Petrucci circa la scelta da effettuare. Scelta sfociata nella presentazione di un progetto direttamente ad INVITALIA per la realizzazione di un nuovo stabilimento produttivo adiacente al vecchio, del valore totale di circa 10.000.000 di euro, all’interno del quale poter assumere 12 nuove figure operative del posto e valorizzare prodotti di eccellenza come il Pecorino Romano. Progetto che INVITALIA ha recentemente approvato (unico progetto nel Lazio ad essere stato finanziato), stanziando circa 2.500.000 euro a fondo perduto e circa 4.000.000 di euro sotto forma di finanziamento agevolato.
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e formaggi, ortofrutta, vino, olio ecc… per investimenti riguardanti nuove costruzioni, ampliamenti e ristrutturazioni edili, impiantistiche e tecnologiche delle aziende. Più nello specifico, sono finanziabili, oltre alle strutture, celle frigorifere, macchine di lavorazione, confezionamento, mezzi di movimentazione interna, informatizzazione dei processi produttivi, ecc…
Le due misure citate sono a nostro parere tra le più importanti per lo sviluppo agricolo ed agroalimentare del nostro Paese. E anche su questo sarebbe bene fare una riflessione. Infatti, in quasi tutte le regioni su questi bandi c’è più richiesta che disponibilità finanziaria, con la conseguenza che molti rimangono fuori dal finanziamento per carenza di risorse, mentre ci sono altre misure di scarso interesse
o di scarso impatto in cui o non si riescono a spendere i fondi o i fondi spesi non incidono significativamente sull’economia. Credo che Stato e regioni dovrebbero fare tesoro di questi dati per distribuire le risorse in modo diverso sulla prossima programmazione» sottolinea ancora Marco Fabbri. Risultati concreti FABO ha lavorato e lavora per
Le aziende del settore agroalimentare partner di FABO S.I. ABRUZZO • Casearia De Remigis Srl (TE) • Di Biase Nicola (CH) • Euro-Ortofrutticola del Trigno a r.l. (CH) • F.lli Marini Carni (AQ) • Garden Fruit Srl (TE) • Magnante Francesco e figli Srl (AQ) EMILIA-ROMAGNA • Agricoltura 2000 Srl Soc. Agr. (FC) • Az. Agr. Canonica (RN) • Az. Agr. Fungar Snc (RN) • Az. Agr. L’Alberone di Tarozzi (RA) • Az. Agr. Pavirani Lorena (FC) • Az. Agr. Standiana (RA) • Az. Agr. Mordenti Germano (RA) • Az. Agr. Nicola Galassi (BO) • Casa vinicola Poletti Srl (BO) • Centrale del Latte di Cesena (FC) • Cesari Srl – Umberto Cesari (BO) • Cora Seeds Srl (FC) • Dalfiume Nobilvini Srl (BO) • F.lli Gabiccini Soc. Agr. SS (FC) • Freddi prodotti Ortofrutticoli Snc (RE) • GAT Podere Pradarolo (PR) • GBC funghi Soc. agr. di Gualtieri & Vallorani SS (RN) • Galassi sementi Snc (FC) • Giuseppe e Mauro Fantozzi & C. Sas (FC) • Il Melograno Srl (PN) • LEM Carni Spa (BO) • Molino Benini Sas (RA) • Parini Giuseppe – Import – Export – Ortofrutticoli (FC) • Rossi ortofrutta Srl (RN)
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• Soc. Agr. 67# Srl (FC) • Tenuta Montecatone di Benedettti Giuliana & C. Soc. Agr. (BO) FRIULI VENEZIA GIULIA • Jolanda De Colò Spa (UD) • Madia Spa (PN) LOMBARDIA • Cantina Canneto Soc.Coop.Agr.(PV) • Coam IndustrieAlimentari Spa (SO) MOLISE • Carni Ciarniello Srl (IS)) LAZIO • Agrilepidio Srl (LT) • Agraoma Soc. Coop. (LT) • Antonio Forcina (LT) • Az. Agr. Maule Serena (LT) • Az. Agr. Maule Simone (LT) • Az. Agr. Papa Roberto (LT) • Az. Agr. Peppe Luciano (LT) • Az. Agr. Tre A (LT) • Cantina Cincinnato Coop. a r.l. (LT) • Ceccarelli Augusto & C. Snc (FR) • Coluzzi Olive Srl (LT) • Com. Eur. Fruit Srl (LT) • Coop.va Ortofr. La Valle (LT) • Exoticplant Vivaio di Francesco Maule (LT) • F.lli Recchia Srl (LT) • Faic Srl (RM) • Frantoio Appetito (LT) • F.lli L’Amante Srl (LT) • F.lli Zonetti Srl (RM) • Funghidea Srl (LT) • I.L.P.O. Srl (LT)
• Industria Latticini G.Cuomo Srl (LT) • Ipercarni Srl (RM) • Italfrutta di Manno Srl (LT) LT) • Mafalda Srl (LT) • Maule frutta Sas (LT) • Maxifrutta Srl (LT) • Ortored di Petrillo Roberto Ss (LT) • Oscar Srl (LT) • Petrucci Formaggi Srl (RI) • Poggino Salumi Srl (VT) • Salviani Srl (RM) • Sano Srl SalumificioAmatriciano (RI) • Soc. Agr. Porretta Srl (RM) • Strafrutta Srl (LT) PIEMONTE • Oberto Sas di Oberto D. & C. (CN) • SA-CAR Srl (CN) PUGLIA • Erredi Distribuzione Srl (BA) TOSCANA • Pastacaldi & C. Srl (FI) UMBRIA • Lanzi Srl (PG) VENETO • Lanzi Srl (PG) • Az. Agr. Masiero Gianpaolo (RO) • Capponi O & Spolaor R. Srl (TV) • Cerealbrenta Sas (VE) • Marchi Spa (VI) • Ortofrutta Castello Srl (PD) • Pai Srl – Gruppo ILTA Carni (VI) • Selecta Spa (RO) • Cervati Import – Export Srl (RO)
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continuare ad informare e sensibilizzare i propri clienti e gli operatori di settore sull’importanza di accedere a questi bandi per sostenere i propri investimenti di sviluppo. «Dal 2016, anno di inizio dei primi bandi dell’attuale programmazione, ad oggi, abbiamo presentato sulle due misure sopra esposte progetti per più di 50 milioni di
euro, 20 milioni dei quali circa per le aziende agricole e il restante per le aziende agroindustriali, con un valore medio per progetto di oltre un milione di euro e un’acquisizione di nuovi clienti di circa il 50% rispetto al totale delle pratiche presentate» conclude Marco Fabbri.
FABO S.I. Srl Consulenze per finanziamenti a fondo perduto nel settore agroalimentare Viale Risorgimento 1 48024 Massa Lombarda (RA) Telefono: 0545 84488 Fax: 0545 84555 E-mail: info@fabosi.it Web: www.fabosi.it
Contributi a fondo perduto Regione Lazio Contributi a fondo perduto dal 40% al 50% a seconda dell’area di ubicazione delle aziende siano esse “singole o associate” per i settori d’intervento lattiero-caseario, vitivinicolo, ortofrutticolo, carni, cerealicolo, avicolo, vivaistico, sementiero, ecc… Abbiamo il piacere di informare che prossimamente sarà operativo il bando del settore agricolo di produzione primaria per accedere alla richiesta del contributo per i seguenti investimenti: 1. costruzione o ristrutturazione di fabbricati aziendali; 2. miglioramenti strutturali finalizzati al benessere degli animali; 3. interventi strutturali/tecnologici per la vendita diretta di prodotti aziendali ottenuti; 4. impianti di produzione energia totalmente integrati nel tetto utilizzata per la sola attività produttiva; 5. acquisto di macchine o attrezzature innovative anche mediante leasing; 6. realizzazione di impianti di coltivazione legnose agrarie poliennali con la realizzazione di reti antigrandine; 7. acquisto di pallets box per lo stoccaggio della frutta o ortaggi per la conservazione; 8. acquisto di celle frigorifere per l’utilizzo nei vari settori: 9. spese generali, tecniche di progettazione, di consulenza e studi di fattibilità. Contributi a fondo perduto dal 40% nelle aziende agroindustriali “singole o associate” per i settori d’intervento lattiero-caseario, vitivinicolo, ortofrutticolo, carni, cerealicolo, avicolo, vivaistico, sementiero, ecc… Abbiamo il piacere di informare che prossimamente sarà operativo il bando del settore agroindustriale di commercializzazione o trasformazione produzione primaria per accedere alla richiesta del contributo sui seguenti investimenti: 1. costruzione o ristrutturazione di fabbricati aziendali; 2. interventi strutturali/tecnologici per la vendita diretta di prodotti aziendali ottenuti; 3. impianto totalmente integrato nel tetto per la produzione di energia utilizzata per la sola attività produttiva; 4. acquisto di macchine o attrezzature innovative anche mediante leasing; 5. acquisto di pallet box per lo stoccaggio della frutta o ortaggi per la conservazione; 6. acquisto di celle frigorifere per l’utilizzo nei vari settori; 7. spese generali, tecniche di progettazione, di consulenza e studi di fattibilità.
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Il metodo Cuomo® L’originale metodo di maturazione delle carni da sempre al fianco dei professionisti del food mondiale
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el panorama agroalimentare la relazione tra innovazione e tradizione è sempre stata un po’ altalenante: le due sono infatti spesso destinate ad incontrarsi, continuando però ad avere vite separate. Ma se l’innovazione, lo studio e la ricerca nascono dalla tradizione, prendendola come punto di partenza esclusivo, si può arrivare a progetti ambiziosi, funzionali e che soprattutto rendano merito a “mestieri” all’apparenza dimenticati. Innovazione a servizio della tradizione ALESSANDRO CUOMO è l’inventore indiscusso dell’innovativo metodo di trasformazione alimentare che prende il suo nome. Il metodo
Cuomo, che vanta attualmente la collaborazione e l’approvazione dei massimi esperti mondiali del settore come Eataly e La Granda, il Leeds City College, il Food Technology Centre Anglesey, nonché l’Università degli Studi di Napoli, si identifica scientificamente nel brevetto europeo n. EP2769276B1 (Sicur Food Control®: dispositivo e metodo per il controllo e la gestione della conservazione e/o della trasformazione di alimenti in un ambiente chiuso, mobile o fisso) riconosciuto ufficialmente, da gennaio 2019, dallo European Patent Office. Tuttavia, le radici di tale invenzione sono più lontane e profonde. Sono radicate nella convinzione che si possa, tramite la tecnologia, riscoprire le nostre tradizioni legate
all’alimentazione favorendone lo sviluppo e rispondendo legalmente alla più importante delle necessità: la sicurezza dei cibi. Già nel 1997, poco più che un ragazzo, iniziava la sua avventura nel mondo della refrigerazione professionale fino ad installare, nel 2000, i primi impianti di produzione dei macchinari in ben 26 modelli. Passo dopo passo, dopo anni di ricerca, arrivava, nel 2004, a depositare l’originale brevetto di Stagionello®, l’unico stagionatore brevettato e garantito. Dentro questo impianto c’è tutta la tradizione italiana. Stagionello® è salatura, stufatura, affumicatura, asciugatura, stagionatura e conservazione. Assicura, in sintesi, i salumi alla tradizione.
Il dottor Alessandro Cuomo, inventore dell’innovativo metodo di trasformazione alimentare che prende il suo nome.
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La maturazione delle carni è garantita unicamente dal Metodo Cuomo®. Stagionello® è molto più dell’applicazione di un brevetto. È un vero e proprio brand affermato e riconosciuto a tal punto da identificare esso stesso qualsivoglia tipologia di macchinario che ne simula il funzionamento. I professionisti del settore non chiedono più un semplice stagionatore: vogliono lo Stagionello. A niente sono serviti i tentativi di contraffazione del marchio. Nel mondo questo metodo ha un solo nome ed è Stagionello. Più lungimiranti le azioni di Arredo Inox a Crotone e Caby a Casale Monferrato, che per prime hanno ottenuto e contrattualizzato la licenza brevettuale per produrre e commercializzare col metodo Cuomo, per il quale altre aziende sono in lista. Dopo Stagionello, ben presto arrivò quello che sarebbe diventato l’oggetto del desiderio dei più grandi attori del panorama del food mondiale: il Maturmeat®. Il dispositivo Sicur Food Control® (prima italiano ed oggi europeo) viene ulteriormente declinato a favore della trasformazione delle carni. Parlando di maturazione, Maturmeat ® è entrato in punta di piedi in un mercato ancora in fase embrionale che guarda poco alla tradizione locale e mira al Dry Aging (a secco) degli Inglesi. Ma ciò non è bastato ai professionisti del settore.
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C’era bisogno di qualcosa di più, di risultati che giustificassero i tempi di trasformazione, la dedizione, il costo per il consumatore e gli consegnassero un prodotto finale tenero, succulento e ancor di più sicuro. Così il Wet Aging e il Dry Aging hanno lasciato definitivamente lo spazio al metodo Cuomo, l’originale brevetto che garantisce le risposte giuste agli operatori del settore. Una su tutte: il pH. La maturazione delle carni è garantita unicamente da tale metodo. Alla grande rivoluzione di Stagionello®, a servizio delle piccole botteghe si aggancia quella del Maturmeat® e, dal 2017, quella del Pesciugatore®, impianti di maturazione a servizio della Grande Distribuzione Organizzata, di chef stellati, produttori di carni e piattaforme di trasformazione. Metodo Cuomo®: il gusto del made in Italy originale nel mondo Un marchio, quindi, che ha saputo conquistare il mercato grazie ad una visione ambiziosa e ad una missione concreta, varcando così i confini internazionali. Quella compiuta dal brevetto di invenzione industriale EP2769276B1 e applicata dai macchinari Stagionello®, Maturmeat® e Pesciugatore® non è una magia. È il frutto di uno studio lontano e costante nel tempo dell’attività di norcini e produttori; è la ricerca
improntata a trovare nient’altro che una spiegazione scientifica ai processi di trasformazione degli alimenti, alle credenze e alle antiche terminologie utilizzate nella tradizione italiana. Dalla Sicilia al Piemonte, nella nostra Italia così come in tutti i Paesi del mondo… tanti modi diversi per descrivere i medesimi processi che, vai a sapere, hanno reali fondamenta scientifiche ed un comune denominatore: il metodo Cuomo. Dal 2004, la Stagionello® Academy ha integrato il metodo Cuomo® all’interno della propria proposta didattica. È stato un naturale evolversi degli eventi che ha portato, e porta oggi ancor di più, professionisti affermati nel settore food a mettersi in lista d’attesa o ad attraversare oceani, impiegando numerose ore di volo, per riuscire a formarsi sul metodo. La reazione a tale affermazione non può che essere il domandarsi del perché di questa scelta. Perché BRIAN POLCYN, l’autore di CHARCUTERIE, contatta l’Academy per iscriversi ad un master sui salumi con metodo Cuomo®? La sua risposta, in una recente intervista, è stata «perché per me Cuomo è il Jimi Hendrix della maturazione. È una rock star». Per noi, che abbiamo conosciuto Brian, la risposta è che chi ama la propria professione ne fa una vocazione finalizzata a migliorare l’offerta alle generazioni future. Un professionista come Polcyn sa quello che fa e sceglie il meglio. Sceglie di fidarsi e confrontarsi con chi, come lui, ha una visione definita e chiara: tutelare e incentivare le produzioni e il consumo di alimenti tipici. Fornendo tecnologie brevettate, mettendo a disposizione studi, formazione ed assistenza continua nel tempo.
>> Link: www.cuomomethod.it
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La società del Gruppo Cremonini è una realtà di punta del settore
Fiorani, l’innovazione nel mondo della carne parte dall’hub
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os’è un hub? È uno snodo, un unico luogo che catalizza processi e flussi per massimizzare performance ed efficienza. L’expertise FIORANI ha applicato il format produttivo basato su questa logica nel settore della carne dando vita ad un unico centro dove far confluire tutti i fornitori e poter presidiare, anche in fase di lavorazione, il controllo della merce che poi viene trasferita ai punti vendita. Un’impostazione che permette di standardizzare le produzioni, migliorare le rese di lavorazione e
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avere perfetta conoscenza delle forniture ai punti vendita. Attraverso questa formula vincente Fiorani & C., società del GRUPPO CREMONINI, si è imposta come realtà di punta del settore affrontando le sfide emergenti del mercato e mettendo al centro, da un lato, l’ottimizzazione dei processi produttivi e, dall’altro, l’analisi delle tendenze per costruire soluzioni consumer oriented. I numeri danno ragione a questa visione illuminata a partire dal fatturato, aumentato esponenzialmente dai 5,3 milioni del 2004 ai 140 dell’ultimo esercizio.
Anche i dipendenti sono cresciuti, passando da 22 a oltre 470, come pure gli investimenti in impianti, che nel corso della storia di questa fortunata azienda hanno superato i 25 milioni di euro. È una lunga strada quella percorsa da Fiorani & C. dalla sua fondazione, avvenuta nel giugno 2004. Nata come centro lavorazione conto terzi per una catena di supermercati italiana, si è poi affermata come copacker di realtà di rilievo della GDO (ma anche di ristorazione, industria e discount), assumendo un ruolo sempre più
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importante come produttore di marca privata dei principali retail italiani e stranieri operanti in Italia. Su spinta della famiglia Cremonini, l’anno scorso è stata lanciata inoltre la prima gamma di prodotti elaborati a marchio Fiorani, caratterizzata dall’alto valore di servizio. Il nuovo assortimento è stato ideato a partire dalle emergenti esigenze di consumo che si indirizzano verso prodotti di qualità, gustosi e sani che si cucinino facilmente e semplicemente, proprio come gli hamburger, le tartare, il carpaccio picnic oppure i suini marinati Fiorani.
Per i suoi hamburger Fiorani seleziona tagli bovini pregiati e solo carne di prima scelta, cercando di ideare ricette sempre nuove e sfiziose. 1) Hamburger al bacon. 2) Hamburger magro. 3) Hamburger al formaggio Cheddar. 4) Hamburger di Chianina. 5) Hamburger bio. 6) Hamburger con pomodorini confit. A sinistra: lo stabilimento della Fiorani & C.
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Tagliata di roastbeef bovino Fiorani.
La gamma delle tartare Fiorani, fatta di tartare gustose, magre e ad alto contenuto di proteine, da consumare in tutta sicurezza a casa propria, col plus della comodità e della versatilità del prodotto. In alto: da sinistra, le tartare di bovino magro, le tartare di Chianina, le tartare “gustose”, con olio extravergine d’oliva e Parmigiano Reggiano, e le tartare di vitello. In basso: le tartare di Scottona e la tartare di Chianina nel piatto.
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Queste tendenze sono state confermate dall’ultimo Rapporto Coop 2019 sui consumi degli Italiani: le vendite della carne sono cresciute del 3,5%, in un contesto in cui sono aumentati i consumatori sportivi che scelgono regimi dietetici ad alto fabbisogno proteico. A crescere è anche il settore dell’instant food o del ready to eat (+9,3%), andamento dovuto per lo più alla mancanza di tempo da dedicare alla cucina. Sono proprio le necessità del consumatore che Fiorani studia e analizza e mette al centro della sua attività di Ricerca & Sviluppo. Questo lavoro è volto costantemente all’innovazione di prodotto e di processi produttivi col fine di offrire risposte concrete. Un esempio tangibile si trova nella gamma delle tartare, magre e ad alto contenuto di proteine, pronte in pochi minuti, buone così come sono o personalizzabili con l’aggiunta di pochi ingredienti. Contestualmente c’è un grande investimento aziendale per migliorare la tecnologia dei packaging, al fine di aumentare i giorni di conservazione del prodotto fresco, dare una superiore qualità di servizio al consumatore e ricercare una sempre maggiore sostenibilità ambientale degli imballaggi. Lo studio delle tendenze ha naturalmente portato Fiorani a volersi avvicinare ai propri consumatori anche dal punto di vista della comunicazione aziendale. La società ha infatti inaugurato nell’ultimo anno nuovi canali social e ha rinnovato il proprio sito, per aprire un sistema diretto di contatto con i propri clienti, che possono così attingere facilmente a informazioni tecniche, curiosità, ricette, consigli pratici e fare riferimento in modo semplice al servizio di customer care.
>> Link: www.fioraniec.com
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In alto: l’hamburger magro Fiorani, per chi sceglie alimenti leggeri senza rinunciare al gusto. Al centro: gli spiedini rustici di carne suina della Linea Benessere Fiorani. In basso: la classica salsiccia luganega di suino, ideale per pranzi, cene e grigliate tra amici.
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Tenuta di Borgoluce, dove si seminano cereali e si raccolgono salumi di Gian Omar Bison
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e i suoi 1200 ettari a Susegana (TV) sono una fucina di idee prima ancora di essere un esempio curioso e originale di imprenditorialità agricola ed agroalimentare. Si seminano cereali e si raccolgono carni e latte di bovini e bufale. Si attrezzano i pascoli per ovini di razza Alpagota, mandrie di mucche e vitelli di razza Charolaise e Limousine, per suini di razza Duroc allo stato semibrado e si trasformano in fettine e hamburger, salumi e formaggi che, insieme al vino (100 gli ettari di superficie vitata per il 90% Glera), vinificato nella nuovissima ed avveniristica cantina,
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ORGOLUCE
vengono consumati nell’Osteria e nella nuova Frasca a Mandre, di fronte al museo dedicato alla vecchia scuola ufficiali dei bombardieri del re e al museo che arriva dalla collezione di Villa Emo dedicato ai mezzi di trasporto e alle attrezzi da lavoro d’epoca. Percorsi didattici e museali, visite guidate a piedi o in bicicletta, laboratori di caseificazione, erbe aromatiche e panificazione, ricettività a diversi livelli e su diversi immobili compresi nella tenuta delle Contesse di Collalto, completano un pacchetto a circuito chiuso da vendere nello spaccio o da offrire ai cultori del turismo enogastrono-
mico. Poteva mancare l’impianto a biogas per lo smaltimento dei reflui degli allevamenti e degli scarti delle produzioni agricole e silvo-pastorali? Certamente no! E così si accontenta anche la sostenibilità delle produzioni in azienda generando autonomamente, con una distesa di pannelli fotovoltaici e una caldaia a cippato, calore ed energia elettrica. OMAR BORTOLETTO, responsabile del food e della ristorazione della società agricola Borgoluce, che ha a capo le CONTESSE DI COLLALTO MARIA TRINIDAD e CATERINA e amministratore LUDOVICO GIUSTINIANI, marito di Caterina e presidente di Confagricoltura Veneto,
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A lato: la tenuta Borgoluce. In alto: sopressa, sopressa con filetto, salame, salame con l’aglio, ossocollo, pancetta, costella, salame di bufalo, bresaola di bufalo, sono i salumi realizzati dall’azienda Borgoluce con le carni dei propri animali. La filiera corta, interna alla tenuta di proprietà, i pascoli liberi e i mangimi naturali delle coltivazioni sempre di proprietà dell’azienda sono i segreti del loro sapore (photo © Emanuele Tortora e Arcangelo Piai).
segue in particolare tutto quanto riguarda le trasformazioni alimentari. «Gli allevamenti — sottolinea Bortoletto — sono un settore importante per l’azienda. Abbiamo un allevamento bovino con quasi 700 capi che, per oltre 6 mesi l’anno, nel periodo della primavera-estate, divisi per mandrie, sono avviati nei pascoli tutti interni all’azienda. In inverno restano nelle stalle. E poi ci sono oltre 200 maiali che vivono tutto l’anno nel bosco allo stato semibrado. Sono all’aperto ma divisi per pezzatura e dentro ad alcuni recinti in un’area complessiva di tre ettari circa. Non si nutrono solo di quello che trovano
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ma l’alimentazione viene integrata. Poi abbiamo un’ottantina di agnelli di razza Alpagota, anche questi tutto l’anno al pascolo». L’unico allevamento in stabulazione fissa è quello delle bufale, con oltre 350 capi che stazionano in una nuova stalla (da latte) approntata dieci anni fa con una discreta disponibilità di spazi e attenzione al benessere animale. Solo i bufali maschi hanno un paddock aperto. «Terminato l’accrescimento, i capi maschi sono destinati alla trasformazione in carne fresca e salumi. In media abbiamo 110 parti all’anno, per metà maschi. La macellazione
avviene a 16-18 mesi, con un peso morto compreso tra i 200 e i 250 chili. Macelliamo un bufalo a settimana circa presso il macello pubblico di Farra di Soligo (TV). Riportiamo le mezzene in azienda dove avviene la lavorazione completa. I tagli sono gli stessi del bovino, a parte il bollito che non proponiamo. Proponiamo invece l’hamburger preparato con tutto il macinato anteriore. Sia per i bovini che per i bufali abbiamo la linea vacca-vitello completa con monta naturale, per cui tutto il bestiame nasce e viene allevato in azienda». A corredo, la zona dedicata all’apicoltura per il miele, i 70
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In alto: bovini di razza Limousine nella tenuta di Borgoluce. In basso: lâ&#x20AC;&#x2122;allevamento bufalino da cui si ricavano ottimi latticini, in particolare mozzarella (photo Š Arcangelo Piai).
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ettari di noceto, la canapa sativa e gli ulivi per l’olio, posti in collina da dove si prosegue fino al Castello dei Collalto in prossimità del quale troviamo l’Osteria e la stalla di Tezze. «Le carni vengono vendute quasi al 100% direttamente nello spaccio aziendale o sono destinate alla ristorazione interna» evidenzia Bortoletto. «Abbiamo anche un piccolo punto vendita in Piazza Duomo in centro a Treviso dove vendiamo tutto a parte i tagli freschi. Sul latte e derivati oltre il 50% viene venduto alla distribuzione organizzata tramite la VALSANA SRL di Santa Lucia di Piave (TV). Ci garantiscono una distribuzione sul territorio nazionale e internazionale, per quanto la grande maggioranza dei prodotti venga acquistato in Veneto e dintorni». Pianura alla cerealicoltura e collina a viti, olive e pascolo dove si trovano anche la piscina biologica e i 4 appartamenti e le 9 camere, per totali 44 posti letto, ricavati sugli storici immobili restaurati della tenuta e destinati alla ricettività. La superficie
vitata, come detto, è coltivata soprattutto a Glera, varietà diffusissima da queste parti per la vinificazione di Prosecco DOC e Conegliano Valdobbiadene DOCG. Il restante a bacca bianca è Pinot grigio e Chardonnay e a bacca rossa Merlot e Cabernet, sia franc che sauvignon, il cui vino, tra tutti il Capifosso, viene rivendicato nell’IGT Marca trevigiana. «Stiamo aumentando la produzione di vino che nel 2018 ha contato 400.000 bottiglie. Il vino è importante e la cantina posta a 13 metri sotto terra sta dando uno slancio particolare anche perché strutturata ai piani superiori con una sala conferenze di 150 posti e posti e sale dedicate alla degustazione e show cooking. Saranno parti importanti dei percorsi di visita guidata in azienda. A questo proposito ci piace ricordare l’appartenenza al circuito delle fattorie didattiche del Veneto che ci ha permesso di coinvolgere quasi quattromila bambini nel 2018 nelle nostre attività. Lavoriamo con le scuole e anche con i gruppi organizzati».
Per quanto riguarda l’allevamento bufalino, puntualizza Bortoletto, considerata la capacità della stalla ora a saturazione e le dimensioni del caseificio, difficilmente è prevedibile una crescita nei numeri di capi allevati in assenza di interventi infrastrutturali. «Anche perché ci piace garantire un elevato livello di sostenibilità e biodiversità». La mozzarella di bufala ha dato grande notorietà ai prodotti Borgoluce, vincendo per due volte il festival Caseus Veneti, e poi, certamente, lo ha fatto il Conegliano Valdobbiadene DOCG. E attorno a questi prodotti la ristorazione sta diventando una realtà importante tanto nell’osteria quanto nella frasca, dove si possono consumare panini gourmet e birra artigianale. Gian Omar Bison Borgoluce Località Musile 2 – 31058 Susegana (TV) Telefono: 0438 435287 E-mail: info@borgoluce.it Web: www.borgoluce.it
COMUNICARE LA CARNE
Smontiamo le bufale piĂš diffuse sul mondo della carne
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La piattaforma web Carni Sostenibili ha diffuso una guida contro 5 fake news alimentari sul settore delle carni e dei salumi. Riportiamo la quarta delle notizie-bufala che circolano on-line e ne smontiamo il messaggio con dati alla mano
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l 90% degli Italiani parla di cibo e la maggior parte di loro, più del 70%, si informa on-line, ma solo il 6% quando cerca notizie lo fa su siti istituzionali. Il rischio è quello di imbattersi in fake news, informazioni false e dannose messe in circolazione per sostenere tesi predefinite, con l’unico scopo di inquinare il panorama informativo. Un problema tutt’altro che relativo, se si pensa che lo scorso anno 3 Italiani su 4 hanno creduto almeno ad una bufala. Il settore più tormentato dal dilagare di queste false notizie è quello della produzione e del consumo delle proteine animali: • “si mangia troppa carne”; • “la carne che mangiamo è piena di ormoni e antibiotici”; • “la carne provoca il cancro”; • “la sua produzione consuma troppa acqua e inquina”. La verità però è molto diversa e, in occasione del Fact-Checking Day, CARNI SOSTENIBILI ha deciso di sventare alcune delle fake news più diffuse sul mondo della carne. E noi le riportiamo. Nota Photo © александр таланцев – stock. adobe.com
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“Gli allevamenti inquinano più dei trasporti!” Falso! Un viaggio aereo RomaBruxelles genera più emissioni del consumo di carne di un Italiano per un intero anno nell’ambito di un regime alimentare equilibrato! Anche in questo caso, comunque, è bene fare chiarezza. Secondo stime FAO, tutto il settore agricolo e non solo gli allevamenti ha un impatto climalterante dovuto alle emissioni di gas a effetto serra (GHG emissions) pari al 10,3% (senza considerare il LUC-Land Use Change, le cui stime sono controverse), o del 14% considerando il LUC. Prendendo in esame il solo settore zootecnico, e stando al report ISPRA del 2017, in Italia il contributo totale ai gas serra è del 4,4%. Le principali cause dell’effetto serra sono la presenza nell’atmosfera di sostanze gassose come l’anidride carbonica (CO2) e il metano. La CO2 si ottiene soprattutto dai processi di
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combustione dei combustibili fossili come il petrolio e i suoi derivati, del carbone e del legno. I vegetali, mediante la fotosintesi clorofilliana, hanno la capacità di utilizzare il carbonio della CO2 e di “liberare” l’ossigeno che restituiscono all’atmosfera, mantenendo inalterati gli equilibri. Un equilibrio rotto non certo dall’allevamento, quanto da altre attività come il riscaldamento, la produzione di energia, i sempre più frequenti trasporti, ecc… Il metano, si ottiene anche dal metabolismo di alcuni batteri chiamati “metanogeni” che si trovano nell’ambiente e nell’apparato digerente degli animali. Un’importante produzione di metano si ha negli ambienti delle acque stagnanti, come ad esempio le risaie, e negli stomaci dei ruminanti. Nel corso dei millenni, l’aumento della produzione di metano non è
dipeso certo dalle risaie e dai ruminanti. Sono invece molto aumentate le attività umane che comportano la produzione di questi gas serra e soprattutto il numero di persone che “contribuiscono” alle emissioni di gas climalteranti attraverso un sempre più massiccio sfruttamento dei combustibili fossili. Giusto per fare un esempio, gli aerei bruciano miliardi di tonnellate di carburante immettendo nell’atmosfera quantità impressionanti di CO2: un solo volo andata e ritorno da Roma a Bruxelles genera più emissioni del consumo di carne di un nostro connazionale per un intero anno (calcolo effettuato su www.ecopassenger.org). Fonti • CARNI SOSTENIBILI, www.carnisostenibili.it • www.ecopassenger.org
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Il mercato ci ha richiesto dei concetti
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Una lezione di stile
L’arte française del taglio della carne
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arliamo di Francia! Con un patrimonio bovino di 18,9 milioni di capi, la Francia è il primo produttore di carne bovi-
na in Europa. Con un patrimonio straordinario di 22 razze bovine delle quali la metà è rappresentata da pregiate razze da carne allevate
La nuova campagna di promozione delle carni francesi in Italia si sviluppa su tre temi: allevamento, trasformazione e prodotto. Relativamente a quest’ultimo, lavorazione e taglio sono elementi preziosi per valorizzare la texture e il sapore all’assaggio.
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nell’osservanza del benessere animale, in un contesto di biodiversità dei territori che spazia dai prati della Normandia a Nord ai pascoli dei Pirenei a Sud. In mezzo ci sono terroir, microclimi, tradizioni antiche e saperi che si tramandano di generazione in generazione. Un know-how riconosciuto in tutto il mondo L’allevamento è solo un primo passo: ciò che segue è una fase nella quale il rigore professionale assume tutto il suo significato, che è quella della trasformazione della carne, un processo incentrato sulle buone pratiche che diventano garanzie di qualità per i consumatori. Eppure, anche questo non è condizione sufficiente, perché per esaltare al massimo il sapore e la resa di un piatto di carne occorre saperla tagliare a dovere, valorizzandola al meglio al coltello e in cottura. E si sa che il know-how francese in materia di taglio è riconosciuto in tutto il mondo. Dalla carcassa si selezionano non meno di 34 tagli, seguendo le linee anatomiche del bovino in modo da esaltare il carattere unico di ogni muscolo. Così facendo si valorizza il potenziale dell’animale e si ottiene un risultato ineguagliabile in termini di sapore e tenerezza della carne. I tagli sono quindi il culmine visibile e goloso di un’intera catena d’eccellenza, che inizia nei pascoli di Francia e termina prima sui banchi dei macellai e poi nei piatti degli appassionati così come in quelli dei consumatori abituali di carne nel loro quotidiano. Essi diventano costate, filetti, girelli e petti, spalle e biancostati, lombatelli oppure scamoni.
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Piace proprio a tutti Che piaccia tenera oppure marezzata, nel suo sugo o semplicemente grigliata, morbida oppure croccante, abbinata a condimenti e salse oppure al naturale, la carne bovina francese soddisfa tutti i gusti. E in tutto questo sapere si rispecchia l’esperienza di quanti l’hanno allevata allo “stato animale”, trasportata, tagliata, esaminata e confezionata. Ed anche di tutti coloro che amano cucinarla. Consigli per una cottura perfetta, perché il tempo è sapore! Scottata, grigliata o arrostita: la carne bovina va servita secondo il proprio gusto personale. Ad ogni grado di cottura corrisponde un tempo di cottura o una temperatura interna: molto al sangue, al sangue, media o ben cotta. Prendiamo ad esempio un pezzo di manzo da 1,5 a 2 cm di spessore e riportiamo i tempi per la sua cottura alla griglia o arrosto. Grigliare o scottare • Molto al sangue: 30 secondi a fuoco molto alto, ovvero un giro sulla piastra oppure in padella a temperatura molto alta. • Al sangue: 30 secondi a fuoco molto alto per rosolare la carne poi 1 minuto e 30 a fuoco alto. • Media: 30 secondi a fuoco molto alto poi 2 minuti e 30 a fuoco medio. • Ben cotta: 30 secondi a fuoco molto alto poi 3 minuti a fuoco lento. Arrostire (per 500 g) • Al sangue: da 10 a 15 minuti. • Media: da 15 a 20 minuti. • Ben cotta: da 20 a 25 minuti. >> Link: www.carnebovinafrancese.it
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Ciò che influisce sul sapore della carne bovina è un bilanciamento tra preparazione, cottura e giusto taglio. E il know-how francese in materia di taglio è ampiamente riconosciuto in tutto il mondo!
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Scottata, grigliata o arrostita: la carne bovina va servita secondo il proprio gusto personale. E ad ogni grado di cottura corrisponde un tempo di cottura oppure una temperatura interna: molto al sangue, al sangue, media o ben cotta.
La campagna della carne bovina francese “La nostra passione, il nostro impegno”: è questa la firma della nuova campagna di comunicazione della carne bovina francese. Creata su iniziativa di Interbev, l’interprofessione francese del bestiame e delle carni, la campagna valorizza l’immagine dell’intera filiera bovina francese attraverso la voce di tutti gli operatori che ne fanno parte. Perché sono proprio l’unione e l’impegno di tutti i soggetti coinvolti gli elementi che consentono alla Francia di offrire un prodotto di qualità riconosciuta in tutto il mondo. Ma da dove nasce questa qualità? Dall’allevamento, dove il rispetto dell’animale e un’alimentazione naturale sono centrali, fino al processo di trasformazione, caratterizzato da una sicurezza irreprensibile e un know-how unico. Questo percorso di qualità, dal campo al piatto, fa sì che la Francia sia da sempre leader europeo nel settore. Il nuovo progetto si articola così intorno a tre tematiche principali: la qualità dell’allevamento, della trasformazione e del prodotto finale. Esso si basa in particolare su una identità visiva dal carattere forte e distintivo, che rispecchia i valori comuni a tutta la filiera: la passione e l’impegno che ogni attore mette tutti i giorni nel proprio lavoro, dai quali ne deriva lo slogan. Lo stile e la forma che evocano un timbro — con al suo interno un bovino stilizzato coi colori della bandiera francese — veicola il valore di certificazione di origine e di qualità del prodotto stesso.
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SPECIALE UNICEB
I primi 50 anni di UNICEB Con l’assemblea generale e una cena di gala nella cornice esclusiva dei Musei Capitolini, l’Unione Nazionale fondata nel 1969 dal dott. Renzo Fossato e oggi presieduta da Carlo Siciliani ha festeggiato un traguardo importante di successi, coesione associativa e progetti per il sostegno del comparto delle filiere delle carni di Elena Benedetti
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mmaginate un fine settembre nella Capitale, in una calda giornata che si conclude ai Musei Capitolini, più precisamente a Palazzo Caffarelli, a pochi passi dal Campidoglio. Qui il presidente di UNICEB CARLO SICILIANI, nel dare il
benvenuto ai propri associati all’assemblea generale, ha sottolineato che il 2019, per l’associazione che rappresenta, è un anno speciale. «Infatti, oggi a Roma abbiamo festeggiato i primi 50 anni di vita della nostra associazione».
Taglio della torta per celebrare i 50 anni di UNICEB con il presidente Carlo Siciliani, il segretario generale Clara Fossato, i vicepresidenti Fulvio Fortunati, Lorenzo Levoni e Carlo Vicentini, insieme allo staff di sempre Daniele Riposati, Daniele Brandizzi e Bruno Nicola Rainone.
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Carlo Siciliani: 1969-2019, 50 anni di Unione «È trascorso mezzo secolo da quel 23 gennaio 1969, quando RENZO FOSSATO fondò l’UNICEB insieme a EMILIO BALZARINI, ARNOLDO e ARCHIMEDE BENASSI, GIUSEPPE BOVENTI, VITTORIO DI PIETRO, FERRUCCIO FIORUCCI e WALTER SCHMID. Il mio primo pensiero non può che correre a Renzo Fossato e a tutti quegli imprenditori storici che hanno creduto e condiviso il progetto UNICEB. Il cuore di quel progetto di 50 anni fa anticipava largamente l’attuale concetto di filiera delle carni come momento di dialogo e confronto tra i differenti componenti di un organismo unico, i cui interessi andavano difesi e rappresentati» ha detto con commozione Carlo Siciliani. «Allora come oggi, infatti, UNICEB riunisce allevatori, macellatori, trasformatori, aziende di commercializzazione. Ma forti della nostra storia, mi piace soprattutto pensare al futuro ed è per questo che sento la responsabilità di proseguire con determinazione e costanza nel cammino intrapreso, con l’obiettivo di conquistare sempre maggiori spazi nei processi decisionali che riguardano il nostro settore». Il presidente ha poi così proseguito: «Consapevole della vostra fiducia, mi sento di dire che intendiamo continuare questo cammino al fine di proseguire e costruire, in una logica economica sana e anche sociale, il futuro della nostra filiera. Il Governo guarda sempre più all’agroalimentare come a uno dei pilastri portanti per il rilancio dell’economia nazionale. Di questo pilastro, la filiera delle carni rappresenta la parte principale, generando circa un quinto del valore della produzione agricola e del fatturato dell’industria alimentare, senza contare poi che, nonostante le tantissime barriere commerciali e sanitarie in essere, è un comparto trainante sul fronte dell’export». Il presidente ha tenuto a sottolineare l’azione portata avanti da UNICEB, sia a livello nazionale che comunitario, per tutelare le denominazioni di vendita dei pro-
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In alto: l’on.le Paolo De Castro intervistato a fine assemblea. In basso: il sottosegretario al MIPAAF Giuseppe L’Abbate, che ha presenziato l’assemblea generale precedente la cena di gala a Palazzo Caffarelli. dotti carnei. «Da troppo tempo il comparto delle carni sta subendo, senza avere armi di difesa, l’uso improprio di denominazioni di vendita di prodotti vegani e/o vegetariani con chiari riferimenti a prodotti a base di carne». Paolo De Castro, UE e scenario internazionale L’assemblea è proseguita con l’intervento di un amico di lunga data di UNICEB, l’on.le PAOLO DE CASTRO, coordinatore nella Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, responsabile per il Gruppo S&D, che ha aggiornato gli associati sui principali dossier agricoli che dovranno essere affrontati dalla nuova squadra di Governo dell’Unione Europea fra i quali la Brexit,
la revisione del quadro finanziario della UE post 2020, la riforma della Politica Agricola Comune, le nuove tecnologie di miglioramento genetico, la minaccia dei nuovi dazi dagli USA. «In merito alla revisione del quadro finanziario della UE post 2020, proprio quest’ultimo aspetto avrà un impatto diretto sulla formulazione delle proposte per il futuro bilancio dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027. Infatti, è pur vero che è molto importante investire in ricerca oppure nel progetto Erasmus per i giovani (dossier per il quale verrebbe triplicato l’attuale stanziamento), ma è altrettanto vero che le risorse finanziarie totali disponibili sono sempre le stesse» ha sottolineato
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Il segretario generale di Cittadinanzattiva Antonio Gaudioso pone alcune domande sulla carne rossa, da consumatore, al prof. Francesco Schittulli, presidente nazionale della LILT. De Castro. «Pertanto, sarebbe importante che gli Stati Membri partecipassero alla formazione del bilancio comunitario contribuendo in misura superiore. Ma su questo, ad esempio, si registra la posizione della Germania che vorrebbe addirittura ridurre il proprio livello contributivo». Sul fronte della direttiva inerente le pratiche commerciali sleali, a seguito di una specifica sollecitazione del segretario generale CLARA FOSSATO, De Castro ha brevemente illustrato i vantaggi che potrebbero derivare nel momento in cui la direttiva sulle pratiche commerciali slea-
li, adottata proprio nella primavera di quest’anno, sarà effettivamente in applicazione. «Uno degli aspetti più rilevanti è quello che chiunque, anche un’organizzazione di categoria, potrà presentare denunce per conto dei propri associati nel caso si verifichi una pratica sleale che potrebbe essere individuata dagli Stati Membri anche al di là delle 16 già previste dalla direttiva. Questa direttiva, secondo l’on. le De Castro, potrebbe superare anche un ostacolo di carattere amministrativo che ha limitato fortemente l’applicazione dell’articolo 62 nel nostro Paese, che è stato
Cambio di guardia all’UECBV Le celebrazioni del 50o anno di vita di UNICEB sono state un’occasione perfetta per presentare agli ospiti e associati il nuovo segretario generale della UECBV KARSTEN MAIER, che ha preso il posto di JEAN-LUC MERIAUX. Forte di un background scientifico e con alle spalle 25 anni di esperienza nell’associazionismo commerciale, nel campo industriale e agricolo in Europa, Turchia e Africa, il dott. Maier è il nuovo referente di UNICEB per l’Unione Europea del Commercio e del Bestiame delle Carni (UECBV).
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quello di individuare nell’Agcom l’Autorità competente per l’applicazione delle sanzioni» ha quindi concluso il coordinatore nella Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. I partecipanti all’assemblea 2019 I lavori assembleari sono stati chiusi dal sottosegretario di Stato al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo, dott. GIUSEPPE L’ABBATE. Hanno preso parte all’assemblea, fra gli altri, il senatore FRANCESCO B OCCIA , ministro per gli Affari Regionali, il senatore MAURIZIO GASPARRI, l’on.le FILIPPO GALLINELLA e l’on.le CHIARA GAGNARLI, rispettivamente presidente e membro della Commissione Agricoltura della Camera, l’on.le FRANCESCO FANELLI, assessore all’Agricoltura della Regione Basilicata, l’on.le NICOLA CAVALIERE, assessore all’Agricoltura della Regione Molise, S ECONDO SCANAVINO, presidente di Cia-Agricoltori italiani, GIANPAOLO ANGELOTTI, presidente di Fiesa-Confesercenti, MARCELLO VERONESI, presidente di
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1) Carlo Siciliani, Micaela e Lorenzo Levoni, Clara Fossato e Lucia Grieco in Siciliani. 2) Dante Bosia, Gian Luca Vercelli e Paolo Belloni. 3) Fabio Mussi e la moglie Manuela Fasoli. 4) Bruno Nicola Rainone, Fabio Bervini, Daniele Riposati, Renzo Bervini e Santino Levoni. 5) La squadra di UNICEB: Clara Fossato con Domenico Antonio Pisani, Daniele Brandizzi, Bruno Nicola Rainone e Daniele Riposati.
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1) Micaela Benni, Lucia Grieco, Vanna Cassandro e Carmen Schittulli. 2) Roberta Trevisiol e Massimo Armaroli. 3) Angelo Olivieri e Adriana Maggiolo. 4) Maragreth Kerschbaumer e Lorenzo Lintner. 5) Roberta Polignano e Giuseppe Siciliani. 6) Giancarlo Pilotto, Raoul Troni, Raffaele Pilotto, Clara Fossato, Fulvio Fortunati e Nicola Pilotto. Assalzoo, ANTONIO FORLINI, presidente di Unaitalia, FRANCO VERRASCINA, presidente Copagri e coordinatore Agrinsieme, DONATELLA PRAMPOLINI MANZINI, vicepresidente Confcommercio, il dott. SILVIO BORRELLO, direttore generale della Sanità animale e dei Farmaci veterinari del Ministero della Salute, la dott.ssa GAETANA FERRI, direttore generale per l’Igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione del Ministero della Salute, KARSTEN MAIER, segretario generale UECBV.
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Clara Fossato, UNICEB è fare squadra e senso di appartenenza «Stasera siamo qui per celebrare 50 anni della nostra associazione e non vi nascondo che lo facciamo con orgoglio. Oggi più che mai avvertiamo forte il bisogno di far sentire la nostra voce e le legittime esigenze di un comparto produttivo significativo per l’economia nazionale, trainante sotto certi aspetti, ma che troppo spesso è oggetto di infondati attacchi e vittima di false verità» ha detto il segretario
generale. «Per questo sentiamo il dovere, forti della vostra fiducia, di mettere al centro delle nostre battaglie la grandissima professionalità delle vostre aziende, delle aziende italiane in genere, che operano con standard elevatissimi e nel rispetto di quel complesso apparato di norme a tutela del consumatore» ha sottolineato Clara Fossato. «Nell’ambito della nostra attività abbiamo messo in campo risorse aggiunte in grado di valorizzare proprio questi aspetti. Stiamo pro-
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1) Carola De Angelis e Fulvio Fortunati. 2) Saverio Siciliani e Laura Pilone. 3) Daniele Brandizzi, Mario Maranesi e Daniela Dipoli. 4) Bruno Nicola Rainone, Michele Stucchi e Simona Teruzzi. 5) Pierangelo Vianelli, Giuseppe Boventi e Gianfranco Belleri. 6) Silvia Sassi e Giuseppe Varazzani. gettando nuovi strumenti al passo con le esigenze della comunicazione moderna che ci consentiranno di comunicare all’esterno con maggiore forza i nostri obiettivi e i nostri valori. Farsi conoscere davvero è il miglior modo per abbattere la diffidenza» ha puntualizzato Fossato, ringraziando gli associati anche per aver sostenuto la LILT, Lega Italiana per la lotta contro i tumori, a cui nel corso della serata è stato consegnato nelle mani del presidente prof. Schitulli un assegno di 10.000
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euro. Nel corso della serata il prof. Francesco Schittulli, sollecitato da alcune domande su carne, prodotti carnei e salute poste da ANTONIO GAUDIOSO, segretario generale di Cittadinanzattiva, ha intrattenuto la platea con una disquisizione sulle proprietà nutrizionali della carne e di come le proteine animali siano necessarie in una equilibrata dieta alimentare. Cena di gala La serata è proseguita con musica
dal vivo, un’impeccabile cena placée e interventi di ringraziamento, come quello particolarmente emozionante rivolto da Carlo Siciliani al socio fondatore GIUSEPPE BOVENTI, al quale è stata consegnata una targa di ringraziamento a nome di tutti gli associati. Sulla terrazza di Palazzo Caffarelli, lo staff aveva poi allestito un grande pannello retroilluminato coi loghi degli associati UNICEB: lo sfondo perfetto per le foto ricordo con colleghi e amici. Elena Benedetti
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EVENTI
Bord Bia presenta “Le eccellenze italiane e irlandesi si incontrano” Ospiti degli spazi esclusivi della rinomata cantina Ca’ del Bosco, i rappresentanti dello Chefs’ Irish Beef Club hanno proposto cinque ricette inedite nelle quali i prodotti della tradizione italiana vengono esaltati dall’eccellenza della carne irlandese
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i è tenuto lo scorso 1 ottobre l’evento esclusivo organizzato da BORD BIA — l’ente governativo che promuove l’industria del food & beverage irlandese —, con la presenza di cinque esponenti italiani dello Chefs’ Irish Beef Club, i quali hanno regalato agli ospiti un’esperienza culinaria unica, con piatti raffinati per i quali hanno utilizzato materie prime italiane d’eccellenza unite alla qualità premium della carne irlandese. L’evento, tenutosi a Ca’ del Bosco, azienda vinicola leader nella produzione di Franciacorta dal finissimo perlage nata a metà degli anni Sessanta, aveva come obiettivo di presentare le eccezionali qualità e la straordinaria versatilità della carne irlandese preparata da mani esperte. Gli chef del CIBC, alcuni tra i più rinomati chef in Italia, hanno infatti cucinato dei piatti a base di carne irlandese accompagnati da alcuni dei più famosi vini di Ca’ del Bosco. Ogni piatto del menù, composto da 2 antipasti, 2 primi e 1 secondo, è stato creato dagli chef che hanno tratto ispirazione dalla propria regione di provenienza. Un esercizio di stile importante, grazie al quale le materie prime d’eccellenza di ogni territorio si uniscono al sapore unico della carne irlandese, esaltandone le qualità. Gli chef e le loro ricette Lo Chefs’ Irish Beef Club (CIBC) è un’iniziativa fondata nel 2004 e gestita da Bord Bia, di cui fanno parte prestigiosi chef riconosciuti a livello internazionale che promuovono e
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valorizzano la carne di manzo irlandese. Gli chef che ne fanno parte hanno deciso di utilizzare la carne irlandese per le sue caratteristiche intrinseche: il gusto, la tenerezza, il profumo e l’importante apporto di sostanze nutritive. Queste peculiarità derivano principalmente dalle tecniche di allevamento tradizionali — che permettono agli animali di pascolare
in piena libertà per circa 10 mesi all’anno — e da altre caratteristiche qualitative importanti, come la tracciabilità e la sostenibilità, che la rendono una delle carni più prestigiose al mondo. Sono le materie prime la base di un piatto d’eccellenza e lo sanno bene gli chef che, per l’occasione, hanno ricercato e selezionato accuratamente alcune prelibatezze
Gli gnudi fiorentini si vestono d’Irlanda, piatto della chef Sara Conforti.
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1) Ordito di lombata di manzo irlandese con zucca Bertina schiacciata, funghi porcini delle valli piacentine in tempura e riduzione di vino cotto dello chef Daniele Repetti. 2) Maritozzo carbonaro di Andrea Fusco. 3) Raviolo aperto, stracciatella e ragù d’agnello irlandese dello chef Francesco Cassarino. 4) Bavetta di Hereford irlandese affumicata con chips di porcini, polenta di Maranello fritta e zucca marinata dello chef Alberto Canton. della loro terra e le hanno unite alla straordinaria carne irlandese, di manzo o di agnello, divenuta quindi protagonista in ognuna delle cinque creazioni. Gli chef protagonisti, accomunati dalla passione verso le materie prime dell’Isola di Smeraldo, che hanno deciso di far parte dello CIBC, sono stati: DANIELE REPETTI (Nido del Picchio, Carpaneto Piacentino, PC), ALBERTO CANTON (Bocon Divino, Camposampiero, PD), FRANCESCO CASSARINO (La Anchoa, Marina di Ragusa, RG), SARA CONFORTI (attualmente consulting chef,
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precedentemente Osteria del Vicario, Certaldo, FI) e ANDREA FUSCO (Giuda Ballerino, RM). Per l’occasione, Daniele Repetti ha scelto la zucca Bertina e i funghi porcini delle valli piacentine e ha preparato l’Ordito di lombata di manzo irlandese con zucca Bertina schiacciata, funghi porcini delle valli piacentine in tempura e riduzione di vino cotto. Alberto Canton ha invece puntato sulla polenta di mais Maranello e la zucca Violina veneta per una Bavetta di Hereford irlandese affumicata con chips di porcini, polenta di Maranello fritta e zucca marinata.
Sara Conforti ha utilizzato due “gioielli” della Toscana, il pecorino delle Crete senesi e il tartufo di San Miniato, per Gli gnudi fiorentini si vestono d’Irlanda, mentre lo chef Fusco ha scelto due tipici prodotti del Lazio, il guanciale laziale e il pecorino romano, per il suo Maritozzo carbonaro. Infine, Francesco Cassarino, nel Raviolo aperto, stracciatella e ragù d’agnello irlandese, ha optato per la farina di grani antichi siciliani e la stracciatella di bufala di Ragusa, sua città di origine. >> Link: www.bordbia.ie
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Tutti a scuola di Agnello gallese Igp
Monday Lamb Class
È
stata una bellissima lezione quella che si è tenuta lo scorso 30 settembre a Milano presso la Macelleria Pellegrini di via Spallanzani. Un incontro organizzato dall’ente di promozione delle carni rosse gallesi, HCC – MEAT PROMOTION WALES, voluto per far conoscere meglio l’Agnello gallese IGP, la pregiata carne ovina made in Wales, presente da molti anni in Italia e sempre più gradita dai consumatori del Belpaese. Nel comparto dell’industria delle carni, la cui qualità oggi ha raggiunto livelli decisamente elevati, la filosofia dell’Agnello gallese ha trovato una sua collocazione ben precisa. Oggi il termine gallese
L’Agnello gallese sta diventando sempre più popolare tra i consumatori italiani, che lo identificano ormai come una carne premium e di cui apprezzano molto il gusto delicato, la tenerezza, la qualità costante e la versatilità. Il logo Igp, inoltre, ne certifica l’origine garantita
è sinonimo di un impegno chiaro: mantenere ciò che si promette. Questo principio ha permesso alla carne ovina gallese di essere riconosciuta e apprezzata per le sue indiscusse qualità organolettiche e per la sua provenienza garantita (IGP), diventando un marchio rinomato a livello mondiale, in rappresen-
tanza di un comparto dinamico e all’avanguardia. Per spiegare le rinomate caratteristiche del prodotto sono stati coinvolti due macellai d’eccezione: GIORGIO PELLEGRINI, titolare dell’omonima macelleria e presidente dell’Associazione Macellai Milano, e MARC MCARDLE, macellaio gallese,
Lo scorso 30 settembre l’ente di promozione delle carni rosse gallesi HCC – Meat Promotion Wales ha organizzato a Milano, presso la Macelleria Pellegrini, un’interessante demo di taglio di Agnello gallese Igp, per raccontare in diretta i pregi dei tagli, delle consistenze e la resa di questa pregiata carne ovina.
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In alto: Ilario Lui, macellaio lodigiano, Giorgio Pellegrini, il butcher gallese Marc McArdle e Jeff Martin, responsabile HCC-Meat Promotion Wales Italia. In basso: Marc McArdle ha disossato un Welsh lamb, realizzando una serie di tagli tipici del Galles.
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I tagli ovini della tradizione gallese In Galles e, in generale, in tutta la Gran Bretagna, l’agnello è una carne molto apprezzata, non solo durante le festività, ma quotidianamente, in alternativa alle altre carni comunemente consumate. E proprio in Galles, dove ci sono circa 11 milioni di ovini, l’agnello rappresenta un punto fermo nella tradizione gastronomica: viene cucinato d’estate al barbecue, come Sunday roast nell’immancabile pranzo della domenica ed è l’ingrediente principale di alcuni piatti tipici come la Welsh cawl, una zuppa a base di carne d’agnello, porri, patate, rape e carote. La versatilità di questa carne, infatti, la rende perfetta per diverse tipologie di cottura, dal forno al barbecue, dagli stufati alla padella, diventando così l’elemento principale di molteplici e diverse preparazioni: arrosti, bistecche, ragù, curry, insalate, piccoli antipasti. Gli operatori dell’industria della carne gallese, produttori e macellai di grande abilità e di lunga tradizione, hanno sviluppato tecniche di macellazione e di taglio all’avanguardia, in grado di offrire ai mercati locali e internazionali della ristorazione, del foodservice e della Grande Distribuzione soluzioni innovative in termini di offerta di tagli, packaging e qualità organolettica. Chi sceglie l’agnello gallese, quindi, può contare non solo su una qualità organolettica pregevole, ma anche su una varietà di tagli fra cui scegliere che non ha eguali. Neck = Collo / Reale È uno dei tagli più economici dell’agnello. In Galles viene solitamente venduto in neck rings (taglio simile ad un “finto” ossobuco) o chops on the bone (braciole). È ideale per stufati, brasati e spezzatini. Lo ritroviamo in alcuni piatti tipici gallesi come la Welsh cawl o il Lancashire Hot Pot. Il collo d’agnello può essere anche presentato sotto forma di filetto di collo. In Italia non esiste tradizione per questo taglio ovino. Shoulder = Spalla La spalla è un taglio molto appetitoso e gustoso. In Galles viene venduta disossata, arrotolata e talvolta anche farcita, ma la si può trovare anche in osso. La spalla di agnello si può cucinare sia intera sia tagliata a metà nel blade e nel knuckle, tagli ideali da arrostire o brasare. Infine, presentata sotto forma di braciole (chops) e bistecche, la spalla è ottima anche da grigliare o per cotture veloci in padella. In Italia, viene cucinata per lo più intera al forno oppure venduta a pezzi per l’abbacchio. Best end = Carré anteriore Il carré d’agnello è un taglio composto da sei o sette costolette. Solitamente si trova già porzionato in singole costolette, adatte da grigliare o per cotture veloci in padella. Due carré accostati con le ossa delle costolette scalzate intrecciate a formare un arco si chiamano guard of honour (guardia d’onore), un modo molto elegante di servire il carré d’agnello. Anche in Italia il carré è il taglio ovino per eccellenza e viene consumato tutto l’anno. Loin = Lombo Secondo la tradizione gallese, è generalmente suddiviso in loin end e chump. Può essere presentato in braciole (loin chops), ideali per essere grigliate o cotte velocemente in padella, o ancora può essere disossato completamente, farcito e arrotolato, ideale per realizzare un arrosto. Infine, si può trovare tagliato in singoli medaglioni (noisette) o nelle così dette Valentine steaks, bistecche che richiamano la forma di un cuore. In Italia, invece, dal lombo si ricavano principalmente le costolette. Rump (o chump) = Scamone In Galles è possibile acquistarlo sotto forma di braciole (chump chops) o bistecche disossate (rump steaks). È un taglio molto tenero ed è ottimo per essere grigliato o per le cotture veloci in padella. Lo scamone disossato (boneless rump) è ideale da cucinare come mini arrosto. Lo scamone d’agnello non è invece di tradizione italiana. Leg = Coscia La coscia di agnello è il taglio per eccellenza, scelto dalla maggior parte dei consumatori in Galles per i pranzi domenicali. Si può presentare in osso o disossato e arrotolato. È un taglio molto versatile perché può essere suddiviso in: filetto (fillet), stinco (shank end), bistecche (boneless leg steaks) e bocconcini o striscioline di carne da saltare in padella (dice e stir fry strips). Anche in Italia la coscia è uno dei tagli ovini più rinomati: viene cucinata intera al forno oppure tagliata a fette, che risultano ideali per la griglia.
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Breast = Petto (o pancia) È un taglio economico dell’agnello, utilizzato per gli stufati. Spesso viene separata la carne magra che sarà tritata (mince). Dalla pancia si può ricavare un arrotolato (rolled breast) e anche bocconcini. Ideale per spiedini (kebabs). In Italia è un taglio poco conosciuto.
Particolare della coscia di Welsh lamb PGI.
che in una lezione a quattro mani hanno illustrato la differenza fra i tagli ovini di origine gallese e quelli tipici italiani. Come nei bovini, infatti, anche i tagli ovini differiscono da paese a paese per tradizione e cultura gastronomica, rendendo talvolta difficile anche la stessa traduzione del termine. «Sono stato recentemente in Galles — ha spiegato Giorgio Pellegrini — dove ho avuto conferma della grande tradizione macellaia d’Oltremanica. In particolare, ho avuto il piacere di constatare che la carcassa ovina viene sezionata in molteplici tagli, proprio come accade per i bovini,
a differenza di quanto facciamo in Italia dove parliamo principalmente di anteriore, posteriore e costolette». Le motivazioni sono da ricondursi a svariate ragioni, a cominciare dalla tradizione gastronomica. Se in Italia, infatti, la carne d’agnello viene consumata principalmente durante le festività e cucinata per lo più al forno, eccezion fatta per alcune regioni del Centro-Sud del Paese, dove la carne ovina dà vita a specialità molto rinomate (abbacchio, scottadito, agnello alla sarda, solo per citarne alcune), in Galles l’agnello si cucina tutto l’anno e viene preparato in moltissime varianti.
The Welsh Way è l’espressione con cui gli allevatori gallesi definiscono le “loro pratiche di allevamento non intensivo e rispettoso dell’ambiente”. E non si tratta solo di un modo di dire: il Welsh farming rappresenta davvero uno dei modi più sostenibili al mondo per produrre carne di qualità
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Alla domanda del mercato, quindi, l’industria ha saputo rispondere perfezionando i tagli di carne, sia in termini di assortimento che di confezionamento. Poi ci sono anche i numeri della produzione che contano. «Grazie alle sue condizioni ideali, il Galles conta circa 11 milioni di ovini: non stupisce quindi che il Galles sia conosciuto in tutto il mondo per la sua carne d’agnello» afferma JEFF MARTIN, responsabile Italia HCC. «Qui viene allevato il più alto numero di ovini rispetto a qualsiasi altra regione d’Europa e in nessun altro Paese la carne ovina riveste un ruolo così determinante nella cucina, nella cultura e nella società, impiegando migliaia di persone in tutto il Galles». Da non dimenticare poi che anche gli animali sono diversi: l’agnello italiano si aggira sui 5-7 kg, mentre l’agnello gallese è più grande, arrivando fino a 14 kg di peso, dai quali è possibile ricavare tagli più “carnosi”, diversi e consistenti.
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In alto: l’arte del disosso e del taglio varia molto da zona a zona e da Paese a Paese. È stato interessante lo scambio di riflessioni e commenti tra i due butchers Pellegrini e McArdle. In basso: alla conclusione della masterclass, Ilario Lui ha realizzato insieme a Gaetano Bertelli una “torta”, un pronto a cuocere di agnello gallese fatto con una spalla disossata e un ripieno di salsiccia lodigiana con noci, prugne e mela Granny Smith.
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«Abbiamo voluto organizzare questo incontro per mettere a confronto due tradizioni e due culture con un unico obiettivo: far conoscere sempre di più la carne ovina di qualità e la sua facilità di utilizzo in cucina, il tutto attraverso la riscoperta di una figura professionale determinante, quella del macellaio. In questo senso Galles e Italia vantano due grandi scuole» ha precisato Martin. L’in-
contro è stato anche l’occasione per parlare di un tema di grande attualità: la sostenibilità legata alla produzione di carne. «Il rispetto dell’ambiente e la garanzia di una produzione sostenibile sono i messaggi che i consumatori vogliono sempre più sentire» ha concluso Martin. «Oggi il consumatore può scegliere fra diversi tipi di carne provenienti da tutto il mondo: è importante per
noi far sapere che con le buone pratiche agricole messe in atto in Galles si promuove la biodiversità, producendo allo stesso tempo carne di alta qualità che il consumatore può essere orgoglioso di acquistare». >> Link: www.agnellogallese.it Nota Photo © Diego Bonacina.
I segreti del macellaio: la parola a Giorgio Pellegrini Abbiamo chiesto a Giorgio Pellegrini, proprietario della storica macelleria milanese Macelleria Equina Pellegrini e presidente dell’Associazione Macellai Milano, di raccontarci alcuni segreti per conoscere meglio la carne ovina. Il colore Il colore della carne ovina non deve essere troppo scuro, ma di un rosso piuttosto tenue; non deve essere troppo lucido ma tendenzialmente asciutto. L’agnello gallese si caratterizza per un colore leggermente più rosa rispetto all’agnello italiano per via dell’erba di cui si nutre. In generale, è sbagliato credere che la carne più è rossa, migliore è la sua qualità. Il colore “brillante” indica solo che la carne è stata tagliata di recente: circa 20 minuti dopo il taglio, infatti, il pigmento rosso inizia a diventare naturalmente più scuro. Ecco perché il colore della carne esposta nelle macellerie o nei banchi dei supermercati può variare, senza influire sulla qualità organolettica dell’alimento. La consistenza Al tatto, la carne ovina, come tutte le carni, deve risultare compatta e soda. In Galles i sistemi di macellazione all’avanguardia e la stimolazione elettrica garantiscono una straordinaria tenerezza delle carni. Il grasso Un macellaio esperto può riconoscere l’età o il sesso di un animale solo dal colore del suo grasso. Il colore dipende anche da ciò che l’animale ha mangiato durante la sua vita. Ad esempio, il grasso di animali nutriti ad erba è più giallo. Non esiste una reale differenza qualitativa: l’importante è che il grasso sia solido e asciutto. La cottura La cottura al cuore dell’agnello deve essere 57°/58° C. È fondamentale rispettare questa indicazione per non rovinare la carne che altrimenti potrebbe risultare troppo asciutta. Le marinature Due marinature che si sposano perfettamente con la carne d’agnello sono timo fresco e scorza di limone, un mix di profumi tipici mediterranei che rinfrescano il palato, e mirtillo e clementine, di gusto tipicamente anglosassone. Per preparare entrambe le marinature, a seconda del gusto e della stagione, è sufficiente prendere gli ingredienti, puliti e tritati grossolanamente, e unirli all’olio evo e a un pizzico di sale. Quindi si può cospargere la marinata sulla carne d’agnello e lasciar riposare in luogo fresco, coperto, per 30 minuti. Il sale È meglio salare la carne a fine cottura perché il sale ne asciuga i succhi, indispensabili durante la cottura per mantenere la morbidezza. Congelare L’agnello fresco può essere congelato senza problemi e può rimanere in freezer fino a 6 mesi. La carne deve essere però ben protetta. Bisogna fare attenzione a quando si scongela la carne: questo passaggio deve avvenire gradatamente cioè dal freezer la carne deve passare al frigo per scongelarsi ad una temperatura controllata.
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Macelleria Pellegrini entra nella terza generazione La storia della Macelleria Equina Pellegrini parte nel lontano 1959 quando Vittorio Pellegrini, giovane garzone, decide di aprire in Via Spallanzani a Milano un laboratorio con relativa bottega di carne equina. In poco tempo, la piccola bottega cresce conquistando sempre più il “palato” e la fiducia dei milanesi e diventando un vero e proprio riferimento per gli estimatori della carne equina. Gli anni passano e a Vittorio si uniscono prima la moglie Milena e, agli inizi degli anni ‘80, il figlio Giorgio. La crescente popolarità della macelleria richiede l’ampliamento del locale che, da piccola bottega di 30 m2, si trasforma nell’attuale negozio di 200 m2, metà dei quali adibiti ai servizi: laboratori, celle frigorifere, sala stagionature salumi. I nuovi spazi e le nuove attrezzature hanno permesso così di passare dalla semplice vendita di carne al dettaglio alla produzione artigianale di salsicce, bresaole e salumi: oggi la Macelleria Pellegrini vanta oltre 70 prodotti artigianali diversi, mirati a soddisfare le esigenze sempre più sofisticate della clientela. Storicità e bellezza Dal 2007 la Macelleria è diventata Bottega Storica di Milano, un importante riconoscimento per la famiglia e un significativo esempio di come Milano, nonostante i progetti di grattacieli e di megastore, resti una città ricca di memoria. Tutte le botteghe storiche di Milano compaiono in uno speciale albo che comprende negozi e aziende con almeno 50 anni di attività alle spalle. La bellezza, ad esempio, è una caratteristica richiesta per essere riconosciuti come bottega storica: il negozio, infatti, deve avere decorazioni, insegne o caratteristiche architettoniche che ne dimostrino l’età e il prestigio. Anche la Regione Lombardia ha voluto premiare la Macelleria Pellegrini con il riconoscimento ufficiale di “Negozio storico a livello regionale”. Pranzo e aperitivo in macelleria Oltre al negozio, la Macelleria Pellegrini oggi offre anche un servizio di ristorazione a pranzo, mentre l’Aperitivo in macelleria è un evento di grande richiamo per la città dove poter gustare tartare, tagliate, bombette, brisket, salsiccia in umido, porchetta e tanti altri gustosi piatti accompagnati da un buon bicchiere di vino. Giorgio Pellegrini, oggi alla guida della macelleria, è anche presidente dell’Associazione Macellai di Milano e membro del consiglio di FEDERCARNI. In negozio sta iniziando a muovere i primi passi il figlio, Alessandro, terza generazione di questa grande famiglia. >> Link: www.macelleriapellegrini.it
Giorgio e il figlio Alessandro Pellegrini, due generazioni a confronto in Macelleria Pellegrini a Milano.
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Hamburger di scottona
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ANALISI DI SETTORE
La filiera in etichetta Corta, controllata, garantita, certificata: la filiera è il tema del momento nel mondo del food e invade le confezioni dei prodotti venduti nella distribuzione moderna. Ma quanto vale nel largo consumo confezionato? Oltre 259 milioni di euro di sell-out calcola l’Osservatorio Immagino
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ino a poco tempo fa era un termine da addetti ai lavori: pochi altri, infatti, ne conoscevano il significato e le implicazioni. Ora, invece, la filiera è diventata uno dei valori trainanti dell’universo alimentare italiano, anche quando si fa la spesa al supermercato. E così, in quanto fenomeno emergente, è finita sotto la lente dell’Osservatorio IMMAGINO NIELSEN GS1 ITALY, che le ha dedicato un approfondimento, misurandone l’incidenza sull’assor-
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timento e sulle vendite della GDO e l’andamento annuo. Dall’analisi dei 72.100 prodotti alimentari confezionati di largo consumo monitorati dall’Osservatorio è emerso che, nel 2018, erano 613 i prodotti (lo 0,8% del totale) presenti sugli scaffali di supermercati e ipermercati accompagnati da un claim riferito alla filiera di provenienza. In termini di sell-out, questo paniere ha generato, nel 2018, oltre 259 milioni di euro di vendite. Ma se la quota assoluta
è ancora bassa (0,9%), il trend è alto: rispetto al 2017, il tasso di crescita è stato pari a +14,1%, ben superiore alla media del settore alimentare. A trainare il mercato dei prodotti di filiera è soprattutto la componente dell’offerta: nel 2018 sono state 55 le aziende di produzione e 10 i retailer che l’hanno evidenziata sulle confezioni dei loro prodotti, a conferma di come l’impegno per la sicurezza alimentare stia diventando un im-
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PROGETTAZIONE E FORNITURE PER INDUSTRIE ALIMENTARI
portante tema di comunicazione e che, come tale, stia entrando sempre più spesso anche sulle etichette dei prodotti in commercio. L’Osservatorio I MMAGINO ha rilevato sulle confezioni degli alimentari confezionati ben quattro claim che parlano del background dei prodotti. Quello più rilevante e performante è “filiera controllata”, con 345 prodotti e vendite superiori a 125 milioni di euro, in crescita di +12,3% rispetto al 2017. Bilancio
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positivo anche per il secondo claim per importanza: “filiera certificata”. L’Osservatorio IMMAGINO l’ha trovato su 72 prodotti per un giro d’affari di 48,5 milioni di euro (+5,4% rispetto all’anno precedente). Pesante battuta d’arresto, invece, per il claim “filiera garantita”, presente solo su 22 prodotti e con un calo delle vendite del –11,8% rispetto al 2017. A completare lo scenario, i claim “filiera corta” e “km 0”: complessivamente sono presenti solo su 16 prodotti, per cui il 2018 è stato piatto a livello di vendite, benché la domanda e l’offerta siano state positive. La comunicazione dei valori di filiera sulle etichette dei prodotti non riguarda tutto il mondo alimentare, ma si concentra su quattro comparti. Il più rilevante è l’ortofrutta confezionata, che, con i suoi 108 milioni di euro di vendite (+5,3% sul 2017), determina il 41,8% del giro d’affari dei prodotti con un claim di filiera in etichetta. Segue il lattiero-caseario (compresi i gelati realizzati con latte di filiera), con il 29,0% di quota e vendite in crescita annua del +6,4%. È andato decisamente più veloce il comparto dei prodotti a base di grano e altri cereali (+14,8% di vendite) che, grazie dall’aumento delle vendite di pasta, prodotti da forno e cereali, ha raggiunto il 12,2% di quota. Il risultato migliore del 2018 lo ha messo a segno l’aggregato carni e uova, con un bel +69,0% di sellout (17,0% di quota), trainato dal crescendo delle vendite di salumi, carni avicole e carni bovine. (Fonte: GS1 Italy gs1it.org)
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RETAIL NEWS
Carrefour Italia e Coldiretti: accordo per valorizzare il made in Italy in Italia e all’estero
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ITALIA e COLDIannunciano l’arrivo nei punti vendita Carrefour Italia di un primo paniere di prodotti a marchio Terre d’Italia realizzato con i prodotti della Filiera Agricola Italiana che, con la label FDAI (Firmato Dagli Agricoltori Italiani), garantiscono l’utilizzo della materia prima nazionale. L’iniziativa è stata annunciata al Salone Carrefour 2019, alla presenza del presidente di Carrefour Italia GÉRARD LAVINAY e di ETTORE PRANDINI, presidente di Coldiretti. L’accordo prevede l’arrivo sul mercato di un primo paniere di prodotti come pasta, olio, ortaggi, verdure, salumi e succhi di frutta a partire dal 2020, per rispondere alla domanda crescente dei consumaARREFOUR RETTI
tori italiani che chiedono garanzie sull’origine dei prodotti. Carrefour Italia e Coldiretti, attraverso FDAI, rafforzano il proprio impegno a valorizzare la filiera agroalimentare italiana, tutelando l’ambiente, l’economia e l’occupazione sul territorio nazionale. Grazie all’accordo, le specialità del vero made in Italy troveranno spazio sugli scaffali del Gruppo Carrefour, che opera in Italia con otre 1.000 punti vendita e in 18 regioni. «In un Paese come l’Italia, che ha il primato europeo nella qualità e nella sicurezza alimentare, è necessario garantire una presenza sempre più capillare del prodotto 100% italiano sugli scaffali, che va sostenuta con la
trasparenza dell’informazione ai consumatori sulla reale origine degli alimenti che acquistano, e attraverso la collaborazione dei protagonisti più attenti della distribuzione commerciale» ha affermato Prandini, nel sottolineare anche «l’importanza dell’obiettivo fissato da Carrefour Italia di portare in futuro prodotti italiani all’estero, dove troppo spesso alimenti stranieri vengono spacciati come nazionali facendo perdere valore al vero made in Italy». Ad oggi Carrefour Italia, infatti, esporta oltre 570 prodotti a marchio proprio, per un totale di 180 milioni di euro l’anno di export. Di questi, 5 milioni e mezzo di euro sono relativi a 50 prodotti a marchio Terre d’Italia.
Banco macelleria in un punto vendita del Gruppo Carrefour (photo © GDO Week).
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Vicentini Carni. Qualità garantita dalla A agli Zoccoli.
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TREND
Cibo da asporto, il grande business Comodità, praticità, ritmi frenetici: sono questi i migliori alleati del take away, che si impone prepotentemente, a dispetto di tutto di Sebastiano Corona
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a ripresa stenta a manifestarsi ma alcuni segnali, seppure incoerenti tra loro, denotano, da parte degli Italiani, un cambio di approccio alla spesa. Se la Distribuzione Moderna Organizzata, infatti, ancora avverte difficoltà enormi, come se non ci fossimo del tutto buttati alle spalle la recente peggiore crisi finanziaria, il
consumatore medio, pur con un occhio al portafoglio, inizia a concedersi qualche piccolo lusso. Oltre a quello del carrello che cambia in qualità — generando una sorta di bipolarismo tra prodotto di prezzo, fortemente richiesto, e prodotto di pregio, ugualmente ricercato — si mostra un interesse sempre maggiore per il consumo di pasti fuori casa e
per l’asporto. Insomma, il budget per l’alimentare è sempre risicato, ma tende a diversificarsi nella destinazione. Complice la riduzione del tempo a disposizione per cucinare, il lavoro femminile sempre più impegnativo e una gestione degli spazi in ambiente domestico che talvolta rendono difficoltoso cucinare determinate tipologie di
Una ricerca dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano e Netcomm ci dice che solo in Italia il food delivery, nel 2019, conta 566 milioni di euro di fatturato e un tasso di crescita pari al 56%. Sono cifre impressionanti anche quelle su scala mondiale, considerato che il peso globale di questo mercato è stimato tra gli 85 e gli 88 miliardi di euro, l’1% del mercato alimentare complessivo (photo © daviles – stock.adobe.com).
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BOLOGNA
2020
16a edizione
15-16 GENNAIO
an event by
with the patronage of
www.marca.bolognaямБere.it COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020
Tra le maggiori richieste di food delivery nel nostro Paese troviamo, oltre all’immancabile pizza, hamburger, cucina giapponese e cinese ed etnica in generale (photo ©Joshua Resnick – stock.adobe.com). prodotti, chiudere la serata con il take away appare comodo, veloce e non eccessivamente dispendioso da non poterselo permettere di tanto in tanto. A sostenerlo è un recente studio di JUST EAT, una delle app leader in Italia nel food delivery, che, analizzando 20 città nelle quali opera, ha rilevato che, rispetto al 2017, nel 2018 è cresciuto notevolmente sia l’utilizzo del servizio da parte dei cittadini, sia il numero dei ristoranti che effettuano l’asporto. Sono 30 milioni i connazionali che ordinano cibi per via tradizionale, al telefono o sul posto, di persona, ma ciò che desta interesse non è solo la progressiva crescita dell’utilizzo del digitale per acquisire e pagare il servizio (sinora, infatti, solo l’11% usa le app apposite), ma il potenziale di crescita del take away in generale. Le piattaforme che sempre più stanno prendendo piede in Italia, forse con un leggero ritardo rispetto al resto d’Europa, sono di fatto delle sovrastrutture che fanno da intermediari tra il ristorante e i clienti e, utilizzando i noti rider, ritirano il prodotto e lo consegnano a destinazione. Il metodo impiegato è quello di una app che offre una scelta ampia di ristoranti o gastronomie,
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effettua il pagamento e consente di monitorare i tempi di consegna, che avvengono normalmente con puntualità svizzera. Tra le maggiori richieste nel Belpaese, oltre all’immancabile pizza, spiccano gli hamburger, la cucina giapponese e cinese, i panini e le piadine, la cucina tradizionale italiana, indiana, messicana ed etnica in generale. Più di qualunque altra specialità sono la gastronomia e la rosticceria a segnare incrementi senza uguali, la prima con un +446% e la seconda con +429%. Tra i piatti più richiesti: arancini, mozzarella in carrozza, lasagne, panzerotti, pasta al forno, cotolette e altre ricette regionali. Nella cucina esotica, spiccano i noodles, il poke, i cibi healthy, ma subito dopo si classifica il gelato. E tutti mostrano straordinari incrementi a tre cifre percentuali. Da una disamina geografica appare evidente che la richiesta di prodotti tipici nazionali o locali sia più forte nel Sud e nelle Isole, mentre la cucina etnica è più quotata man mano che si va verso il Nord. D’altronde le occasioni non mancano. Non c’è solo la casa come contesto deputato per consumare cibo da asporto; ci sono anche altre occasioni conviviali e non ultimo il
posto di lavoro. Gli Italiani, infatti, sempre più raramente possono permettersi di tornare a casa per la pausa pranzo. Sono più gli uomini delle donne a richiedere il servizio: i primi propensi alla sperimentazione di tipologie di cucina diverse, le seconde più fidelizzate ai propri locali preferiti e discretamente interessate, tra gli altri, al sushi. E sono i Millennials, con una percentuale del 60%, a rappresentare la fascia più consistente di clienti. Una recente ricerca in Gran Bretagna rivela che una persona su 100, nel Regno Unito, tra gli under 35, consuma almeno un pasto da asporto ogni giorno: non a caso si parla di take away generation, riferendosi in particolare ai giovani nati tra gli anni ‘80 e il 2000. A seguire vengono adulti e famiglie. Lo studio in questione mostra anche che, sul fronte delle professioni, sono gli impiegati (39%) i più interessati al food delivery, seguiti da studenti (33%) e liberi professionisti (14%), che mediamente spendono di più per ogni ordine. Comodità, velocità, prezzi accessibili — tanto più che non mancano promozioni e offerte — sono enormi punti di forza del food delivery. Il fatto che non siano necessari obbligatoriamente passaggi di denaro in contanti, che l’offerta sia mediamente discreta in qualità e varietà, che i tempi di consegna siano celeri, certi e monitorabili, sono enormi vantaggi per chi acquista. Non a caso, come conferma una ricerca dell’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano e NETCOMM, solo in Italia il food delivery, nel 2019, conta 566 milioni di euro di fatturato e un tasso di crescita pari al 56%. Sono cifre impressionanti anche quelle su scala mondiale, considerato che il peso globale di questo mercato è stimato tra gli 85 e gli 88 miliardi di euro, l’1% del mercato alimentare complessivo. Il meglio deve ancora venire La progressione del settore, già sin qui molto rapida, è destinata al raddoppio entro il 2024, secondo le
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stime di IMARC. Un settore, dunque, che sta conoscendo una stagione a dir poco propizia, con enormi, ulteriori potenzialità. Sono in aumento i clienti, le richieste e i comuni interessati (oggi 900). I ristoranti che si affiliano sono cresciuti, solo nell’ultimo anno di più del 40%. In ambito provinciale il primato del settore, in termini di presenza diffusa, va a Roma. Seguono Torino, Napoli e Milano. Ma anche nelle realtà provinciali più piccole si può contare sempre più su un tessuto produttivo specializzato nell’asporto. Non è un caso se nelle grandi città si possa agevolmente osservare, la sera, che i fattorini in attesa al banco del ristorante o della gastronomia siano tanti, talvolta quanto i clienti in procinto di accomodarsi al tavolo. Ma se da noi le piattaforme del digital delivery hanno fatto prepotentemente ingresso solo negli ultimi anni, in molti Paesi sono da tempo il modo più veloce e sicuro per ot-
tenere a casa, in tempi strettissimi, tutto ciò che si vuole consumare. E siccome l’appetito vien mangiando, abbiamo assistito di recente a fusioni importanti tra colossi del cibo d’asporto nel mondo. Nel momento in cui scriviamo, Takeaway.com punta ad acquisire il concorrente JUST EAT dando vita, nel caso, ad una delle più grandi e strutturate imprese del settore, nel mondo. Le stime danno infatti, alla combinazione dei due, un valore intorno ad 8,2 miliardi di sterline per un volume d’affari annuale pari a 7,3 miliardi di sterline e un totale di 360 milioni di ordini all’anno. Takeaway.com è presente in 10 Paesi europei, oltre che in Israele e Vietnam ed è convenzionata con oltre 43.000 ristoranti. JUST EAT copre invece molti altri territori; per questo ci sarebbe una sorta di compensazione geografica. Un connubio, dunque, che avrà conseguenze importanti su diversi livelli, ma che non è il primo né si potrà certamente considerare
l’ultimo, visti gli appetiti che questo mercato in grandissima espansione genera. Non faremmo però un gran servizio se nascondessimo che, in Italia come all’estero, questo successo è anche costruito sulle spalle di tanti che vi operano in assenza di sufficiente tutela e diritti. Non a caso le proteste dei riders si sprecano, e non solo in Italia. Ci sarà probabilmente un’evoluzione nei rapporti tra soggetti che operano, a vario livello, per le piattaforme del food delivery, ma assisteremo, probabilmente da qui a qualche anno, ad altre evoluzioni tra players. La cosa più probabile è che i colossi del digital delivery, che ora si limitano a fare da intermediari tra ristoranti e clienti, diano vita a insegne proprie di produzione, mettendo ai margini i vecchi partner o “costringendoli” ad adeguarsi ad un nuovo modo di operare. Insomma, anche in questo mondo è e sarà l’aggregazione a farla da padrone. Sebastiano Corona
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Il bio: passato, presente, futuro Molto è stato fatto, in un campo che sembra non aver ancora dato tutto. Nonostante le performance eccellenti dell’ultimo decennio, ci sono infatti ancora ulteriori margini di sviluppo e grandi opportunità. Gli ultimi dati direttamente dal SANA di Bologna, alla sua 31a edizione di Sebastiano Corona
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on accusa battute d’arresto il biologico, in nessun canale commerciale. Nel 2018, le vendite in Italia hanno raggiunto complessivamente i 4.089 milioni di euro, segnando un +5,3% rispetto al 2017 e una crescita, nell’ultimo decennio, pari al 171%. È NOMISMA a sostenerlo, grazie ad un’elaborazione di dati NIELSEN, ASSOBIO e SURVEY IMPRESE, realizzato per l’Osservatorio Sana di Bologna, che a settembre scorso ha celebrato la 31a edizione di una delle principali kermesse del biologico al mondo. Le vendite sono così divise: 3.207 relative al consumo in ambiente domestico e 502 fuori casa. In questo contesto, sono due i segmenti che hanno superperformato: il freschissimo, che ha segnato un incremento
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di 276 milioni (GDO per peso variabile), e il bar, con un incremento di ben 104 milioni di euro. Non è solo il mercato interno a registrare prestazioni di tutto rispetto. C’è anche l’export che nel 2018 ha sfiorato i 2,3 miliardi, facendo segnare una crescita del 10% sull’ultimo anno e rafforzando la presenza nel paniere dei prodotti made in Italy, con il 5,5% sulle esportazioni complessive dell’agroalimentare. Un aumento addirittura maggiore a quello registrato dall’export agroalimentare generale che, superando la quota dei 41 miliardi di euro, nel 2018 si è incrementato “solo” dell’1,3%. In dieci anni, l’export del bio è aumentato del 600%, fortemente trainato, in Italia e all’estero, dalla
Grande Distribuzione Organizzata. L’80% delle vendite nei mercati stranieri è diretto in Europa, prevalentemente in Francia (sulle cui tavole finisce, per esempio, il 27% della pasta, di frutta, verdura e vino), ma anche Germania e Scandinavia. A seguire, gli Stati Uniti. Tra i mercati esteri dove l’interesse è in forte crescita vi è il Giappone. Questo Paese acquista dall’Italia, al momento, solo per l’1,5% della sua importazione complessiva, ma nell’ultimo decennio il valore degli acquisti nel Belpaese è passato da 537 a 865 milioni di euro. I primi dati del 2019 sono ugualmente incoraggianti: le esportazioni bio verso il Giappone hanno segnato una crescita del 13%, anche grazie al recente accordo di libero scambio
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che ha azzerato i dazi sui prodotti agroalimentari europei, abbattendo così il 40% circa degli oneri su vino, pasta e formaggi. Secondo il rapporto The World of Organic Agriculture, nel 2017, a livello globale, erano 2,9 milioni i produttori di bio al mondo, per un mercato complessivo da 90 miliardi di euro con in vetta gli Stati Uniti (40 mld), seguiti da Germania (10), Francia (7,9) e Cina (7,6). L’Italia era al quinto posto, con 5,9 miliardi, pur vantando il primato in Europa nelle esportazioni e il secondo per superfici coltivate, con 1,9 milioni di ettari, dietro solo alla Spagna (2,1 milioni). Italiani tra i principali produttori del bio ma anche consumatori Del biologico, noi Italiani, non siamo solo tra i principali produttori nel pianeta: siamo anche discreti consumatori. L’86% dei connazionali ha avuto almeno un’occasione di acquisto di un prodotto bio nel 2018 (dato che invece era del 53%, nel 2012) e il 51% sostiene di consumare alimenti biologici almeno una volta a settimana. La spesa media pro capite è di 52 euro l’anno, più di Spagna, che ne segna 42, e Regno Unito, 35. Ma siamo ancora molto lontani dalla Svizzera, che registra 288 euro di spesa pro capite, e dai Paesi del Nord, dove l’interesse per il biologico è ugualmente ragguardevole. Ci sarebbero, dunque, ancora ulteriori e importanti margini di crescita. Perché proprio bio? Le motivazioni d’acquisto sono diverse: il biologico è, nell’idea comune, più genuino, più nutriente, più sano e maggiormente rispettoso dell’ambiente. E ancora, chi lo sceglie ritiene che abbia un rapporto qualità-prezzo sempre più elevato (27%) e lo fa anche per la filiera controllata e certificata (23%). Quanto alla carne, un recente approfondimento dell’Università degli Studi di Bologna, Dipartimento scienze e tecnologie agroalimentari, rileva per la prima volta che esistono differenze anche di valore
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nutrizionale tra il convenzionale e il bio. Un’idea questa che è però già diffusa da tempo nell’immaginario collettivo. La scelta del consumatore è principalmente guidata da una ragione di ordine etico e di sostenibilità della catena di produzione, legata alle tecniche di allevamento (che escludono, ad esempio, la possibilità di utilizzo di farmaci se non in situazioni codificate) e a quelle di trasformazione, che prevedono l’impiego di un numero limitato di conservanti e additivi. Ma la differenza tra i due prodotti sarebbe riconducibile alla diversa alimentazione, oltre che alle distinte modalità di allevamento. Inoltre, pur nell’ambito del disciplinare biologico, esistono differenze sia nel tipo di alimentazione che nello stile di vita degli animali, come ad esempio il numero di ore passate all’aperto. Tuttavia, al netto dei pareri controversi sul valore nutritivo delle due tipologie di prodotto, esistono dei primi dati scientifici che supportano la tesi di un maggiore valore nutrizionale degli alimenti biologici ed in particolare di quelli di origine animale. In particolare, la carne biologica parrebbe mostrare un maggiore contenuto di grassi polinsaturi rispetto a quella tradizionale, con difformità più marcate nelle carni avicole e in quelle suine. Ancora più evidente sarebbe il vantaggio sul piano degli Omega-3, per cui la sostituzione della carne convenzionale con quella biologica ne potrebbe determinare un discreto aumento. Nel documento si parla anche di una tendenza ad un maggiore contenuto di minerali nella carne biologica. Gli studi sul tema sono tuttavia ancora pochi ed è pertanto al momento difficile trarre delle conclusioni definitive. Grandi aumenti nell’offerta Al successo del biologico hanno certamente contribuito i diversi canali distributivi. Ormai il bio è disponibile ovunque o quasi: gli acquisti avvengono per il 51% nelle grandi o medie superfici di vendita e solo in seconda battuta, in negozi
Il bio è, nell’idea comune, più genuino, più nutriente, più sano e maggiormente rispettoso dell’ambiente (photo © New Africa – stock.adobe.com). specializzati o erboristerie (20%). L’incremento del canale della Distribuzione Moderna Organizzata è certamente dovuto anche ad un adeguamento dei prezzi, andati via via diminuendo, divenendo sempre più alla portata di tutti. È di pari passo aumentata molto l’offerta: i prodotti venduti all’interno dei supermarket sono cresciuti infatti di 6 volte in pochi anni, acquisendo uno spazio importante anche nelle linee di private label. In sostanza, in Italia, quello che un tempo era un mercato di nicchia, appannaggio di alcune fasce più abbienti di consumatori, oggi è una realtà alla portata della maggior parte delle persone. Un mondo produttivo che conta 79.000 addetti, oltre 66.000 imprese produttrici, il 15,4% della superficie nazionale coltivata e più di 18.000 aziende di trasformazione e distribuzione. Oltre 3.000 in più rispetto a quelle
della Germania e della Francia e ben 15.000 in più rispetto a quelle della Spagna. In Italia, i quasi due milioni di ettari coltivati in regime biologico rappresentano il 15,4% del totale, con il 50% concentrato in appena quattro regioni: Sicilia (385.000 ettari), Puglia (263.000), Calabria (200.000) ed EmiliaRomagna (155.000). Sul fronte delle varietà sono recentemente cresciute soprattutto le superfici destinate a pomodori (+12%) e frutta (+21%). Crescere, disciplinandosi e mantenendo la credibilità Chi sono gli acquirenti di prodotti biologici? Si tratta prevalentemente di famiglie con una disponibilità economica superiore alla media, soggetti tra i 25 e i 35 anni, genitori di figli piccoli, soprattutto residenti in città che contano più di 500.000
La carne biologica parrebbe mostrare un maggiore contenuto di grassi polinsaturi rispetto a quella tradizionale, con difformità più marcate nelle carni avicole e in quelle suine. Ancora più evidente sarebbe il vantaggio sul piano degli Omega-3, per cui la sostituzione della carne convenzionale con quella biologica ne potrebbe determinare un discreto aumento
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abitanti. Eppure, anche in un settore che va a gonfie vele, ci sono sempre margini di miglioramento. In molti, in Italia, sottolineano l’urgenza di una nuova disciplina che lo rilanci, lo disciplini e offra nuovi stimoli per affrontare i mercati. Il settore ha infatti necessità di crescere ulteriormente, mantenendo la credibilità del sistema, senza snaturare i principi su cui si fonda. La CONFEDERAZIONE ITALIANA AGRICOLTORI – CIA propone l’adozione di una Carta dei Valori Bio, che riguardi tre questioni centrali: 1. il consumo di prodotti accessibili a tutti, anche attraverso circuiti come i Gruppi di Acquisto Solidali; 2. il superamento della visione elitaria del bio; 3. una maggiore diffusione delle conoscenze e della consapevolezza degli operatori del settore. Un disegno di legge è già all’attenzione della Commissione Agricoltura del Senato e incassa l’assist della nuova ministro BELLANOVA, che auspica una sua veloce e definitiva approvazione, nell’idea che il settore possa trovare nuova linfa in una disciplina più attuale, anche alla luce delle sfide che i mercati globali impongono. Una disciplina che includa gli aspetti di sviluppo e di competitività della produzione agricola, della trasformazione, ma anche di ambiti ancora relativamente poco esplorati come l’acquacoltura. Le rappresentanze sindacali, prevalentemente concordi sulla positività del testo al momento all’attenzione del Parlamento, sottolineano anche la necessità di spingere verso forme di aggregazione interprofessionali, sui biodistretti o sul riconoscimento di una funzione sociale e ambientale del regime. Insomma, il bio potrebbe divenire un modello anche economico a più ampio raggio. Temi, questi, sempre più attuali anche alla luce dell’esigenza di nuovi modelli di sviluppo sostenibile e dell’intero sistema di generazione di alimenti che possa assolvere a richieste sempre maggiori di cibo, ma che sia nel contempo rispettoso del pianeta e dell’ambiente. Sebastiano Corona
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RAZZE
Il manzo di Hida arriva sul mercato italiano di Riccardo Lagorio
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elle razze bovine Wagyu, di origine giapponese e presenti in alcune aree d’Italia, è stato scritto più volte su questo dorso. Tra gli altri, si legga il numero di ottobre 2017 (LAGORIO R., Wagyu Sudtirol. Intervista a Stefan Rottensteiner, pag. 50). Ora
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sta per arrivare sul mercato italiano direttamente dal Giappone una carne allevata in aziende agricole di piccole dimensioni e che, in termini invero un po’ pretenziosi e roboanti in anni di crisi, è stata definita la più costosa al mondo. Quello che invece può interessare è che
pare si tratti della carne più buona al mondo. L’importazione in Italia è affidata a LUCA MUZZIOLI, amministratore di TAKI JAPAN INTERNATIONAL. Tra le carni disponibili, quella di manzo Hida, una città giapponese di 30.000 abitanti nella provincia di Gifu.
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La varietà di manzo allevato a Hida, nella Prefettura di Gifu, è stata selezionata negli anni ‘80; in precedenza passava sotto il nome generico di manzo di Gifu, un’area del Giappone che vanta un millennio di storia nell’allevamento di bovini dal manto nero (Kuroge wagyu). Gli allevamenti nella zona di Hida sono in generale molto piccoli e vengono condotti personalmente dagli allevatori, con poca manodopera e senza l’ausilio di macchinari dedicati.
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A Roma la carne di manzo Hida si può gustare nel quartiere Prati presso il ristorante Taki (photo © taki.it). La varietà di manzo allevato a Hida è stata selezionata negli anni Ottanta; in precedenza passava sotto il nome generico di manzo di Gifu. Del resto Gifu è un’area del Giappone che vanta un millennio di storia nell’allevamento di bovini dal manto nero (Kuroge wagyu). A seguito della cosiddetta Restaurazione Meiji (che andò dal 1868 al 1912), periodo durante il quale l’impero adottò politiche sociali ed economiche del modello occidentale, vennero introdotte anche in Giappone razze dall’Europa. Ciò comportò una diversificazione delle razze Wagyu, in particolare in quelle zone già inclini alla specializzazione dell’allevamento. «Gli allevamenti nella zona di Hida sono in generale molto piccoli e vengono condotti
personalmente dagli allevatori, con poca manodopera e senza l’ausilio di macchinari dedicati» spiega Muzzioli. «Si tratta normalmente di fattorie che possiedono dai 60 ai 120 animali. È una zona alpina con vasti pascoli sugli altopiani e questo incide positivamente sull’alimentazione degli animali, fatta di fieno, orzo e crusca». Ma volendo essere ancora più preciso incalza dicendo: «In realtà, il Wagyu è semplicemente il manzo giapponese che soggiace a diversi capitolati di allevamento a seconda della zona di produzione. Il manzo nero di Hida è un vero campione del Wagyu, essendo anche il vincitore delle gare della carne che si svolgono in Giappone ogni 5 anni, una specie di Olimpiade insomma.
Il segreto della differenza rispetto agli altri Wagyu risiede senz’altro nella purezza della razza e nell’alimentazione, spiega Luca Muzzioli di Taki Japan International. Il manzo di Hida viene infatti allevato rigorosamente al pascolo per circa 2 anni, cibandosi di erba di montagna, con gli animali liberi di vagare allo stato brado. La carne assume il sapore delle erbe alpine della zona: è inconfondibile!
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Le erbe di Hida Il segreto della differenza rispetto agli altri Wagyu risiede senz’altro nella purezza della razza e nell’alimentazione. Il manzo di Hida infatti viene allevato rigorosamente al pascolo per circa 2 anni, cibandosi di erba di montagna in quanto il pascolo è un vastissimo alpeggio in quota. Inoltre, gli animali sono liberi di vagare allo stato brado. La differenza, rispetto agli altri manzi Wagyu, risiede quindi nel tipo di erba che lo alimenta. Di conseguenza, la carne assume il sapore delle erbe alpine della zona di Hida: per questo è inconfondibile». Solo successivamente la sua dieta viene integrata con fieno di riso, crusca e un poco d’orzo e soia. «In questo modo la differenza con i manzi occidentali, allevati con i mangimi proteici, è sostanziale» riferisce l’imprenditore. Così, mentre il termine Kobe risulta ormai affermato internazionalmente, il manzo di Hida è diventato assai stimato in Giappone da quando ha vinto le “Olimpiadi di Wagyu” nel 2002 e da noi è conosciuto quasi solo nell’ambito degli specialisti.
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Il grasso buono La resa di accrescimento del manzo di Hida è molto bassa, con effetti positivi sulle caratteristiche organolettiche del grasso: le venature della carne sono ricche di amminoacidi e Omega-3 utili all’organismo. «La principale differenza che rende la carne di Hida diversa dalle altre carni Wagyu è l’infiltrazione del grasso. Questo infatti si presenta con fitte e sottili striature, quasi delle piccole chiazze, che ad un primo impatto ricordano le striature del marmo. Questa caratteristica rende il gusto della carne estremamente prelibato e succoso e le dona una consistenza assai morbida, dando la sensazione che si sciolga in bocca. Inoltre, a differenza di altre carni, il grasso non è presente solo nelle zone tendenzialmente più tenere e grasse, ma anche in tutti gli altri tagli, come la spalla e la coscia. In questo modo permette al grasso di avvolgere e proteggere in maniera uniforme la carne nel momento di cottura, riducendo
così la fuoriuscita dei succhi interni e rendendola sempre profumata» continua Muzzioli. Livello A5 Le carni dei manzi Wagyu vengono valutate con un sistema di controllo intransigente che stabilisce una scala di valori alfanumerici. Le lettere da A a C indicano la resa dell’animale in termini di produzione di carne, i numeri da 1 a 5 fanno riferimento a parametri come il colore, la consistenza e la marezzatura. «Le carni di manzi di Hida raggiungono il livello di A5, in quanto soddisfano le migliori condizioni di infiltrazioni di grasso, lucentezza della carne e consistenza», aggiunge. La macellazione viene effettuata tra i 30 e i 60 mesi di età, con il peso tipo di 380 kg, mentre il piatto più caratteristico per consumare la carne di manzi di Hida è una strisciolina di carne cruda appoggiata su del riso (nigiri); quello che permette di apprezzarla al meglio da cotta alla griglia, condita con sale e
Luca Muzzioli, amministratore di Taki Japan International. pepe, sono gli spiedini, un celebre cibo da strada che a Hida prende il nome di kushiyaki. A Roma si può trovare nel quartiere Prati presso il ristorante Taki (taki.it); a Milano e nelle altre città importanti bisogna ancora attendere… Riccardo Lagorio
Gabriella Aietti Limberti della RistoMacelleria Rosso 27 diventa “Discepolo d’Auguste Escoffier” Che qualcosa fosse nell’aria lo si era capito in occasione del Campionato Italiano di Battuta a Coltello 2018 a Trinità (CN), quando, al termine della premiazione, dove GABRIELLA AIETTI LIMBERTI aveva trionfato nella categoria più importante, “La più gustosa”, ottenendo anche un terzo posto nella categoria “La più bella”, i due giudici francesi Discepoli di Escoffier avevano salutato la vincitrice. E poi ancora a marzo, durante la fiera iMEAT a Modena, in occasione dell’incontro con gli chef Alfredo Marzi e Beppe Sardi. Infine, lo scorso 9 settembre l’arrivo di una e-mail del presidente Claudio Barione (stella Michelin), con la comunicazione ufficiale dell’intronizzazione a “Discepolo d’Auguste Escoffier”. L’Ordine internazionale dei Discepoli di Auguste Escoffier conta oltre 3.000 membri in tutto il mondo e si prefigge di onorare la memoria del maestro della gastronomia francese e internazionale Auguste Escoffier (1846-1935), “Cuoco dei re, re dei cuochi”, promuovendo e preservando il suo operato, al pari delle grandi tradizioni gastronomiche. Gabriella si è ampiamente meritata la fascia rossa dei Discepoli, rispolverando e rivisitando vecchie ricette della tradizione piemontese e sabauda in maniere semplice e al contempo elegante, come è nella filosofia dei discepoli d’Escoffier. Se capitate a Vercelli, andate ad assaggiare i suoi piatti alla RistoMacelleria Rosso 27 che gestisce insieme al marito Claudio. Carne, piatti e servizio di grande qualità (in foto a lato, Gabriella è la prima a sinistra tra i neo Discepoli).
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SUINICOLTURA
Antibioticoresistenza e redditività aziendale Appuntamento a Cremona il prossimo 13 novembre con la Giornata della Suinicoltura, evento dedicato al settore suinicolo nazionale. Al centro del dibattito l’antibioticoresistenza e le sue ripercussioni sulla redditività aziendale. Ne parleranno esperti nazionali e internazionali
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a lotta all’antibioticoresistenza, sia umana che animale, è il tema attualmente al centro di un dibattito che sta impegnando tutto il mondo scientifico internazionale. Posto che l’utilizzo degli antibiotici è indispensabile in presenza di determinate patologie, non vi è alcun dubbio che, sia nella medicina umana che in quella animale, l’uso si è spesso trasformato in abuso con le conseguenze di cui oggi si discute. La prossima edizione della Giornata della Suinicoltura, organizzata come sempre da Expo Consulting Srl e giunta al suo quinto appuntamento, si occuperà proprio di antibioticoresistenza in allevamento e delle sue ripercussioni sulla redditività aziendale. L’appuntamento è previsto per mercoledì 13 novembre 2019 presso la Sala congressi del Palace Hotel di Cremona a partire dalle ore 9:00. Il titolo dell’evento è “Antibioticoresistenza e redditività aziendale, una sfida a tutto campo”. Come sempre avvenuto nelle edizioni passate, il parterre dei relatori vanta la presenza dei maggiori esperti coordinati ancora una volta da GIANCARLO BELLUZZI, medico veterinario esperto in sicurezza alimentare. Dottor Belluzzi, esistono delle stime in base alle quali è possibile stabilire in quanto tempo, adottando scrupolosamente una gestione razionale e responsabile del farmaco in allevamento,
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Giancarlo Belluzzi, medico veterinario esperto in sicurezza alimentare, coordinatore del tavolo dei relatori della Giornata Suinicola 2019. si potrà arrivare a sconfiggere l’antibioticoresistenza? «L’AMR, acronimo di antimicrobicoresistenza, è un fenomeno seguito scrupolosamente da numerose organizzazioni istituzionali e farmaceutiche che non sempre esprimono pareri univoci. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la FAO (Food and Agriculture organization of the United Nations) e l’OIE (Organizzazione mondiale della salute animale) hanno stabilito che in cinque anni si potrebbero ottenere buoni risultati, pur in presenza di fattori variabili. La ricerca scientifica fa la sua parte, ma la gestione aziendale e l’utilizzo
del farmaco in allevamento sono elementi instabili, che dipendono dalla sensibilità e dalla perseveranza degli utilizzatori». Esistono negli allevamenti suinicoli batteri insensibili anche agli antibiotici di ultima generazione? «Purtroppo sì, e questo rappresenta una grande preoccupazione che ha portato il ministero della Salute a emanare provvedimenti ad hoc: rigore nelle prescrizioni e nella somministrazione del farmaco dopo una diagnosi mirata sono le ultime regole pubblicate. In aggiunta, possiamo affermare che, con l’indicazione della figura del veterinario
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aziendale di fiducia quale responsabile sanitario dell’allevamento, ove possibile — e auspicabilmente in tutti gli allevamenti — si arriva a chiudere il cerchio dei quattro pilastri fondamentali nella lotta all’AMR». A suo avviso, la lotta all’antibioticoresistenza, oltre a una gestione responsabile del farmaco, è più una questione di biosicurezza o di benessere animale? «Gli antibiotici sono armi indispensabili per combattere le malattie infettive di origine microbica. Eliminare l’antibiotico in allevamento, specie dove si producono animali a vita lunga, come si dice in gergo, è un obiettivo irraggiungibile, almeno per il momento. Il loro utilizzo massiccio, a volte sregolato, e l’indiscutibile abuso che se ne è fatto hanno portato al fenomeno della resistenza; di conseguenza, dopo l’applicazione delle regole citate, la prima misura da adottare è quella di prevenire, ove possibile e il più possibile, le malattie. Il benessere animale rende l’organismo più resistente e la biosicurezza crea una barriera all’ingresso dei germi in allevamento. Pertanto le due misure hanno uguale valenza. Personalmente ritengo la biosicurezza un elemento di maggior peso, perché crea una sorta di sbarramento esterno e interno nell’allevamento. Non ultimo, dobbiamo considerare anche l’impiego dei vaccini, un’arma che è stata molto perfezionata attraverso le tecniche di ingegneria genetica». Al di là del tipo di produzione italiana focalizzata sul suino pesante, quali sono le maggiori difficoltà che incontrano gli allevatori italiani nella lotta all’antibioticoresistenza?
«L’allevatore italiano è sempre stato costretto ad affrontare numerose sfide che, per certi versi, lo penalizzano rispetto ai colleghi di altri Paesi. C’è il mercato, sempre altalenante; c’è l’industria, che vuole un animale modellato alle sue esigenze di trasformazione in base alle varie e numerose tipologie di prodotto; c’è l’ambiente; e poi ci sono le sfide interne: la genetica, le regole sanitarie, quelle comunitarie e ancora, ma soprattutto, le malattie. Di fronte a tutto ciò l’allevatore deve correre ai ripari. Sul fronte delle malattie, l’antibiotico è stata un’arma che potremmo definire comoda. Adesso però l’allevatore è costretto a rivedere certi comportamenti e ad imparare a ricorrere all’antibiotico solo quando serve effettivamente. La rimozione di un’abitudine inveterata nel tempo è il primo obiettivo a cui puntare, cosa più facile a dirsi che a farsi». Quanto è sconosciuto ancora nell’opinione pubblica il concetto OneHealth e quali sono, a suo avviso, le strade più corrette per fornire al consumatore un’informazione chiara e fruibile? «Ritengo che la parola OneHealth sia un neologismo poco conosciuto; quello che però sta passando anche tra i non addetti ai lavori è il suo concetto. La sensibilità del consumatore è in aumento e quello della sicurezza alimentare è un tema di crescente consenso, che sta consolidando l’idea di un consumo consapevole e mirato. Fornire al consumatore un’informazione chiara e fruibile sull’utilizzo rigoroso e controllato del farmaco nell’allevamento di provenienza, a mio avviso, non può che avere effetti positivi per tutti».
Giornata della Suinicoltura 2019 Mercoledì 13 novembre Sala congressi del Palace Hotel Cremona >> Link: www.expoconsulting.eu
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BENESSERE ANIMALE
ClassyFarm: la valutazione del benessere animale nella specie suina
È
stato recentemente pubblicato Valutazione del benessere animale nella specie suina: manuale esplicativo controllo ufficiale a cura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’EmiliaRomagna “Bruno Ubertini”, del Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale e del Ministero della Salute. Il Ministero della Salute, con il supporto del CReNBA*, basandosi sulle normative vigenti in materia di protezione degli animali negli allevamenti e sulle più recenti e autorevoli conoscenze scientifiche, ha sviluppato nuove check-list a disposizione dei veterinari ufficiali, con lo scopo di rendere agevole, autorevole, omogenea e validata la
verifica delle condizioni di benessere animale negli allevamenti italiani. L’obiettivo finale dell’applicazione del nuovo protocollo, oltre a consentire l’individuazione di situazioni pericolose per le condizioni di benessere animale, sarà altresì quello di poter categorizzare in fasce di rischio gli allevamenti e di potersi confrontare con le medie nazionali, regionali e provinciali. Il nuovo sistema permette infatti di classificare gli allevamenti in vario modo; quello più semplice e di immediata comprensione si basa su 3 livelli di rischio: • livello 1 = rischio alto, condizione inaccettabile/negativa/di pericolo o stress; indica la possibilità
La formazione rappresenta un punto chiave per far sì che la sofferenza degli animali sia ridotta al minimo. Gli operatori devono possedere una conoscenza completa dei macchinari, delle tecniche operative, ma anche nozioni etologiche di base delle specie animali con cui lavorano (photo © Simun Ascic – stock.adobe.com).
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che una parte degli animali stia vivendo o possa incorrere in una situazione negativa (“distress”), dovuta all’impossibilità di godere a pieno di una o più delle 5 libertà; • livello 2 = rischio controllato o condizione accettabile, compatibile con la possibilità che tutti gli animali della mandria possano soddisfare le proprie 5 libertà e non subire condizioni di stress; • livello 3 = rischio basso o condizione ottimale, positiva e di beneficio, dovuta non solo al pieno adattamento dell’animale al suo ambiente e al rispetto delle 5 libertà, ma anche alla possibilità di poter vivere esperienze positive, appaganti e soddisfacenti in grado di produrre “eustress”. Inoltre, la distinzione delle condizioni di rischio in aree diverse permetterà anche di indirizzare in modo appropriato gli interventi preventivi sui principali fattori di debolezza del sistema zootecnico di ogni singola azienda, migliorando di conseguenza le condizioni di vita degli animali. Benessere animale, massima attenzione lungo tutta la filiera Negli ultimi decenni, il rispetto e la protezione degli animali hanno assunto un interesse sempre maggiore nella nostra società. Tale pensiero ha influenzato anche la legislazione comunitaria portando all’emanazione di numerose norme finalizzate alla protezione degli animali, tant’è che nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione Europea diviene necessario tener conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti.
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La macellazione rappresenta senza alcun dubbio un momento critico centrale per la tutela del benessere degli animali. Le fasi di scarico, movimentazione, stordimento e iugulazione necessitano di strutture idoneamente progettate per la specie macellata e il personale coinvolto nelle operazioni deve essere opportunamente istruito circa le migliori pratiche attualmente a disposizione. La formazione rappresenta un punto chiave per far sì che la sofferenza degli animali sia ridotta
al minimo. Gli operatori devono possedere una conoscenza completa dei macchinari, delle tecniche operative, ma anche nozioni etologiche di base delle specie animali con cui lavorano. Conoscere il modo in cui gli animali si comportano aiuta a gestirli e movimentarli in modo migliore. Un operatore preparato, tranquillo, consapevole dei punti critici da tenere sotto controllo e delle misure da adottare in caso di urgenza movimenterà e macellerà più agevolmente e velocemente gli
animali rispetto ad un operatore nervoso e impreparato. Alcune conoscenze di base relative al funzionamento e utilizzo dei macchinari e ai principi base di comportamento animale sono comuni per le diverse specie. Il tipo di corrente da utilizzare, i punti corretti di applicazione, alcune caratteristiche comportamentali sono peculiari per ciascuna specie e l’operatore dovrà conoscerli in modo specifico prima di poter operare con quel tipo di animale. (Fonte: Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna www.izsler.it) Nota * Il Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale (CReNBA), con sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna, sezione di Brescia, è l’autorità scientifica deputata a fornire sostegno scientifico alle autorità competenti, su loro richiesta.
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MACELLERIE D’ITALIA
Marco e Roberta Papalotti, attenti a quei due! di Elena Benedetti
I fratelli Roberta e Marco Papalotti nella loro bella bottega all’interno del Mercato Latino.
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iamo nella Capitale e più precisamente a due passi da San Giovanni, in piazza Epiro. Qui c’è il Mercato Latino, uno dei mercati rionali storici di Roma. La sua costruzione risale ai primi del Novecento e da allora ha subito numerose trasformazioni. Il fascino però è rimasto immutato, con botteghe artigianali, piccoli esercizi e quella quotidianità del quartiere nel quale tutti si conoscono. Si narra che tra i frequentatori ci fossero anche ALBERTO SORDI e un giovanissimo FRANCESCO TOTTI, originario di Porta Metronia, che si allenava in un campetto poco distante.
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Tra i banchi di frutta, verdura, fiori e formaggi trovo ad aspettarmi MARCO e ROBERTA PAPALOTTI, rispettivamente 36 e 30 anni, figli d’arte del padre Emilio e dello zio Mario, che intrapresero l’attività di macelleria dentro al Mercato Latino 60 anni fa. Marco si è infilato il camice a 16 anni e da allora si muove veloce dietro al banco mentre la sorella lo affianca da 8 anni. «Siamo cresciuti praticamente qua, ci conosciamo tutti tra clientela e colleghi degli altri banchi» mi racconta Marco. «Abbiamo tanto rispetto per questo mestiere e i nostri punti di forza
sono la qualità delle carni selezionate, il servizio e le materie prime, che poi alla fin fine è sempre quello che chiede la clientela». Tra un cliente e l’altro scatto qualche foto e cerco di non disturbare troppo il lavoro. La Bottega delle Carni dei fratelli Papalotti punta tutto sulle carni, naturalmente, dalla Fassona piemontese del COALVI, alla galiziana Rubia, dalle carni bio avicole di SAN BARTOLOMEO e PULICARO al suino dei fratelli Roccia, quelli di PORK ‘N’ ROLL. Non manca qualche preparato, curato da Roberta e spesso realizzato
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MEATY. store
Orgoglio Carnivoro, T-shirts etc.
Marco e Roberta hanno raccolto il testimone lasciato dal padre Emilio e dallo zio Mario, tra i decani del Mercato Latino, introducendo nuovi prodotti di eccellenza accanto alle proposte classiche e arricchendo quotidianamente lâ&#x20AC;&#x2122;offerta dei preparati grazie alla creativitĂ di Roberta.
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al momento in base alle necessità e al gusto della clientela. Qui si respira davvero un’aria confidenziale, tutti si conoscono e le faccende personali si intrecciano con gli ordini della spesa. L’atmosfera è intima, famigliare, dettata dalla quotidianità del passaggio, per l’acquisto delle salsicce di Cinta senese, degli arrosticini, delle bistecche tagliate giuste proprio come piacciono alla cliente, all’arrosto preparato al volo. «Noi macellai dobbiamo essere consapevoli del prodotto che offriamo e vendiamo ogni giorno e per questo — precisa Marco — la carne va spiegata, dalla scelta del taglio ai consigli sulla cottura, attraverso un racconto di quello che è un rapporto di fiducia e che sta alla base di tutto». «Il nostro lavoro non si esaurisce con la vendita della carne» aggiunge Roberta. «Dedichiamo parecchio tempo alla selezione delle aziende con cui lavoriamo, con la scelta delle razze, dalla Piemontese alla Cinta al biologico». Elena Benedetti La Bottega delle Carni dei F.lli Papalotti c/o Mercato Latino – Piazza Epiro 00183 Roma Telefono: 333 718 3015 Web: facebook.com/ labottegadellecarniroma
Il momento della vendita al cliente prevede la giusta scelta del taglio e la spiegazione, con i consigli di preparazione e cottura.
#PolloArrostoDay: un giorno per celebrare il secondo più amato in Italia Il 2 ottobre è #PolloArrostoDay: nel giorno della festa dei nonni sul web è stato celebrato anche il secondo più amato dagli Italiani, protagonista dei pranzi della domenica ma anche di versioni gourmet: Andrea Berton, ad esempio, ha recentemente dedicato un intero menù al pollo. Il pollo in effetti si presta a mille declinazioni ed è proprio la sua versatilità a renderlo la carne più consumata: nelle case italiane infatti rappresenta il 35% degli acquisti di carni fresche (Ismea su dati Nielsen). Un trend che si conferma anche fuori casa, considerando che nel 2018 è cresciuta la spesa extradomestica (83 mld secondo il Rapporto Coop 2019). Così, la più grande community italiana di amanti del pollo, W Il Pollo, è andata alla ricerca dei migliori polli arrosto d’Italia. Leggendario il pollo con patate del chiosco storico “Giannasi dal 1967” di Piazza Buozzi a Milano, considerato lo spiedo perfetto della città. All’ombra del Colosseo, un’altra istituzione nel quartiere Prati: il pollo arrosto morbido e speziato di “Franchi”, a Roma dal 1920. Scendendo più a Sud, non si può non assaggiare il pollo cotto a legna de “La Capannina Rossa” a Napoli, una delle rosticcerie take away più amate dai partenopei (fonte: EFA News – European Food Agency Srl).
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INSTITUTE OF MASTERS OF MEAT
La Vache tigre, questa sconosciuta di Elena Benedetti
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o scorso maggio a Panzano in Chianti DARIO CECCHINI ha tenuto a battesimo l’Institute of Masters of Meat, la rete di macellai e professionisti delle carni creata da FRANCK RIBIÈRE — regista del film documentario Steak (R)evolution — a cui aderiscono personaggi unici, ciascuno con la propria storia ed esperienza, e tutti accomunati dalla stessa visione: dare valore alla carne di qualità per ciò che rappresenta e per ciò che è. Ovvero il risultato di un complesso lavoro di filiera che coinvolge allevatori, veterinari, macellatori e trasformatori, in un contesto ambientale che non è più estraneo alla discussione ma parte integrante.
Prosegue il viaggio alla scoperta dei Masters of Meat, personaggi unici, ognuno con la propria storia ed esperienza, accomunati dalla stessa visione: dare valore alla carne di qualità per ciò che rappresenta e ciò che è
Nel corso di un barbecue che vedeva protagonisti sulle griglie alcuni dei tagli più straordinari del mondo, abbiamo avuto il piacere di conoscere JACQUES ABBATUCCI, allevatore, macellatore della Vache tigre, una razza bovina corsa, unica per resa qualitativa delle carni. La storia di Jacques, della sua famiglia e della sua visione di agricoltura biodinamica è affasci-
nante. La Vache tigre proviene da un’autentica varietà bovina corsa, identificabile dal suo inconfondibile e anomalo manto tigrato, detto Saïnata in lingua corsa. Ma la Vache Tigre oggi è un marchio, registrato nel 2006, risultato di una lunga selezione di bovini e che contribuisce a preservare e rinnovare questa “razza” corsa. Non sorprende quindi più vedere
Jacques Abbatucci con un capo di Vache tigre (photo © la-croix.com).
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In alto: Jacques in compagnia del butcher belga Hendrik Dierendonck nel corso della giornata che ha siglato la nascita dell’Institute of Masters of Meat. In basso: capi di Vache tigre al pascolo (photo © mon-cultivar-elevage.com). questi bovini dal manto rossiccioaranciato a strisce scure pascolare liberamente nei pendii bassi della valle del Taravo. L’azienda agricola FERME FIL DI ROSA di Jacques Abbatucci si trova nella parte meridionale della Corsica, tra Ajaccio e Propriano, in un contesto paesaggistico che varia tra estensioni di manto erboso e pendii di macchia mediterranea. Un alleva-
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mento che Abbatucci gestisce come se vivessimo nel XIX secolo ma con la tecnologia del XXI secolo! Ad eccezione dell’inverno, i 250 capi bovini vivono allo stato brado su centinaia di ettari di zona collinare, nutrendosi di erba e vegetazione e seguendo i propri ritmi. Questa alimentazione conferisce alla carne un sapore particolare e autentico.
Nei mesi invernali gli animali sono alimentati con foraggi autoprodotti dall’azienda agricola. L’erba viene tagliata in pianura, per essere distribuita fresca o confezionata in mazzi di fieno e garantire così un cibo abbondante tutto l’anno. La Ferme Fil di Rosa vanta la certificazione biologica e dal 2002 applica anche i principi dell’agricoltura biodinamica. Anche il macello e la sala di taglio e disosso sono certificati nel rispetto degli standard biologici e con marchio CE. La qualità della carne si basa su una selezione dei capi in base alla loro conformazione muscolare e all’adattamento alle condizioni di riproduzione. Cresciuto con la madre, il vitello viene nutrito con il latte di quest’ultima, con erba e vegetazione spontanea della macchia mediterranea. Particolare attenzione è rivolta al benessere dell’animale, che si ritrova nel gusto e nella tenerezza della carne. Quest’ultima viene commercializzata nelle macellerie e nella ristorazione. Ma chi è Jacques Abbatucci? È un allevatore e imprenditore decisamente affascinante che ha sposato un progetto unico, quello della tutela e valorizzazione di una piccola filiera della carne bovina corsa, e lo fa attraverso un profondo rispetto per la natura che lo circonda. Convinto difensore della Corsica in tutte le aree, purché si tratti di qualità e lealtà, oggi Jacques e due dei suoi fratelli, JEAN-CHARLES e HENRI, portano avanti l’attività di famiglia unendo il loro knowhow e contribuendo ciascuno per la parte di propria competenza: quando Jacques alleva i vitelli e Jean-Charles crea nuovi vini, è Henri che si mette ai fornelli per trasformare queste materie prime in piatti straordinari. Elena Benedetti EARL Vache Tigre Ferme Fil di Rosa – 20140 Serra di Ferro Corsica (Francia) Telefono: +33 06 08699445 E-mail: contact@vachetigre.com Web: www.vachetigre.com
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GARE CARNIVORE
L’Italia dei macellai Campioni d’Europa Il 22 settembre si è avverato un sogno per il nostro settore: la Nazionale Italiana Macellai ha vinto il primo triangolare europeo battendo Germania e Francia. Cinquanta minuti, mezzo maiale e un coscio di agnello, quattro giocatori per squadra e adrenalina a mille. Bravi ragazzi! di Andrea Laganga
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ugusta, Fleischerschule Augsburg, la scuola nazionale tedesca dove si insegna la professione agli aspiranti macellai. Qui i BUTCHER WOLFPACK – WBC TEAM GERMANY, il Team tedesco dei macellai che parteciperà al prossimo World Butchers’ Challenge, lo scorso fine settembre ha
organizzato il primo triangolare europeo per mettere alla prova tre realtà del WBC, circuito mondiale di gare per macellai. Italia, Germania e Francia sono state prescelte per battersi a colpi di coltello, già memori delle esperienze del WBC 2018, primo contest mondiale per l’Italia tenutosi a Belfast nel mar-
zo dell’anno scorso, dove le tre squadre si erano conosciute e confrontate dandosi l’arrivederci. Bene, quel giorno, alla fine, è arrivato. I butcher italiani non sono eroi, ma semplici professionisti che, oltre a portare avanti le proprie attività di macelleria, si dedicano con passione a qualcosa di speciale. Sono i ragazzi
La premiazione del Team italiano.
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Davide Cecconi, Mara Labella, Gianni Giardina, Fabrizio Gasparrini, Roberto Passaretta e Orlando Di Mario fotografati ad Augusta. della Nazionale Italiana Macellai: c’è chi li ha definiti sognatori o, addirittura, millantatori della professione, ma la realtà è che con le loro forze sono riusciti a conquistarsi la fiducia presso quella che è la più grande organizzazione mondiale per i butcher, il World Butchers’ Challenge, e, grazie a loro, possiamo tutti gridare Italia presente! Vi posso garantire che, se non vivi come loro queste emozioni, non puoi veramente capire ciò che si può trasmettere a livello di sentimenti attraverso un lavoro. Ci proverò. Userò le loro parole, cercando di descrivere al meglio le imprese di questi quattro gladiatori che, supportati da migliaia di colleghi, hanno portato a compimento. Abbiamo intervistato per primo il nostro caro amico DAVIDE CECCONI, conosciuto da tutti come il ciociaro nero. Un ragazzone apparentemente burbero ma dalla finezza e grande cura del dettaglio ricca come il suo cuore, alla sua seconda uscita coi colori della Nazionale dopo Belfast. «È stata una sensazione unica, bellissima, proprio come la paura» mi racconta Davide. «Eravamo lì, pronti a gareggiare, per scontrarci con due grosse realtà come Germania e Francia, due nazioni molto ben strutturate e all’avanguardia nel mondo della macelleria. La paura è rimasta presente e
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palpabile durante la gara, ma è stata superata in fretta dalla sicurezza delle doti della squadra, della preparazione e della progettualità che nei mesi precedenti erano state messe a punto. Un’emozione sicuramente differente dall’esperienza di Belfast, dove eravamo novelli a certi tipi di eventi, ma è pur vero che eravamo anche di più nella squadra. Sembrerà strano ma, spalleggiarsi da 6 a 4 persone fa cambiare la musica: meno sei e più ti senti gli occhi e la tensione addosso. Tutto comunque è filato liscio e il risultato ha ripagato gli sforzi e le paure vissute. Un’altra esperienza che va sicuramente a formare il carattere e la conoscenza di noi stessi ma, soprattutto, in questi momenti di condivisione con le altre realtà nazionali, capisci che il mondo intero ci vuole bene e ci stima perché l’Italia è Italia». Poi c’è R OBERTO P ASSARETTA , all’apparenza il più buono della squadra, ma “sentenziatore” di verità, con le sue parole giuste dette sempre al momento giusto. Anche per lui quella di Augusta era la seconda esperienza in campo con gli Azzurri dei coltelli. «Il 2019 per me è stato fino ad oggi un anno ricco e carico di forti emozioni» mi dice Roberto. «Sicuramente il primo momento, il più bello, è stato la nascita del mio piccolo Andrea,
ultimo arrivato in casa Passaretta. Se Dio lo vorrà, sarà anche lui un grande macellaio. Il percorso che ci ha portati in Germania è stato duro, intenso, con la preparazione fatta durante il periodo estivo nell’orario di chiusura tra il momento del pranzo e la riapertura pomeridiana del negozio o la sera dopo la chiusura. La tensione era tanta, la voglia di far bene ancor di più! I nostri sacrifici, soprattutto dopo gli ultimi allenamenti, ci hanno fatto capire che potevamo puntare solo ad un risultato: la vittoria! Lo dovevamo a tutta la categoria, alla squadra, che ha riposto in noi la voglia di fare bella figura, e alle nostre famiglie, che hanno sopportato le nostre assenze. L’emozione pre-gara era paragonabile a quella di Belfast; l’inno ci ha commossi e caricati, così come ci hanno caricati i colleghi presenti e quelli che seguivano la diretta sui social. Dopo la gara sapevamo di aver fatto un buon lavoro, sapevamo di avercela messa tutta, ma la paura di non sentire il nome del Team Italy dal microfono dello speaker che annunciava i premi era davvero tanta. Alla chiamata per la Miglior Salsiccia ecco il primo urlo ed il primo abbraccio di gioia! Poi l’annuncio della nazione vincitrice: ce l’abbiamo fatta!!! Abbiamo vinto contro la Francia campione del WBC 2016 e contro la Germania, padrona di casa». Arriviamo al gigante buono della Nazionale Macellai, nonché presidente della stessa: ORLANDO DI MARIO. Alla sua prima uscita sul campo di gara con la Nazionale, ma di certo ricco di esperienze professionali e di vita. Avevo proprio voglia di chiedergli perché un presidente decide di scendere in campo. «Bella domanda» mi risponde Orlando. «Perché? La risposta è presto detta: noi tutti della Nazionale Italiana Macellai ci sentiamo un po’ differenti dalle classiche associazioni di genere. Sì, è vero, ci sono pur sempre dei ruoli e degli incarichi da rispettare, ma quello che conta di più è che siamo tutti uniti per il
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“Roma” è stato il tema dominante dell’esposizione del Team italiano. bene comune della professione. Ed è proprio per questo che, in questa occasione, ho deciso che era giusto scendere in campo, per dare un mio contributo in prima persona. Secondo me un presidente deve dare per primo l’esempio, il coraggio e la motivazione giusta a tutti i componenti del Team, proprio come un babbo con la propria famiglia, che non deve solamente parlare ma deve sapersi mettere in gioco e dare, appunto, l’esempio. Con questo non voglio assolutamente passare per quello da seguire, non me ne vogliano altre figure simili alla mia, però penso che qualche capello bianco che inizia a vedersi possa aiutare a gestire situazioni a volte non semplici. Sono molto fiero di aver dato il mio contributo alla squadra, anzi, alla mia famiglia di macellai». Poi arriva lei, il gioiello del Team, la Lady butcher della Nazionale, la nostra MARA LABELLA. Una quota rosa conquistata per la sua mente geniale e quel tocco di femminilità che sa donare a tutto ciò che crea. Mara ci racconta come è stata la sua esperienza in Germania. «Viverla è
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stata un’opportunità inimmaginabile, un’esperienza che serberò sicuramente nel cuore. Non nego che il lavoro che c’è stato dietro prima di arrivare alla gara non è stato affatto semplice: riuscire a realizzare quello che mi passa per la mente non è una passeggiata, soprattutto quando sembra impossibile per altri. Ma io sono così, testarda e caparbia, e quando mi metto in testa una cosa devo riuscire a portarla a termine. E questo è ciò che siamo riusciti a realizzare. Un tema che accomunava tutti i componenti del Team, e che è stato ben rappresentato in tutta la nostra esposizione di gara, era “Roma”, scelta obbligata viste le nostre radici laziali e, naturalmente, anche come simbolo della nostra civiltà. Vivere questa seconda emozione è stato sicuramente differente — prosegue Mara — memori di Belfast 2018, quest’anno ci eravamo preparati in modo diverso, anche se in tempi assai ristretti, ma con l’organizzazione della gara fatta in maniera molto più certosina. Non vi nascondo che nei momenti prima del fischio iniziale ho
avuto un po’ di quella sana paura che serve per affrontare al meglio e con lucidità la competizione. Poi sono iniziati i 50 minuti più progettati della mia vita, tutto secondo i piani che fino a pochi giorni prima ci eravamo studiati alla perfezione coi miei compagni. Posso dire che essere donna in una competizione come questa ti fa avere gli occhi dei giudici puntati addosso; stanno lì a guardarti per vedere tutto ciò che fai e crei, pronti a trovare il minimo errore. Però, per come sono fatta io, questa non è una difficoltà, anzi. Il momento più bello? Ricevere il premio come Miglior Team in una competizione tra colossi. Questo riconoscimento, infatti, ci dà ancora più energia nel proseguire nel nostro cammino a testa alta, onorando tutta la categoria dei macellai italiani che cerchiamo di rappresentare nel migliore dei modi nel mondo». Rispetto alla competizione di Belfast, quest’anno c’era una nuova figura subito fuori dal campo gara: FABRIZIO GASPARRINI, nelle vesti di coach ufficiale del team. Una nuova figura che sicuramente ha signifi-
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cato qualcosa in più. «Arrivati in Germania — mi racconta Fabrizio — onestamente ancora non avevo preso coscienza di quello che sarebbe stato esattamente il mio ruolo all’interno di una competizione come questa. Poi, appena abbiamo iniziato a preparare il display e il banco da lavoro, ho capito quale era il ruolo del coach. Il momento del pre-gara di un giocatore non è un momento di forte lucidità. Le emozioni sono molto intense e l’adrenalina sale, giocando brutti scherzi alla concentrazione. Anche i movimenti più semplici diventano spesso difficili da svolgere. Ed è proprio qui che entra in gioco il coach, colui che coordina le azioni di preparazione ma, soprattutto, infonde in ognuno la tranquillità e il massimo della serenità attraverso la presa di coscienza delle proprie possibilità. Dal fischio di inizio in poi, invece, cambiano i compiti. Dall’esterno riesci a vedere e a seguire la completezza del team. Il giocatore porta avanti il proprio ruolo a testa bassa, perdendo a volte di vista il resto della squadra. Come un maestro d’orchestra, il coach allora deve riuscire ad unire e sincronizzare al meglio ogni singolo passaggio per arrivare all’armonia finale. Il momento della vittoria è particolare. Quando il primo premio sul prodotto Salsiccia — indicato fin dall’inizio della competizione come premio speciale —, viene assegnato al Team Italia, rimani spiazzato dalla gioia e non capisci più nulla. Vincere nella patria delle salsicce un premio come questo è tanta roba e capisci che l’Italia in Europa tutto sommato alla fine è ben apprezzata. Vedersi aggiudicare poi anche il premio come Miglior Team e quindi della Vittoria del triangolare non è descrivibile a parole». Per finire, ad Augusta è stato assegnato ad uno dei componenti del Team l’incarico di una nuova figura: il giudice internazionale. A fare da garante e controllare l’andamento della gara con i colori della Nazionale Italiana Macellai è stato scelto il siciliano GIANNI GIARDINA, vicepresidente della squadra e giocatore durante la prima esperienza
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a Belfast. Il ruolo di giudice consiste nel valutare gli elaborati in modo imparziale ma, soprattutto, professionale. In una gara internazionale, infatti, le difficoltà aumentano, visto la diversificazione delle modalità di lavoro che ogni nazione propone secondo le proprie usanze e abitudini. La performance di Gianni è stata essenziale, a partire dal fatto che, grazie alla sua padronanza della lingua inglese, ha saputo spiegare alla perfezione alcune delle preparazioni del Team tricolore, facendone apprezzare la complessità dell’elaborazione. Questo proprio perché non tutte le nazioni sanno comprendere nell’immediato il perché di alcune lavorazioni. Risultato? Apprezzamento diretto per ogni preparazione. «Sicuramente un’emozione differente rispetto all’esperienza del World Butchers’ Challenge» dichiara Gianni. «Da giocatore passare a giudice non è facile, soprattutto quando il tuo ruolo è quello di rimanere imparziale e davanti a te c’è la tua squadra. Ma rappresentare i tuoi colori nella veste di giudice internazionale a fianco di altri due big della carne in Germania è stato sicuramente un onore. L’emozione più bella è stata quando, all’unanimità, abbiamo assegnato la vittoria per la Miglior Salsiccia all’Italia. E sapete qual è stata premiata? La salsiccia a noi più cara, quella della tradizione: solo carne di suino, sale, pepe e un po’ di finocchietto selvatico. Una delizia per tutti i palati. Non vi nego che il coltello in mano mi è mancato assai ma sono fiero ed onorato per essere stato scelto per le mie qualità in questo importantissimo e splendido ruolo». Che dirvi ancora cari amici, rivivere questi momenti attraverso le parole di chi c’era mi commuove e mi emoziona. La Nazionale, come dice sempre il nostro presidente, «deve essere rappresentativa e sentita da parte di tutta la categoria dei macellai d’Italia». Quando porti avanti i tuoi sogni con passione, ecco che vedi tutta l’Italianità apprezzata nel mondo. Parola del butcher! Andrea Laganga www.facebook.com/maremmacheciccia
CURIOSITÀ
Da San Miniato alle Isole Faroe, inseguendo la carne di Elena Benedetti
«S
e hai paura del vento non visitare le Isole Faroe» ci ha detto ANDREA FALASCHI — il nostro amato butcher toscano, titolare, col resto della famiglia, della MACELLERIA NORCINERIA SERGIO FALASCHI e del RETROBOTTEGA —, al
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ritorno nella sua San Miniato da una vacanza nel punto più estremo della Danimarca, in quell’arcipelago di 18 isole nell’Oceano Atlantico settentrionale. «E se hai paura che i programmi possano cambiare ogni 10 minuti — ha
poi aggiunto — non ti sognare di visitare le Faroe, perché in quella dimensione spazio-temporale tutto può mutare molto velocemente». Al punto, che nella prolungata permanenza su una delle isole, Andrea è incappato proprio in una
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A sinistra: le Faroe sono un arcipelago a governo autonomo che fa parte del Regno di Danimarca e comprende 18 isole vulcaniche rocciose situate tra l’Islanda e la Norvegia, nell’oceano Atlantico del Nord. La popolazione locale è davvero contenuta: si parla infatti di poco più di 49.000 abitanti, battuti in numero dalle vere protagoniste delle grandi distese verdi faroesi: le pecore. Queste, libere di muoversi su tutto il territorio, sono oltre 80.000 (photo © ezioman – stock.adobe. com). In basso: Andrea Falaschi.
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1) Tipiche abitazioni di TĂłrshavn, la capitale delle Faroe. 2) I fuochisti faroesi. 3) Magro di bue. 4) La preparazione dellâ&#x20AC;&#x2122;agnello per la cottura con birra artigianale faroese Okkara. 5) Tagliata di fegato di bue. 6) Zuppa di agnello: il brodo è ricavato dalla bollitura delle ossa di agnello.
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festa di macellai, che per i Faroesi è la vera celebrazione della carne. Eh sì, perché se a maggio si festeggia il pesce, con la stagione delle catture, a settembre tocca alla carne. «Quasi per caso sono capitato alla festa della carne a Tórshavn — il cui nome significa “porto di Thor”, in onore del dio norvegese del tuono e del fulmine, NdR —, la capitale delle Faroe che si trova a sud dell’isola di Streymoy. Coi suoi 13.000 abitanti Tórshavn è la capitale più piccola di Europa». I protagonisti di questo evento carnivoro dal sapore decisamente nordico sono stati il vitello, un bue di 6 mesi e l’agnello, cotti sulle griglie o bolliti a lungo tempo. «Perché come dicono i Faroesi, tutto cambia in 10 minuti, e su questa tempistica sono più precisi di uno Svizzero, anche se parecchio, parecchio approssimativo a dire il vero…». Le carni provenivano dalle isole più a Nord, un territorio incontaminato nel quale gli allevamenti vantano ampie superfici e un ricchissimo manto erboso. Una passione per tutto ciò che è ræst Le isole Faroe sono oggetto di curiosità per la loro particolarissima cultura gastronomica locale e il GUARDIAN le ha recentemente
definite “la nuova frontiera del cibo nordico”, in quanto capaci di attrarre l’attenzione della cucina d’autore internazionale. Uno dei sapori più distintivi è quello che i Faroesi chiamano ræst, che significa fermentazione. Si tratta di un processo di essiccazione della carne e del pesce fatto all’aperto, tale da attivare un processo di maturazione o fermentazione. Il giusto bilanciamento del gusto dipende dal clima: le temperature più calde lo rovinano, quelle molto fredde impediranno la fermentazione e il troppo vento lo renderà insapore. Il passaggio dalle carni di Cinta senese, da quelle di Chianina e dalla Finocchiona accompagnate da un buon calice di vino rosso al ræst e ai buoi delle Faroe, non deve essere stato facile per Andrea, ma lui è un viaggiatore e il viaggio è sempre una scoperta da cui farsi sorprendere. Come diceva l’autore scozzese ROBERT LOUIS STEVENSON, infatti, “non ci sono terre straniere; il viaggiatore è il solo straniero”. Elena Benedetti Nota Per maggiori informazioni e per organizzare al meglio un viaggio alle Isole Faroe potete visitare il sito: www.visitfaroeislands.com
Okkara, sponsor della festa carnivora svoltasi nel mese di settembre a Tórshavn, è la più piccola delle due birrerie artigianali faroesi. Okkara significa “nostro”. L’attività del birrificio, nato dalla volontà di un gruppo di imprenditori e mastri birrai norvegesi, è iniziata nel 2010. Tra le birre speciali prodotte dalla piccola etichetta citiamo la Rinkusteinur, una ale fermentata e invecchiata con rocce faroesi. Le rocce porose, riscaldate a 800 gradi Celsius e poste nel mosto, caramellizzano la bevanda. Perfetta per accompagnare l’agnello fermentato (ræst kjøt). >> Link: www.okkara.fo
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SPECIALE BBQ
La prima gara di BBQ americano sanzionata dalla KCBS a Roma
Caput Mundi BBQ Competition
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no spazio incredibile come l’ex Mattatoio di Roma, considerato uno dei più importanti edifici di archeologia industriale della città, sito in zona Testaccio, ha ospitato nei giorni 11, 12 e 13 ottobre la prima gara di American Barbecue KCBS. L’evento, denominato Caput Mundi BBQ Competition, è stato organizzato dalla A.C.S.D. Suqulento (www.suqulento.it), associazione nata ad inizio 2016 dall’incontro di 4 appassionati di American BBQ. L’obiettivo della tre giorni? Diffondere la cultura del barbecue anche in una zona del nostro Paese, qual è il Centro Italia, in cui ancora questo movimento tarda a radicarsi come invece è già
avvenuto in diverse regioni settentrionali. The Kansas City Barbeque Society è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1985 da CAROLYN e GARY WELLS e RICK WELCH che si dedica “alla promozione e al piacere del barbecue e del grilling” e a cui preme, soprattutto, l’educazione dei suoi associati, che sono attualmente 18.000. Ratificando 450 contest di barbecue a livello globale e avendo certificato più di 20.000 giudici dalla sua fondazione, KCBS è una vera e propria autorità nel settore. Gli otto team partecipanti alla competizione romana si sono “scontrati” secondo il regolamento ufficiale KCBS, che prevede quattro categorie di prodotto: Chicken (pollo
e non pollame); Pork Ribs (costine di maiale); Pork Shoulder (spalla di maiale); Beef Brisket (punta di petto di manzo). Ogni assaggio può essere presentato chopped (tritato), pulled (sfilacciato), sliced (a fette) o diced (a cubetti). Tre invece sono i criteri di giudizio, rigorosamente al di sopra del proprio gusto personale: aspetto (appearance), gusto (taste), tenerezza (tenderness). Il punteggio va da 9 (eccellente) a 2 (immangiabile). Altre regole fondamentali? Ogni assaggio avviene alla cieca e non deve essere comparativo; solo acqua naturale e cracker tra un assaggio e l’altro; si mangia con le mani! I risultati della gara sono disponibili sul sito di KCBS: mms.kcbs.us
Mano Zaal, commerciale Veal Vanlommel, dirige il team olandese BBQ+ campione europeo BBQ 2018.
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1) Cesare Radaelli, Vincenzo Sisto, Niclas Herzum e Martin Bode. 2) Il panino star della serata, “The Dutch”, con vitello arrosto di EKRO-VanDrie Group. Il ricavato della vendita dei panini è andato integralmente in favore del Dynamo Camp, associazione che offre gratuitamente programmi di terapia ricreativa a bambini e ragazzi, dai 6 ai 17 anni, affetti da patologie gravi o croniche, in terapia o nel periodo di post ospedalizzazione. Tutti gli alimenti non consumati alla fine dell’evento sono stati dati in beneficenza alla comunità romana di S. Egidio. 3) Uno dei due vitelli olandesi di EKRO-VanDrie Group cotto per oltre 18 ore nello spiedo a vista Alpen Bull. 4) Sebastiano di Alpen Bull. 5) Della serie “attenti a quei due”: Gaetano Ciani di Procarni con Mirko Matteucci, il tassista-opinionista Missouri4 di Propaganda Live. 6) A Roma anche i barbecue olandesi The Bastard, realizzati in ceramica cordierite di alta qualità.
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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?
Julie’s Haircut, Our Secret Ceremony
Colazione psichedelica tra la Via Emilia e il grande Nord di Giovanni Papalato
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n questa rubrica che ha più di un anno, quasi due qui su EUROCARNI, non mi era ancora capitato di raccontare un disco che avesse in copertina un collegamento anche a IL PESCE, altra rivista del nostro editore. È invece il caso di questo Our Secret Ceremony, in cui nel collage di una fotografia in bianco e nero siedono al tavolo di una colazione due bambini e alcune figure antropomorfe, o almeno vestite come tali, ma col capo di animali. Si distinguono chiaramente un cane, una foca, un astice e un asino. Di quest’ultimo abbiamo già ricordato lo stracotto, parlando di The Waiting Room di TINDERSTICKS (EUROCARNI n. 5/2018, pag. 128), senza però dire che, a seconda del taglio, si può gustare anche alla griglia e alla cacciatora. Quello che mi ha incuriosito di più, indagando per ricette sulla foca, carne dal gusto non particolarmente ricco ma molto nutriente, è stato il Kviaq. Si tratta di un piatto degli Inuit, che a noi occidentali muove sentimenti molto diversi rispetto a quelli legati alla loro cultura, gastronomica e non solo. E una parte di disagio, ad essere sincero, dato dalla distanza da un contesto così estremo nonostante la curiosità che mi contraddistingue. È una ricetta del Nord della Groenlandia in cui si svuota la carcassa dell’animale, lasciando solo uno strato di grasso. Poi si riempie con centinaia di uccelli marini non puliti, quindi con penne, becco e zampe. Si richiude la carcassa e si cosparge di grasso di foca, per poi lasciarla fermentare sotto le pietre
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per mesi, fino al suo consumo nella stagione fredda. Ecco, sicuramente la colazione psichedelica rappresentata nel 2009 sulla copertina di Our Secret Ceremony,
quinto album a forma JULIE’S HAIRCUT a dieci anni dall’esordio, ha un immaginario totalmente distante da tutto questo. Anche se la struttura del disco, diviso in due parti, Sermons
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e Origins, su due vinili trasparenti in una bellissima edizione gatefold, ha un senso di ritualità e di ancestrale rinnovamento proprio come certe ricette che si perpetuano nel tempo, con tutta la loro necessità e magia. È un disco fondamentale nella discografia del gruppo che viene dalle province di Modena e Reggio Emilia, perché contiene al suo interno certe strutture che sono cambiate nel tempo, ma che sono legate ad un certo contesto di forma canzone, ma anche e soprattutto, le prime avvisaglie di una direzione futura che porterà a dischi molto importanti e fino a quel momento impensabili da chi, come il sottoscritto, li seguiva fin dai primi 45 giri, ben rappresentati dall’esordio Fever In The Funk House.
Attenzione, i Julie’s sono sempre stati in evoluzione, passando attraverso fasi e suggestioni in maniera sempre credibile, rendendo ogni disco un’esperienza fatta di sorpresa e fascino. Sperimentazione è la parola chiave per capire la loro discografia, senza paura di finire in uno stereotipo. La prima parte, il primo disco, inizia con Sleepwalker, che parte da una tensione elettrostatica, la tiene stretta e si insinua come un mantra che cresce sui synth e una ritmica serrata e costante, tra distorsioni e melodia. Quando comincia The Shadow, Our Home, ci si ritrova in un paesaggio kraut, in cui certe chitarre alla Neu si muovono tra note concentriche di tastiera e le voci che invitano ad avventurarsi nell’incerto.
Passi definiti nonostante l’oscurità, sicuri in The Stain, con un basso che si carica il brano sulle spalle e lo porta in una sospensione di voci e delay, per poi esplodere e distorcere. The Devil In Kate Moss ha tutto per entrare e rimanere. Il riff, una cantilena a due voci, l’indie e la psych, la sovrapposizione, il ritmo scandito, perdersi e ritornare ricominciando e travolgendo. Quasi western l’attacco di The Dead Will Walk The Earth, sotto luci stroboscopiche e atmosfere di un certo espressionismo cinematografico, con un cantato contagioso che si ficca in testa e lascia traccia da seguire e rinnovare. Girando lato, Origins è un brano di 12 minuti, un giro che ricorda certa musica da camera su cui si aggiungono strati sonori fino a farsi
Carne in fermento Un antico rimedio per non morire di fame durante la stagione più fredda e oggi considerato dalle popolazioni settentrionali della Groenlandia un cibo prelibato, preparato soprattutto per le occasioni speciali, come compleanni o matrimoni. Il Kiviaq è un piatto tradizionale della cucina degli Inuit groenlandesi a base di uccelli marini come gli alcidi (soprattutto gazze marine), posti a decomporre all’interno di una pelle di foca usata come involucro di fermentazione e decomposizione. Con la tecnica della fermentazione (i cibi fermentati fanno parte di moltissime cucine in tutto il mondo) nelle regioni artiche viene trattata anche la carne di tricheco e di altri mammiferi marini. Il metodo usato, detto Igunaq, consiste nel seppellire nel terreno la carne tagliata a pezzi e il grasso degli animali catturati in estate; il processo di fermentazione continua nei mesi autunnali e le “bistecche”, che poi si congelano in inverno, saranno pronte da mangiare l’anno successivo. Il consumo di questi alimenti non è tuttavia privo di rischi: una produzione impropria può infatti portare a malattie e morte a causa del botulismo.
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trascinare da riff sferraglianti che si placano in una quiete liquida e minimalista da dove si riemerge al ritmo di un incedere marziale e un sax dalle note mediorientali, in un crescendo che riprende il principio alterandolo. È un brano importante nell’economia del disco, una sorta di manifesto di ciò che è e che potrebbe essere nella musica dei Julie’s Haircut. Così l’attacco “urbano” dei fiati free jazz di Mean Affair è estranea fino ad un certo punto, con insynth a tenere un filo rosso a volte fino, a volte più spesso lungo tutti i brani. Lisergica e indolente, bellissima Mountain Tea Traders, una suggestione perfetta, un luogo altro e allo stesso tempo intimo. A chiudere questo primo vinile Let The Oracle Speak si continua su un percorso psichedelico, allucinato, in movimento perenne, tra evocazioni e dub. Si conclude così Sermons, ma siamo solo a metà del viaggio, a metà della cerimonia. La seconda parte Liturgy si apre con un brano morbi-
do ed elastico, dall’insolito titolo in italiano, La Macchina Universale, che precede The Devil In Kate Moss part II: Exorcism, una reprise acida che nasce da un pastiche vocale che rimane per qualche minuto in sottofondo, incomprensibile ma perfettamente integrato nella dinamica del brano. Dilatato, ripenso ai Neu, una tensione trattenuta, scevra di quelle chitarre distorte che prendevano la scena nella prima parte, così protagoniste lì e così lasciate da parte qui. Hidden Channels Of The Mind è rumori ambientali, onde, vento poi glockenspiel, basso elettrico che guida, mantra om, un dialogo tra chitarre e piatti, ipnotica per 10 minuti è la fine straniante del lato A di questa seconda parte. Un altro dei punti più importanti del disco è Breakfast With The Lobster, una suite di 13 minuti in una quasi completa libertà strutturale, tra sax alto, campane, jazz prog, fughe e rimpiattini, kraut e psichedelia, dialoghi e introspezioni. Tiene tutto e riesce.
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Una chitarra acustica che era nascosta, o comunque meno in vista nei brani precedenti, è invece al centro di Ceremony. Sembra di essere all’alba o comunque in una situazione di confine temporale, mentre sta finendo qualcosa e cominciando altro, mentre si confondono i suoni artificiali dei synth con quelli naturali. La conclusiva The Came To Me è pacificazione, pianoforte e voce femminile che quasi recita una filastrocca, violino e acustica, loops, risveglio e commiato. Our Secret Ceremony è bello e importante. Per i Julie’s Haircut che l’hanno scritto e suonato, per il loro percorso, perché c’è un prima e un dopo questo album. Ma non solo per loro, perché dischi come questi sono una ricchezza per chi ascolta. Una cerimonia segreta a cui si vuole tornare e che è bello tradire, raccontandola. Giovanni Papalato Nota A pag. 133 photo © Lucio Pellacani.
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FIERE
L’innovazione in macelleria a iMEAT® España 2019 La fiera si è svolta a Fira de Cornellà-Barcellona il 6 e 7 ottobre. Per questa seconda edizione è aumentato il numero delle aziende espositrici, con una proposta merceologica assortita e rispondente ad innumerevoli esigenze
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2 espositori — circa il 25% in più rispetto all’edizione 2018 — con una forte rappresentanza di aziende spagnole, alle quali si è affiancata una decina di imprese italiane. Su un’area di circa 3.500 m2, presso la Fira de Cornellà-Barcellona, è andata scena nelle giornate del 6 e 7 ottobre la seconda edizione di iMEAT® España. La compagine degli espositori si è caratterizzata per la sua diversificazione merceologica focalizzata su macchinari, attrezzature, ingredienti, accessori, carne e altri prodotti dedicati al negozio di macelleria, soprattutto quello interessato ad ampliare la propria offerta ed attualizzare l’attività con proposte innovative. L’affluenza di operatori è stata mediamente in linea con quella della prima edizione e alcuni espositori hanno rilevato più presenze al di fuori dell’area di Barcellona. iMEAT® España è del tutto simile alla fiera iMEAT che da sei edizioni si svolge in Italia presso la fiera di Modena e ne ha replicato il format rappresentando un evento unico nel suo genere: iMEAT® España permette infatti l’esplorazione di nuove opportunità di business e di confronto ed incontro tra diverse realtà focalizzate sul mondo della carne e della macelleria al dettaglio spagnola. Per questo, oltre alle aziende espositrici che mantengono l’indiscussa centralità, la fiera ha messo a calendario un programma di corsi teorico-dimostrativi, conferenze e performances. In particolare, una delegazione di macellai
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italiani in rappresentanza di FEDERCARNI ha catalizzato l’attenzione dei visitatori realizzando preparati ed elaborati vari di carne. Oltre al Gremi de Carnissers Xarcuters i Aviram (www.gremicarnissers.com) di Bar-
cellona, a iMEAT® España hanno presenziato altri enti istituzionali, tra cui CEDECARNE (Confederación Española de Detallistas de la Carne), che è la federazione professionale spagnola nel settore della vendita
L’affluenza di visitatori a iMEAT® España è stata in linea con la prima edizione.
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al dettaglio di carne e riunisce varie associazioni regionali e provinciali della Spagna, contando più di 25.000 iscritti, e Federació Catalana de Carnissers i Cansaladers-Xarcuters presenti con un proprio stand. «Il nostro obiettivo era quello di mettere in relazione il mondo spagnolo del dettaglio della carne con quello dei fornitori italiani e spagnoli» ha sottolineato LUCA CODATO, organizzatore di iMEAT® España con la sua società ECOD. «Guardiamo ad una futura evoluzione, come del resto è avvenuto per la fiera iMEAT italiana, che ci vede impegnati immediatamente. Ringrazio le aziende espositrici e i visitatori per la fiducia che ci hanno dimostrato anche in questa occasione e lo staff di Fira de Cornellà per l’assidua assistenza».
La delegazione di macellai artigiani Federcarni che ha partecipato ad iMEAT® España 2019 in collaborazione con Gremi de Carnissers di Barcellona, qui con il vicepresidente vicario Stefano Casella.
Complimenti ai macellai artigiani italiani in Spagna: ecco alcuni scatti alla delegazione Federcarni e ai loro splendidi preparati, attraverso i quali è stato rappresentato perfettamente lo stato dell’arte della macelleria Italiana. Un eccellente lavoro di squadra e preparazioni assolutamente innovative: bravissimi!
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TECNOLOGIE
Digitalizzazione: il punto di vista dei decision makers a livello globale secondo un sondaggio condotto dal gruppo CSB-System
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ell’industria della carne la digitalizzazione è in piena evoluzione. Pur avendo già introdotto alcuni miglioramenti, i responsabili del settore sono convinti che debbano arrivare ancora grandi cambiamenti. Per la trasformazione in Smart Factory, si affidano principalmente ai sistemi ERP. Questo è quanto emerso dalla seconda edizione del sondaggio sulla digitalizzazione condotto dal gruppo CSB-System, al quale hanno partecipato 121 aziende del settore Alimenti & Bevande, situate in 29 Paesi diversi. Secondo il sondaggio, dal punto di vista economico, i tempi sono ancora molto buoni per i produttori di alimenti. Nonostante l’alta pressione sui prezzi, la stragrande maggioranza degli intervistati valuta la situazione attuale ancora come positiva e si aspetta sviluppi positivi negli anni a venire. Tuttavia, questo ottimismo va di pari passo con tre grandi sfide: • le richieste crescenti da parte dei rivenditori per quel che riguarda varietà di assortimento, tempi di reazione e flessibilità; • le tante norme internazionali su sicurezza alimentare, etichettatura e tracciabilità; • la maggiore domanda dei consumatori in termini di qualità e freschezza. Per molti dirigenti è l’Information Technology la chiave verso i miglioramenti. Da qui il significativo aumento dell’importanza attribuita alla divisione IT: il 17% degli intervistati, vale a dire il doppio rispetto al 2017, ritiene l’IT molto importante.
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Le risposte dei partecipanti confermano inoltre che le aziende che classificano l’IT come “molto importante” sono proprio quelle che coerentemente fanno i maggiori investimenti in quel settore. Tuttavia, se si confrontano questi risultati con quelli di altri settori industriali, si evidenzia che le aziende alimentari non sono molto propense ad investire in nuove tecnologie. Solo il 15% circa, che è comunque 7 punti percentuali al di sopra di quanto emerso nel 2017, spende per l’IT più dell’1,5% del suo fatturato. Quasi il 70% degli intervistati, una
quota schiacciante dunque, investe per la digitalizzazione non più dell’1% del suo fatturato. Messe a confronto, secondo gli analisti della FORRESTER, le aziende statunitensi di medie dimensioni spendono per il reparto IT il 4,3% del loro fatturato. Il sistema alimentare cambierà radicalmente a seguito della digitalizzazione Il volume di investimenti relativamente basso sorprende se si pensa che gli intervistati danno per scontato che le nuove tecnologie digitali
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e le opportunità da esse derivanti cambieranno in modo massiccio il settore alimentare. Addirittura, l’86% degli intervistati ritiene che nei prossimi 20 anni la digitalizzazione avrà un impatto determinante sull’industria alimentare. Più di un terzo degli intervistati (36%) ritiene che saranno principalmente i produttori di alimenti
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a giovare della digitalizzazione: la trasformazione digitale sta introducendo la produzione smart e integrata, avvicinando produttori e consumatori. I produttori saranno maggiormente capaci di produrre alimenti sempre più personalizzati a un costo ragionevole. Già oggi inviare gli ordini direttamente al produttore è diventata la regola.
Un altro aspetto interessante è l’impatto economico delle piattaforme: circa il 27% degli intervistati vede un cambiamento radicale nelle strutture del mercato, causato da grandi attori come Amazon e Alibaba, ma anche le piattaforme specifiche per alimenti, dove produttori e rivenditori possono vendere i loro prodotti, sono in aumento.
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Quattro compiti per la trasformazione e l’ERP gioca un ruolo centrale Secondo gli intervistati, il fatto che vi sia un chiaro divario tra questa consapevolezza e le effettive attività di digitalizzazione è dovuto soprattutto alle scarse competenze dei dipendenti e alla scarsa conoscenza delle soluzioni offerte dal mercato. Pertanto, la maggior parte delle aziende non ha affatto impostato un calendario di digitalizzazione. Se si combinano le dichiarazioni dei manager del settore con l’esperienza del gruppo CSB, specialista IT per l’industria alimentare da oltre 40 anni, si evince che vi sono almeno quattro punti da affrontare per proiettarsi verso la Smart Factory: 1. aumentare la trasparenza; 2. ampliare la digitalizzazione di marketing & commerciale; 3. digitalizzare ancora di più i processi di fabbrica; 4. migliorare qualità e tracciabilità. Anche in futuro i sistemi ERP continueranno ad essere il perno di molti processi dell’industria alimentare; tuttora svolgono già un ruolo importante nella strategia di digitalizzazione delle aziende, perché sono essenziali per la gestione dei dati e dei movimenti delle merci, nonché per l’elaborazione di molte altre informazioni. Infine, la maggior parte delle applicazioni software utilizzate in un’azienda, come anche nuove tecnologie, negozi on-line e app,
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devono essere necessariamente connesse all’ERP. In altre parole, l’ERP svolge la funzione di sistema nervoso centrale dell’azienda e offre quindi la possibilità di aumentare la trasparenza, promuovere il collegamento in rete della supply chain e migliorare le capacità di risposta dell’azienda. Nel complesso, gli intervistati, pur ammettendo i molti vantaggi derivanti dall’uso dei sistemi ERP, allo stesso tempo affermano che le aspettative sono troppo elevate. Gradirebbero ad esempio, che il proprio sistema fosse più user-friendly e offrisse capacità di documentazione più avanzate come anche maggiori opzioni di analisi. Intelligenza artificiale è top, le stampanti 3D sono un flop Il sondaggio ha inoltre valutato quattro nuove tecnologie in termini di potenziale per l’industria alimentare. Qui i robot collaborativi e l’intelligenza artificiale (AI) sono in prima linea. La società di consulenza GARTNER è convinta che l’intelligenza artificiale porterà numerosi vantaggi e sia addirittura la tendenza tecnologica con il più alto valore strategico. Le aziende si aspettano significativamente meno dalla stampa 3D e dalla blockchain. Mentre la stampa 3D ha perso molto slancio dopo un buon inizio, potrebbero essere molteplici i motivi delle scarse prestazioni della blockchain.
È vero che la tecnologia offre una grande opportunità per migliorare la trasparenza della filiera alimentare, che è esattamente una delle principali preoccupazioni di questo settore; tuttavia, i decision-maker non sembrano essere ancora abbastanza sicuri che la blockchain riesca a imporsi nell’industria alimentare, almeno non nel prossimo futuro. Probabilmente perché i produttori di generi alimentari, in generale, non possono essere annoverati tra i pionieri nell’applicazione delle nuove tecnologie. Al contrario, le grandi società di distribuzione come Walmart e Carrefour hanno già iniziato a utilizzare la blockchain; resta da vedere fino a che punto i rivenditori richiederanno ai produttori l’integrazione di questa tecnologia.
Referente: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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Niederwieser Spa: la nuova linea di film e buste riciclabili per l’economia circolare, da oggi disponibile anche in versione “semirigida”
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er anni l’obiettivo dell’azienda NIEDERWIESER SPA è stato quello di creare un prodotto che supportasse l’economia circolare. Oggi tutto questo è reale. Il progetto NextFlex Con il progetto NextFlex, Niederwieser lancia sul mercato la nuova linea di film termoformabili e buste per sottovuoto riciclabili. Un innovativo
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metodo per il confezionamento sottovuoto e in atmosfera modificata che garantisce ottime prestazioni e un’effettiva riduzione degli sprechi. La generazione NextFlex abbatte il concetto di rifiuto sostituendolo con quello di riciclo. Nulla viene sprecato, tutto è valorizzato e reintrodotto in un processo di economia circolare, massimizzando la vita del prodotto per ridurre la produzione
dei rifiuti. Tra tutti i requisiti che gli imballaggi alimentari devono soddisfare, il più importante è la protezione del prodotto stesso. Affinché quest’ultimo si conservi e sia sicuro fino al momento del consumo, l’imballaggio primario deve essere progettato e sviluppato in maniera tale da prevenire, o almeno ritardare, il deterioramento chimico, microbiologico e fisico del contenuto.
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Difatti, la maggior parte dei prodotti alimentari si deteriora in qualità a causa di fenomeni di trasferimento di massa come l’assorbimento di umidità e di odori, l’invasione di ossigeno e la perdita di sapore. Fino ad oggi questo obiettivo poteva essere raggiunto unicamente con materiali convenzionali, difficilmente riciclabili per la loro incompatibilità con i requisiti delle strutture di selezione e riciclo. NextFlex è l’ingrediente alla base della rivoluzione green messa in atto da Niederwieser. La sua formulazione a base di Monopoliolefine contribuisce alla sostenibilità e soddisfa i requisiti delle normative in termini di imballaggio. La versatilità di questo nuovo materiale lo rende adatto sia a film per termoformatura che a buste per sottovuoto. I film NextFlex e le buste CombiNext made with NextFlex sono oggi una risposta riciclabile nel mondo del packaging. Il confezionamento sottovuoto: ieri e oggi In un mondo dove lo spreco alimen-
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tare è una questione di primaria importanza, il confezionamento sottovuoto o in atmosfera modificata non deve essere visto come una minaccia, bensì come una soluzione per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Attualmente i film e le buste utilizzati nell’ambito del packaging alimentare sono realizzati da una combinazione di materie plastiche di vario tipo. Queste hanno lo scopo di fornire all’imballo resistenza meccanica, barriera ai gas e all’umidità, termoformabilità e saldabilità, preservando così l’atmosfera protettiva all’interno del pack. Pur essendo efficaci, queste strutture non sono riciclabili allo stato delle tecnologie attuali. Partendo da questo assunto, sono però da riconoscere sia gli evidenti vantaggi apportati dal confezionamento alimentare che le conseguenze derivate dai materiali plastici utilizzati. Combinando la necessità ad un problema, Niederwieser ha deciso di intraprendere una nuova strada,
lanciando sul mercato una linea di film e buste riciclabili studiata per proteggere il prodotto, rispettando l’ambiente. NextFlex: il cambiamento che fa la differenza Lo scopo del progetto NextFlex era quello di trovare un’alternativa adeguata agli attuali materiali utilizzati, mantenendo o, addirittura, migliorando le prestazioni di prodotto. NextFlex si approccia all’economia circolare attraverso un design studiato per favorire il riciclaggio, utilizzando unicamente materiali fra loro compatibili e che possano essere riciclati insieme. Si basa su materie plastiche a base poliolefinica, ottenendo così una struttura quanto più omogenea e perfettamente adatta ad essere co-trasformata nei flussi di valore degli impianti di riciclaggio plastico esistenti. Durante la fase preliminare di progettazione del film, uno dei principali requisiti è stato la sua adattabilità. Una soluzione riciclabile che fosse accessibile al
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parco macchine confezionatrici già esistenti presso i clienti, senza però rallentarne i ritmi di produzione. NextFlex offre le stesse prestazioni in termini di macchinabilità, velocità, saldabilità e facilità di formatura, rendendo immediato il passaggio ad un packaging sostenibile. In termini di conservazione degli alimenti deperibili, i film NextFlex garantiscono le stesse capacità di barriera fornite dai film convenzionali non riciclabili. Ciò si deve allo strato sigillante in polietilene, già noto per le buone proprietà di barriera contro l’umidità ma, a differenza del passato, si ottiene in totale assenza di poliammide. Inoltre, la barriera O2 ottenuta fino ad oggi sfruttando le proprietà derivate da altre materie prime o lacche, non compatibili con Polietilene e Polipropilene, contamina la matrice poliolefinica, rendendo l’imballaggio recuperabile unicamente sotto forma di energia per incenerimento. Nei film e buste NextFlex questa si ottiene aggiungendo un sottile strato di alcol etilenvinilico coprocessato in valori inferiori al <5%; così facendo la sua presenza in così basse percentuali eguaglia le prestazioni senza intaccare in alcun modo i flussi di valore del
Polietilene e del Polipropilene, lasciando incontaminate le proprietà di riciclabilità. Per una maggiore sicurezza del prodotto imballato, tutta la linea NextFlex può essere sottoposta a trattamenti termici di pastorizzazione, fino ad un massimo di 90°. Una nuova soluzione: da flessibile a bottom per affettati I film flessibili e i film semirigidi comunemente utilizzati per l’imballaggio di alimenti deperibili in sottovuoto o ATM sono composti da combinazioni di materiali attualmente non o difficilmente recuperabili. Le soluzioni più comuni in questo settore contemplano strutture a base di PA/PE, nel caso di film flessibili, e di APET/PEEVOH-PE per utilizzi in packaging semirigidi. Il motivo principale della loro non riciclabilità si deve alla non omogeneità delle materie prime utilizzate e alla conseguente incapacità di separare i singoli componenti allo stato delle tecnologie attuali. NextFlex, basandosi su materie prime omogenee fra di loro, si propone come alternativa per la maggior parte delle applicazioni esistenti. Combinando la tecnologia di coestrusione a 11 strati alla
nuova e innovativa formulazione in polietilene e polipropilene, replica le stesse performance. Visto il grande successo del nuovo materiale NextFlex, la Niederwieser ha deciso di ampliare la gamma di spessori attualmente disponibili con un film di spessore superiore, in alternativa al confezionamento semirigido esistente. Dai 60 ai più recenti 270µ, l’azienda è oggi in grado di fornire una soluzione unica completamente riciclabile: dal lidding top al bottom termoformabile. Lo scenario europeo In un contesto europeo segnato dalla Direttiva 852, creata allo scopo di prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio e promuoverne il riutilizzo, il riciclaggio e altre forme di recupero dei rifiuti, diventano uno strumento necessario per la transizione verso un’economia circolare. I paesi dell’UE devono adoperarsi per ratificare quanto prescritto dalla direttiva, tenendo conto degli obiettivi imposti per ciascuna tipologia di materiale da imballaggio. I suddetti obiettivi prevedono che almeno il 65% in peso di tutti gli imballaggi debba essere riciclato entro il 31 dicembre 2025. Nello
Box informativo CONAI – Novità per l’anno 2020 (aggiornamento post delibera CdA CONAI del 17 luglio 2019). Nuove fasce contributive per la classificazione degli imballaggi. Modifiche in vigore dal 1o gennaio 2020. Fascia A
Fascia B1
Imballaggi con una filiera di selezione e riciclo efficace e consolidata da circuito “Commercio & Industria”: 150,00 €/t Imballaggi con una filiera di selezione e riciclo efficace e consolidata da circuito “Domestico”: 208,00 €/t p.e. bottiglie e flaconi rigidi in PET/HDPE o PP
Fascia B2 NextFlex è qui
Imballaggi con una filiera di selezione e riciclo in fase di consolidamento e sviluppo – da circuito “Domestico” e/o “Commercio & Industria”: 436,00 €/t *
Nuova fascia inserita nel 2020 – p.e. film e buste flessibili in PE monopolimero, PP monopolimero o multistrati PE/PP) Imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato delle tecnologie attuali: 546,00 €/t *(altro)
Fascia C
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p.e. Imballaggi flessibili e rigidi con caratteristiche diverse da quelle previste per gli imballaggi di fascia B2
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Niederwieser Group, composto dalla Niederwieser Spa e da VF Verpackungen GmbH, è una realtà a conduzione familiare con più di 230 dipendenti. La Divisione Niederwieser Food Packaging, con sede a Campogalliano (MO), produce e distribuisce in tutto il mondo, in collaborazione con VF Verpackungen, una gamma completa di imballaggio flessibile, frutto di un’innovativa tecnologia di estrusione, e propone un ampio assortimento di film flessibili, film flessibili stampati, film per cottura, film per sterilizzazione, buste per cottura, buste per sterilizzazione, buste stampate, buste goffrate, buste goffrate per cottura, buste per sottovuoto, sacchetti sottovuoto, buste sottovuoto per alimenti, buste per sous-vide e cottura sottovuoto a tutte le temperature. specifico, per quanto concerne gli imballaggi plastici, il riciclo dovrà essere pari al 50% e raggiungere il 70% entro il 2030. Italia: cosa dice il Consorzio Nazionale per gli imballaggi (CONAI) Dal 2012 ad oggi il CONAI si è adoperato per la sensibilizzazione delle aziende ad un uso più responsabile e cosciente dei packaging. Il suo scopo è stato quello di incentivare l’utilizzo di imballaggi maggiormente riciclabili, collegando il livello contributivo all’impatto ambientale degli stessi. Per questa ragione ha avviato una diversificazione del contributo ambientale basandosi sulla composizione dei materiali, a partire da quelli più complessi per varietà delle tipologie e tecnologie di riciclo. I criteri individuati per eseguire la valutazione sono la selezionabilità, riciclabilità e, per gli imballaggi che soddisfano i primi due, il circuito di destinazione prevalente dell’imballaggio-rifiuto:
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domestico o legato al Commercio & Industria. Nel 2018, sono state individuate tre differenti classi contributive che si sono poi evolute nel 2019 e nuovamente per il 2020 al fine di includere una maggiore e più specifica distinzione da eseguire al momento della valutazione (si veda il Box informativo). Nel rispetto delle nuove fasce contributive in vigore nel 2020, arricchite di precisazioni sulle tipologie di imballaggi, ma soprattutto riviste tenendo conto delle nuove tecnologie di riciclo, già sviluppate o in fase di perfezionamento, il NextFlex entra in fascia B2 Imballaggi con una filiera di selezione e riciclo in fase di consolidamento e sviluppo – da circuito “Domestico” e/o “Commercio & Industria”. Fatti non parole: riciclabile in economia circolare Il gruppo Niederwieser ha deciso di sottoporre la verifica di riciclabilità del nuovo film NextFlex all’ente
indipendente tedesco I NSTITUT C YCLOS -HTP. Partner esclusivo Grüne Punkt, ne ha dichiarato a tutti gli effetti la sua riciclabilità in un ottica di economia circolare. Sia il Grüne Punkt tedesco che le più consolidate catene di distribuzione europee, stanno spingendo per la scelta di nuovi materiali riciclabili, fra i quali rientrano anche soluzioni a base di polietilene e polipropilene riconosciute come un’ottima alternativa nel mondo del packaging alimentare a barriera riciclabile. Fatti e non parole: NextFlex è oggi disponibile in vari spessori e formati, pronto per la consegna.
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aceto aromatico GPI 6.2 è un potente batteriostatico naturale che è stato inventato, messo a punto e brevettato dal DOTT. TOLEDO, professore emerito in Scienza e tecnologia degli alimenti all’Università della Georgia in USA, il quale continua a studiare e sviluppare il prodotto ampliandone l’efficacia e il campo di utilizzo. Prodotto dalla canadese GPI, con base a Newmarket, Ontario, si distingue per la grande efficacia e l’origine naturale. Il prodotto rappresenta, infatti, un approccio innovativo nell’inibizione della carica microbi-
ca degli alimenti, proprio perché è totalmente naturale, a base di solo aceto di canna da zucchero e permette, quindi, di esibire etichette senza conservanti che impongano la dichiarazione di numeri “E”. A seconda dell’applicazione, può sostituire, con ottimi risultati, sodio ascorbato E301, nitrato di potassio E252, acido ascorbico E300 ed altri anti-acidificanti comunemente utilizzati nei preparati alimentari. Caratteristiche e utilizzo Tecnicamente, l’aceto aromatico GPI 6.2 è semplice aceto, ma con
valori di pH innalzati sino a 6,2 mediante un trattamento naturale, per renderlo utilizzabile a contatto con le proteine animali senza denaturarle ovvero senza cuocerle superficialmente. La funzionalità si basa sul principio di HENDERSON-HASSELBALCH, secondo la quale quando i valori di pH sono inferiori al pK gli acidi penetrano meglio le pareti delle cellule patogene e, una volta all’interno della cellula, possono interferire con i processi metabolici inibendone la proliferazione. L’aceto aromatico GPI 6.2 rimuove
L’aceto aromatico GPI 6.2 viene usato con ottimi risultati su prodotti carnei crudi come salsiccia, hamburger, macinati in genere, tagli anatomici, bistecche, fettine o straccetti, ma è funzionale anche per prodotti cotti, da aggiungere in salamoia in percentuali molto basse o direttamente in zangola, oppure da aggiungere agli impasti nel mixer.
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l’impedimento alla penetrazione della cellula ad elevati pH, facilitandone la diffusione e l’efficacia a basse concentrazioni. L’utilizzo è molto ampio: perfetto come antiossidante, funziona ottimamente per il controllo della Conta Batterica Totale, ma ha un effetto molto marcato anche su patogeni specifici come botulino, Escherichia coli, salmonella e Listeria (test di sensibilità in vitro condotti dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, sezione diagnostica di Brescia). Viene usato con ottimi risultati su prodotti carnei crudi come salsiccia, hamburger, macinati in genere, tagli anatomici, bistecche, fettine o straccetti, ma è funzionale anche per prodotti cotti, da aggiungere in salamoia in percentuali molto basse o direttamente in zangola, oppure da aggiungere agli impasti nel mixer. Molti vantaggi Il trattamento ha effetti molto positivi sulla durata del prodotto (sensibile aumento della data di scadenza) ma non solo: ne esalta il sapore naturale e permette, di conseguenza, di ridurre il quantitativo di sali nei preparati, risultando ottimo per le diete povere di sodio. Anche il colore delle carni ne beneficia, poiché ne viene naturalmente esaltato nelle salsicce fresche, nei macinati e negli hamburger, nei quali si nota subito un rosso carne più vivo e duraturo. Un hamburger prodotto con l’aggiunta di aceto aromatico GPI 6.2, ad esempio, può tranquillamente durare 4 giorni, senza nessun’altro conservante o antiossidante aggiunto. Se somministrato nebulizzato, diventa un forte alleato alla salubrità delle celle frigo. Applicato agli strumenti di lavoro, quali coltelli taglieri o vassoi da esposizione, spesso veicolo di indesiderati patogeni, ne sanifica a fondo la superficie, evitandone inoltre il fastidioso risciacquo. L’applicazione mediante nebulizzazione spray è molto utile anche nella preparazione di gastronomia in genere come piatti pronti, panini imbottiti, tramezzini e snack di ogni tipo. In definitiva, è sia un ottimo
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coadiuvante per prodotti alimentari che per sistemi HACCP. Diffusione: trend in crescita L’aceto aromatico GPI 6.2 è diventato ormai molto comune nei Paesi anglosassoni, soprattutto in Inghilterra, dove l’organic food (cibo biologico), senza aggiunta di prodotti chimici, senza conservanti né coloranti artificiali e privi di OGM, ha un trend in crescita continua, con sempre più consumatori consapevoli e attenti a ciò di cui si alimentano. Anche in Italia l’aceto aromatico GPI 6.2 ha sempre più estimatori. L’industria ha iniziato ad usarlo in prodotti di nicchia dall’alto valore aggiunto, in special modo nel settore ittico, dove l’effetto batteriostatico sui patogeni del pesce si sposa perfettamente al sapore dall’aroma fresco e umami in insalate di mare, mitili, hamburger e preparati elaborati, riducendo il sale ed eliminando completamente quell’odore, a volte fastidioso, che tipicamente hanno i piatti a base di pesce all’apertura della confezione ATM. I più sensibili ed entusiasti utilizzatori dell’aceto aromatico GPI 6.2 nel nostro mondo, ovvero quello delle carni fresche, sono i produttori che hanno fatto dell’alta qualità la loro bandiera, i più pronti ad esaudire le richieste dei clienti di carne naturalmente salubre, chi fa grande selezione della materia prima partendo dall’animale allevato al meglio, sino ad arrivare al prodotto finale preparato a regola d’arte, senza nessun additivo chimico aggiunto, per fornire il massimo alla propria clientela: i nostri migliori macellai italiani! Abbiamo parlato più volte della proficua collaborazione con gli amici di Farmer’s Market / Green Farm di Nole Canavese (TO), i primi a credere fermamente nell’aceto aromatico GPI 6.2, ma ormai tanti si sono aggiunti, dal Piemonte, con la sua grande cultura per la carne di altissima qualità, alla Lombardia, la Toscana, il Trentino Alto Adige e, infine, le regioni più attive, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, grazie alla collaborazione con il di-
L’aceto aromatico viene distribuito in fusti da kg 23. Sono gradite richieste per distribuzione su scala regionale da parte di fornitori di droghe, aromi e budella a grosse macellerie. stributore locale esclusivo, la storica ditta Savonitti Mattia Sas di Goricizza di Codroipo, Udine(telefono: 0432 907393, mattia@savonitti.com, www. savonitti.com), che sta facendo un encomiabile lavoro di informazione e introduzione alla propria clientela con ottimi risultati commerciali e, ciò che più ci interessa, con estrema soddisfazione degli utilizzatori finali! Lazzari Equipment è a disposizione per suggerirne l’uso e fornire campionature, nonché letteratura come schede tecniche, challenge test sia in vitro che su specifici prodotti.
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LA PAGINA SCIENTIFICA
Profumo di carne di Giovanni Ballarini
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ra gli elementi qualitativi che guidano gli acquisti di carne troviamo la marmorizzazione (tessuti adiposi intramuscolari), la consistenza, il colore, la tenerezza e, soprattutto, le caratteristiche aromatiche. Il sapore e l’aroma, insieme ad altri tributi sensoriali come la tenerezza e la succosità quando arriva sul piatto, sono i criteri più importanti di appetibilità della carne. Carne cruda e carne cotta Le caratteristiche aromatiche della carne sono rilevate dai ricettori olfattivi del naso prima e durante la masticazione. La carne cruda ha poco aroma e solo sapore simile al sangue, mentre essa sviluppa le sue
caratteristiche aromatiche durante la cottura, a seguito della complessa interazione di precursori derivati dalle parti magre e grasse. Ad oggi sono migliaia i composti aromatici volatili rilevati e identificati nella carne cotta che contribuiscono al suo sapore. Le reazioni termicamente indotte che si verificano durante la cottura seguono quattro percorsi: 1) reazione di Maillard di amminoacidi o peptidi con zuccheri riducenti; 2) ossidazione dei lipidi; 3) interazione tra prodotti di reazione di Maillard con prodotti lipidici ossidati; 4) degradazione delle vitamine, tiamina in particolare (vitamina B1).
Per quanto riguarda l’aroma di carne cruda, vi sono differenze tra le diverse specie animali. Quelli più intensi si hanno nelle carni dei selvatici e, a parte i fattori genetici, dipendono dall’alimentazione, dalla qualità e dal tipo di foraggio, dalla frollatura e dal muscolo (taglio). Fatta eccezione per la bistecca alla tartara, l’uomo civilizzato preferisce che la carne sia soggetta ad un certo grado di calore (cottura), che provoca cambiamenti riguardanti tenerezza, contenuto di acqua, colore, dimensione e forma, sapore e aroma. La carne viene di solito preparata in due modi: con il calore secco (cottura arrosto o alla brace), o col calore umido (brasatura).
L’olfatto e la vista sono i primi sensi che guidano nella scelta e nella valutazione degli alimenti, quindi anche delle carni. Per questo motivo, gli studi che mirano al riconoscimento dei meccanismi di formazione delle sostanze aromatizzanti volatili e alla determinazione della loro influenza sul gusto dei cibi sono di grande importanza.
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Cuocere la carne ad alta temperatura (arrostire, grigliare) produce migliori caratteristiche aromatiche dell’alimento. I cambiamenti di sapore e aroma sono legati alla quantità e al tipo di calore applicato e il sapore e l’aroma ottenuti esponendo un pezzo di carne al calore umido non sono ovviamente gli stessi di quelli risultanti dal sottoporre lo stesso pezzo di carne al calore secco a temperature elevate. Cuocere la carne ad alta temperatura (arrostire, grigliare) produce migliori caratteristiche aromatiche legate alla reazione di Maillard, mentre una cottura lenta con tempi più lunghi provoca una dispersione dei composti aromatici volatili, riducendo così sapore e aromi. Nelle cotture sottovuoto a bassa temperatura e per tempi prolungati non si generano i sapori e gli aromi dei composti derivati dalla reazione di Maillard e non si hanno sapori e aromi dovuti all’ossidazione; in questo modo, però, meglio si incorporano gli aromi dei condimenti. Aromi della carne cotta Tra tutti i suoi costituenti, i lipidi sono quelli che influenzano maggiormente gli aromi della carne cotta, essendo in grado di ridurre la tensione di vapore della maggior parte dei composti aromatici, che sono più lipofili che idrofili, e agendo in pratica come solventi. L’aroma della carne è percepito attraverso le narici e successivamente, quando la carne è masticata, viene trasferito,
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attraverso la faringe, ai recettori olfattivi (aroma retronasale, che costituisce circa l’80%della sensazione gustolfattiva, come ognuno può constatare quando perde il senso dell’olfatto per un raffreddore). Tutti i componenti degli aromi volatili sono organici e hanno un basso peso molecolare; le strutture chimiche delle classi di aromi volatili sono molto diverse (comprendono, tra gli altri, aldeidi, chetoni, idrocarburi, pirazine, acidi, esteri, alcoli, composti contenenti azoto e zolfo e altri composti eterociclici) e per questo anche la loro volatilità è abbastanza diversa. Aromi della buona carne La preferenza per gusti e aromi della carne è principalmente una questione individuale. Tuttavia, la ricerca scientifica dimostra che quantità significative di acidi grassi polinsaturi nella carne e nei prodotti a base di carne, aumentati al fine di ottenere un beneficio a livello nutrizionale, possono avere influenze negative sul loro aroma e sapore, poiché i prodotti di decomposizione di questi acidi grassi più volatili interagiscono con la reazione di Maillard, riducendo la quantità di composti aromatici carnosi come i tiofeni. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
La Piemontese è promossa a pieni voti A Carrù un convegno scientifico dimostra dati alla mano che la carne non ingrassa, non fa male e non predispone a malattie tumorali. Ma a condizione che sia magra, di qualità e non sia carne processata: che abbia insomma le caratteristiche della carne di razza Piemontese
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a carne bovina di razza Piemontese è stata al centro del 4o convegno scientifico svoltosi venerdì 27 settembre presso la Casa della Piemontese a Carrù (CN), patria del Bue Grasso. Esperti di nutrizione e alimentazione provenienti da varie parti d’Italia si sono confrontati, sotto la regia del giornalista EDOARDO RASPELLI, sul tema volutamente provocatorio “Carne rossa, come il pesce?”. In apertura dei lavori, il dott. GIANFRANCO OCCELLI, responsabile scientifico del Consorzio per la Tutela e Valorizzazione del Bue Grasso di Carrù, ente organizzatore del convegno, ha sottolineato come «la carne di razza Piemontese, dal punto di vista nutrizionale e salutistico, sia incomparabile con tutti gli altri tipi di carne. Ha una bassa percentuale di grassi saturi e colesterolo, una buona quota di Omega-3. Le altre razze bovine europee hanno fino a 4-5 volte i grassi della Piemontese, che aumentano l’infiammazione silente e accorciano la vita delle cellule. La Piemontese, al contrario, ha grassi sani, paragonabili a quelli del pesce. Inoltre, la scarsa presenza di tessuto connettivo nelle fibre muscolari rende questa carne, anche se molto magra, particolarmente tenera e gustosa. Possiamo tranquillamente affermare che, dal punto di vista nutrizionale e salutistico, sia una delle migliori carni al mondo». Lo scopo del convegno è stato proprio quello di mettere queste conoscenze scientifiche a disposi-
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zione di tutti, in modo che ciascun consumatore possa operare una scelta libera e consapevole. Il dott. ENRICO VERONESE, biologo nutrizionista tra i massimi esperti italiani, ha dimostrato, dati alla mano, come «la carne rossa non sia nociva per la salute e in modo particolare non abbia un’incidenza significativa sulla formazione di tumori al colon. Il rischio assoluto di contrarre il cancro è dell’1% (dato
non significativo) e riguarda solo il consumo di carni industriali e processate; quindi non è attribuibile alla carne bovina di razza Piemontese, notoriamente prodotta con metodi green in grado di mantenere e preservare tutte le sue caratteristiche organolettiche e salutistiche. Caratteristiche che la rendono ideale per l’alimentazione degli sportivi e delle persone che hanno cura del proprio benessere, per gli anziani
Dal punto di vista nutrizionale, la carne di razza Piemontese è caratterizzata da una bassa percentuale di grassi saturi e colesterolo e da una buona quota di Omega-3.
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I protagonisti del convegno dedicato alla carne di razza Piemontese. e per i bambini. Mi sento di consigliare il consumo di carne rossa senza problemi, purché di qualità come la Piemontese, che possiede sostanze altamente funzionali come carnosina, creatina e acido linoleico coniugato». La dott.ssa G IGLIOLA B RAGA , biologa nutrizionista e scrittrice, ha sottolineato «la fondamentale importanza delle proteine, e quindi della carne rossa, in una dieta sana ed equilibrata. Infatti, esse rappresentano una componente alimentare indispensabile per la costituzione della massa magra; sono una fonte essenziale di amminoacidi, ritardano i sintomi dell’ipoglicemia e, se bilanciate con un’adeguata quota di carboidrati, prolungano il senso di sazietà, contribuendo a contenere la cosiddetta infiammazione silente. Molto importante è il tipo di cottura, che non deve superare i 300°C di temperatura e non deve protrarsi per tempi prolungati; inoltre è utile associare sempre il consumo di carne rossa a verdure colorate che contengono molti polifenoli». La dott.ssa SUSANNA BRAMANTE, agronoma, docente ed esperta di biotecnologie genetiche, ha dimostrato, anche in questo caso supportata da ricerche e dati scientifici, come «la soia non possa essere considerata un’alternativa alla carne e, in modo particolare, della carne rossa. Infatti, la carne contiene proteine nobili e tutti gli
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amminoacidi essenziali e potenzia la sintetizzazione delle proteine miofibrillari. Caratteristiche che sono presenti solo in percentuali molto basse, se non addirittura assenti, nella soia, dove tra l’altro gli Omega-3 si presentano a catena corta. Inoltre, per renderla commestibile per l’uomo, a livello industriale la soia viene sottoposta a manipolazioni e passaggi estremamente sofisticati che la destrutturano e ne fanno un alimento altamente “processato”». La conclusione è stata affidata al dott. LORENZO BONOLDI, responsabile del progetto “Filiera Nutrizionale”, nato con l’obiettivo di fornire agli animali alimenti ad alto contenuto di Omega-3 naturali, per migliorare l’impatto che l’alimentazione umana può avere sulla salute, riequilibrando tutta la catena alimentare. «La carne non può essere sostituita e la nostra mission è renderla più buona e salutare» ha ribadito Bonoldi. «Tenerezza, marezzatura (grado di grasso) e salubrità sono le tre parole chiave del nostro lavoro, che si basa su un concetto quasi banale, ma essenziale: una buona nutrizione dell’animale dà un prodotto alimentare più sano». «Piemontese, la più saporita, l’unica che puoi mangiare cruda senza olio e sale» ha concluso degnamente Raspelli. «Che sia sana lo dicono i tecnici; io, che sono un goloso, dico che è soprattutto buona».
LIBRI
Lo fa, lo dice e lo scrive Lorenzo Rizzieri
Tutto parte dalla terra di Elena Benedetti
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o scorso fine settembre ho avuto il piacere di presentare il primo libro di LORENZO RIZZIERI, Tutto parte dalla terra, nel cuore di Ferrara, davanti a un’affollata platea di interessati. Seguo
Lorenzo da anni nella sua ricerca di materie prime da lavorare e vendere nella macelleria di famiglia, a Focomorto. «Questo libro è pensato per i consumatori, per chi si fa domande
ed è spesso disorientato in una giungla di informazioni e suggestioni allarmanti. Io sostengo che occorra sviluppare senso critico e imparare a distinguere, scegliendo con più consapevolezza», ha detto Lorenzo. Non si tratta di un “manuale del macellaio” né tanto meno di un libro autopromozionale del proprio mestiere con ricette e foto patinate. Questo è il racconto di un’esperienza vera e concreta, di un modo alternativo di produrre, di allevare. «Un’impostazione diversa nel rapporto con la terra e gli animali, basata sulla sostenibilità e su un’etica partendo dalla valorizzazione dei piccoli produttori». Perché è proprio agli allevatori che Lorenzo dà voce nelle pagine, descrivendo il loro lavoro quotidiano, la loro visione di un’agricoltura senza chimica ma capace di sfruttare l’innovazione dei nostri tempi moderni. «Mi sorprendo sempre nel constatare quanta poca attenzione
LORENZO RIZZIERI Tutto parte dalla terra Carni, una filiera per il benessere e la sostenibilità Mondadori Electa, 2019 176 pp. – € 18,90 Per acquisti: • sul blog www.lorenzorizzieri.it • direttamente in macelleria (via Ponte Ferriani, 1 – 44123 Focomorto, FE) • nelle migliori librerie o negli store on-line
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In alto: Luigi Ballarin dell’Avicola Ballarin di Minerbio (BO), William Manzali, allevatore di suini a Ceneselli (RO), Lorenzo Rizzieri e Vinicio Zaggia della Fattoria alle Origini, azienda agricola e zootecnica biologica. Nelle pagine di “Tutto parte dalla terra” l’autore ha dato voce a questi e ad altri allevatori. In basso: la sala affollata de Il Libraccio, in piazza Trento Trieste a Ferrara, nel corso della presentazione del libro con Elena Benedetti di Eurocarni. riserviamo al valore e alla qualità degli alimenti; quanto poco tempo dedichiamo a comprendere ciò che
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ci nutre, ci tiene in vita e influisce sulla qualità della nostra stessa esistenza», sostiene l’autore.
Lorenzo è titolare della macelleria Fratelli Rizzieri di Focomorto (FE) e da anni si impegna per promuovere un approccio etico al consumo di carne. Forte degli insegnamenti di suo padre e del nonno, applica i criteri del passato, di un tempo nel quale la natura era considerata una guida. Lorenzo lavora a stretto contatto con gli allevatori di cui condivide principi imprescindibili: rispetto per la natura, massima attenzione al benessere animale e assenza totale di conservanti chimici nei prodotti derivati. «Da cinquant’anni ci hanno abituati ad avere a disposizione ogni sorta di cibo in qualunque stagione, impoverendo i terreni e trattando gli animali come automi anziché esseri senzienti. Solo riacquistando la consapevolezza del lavoro, della fatica, dell’energia necessari per ottenere ogni singolo prodotto, il consumatore diventerà partecipe di un circolo virtuoso». Elena Benedetti
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STORIA E CULTURA
Dilettevoli horrori: la corrida a Napoli di Andrea Gaddini
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urante la dominazione spagnola, per un periodo di un secolo e mezzo tra il XVI e il XVII secolo, Napoli ospitò delle vere e proprie corride, che si svolgevano nelle piazze più centrali della città. Nel Cinquecento le corride si tenevano in Piazza San Giovanni a Carbonara, che da secoli godeva di immunità ed era quindi luogo deputato ai duelli o ai tornei, in quanto ci si poteva sfidare e battersi all’ultimo sangue impunemente. Nel Seicento la sede preferita divenne il largo di Palazzo (attuale Piazza del Plebiscito), ma si utilizzarono anche il largo di Castello (attuale Piazza del Municipio) e il cortile interno di Castel Nuovo.
Le feste barocche Nel siglo de oro, il secolo d’oro spagnolo, tra la metà Cinquecento e la metà del Seicento, Napoli contava oltre mezzo milione di abitanti, era la seconda città d’Europa, dopo Parigi e prima di Madrid, capitale dell’impero. Le sue ricchezze spingevano i viceré spagnoli a chiedere di essere riconfermati nella carica “non volendo privarsi del tesoro radunato in queste Indie napoletane”. La città coglieva volentieri ogni occasione per celebrare sfarzose feste pubbliche, anche in occasioni inaspettate, come le eruzioni del Vesuvio (MANCINI). JEAN-JACQUES BOUCHARD, in Voyage dans le Royaume de Naples en 1632, citava il proverbio:
“A Napoli c’è sempre fango, polvere o feste”. Le feste erano indispensabili per distogliere l’attenzione del popolo minuto dalla dura precarietà della vita quotidiana, che scatenava rivolte come quella di MASANIELLO del 1647. Oltretutto la popolazione era vessata dalle frequenti eruzioni del Vesuvio (come quella del 1631), da terremoti (come quello del Sannio del 5 giugno 1688, che provocò danni e vittime anche a Napoli) e da epidemie di peste (come quella durissima del 1656, che dimezzò la popolazione della città). Le celebrazioni prevedevano un nutrito programma con cavalcate di nobili in costumi sfarzosi, tornei cavallereschi di stile medievale,
Piazza del Plebiscito a Napoli (photo © Picasa, Sprea Fotografia, spreafotografia.it).
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L’affresco nell’androne del Castel Nuovo di Napoli che rappresenta una corrida in atto proprio nella Plaza Mayor di Madrid (Giannone). sfilate di carri allegorici, fuochi d’artificio, gare di poesia e sontuose scenografie effimere, di legno e cartapesta, con statue di gesso, fatte per sbalordire il pubblico, secondo la filosofia dell’epoca barocca, definita da RAK “a dismisura d’uomo”, che si identificava con stupefazione, meraviglia, ingegno, in contrasto con il periodo dell’umanesimo, descritto invece come “a misura d’uomo”. Le spese delle feste erano sostenute dai nobili e dai commercianti, sollecitati dal timore di sanzioni, ma anche timorosi della reazione del popolo in caso di feste non abbastanza sfarzose per carenza di contributi. Un ruolo centrale nelle feste era svolto dalle cuccagne, scenografie anche di grandi dimensioni in forma di fortezze, colonne, archi, piramidi, grotte o carri, costituite di pane, prosciutti, formaggi, pollame e suinetti, anche vivi, offerti più o meno spontaneamente dalle varie categorie di bottegai. Le cuccagne erano prese d’assalto dai popolani affamati e rapidamente e tumultuosamente smantellate. Tra i cibi
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veri erano anche inserite copie in cartapesta, che contribuivano al caos, per il divertimento dei nobili che assistevano dai balconi dei loro palazzi, dai quali lanciavano anche monete alla folla. Si allestivano anche fontane che davano vino. Le feste tradizionali locali, spesso offerte dai viceré spagnoli, celebravano ricorrenze religiose (Natale, Pasqua, San Giovanni, San Gennaro, il Corpus Domini, l’Assunzione e le quarantore), oppure erano in onore di qualche illustre visitatore, a cui spesso era dedicato un trionfo, con tanto di arco di scenografia. È noto che ad almeno una delle grandi feste napoletane abbia partecipato MIGUEL DE CERVANTES, l’autore del Don Chisciotte. Queste feste erano molto popolari, tanto che quando il viceré CASTRILLO decise dei tagli dovette poi cambiare idea, dopo che i cortigiani gli ebbero suggerito che in passato un’analoga sospensione aveva provocato l’ira divina, manifestatasi con un’epidemia di peste (GUARINO).
Uno spettacolo spagnolo Le corride, invece, erano più che altro un fenomeno esotico, introdotto dai dominatori spagnoli e legato alle loro festività; ad esempio il 25 luglio, festa di San Giacomo, patrono di Spagna; o il 15 maggio, festa di San Isidoro, patrono di Madrid; oppure celebravano ricorrenze della corte reale o vicereale, come la nascita dell’erede al trono, o l’onomastico di membri della famiglia reale, o ancora la venuta dei regnanti a Napoli. Gli Spagnoli, oltre alle corride, introdussero a Napoli anche altri giochi, come le battaglie con le canne (juego de cañas) e con sfere cave di terracotta riempite di cenere (juego de alcancías). L’espressione spagnola habrá toros y cañas (“ci saranno tori e canne”) preannunciava qualcosa di molto spettacolare. L’adesione della corrida napoletana al modello spagnolo è chiara dal resoconto di ANDREA CIRINO del 1658, che nel capitolo “Gioco di Tori conforme l’uso di Spagna” spiega: “(…) l’Eccellentissimo Signore Viceré, savio e generoso, volle con questa pompa di Tori rassomigliar le Feste di Napoli alle Feste di Spagna, sollennizzate con l’incontro de’ Tori”, e descrive il teatro del combattimento come “simile alla Piazza Maggiore di Madrid”. C ARANDINI sottolinea l’opera del viceré conte di Oñate, giunto a Napoli nel 1648, con una brillante politica di propaganda filospagnola con feste e rappresentazioni teatrali nel Palazzo Reale. Nelle corride, però, i combattenti erano soprattutto spagnoli ed erano probabilmente ad uso e consumo degli iberici di stanza a Napoli, fatte per lenire la nostalgia per la patria e per le sue usanze, come testimonia l’affresco nell’androne del Castel Nuovo di Napoli, che rappresenta una corrida in atto proprio nella Plaza Mayor di Madrid (GIANNONE). Corride famose Dagli annali del notaio Gregorio Rosso (o Russo) risulta che il viceré PEDRO ÁLVAREZ DE TOLEDO Y ZÚÑIGA, che fece costruire via Toledo, fu non solo spettatore, ma anche partecipante con grande passione
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Federico Pesche, Teatro que el Excelentísimo Señor Marqués del Carpio mi Señor hizo para celebrar el Nombre de la Reyna Madre Nuestra Señora el día de Santa Ana (…) En Napoles a 26, De iulio 1685 (da Mansi, 2013).
alle lotte con i tori: “Nello primo de Iennaro 1533 si fece uno gioco de tori in Napoli all’usanza de Spagna, e ve intervenne il Viceré Toledo”. Sempre nel 1533, Rosso racconta: “Alli 29 di Giugno se fece una bellissima festa alla piazza Carbonara de giochi de Tori. Il Viceré faceva spesso di queste feste, perché era professione sua, et in Spagna teneva nome di gran Toriatore, et in questo giorno delli 29 de Giugno fù ferito in una gamba dalle corna di un Toro, e non solo succedè questa disgrazia in quel giorno, mà ancora, scappò un Toro dallo steccato, et ammazzò uno figliolo, e se dava a correre deritto per le strate di Napoli, haveria fatto molto danno, mà Dio volse, che infilò per la porta Carbonara, et uscì fuori de la Città. Giocorno con lo Vicerè in quel giorno molti Cavalieri Napolitani, che con la loro solita habilità, se adestrarono subito a fare questo esercitio, così bene come qualsivoglia Spagnuolo”. Una festa di grande solennità fu quella del 3 gennaio 1536 a San Giovanni a Carbonara, in occasione della lunga visita di quattro mesi a Napoli dell’imperatore CARLO V, reduce dalla conquista di Tunisi e La Goletta, nella guerra contro l’impero ottomano. Lo stesso imperatore scese nell’arena, come testimonia Gregorio Rosso: “Alli 3 di Gennaro del 1536 Domenica nella piazza Carbonara si fece un gioco di Tori, dove Sua
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Maestà mostrò grandissima destrezza e leggiadria”. TOMASO COSTO riferisce di una bellissima festa offerta per carnevale, il 21 febbraio 1574, da don GIOVANNI D’AUSTRIA, vicario in Italia del re FILIPPO II e figlio naturale dell’imperatore nella Piazza dell’Incoronata, dove si fecero “giuochi di canne e di caroselli di tori con rompimenti di lance ed altre galanterie”. A Napoli le corride si svolgevano con toreri spagnoli e in poche occasioni con italiani, come EMANUELE CARAFA, figlio naturale del duca di Nocera, che fu viceré di Aragona, discendente di una delle più importanti famiglie nobili napoletane e pronipote di papa PAOLO IV, già menzionato nel 1645 per una corrida nel largo di Palazzo. Nel gennaio 1658, quando era viceré GARCÍA DE AVELLANEDA Y HARO, conte di Castrillo, si organizzò, nel quadro delle feste per la nascita dell’infante di Spagna FELIPE PRÓSPERO, figlio del re Filippo IV, avvenuta il 27 novembre 1657, una “corsa reale” particolarmente fastosa a largo di Palazzo. Carafa, dopo aver giostrato in modo superbo, ebbe il proprio cavallo sventrato da un corno del bovino e, pur essendo sconvolto e ferito dalla caduta, riuscì a liberarsi dalle staffe e a rialzarsi. Quindi proseguì la lotta a piedi e,
sconcertata la bestia con finte, la uccise con il classico colpo di spada alla sommità del collo. In certe occasioni si ebbero anche vittime, come nella corrida a largo di Palazzo, come racconta FUIDORO (vol. 1): “Il 16 maggio 1661, lunedì, fu ordinata festa di corte per causa che si fece il giuoco dei tori dalli criati di S.E. per il suo filiuolo mascolo nato: e fu fatto nobile steccato nel largo del Regio Palazzo, e vi morì uno spagnuolo sbalzato dal toro per l’aria”. Sempre Fuidoro, per il 24 maggio 1662, racconta che “fu fatto il gioco del toro nello largo di Palazzo per esser la festa di Sant’Isidoro, introdotta dalla natione spagnola dentro la chiesa di Santo Luigi delli PP. di San Francesco di Paola […] e perché si erano apparecchiati li palchetti di legname in detto largo per li futuri festini, […] si ebbe più comodità di vedere detto spettacolo e vi morì uno spagnolo che combatté col toro e due altri malmenati”. RUBINO riporta che, dopo una pausa per il lutto della morte del fratello dell’imperatore, il 18 giugno 1664, nel largo di Palazzo i soldati spagnoli organizzarono una corrida con sette tori, concludendo le feste per le nozze tra l’imperatore e la figlia del re di Spagna. La stessa fonte ricorda una corrida durata tre ore, tenutasi il 29 giugno 1667 in largo di Palazzo per festeggiare la nascita del primogenito del duca di Cardona, fratello maggiore del viceré Don PIETRO D’ARAGONA, che vi prese parte insieme alla viceregina. Ancora Fuidoro (vol. 3) riferisce che il 13 giugno 1674, nel largo di Palazzo, si tenne “il giuoco del toro” in onore del viceré di Sicilia uscente, il principe ispano-fiammingo di Ligny (CLAUDE LAMORAL I DE LIGNE), di passaggio a Napoli per andare ad assumere la carica di viceré di Milano. Lo stesso gioco era stato organizzato quindici giorni prima. CASTALDI racconta come mercoledì 31 gennaio 1680, in occasione del matrimonio del re CARLO II con MARIA LUISA DI BORBONE-ORLÉANS, avvenuto l’11 novembre 1679 presso Burgos, si tenne “la famosa Festa del gioco dei tori avanti il Regio Palazzo”, alla presenza del viceré e della sua consorte e davanti a ventimila spet-
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A Mergellina, il 25 agosto 1685, per celebrare la ricorrenza di San Luigi dei Francesi, onomastico della regina di Spagna Maria Luisa di Borbone-Orléans, si svolse una corrida su una piattaforma galleggiante di 300 palmi di lunghezza (80 m circa) e 200 di larghezza (50 m circa), circondata da 16 torcere che riproducevano il nome della regina Marianna, alle cui estremità erano stati costruiti due obelischi piramidali cavi di 120 palmi di altezza (30 m circa) illuminati di notte, con un arco trionfale di 80 palmi (20 metri). Il teatro era circondato da un doppio cordone di fuochi artificiali con 1.200 torce di cera. Alla festa sembra presero parte più di trecentomila persone, mentre intorno alla piattaforma si trovavano 22 galere della flotta reale (Sarnelli Pompeo, 1697).
tatori. Si costruirono delle logge e nell’arena entrarono dieci tori, resi furiosi dalle frecce scagliate dai palchi e dai morsi dei cani. I cavalieri spagnoli Don EMANUELE DOMINE e Don GASPAR VITELLI mostrarono il loro valore giostrando a cavallo contro gli animali. Le dame erano rapite “da sì dilettevoli horrori”, ma confortate dai rinfreschi offerti dal viceré. DOMENICO CONFUORTO riporta, nella sua raccolta Giornali di Napoli, che “il 31 di detto mese, un mercoledì, si fece davanti al palazzo la corsa dei tori, con il concorso di molta gente. E il signor Viceré e la signora Viceregina vi assistettero, sotto un baldacchino, con gran numero di dame, sedute nella loggia eretta a tale scopo, alle quali erano serviti, durante il gioco, dei sorbetti di diversi gusti e tutti i tipi di frutti canditi che furono in abbondanza sulla piazza dove si torreggiava”. Due corride si svolsero a Castel Nuovo, la prima offerta dal marchese di Bayona, la seconda nel cortile del castello, nel 1681, dal principe di Piombino, generale delle galee di Napoli, alla quale si recò in forma privata il viceré, accompagnato dalla
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viceregina. Durante la festa, nel corso della quale rimase ferito uno dei servi del principe, furono serviti a tutti dolci e bevande pregiate. Il 26 luglio 1684, festa di S. Anna, onomastico della regina madre, fu allestita a Mergellina una plaza de toros galleggiante, delimitata su tre lati da palizzate e palchetti e sul quarto lato dal mare, di 380 palmi di larghezza (100 m circa), 280 di lunghezza (70 m circa) e 18 di altezza (4,5 m circa), dove “se corrieran toros de dia y de noche hubo fuegos artificiales”. Il conte de las Navas la definì “una plaza construida en el mar”. La piattaforma appoggiava su travi piantate sul fondo del mare e ancorate con spuntoni di ferro al tavolato, che a sua volta era coperto da una massicciata per smorzare il rimbombo del legno e non far spaventare i tori. Intorno alla piattaforma si accalcavano le galere e le barche da diporto con le tende che riparavano dal sole e che ospitavano il viceré e il meglio della nobiltà, dei cavalieri e dei loro invitati. Scesero nell’arena tredici tori “né in tutto feroci, né in tutto mansueti” inseguiti da “toreatori spagnoli”
e alcuni animali furono uccisi, altri si gettarono precipitosamente in mare da un varco appositamente lasciato aperto. Il 25 agosto 1685, per celebrare la ricorrenza di San Luigi dei Francesi, onomastico della regina di Spagna Maria Luisa di Borbone-Orléans, si svolse una corrida nello stesso luogo, in un teatro maestoso su una piattaforma di 300 palmi di lunghezza (80 m circa) e 200 di larghezza (50 m circa), circondata da 16 torcere che riproducevano il nome della regina Marianna, alle cui estremità erano stati costruiti due obelischi piramidali cavi di 120 palmi di altezza (30 m circa) illuminati di notte, con un arco trionfale di 80 palmi (20 metri). Il teatro era circondato da un doppio cordone di fuochi artificiali con 1.200 torce di cera. Per SARNELLI, alla festa presero parte più di trecentomila persone, mentre intorno alla piattaforma si trovavano 22 galere della flotta reale. Nel teatro, per tre giorni si svolsero cacce dei tori, caroselli ed altri giochi dei cavalieri. Le galere, la notte, si allargarono in alto mare illuminate da fiaccole, mentre anche i palazzi della costa accendevano fiaccole e lumi ad olio. Il secondo giorno della festa, il 26 agosto, si ebbe un “gioco d’alquanto pochi tori”, per passare poi alla giostra dei cavalieri. Un anticipo della fine delle corride a Napoli venne dalle celebrazioni per la presa di Buda, oggi parte di Budapest, in Ungheria, occupata da un secolo e mezzo dagli Ottomani, che il 2 settembre 1686 fu conquistata dalle truppe austriache dopo un assedio di quasi tre mesi. Il viceré, marchese del Carpio, decise di festeggiare con una sfilata mascherata di genere carnevalesco, nonostante il largo di Palazzo fosse stato già allestito con steccato e tavolato per la corrida, e fossero state fissate tre rappresentazioni, “stimando essere più plausibile il mascherarsi che il gioco de’ tori”. Confuorto riporta un gioco dei tori dentro lo steccato davanti al Palazzo Reale organizzato l’8 febbraio 1690, ultimo giorno di carnevale, per festeggiare la notizia dell’incoronazione a re dei Romani
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La “giostra e caccia al toro” del 24 maggio 1690 descritta da Domenico Antonio Parrino in “L’ossequio tributario della fedelissima città di Napoli per le rimostranze giulive nei regii sponsali del monarca Carlo secondo colla principessa Maria Anna di Neoburgo”.
del piccolo re d’Ungheria GIUSEPPE I D’ASBURGO, figlio dell’imperatore LEOPOLDO I, fatta ad Augusta dagli elettori dell’Impero. La “giostra e caccia al toro” del 24 maggio 1690 è descritta da D OMENICO A NTONIO P ARRINO in L’ossequio tributario della fedelissima citta di Napoli per le dimostranze giulive nei regii sponsali del monarca Carlo secondo colla principessa Maria Anna di Neoburgo. Il matrimonio era avvenuto il 28 agosto dell’anno precedente. Svolgimento della corrida napoletana I toreri, italianizzati in toreadori oppure in cacciatori del toro, giostravano a cavallo contro il toro, mentre tra i numerosi assistenti molti erano appiedati. I toreri l’aspettavano armati di frecce o di corte lance, agitando una mantellina con la mano sinistra. La stessa opera di Parrino del 1690 contiene una stampa che rappresenta la giostra dei cavalieri, ma in una fascia ai piedi del foglio riporta alcune vignette con scene della corrida, descritte nelle didascalie. Si vedono tori imbizzarriti per i fuochi artificiali sul dorso, affrontati con panni, lance e spade e con animali, cani di Bretagna (mastini) e scimmie, o con fantocci legati a corde tese tra due paletti (huomini finti per deludere i tori), un huomo ferito dal toro è portato fuori
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dall’arena a braccia, e mule con schiavi che trascinano il toro ucciso, al pari dei feriti nello scontro. Lo spettacolo terminava con il sezionamento dei garretti del toro per immobilizzarlo in modo che quelli che toreavano a piedi potessero finirlo, alcuni con una corta lancia, altri con una lunga picca. La Relazione della solenne Festa de’ Tori di MALATESTA racconta che i tori erano fatti uscire con “Valdrappe, ò Selle, ò Camicie, (…) tutte piene di fuochi artificiati. Questi fecero inferocire i Tori, che con salti e mugiti, e disperate carriere movevano à riso il Popolo” e dall’attacco di cani molossi che azzannavano le orecchie (“furono perseguitati dalli Cani mastini, essendosi ordinato lo spettacolo, che non riuscisse d’horrore, mà tutto divertimento e spasso”). Il successo tra i napoletani In effetti l’introduzione delle corride non sembra aver appassionato i napoletani, come invece accadeva con le cacce dei tori a Roma e a Venezia. Non risultano notizie di corride dopo il Seicento, segno probabilmente di uno scarso successo tra i locali. Guarino, al contrario, ritiene che le corride fossero entusiasticamente seguite e praticate dai nobili napoletani, ma anche del popolo, che interveniva nell’arena per finire i tori, anche per appro-
priarsi della loro carne, che spettava a chi uccideva l’animale. Le feste barocche erano seguite dalla pubblicazione di accuratissimi resoconti, ricchi di descrizioni e riportanti i disegni delle scenografie effimere create, le descrizioni dei costumi e dei carri allegorici e i testi delle poesie scritte per l’occasione. Le descrizioni delle corride, quando presenti, sono invece estremamente laconiche e fanno ampio uso di citazioni di autori latini, soprattutto allo scopo di paragonare il coraggio dei combattenti a quello degli antichi Romani. Inoltre, esistono pochissime immagini, che sono invece molto abbondanti per le corse dei tori di Venezia e di Roma, descritte in articoli precedenti. Andrea Gaddini Bibliografia • ANTONELLI A. (a cura di, 2012), Cerimoniale del viceregno spagnolo e austriaco di Napoli 16501717, Rubbettino, Soveria Mannelli. • BULIFON A. (1932), Giornali di Napoli dal MDXLVII al MDCCVI, Società napoletana di storia patria – Cortese I., Napoli. • CANTONE G. (2007) Napoli: la festa e la città, in M. FAGIOLO (a cura di), Le capitali della festa. Italia centrale e meridionale, Roma, pp. 284-308.
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