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I pediatri italiani si schierano contro il cibo sintetico

Secondo l’analisi IRI, il luogo in cui mangiamo sta cambiando: poco più della metà degli shopper pensa di ridurre la home delivery di alimentari rispetto al passato (51%) e il 47% prevede di mangiare meno al ristorante o al bar. In aumento, però, con il 49%, il numero di consumatori che intende cucinare più spesso cibo fresco a casa.

del 2022, trainate principalmente dall’infl azione ma anche dalla ripresa della domanda in seguito all’allentamento delle restrizioni e alla ritrovata mobilità dei consumatori che sono tornati in uffi cio (anche se meno rispetto al preCovid, come ad esempio in Italia), in vacanza e viaggiano regolarmente.

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Andando ad analizzare più nel dettaglio, le categorie che spingono la crescita nel 2022 sono i surgelati, i freschi, gli ambient, le bevande e il cura-persona; questo incremento però è stato parzialmente compensato dalla fl essione delle vendite di alcolici (–5%) e dei prodotti per la cura della casa (–0,2%). «Il continuo calo delle vendite in termini di volumi come risposta all’infl azione è un primo indicatore di debolezza nella domanda di beni di Largo Consumo», ha commentato Ananda Roy, International Senior Vice President, Strategic Growth Insights di IRI.

«I costi produttivi e di fi liera sono in aumento, per questo industria e distribuzione sono costrette ad esplorare nuove vie per cercare di andare incontro alle famiglie in questo periodo di diffi coltà e continuare a stimolare la domanda.

Stiamo assistendo al più grande cambiamento del comportamento dei consumatori in oltre cinque de-

cenni: oggi gli shopper acquistano chiedendosi “Ne ho davvero bisogno?”, “Possiamo permetterci di fare una scelta sostenibile?”, con la convinzione che “Ne uso meno, così spreco meno”».

Principali evidenze a livello europeo • Oltre la metà dei consumatori sta vivendo una situazione di crisi.

Il 61% dei consumatori intervistati da IRI è preoccupato per l’impatto che questa crisi avrà sul proprio stile di vita e il 71% ha già apportato modifi che al modo in cui acquista e utilizza i prodotti di uso quotidiano. Il 58% ha ridotto alcuni elementi essenziali (diminuendo gli spostamenti in macchina, saltando dei pasti e spegnendo il riscaldamento) ed il 35% sta utilizzando i propri risparmi personali e chiedendo prestiti per pagare le bollette.

• Le persone capiscono quello che sta accadendo nel mercato e sanno quali comportamenti

adottare in risposta. Il 74% dei consumatori è cosciente di quali siano i fattori determinanti il rialzo dei prezzi e il 69% afferma di essere in grado di prevedere l’impatto che

l’infl azione avrà sulle proprie fi nanze.

• I consumatori si stanno adattan-

do. Gli shopper scelgono dove acquistare per moderare gli effetti della crisi, sia cambiando i canali in cui acquistano, sia scegliendo una diversa insegna se il loro marchio di fi ducia non è disponibile (26%), non è in promozione (34%) o se il negozio non ha una gamma di offerta suffi cientemente ampia (41%).

• Gli shopper devono pensare al futuro per ottenere il miglior rapporto qualità-prezzo e rima-

nere nei limiti del loro budget.

Pianificare la frequenza (è probabile che il 22% riduca le shopping expeditions) e la quantità di denaro da spendere (21%) sono cambiamenti che alcuni consumatori adotteranno nel modo di fare la spesa. Il 58% confronta più spesso i prezzi tra brand o prodotti simili e il 49% valuta la quantità di prodotto che deve effettivamente utilizzare (ad esempio, detersivo in polvere per ogni lavaggio), per assicurarsi di utilizzarne il meno possibile. Questa ultima tendenza non si riscontra però in Italia, dove il consumatore guarda al prezzo per confezione, indipendentemente da “sgrammature” e formulazioni.

• Le etichette svolgono un ruolo

fondamentale. Il 40% degli shopper cerca prodotti in sconto anche se in scadenza e il 41% legge le etichette sul pack per avere ulteriori informazioni relative ai prodotti. Il 27% cerca anche delle recensioni sui beni che acquista.

• I consumatori creano nuove occasioni, momenti e contesti

di consumo. Il 29% sta cambiando il luogo in cui consuma determinate referenze (a casa, fuoricasa, all’aperto) ad esempio pranzando al sacco, invitando a casa gli amici per l’aperitivo, facendo la doccia in palestra, gustando caffè speciali tra le mura domestiche ed imparando a fare lo styling dei capelli a casa.

• Il luogo in cui mangiamo sta cam-

biando. Poco più della metà degli shopper pensa di ridurre la home delivery di alimentari rispetto al passato (51%) e il 47% prevede di mangiare meno al ristorante o al bar. In aumento però, con il 49%, il numero di consumatori che intende cucinare più spesso cibo fresco a casa. Il 34% prevede anche di cucinare più frequentemente per prepararsi un pasto da consumare fuori casa e il 12% prevede di comprare più piatti pronti freschi da cucinare tra le mura domestiche. • Più spazio per nuovi prodotti. In generale in molti

Paesi la scelta di un nuovo marchio per gli shopper diventa spesso una questione di prezzo (62%), di disponibilità immediata (49%) e di offerta promozionale a scaffale (37%). Cala l’importanza di qualità (15%), innovazione (8%) e comodità (8%). In Italia la qualità, per il consumatore, resta un fattore di scelta determinante. Nel nostro

Paese c’è una grande resistenza a mantenere uno standard qualitativo suffi ciente concentrando al limite gli acquisti nel segmento core mainstream, e diminuendo i prodotti premium. Per gli operatori del settore l’obiettivo deve essere quello di offrire prodotti che rispondano alle nuove esigenze dei consumatori: ad esempio, proporre condimenti e ripieni ambient per pranzi al sacco, oppure distillati premiscelati e consegne più rapide per chi consuma i pasti in casa, nonché formati diversi per le confezioni dei prodotti utilizzati in palestra.

• Le opzioni più sane e quelle a base vegetale convin-

cono ancora alcuni consumatori (rispettivamente 24 e 22%). Tuttavia, i prodotti di un’azienda socialmente responsabile o un prodotto migliore per l’ambiente non sembrano essere in questo momento fattori principali di scelta (entrambi al 10%).

«È evidente che la disponibilità dei consumatori a spendere diminuisce sempre più e la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente — con la prospettiva di ulteriori aumenti probabilmente dati dai costi energetici e produttivi — ma il dato positivo è legato al fatto che i consumatori hanno il controllo delle loro fi nanze e stanno adottando nuovi comportamenti che gli permettono di far fronte a questa situazione di diffi coltà» ha commentato Ananda Roy.

«Per anni sono stati abituati a volere e comprare sempre “di più”, con un’offerta di nuovi prodotti ed innovazioni in continua espansione, ma oggi il contesto è chiaramente cambiato.

Sono fi niti i giorni in cui si faceva una grande spesa una volta alla settimana. Ci aspettiamo un aumento della frequenza di acquisti di prodotti must-have ma

una ricerca di prodotti stagionali a prezzi più bassi. Per i consumatori si prospettano diverse decisioni diffi cili da prendere, di conseguenza produttori e distributori dovranno individuare delle strategie chiare e ben defi nite per rispondere alle mutate esigenze dei loro acquirenti».

>> Link: www.iriworldwide.com

La FIMP, Federazione Italiana Medici Pediatri, ha recentemente aderito alla petizione di

COLDIRETTI e FILIERA ITALIA contro la diffusione dei cibi sintetici prodotti in laboratorio. La fi rma è avvenuta presso la sede di Coldiretti a Roma a Palazzo Rospigliosi. All’atto uffi ciale hanno preso parte il presidente di Coldiretti, ETTORE PRANDINI, il segretario generale VINCENZO GESMUNDO e LUIGI SCORDAMAGLIA, consigliere delegato di Filiera Italia. Per la federazione dei pediatri erano presenti ANTONIO D’AVINO, presidente FIMP e i vicepresidenti LUIGI NIGRI

e ROBERTO CAPUTO.

“I pediatri hanno sottoscritto la proposta di Coldiretti di divieto di cibi sintetici e raccoglieranno le fi rme in tutti gli ambulatori coinvolgendo le famiglie informando i genitori sul rischio che i fi gli correrebbero assumendo un cibo sintetico rispetto agli effetti a medio e lungo termine ancora ignoti e non valutati”, si legge in una nota di Coldiretti.

Durante il vertice è stato sottolineato il livello raggiunto dal sistema sanitario italiano, la forte azione di prevenzione derivante da una corretta alimentazione e da stili di vita salutari puntando sull’origine dei prodotti 100% italiani grazie alla fi liera agroalimentare nazionale. In primo piano, ovviamente, anche l’importanza della Dieta Mediterranea nei primi tre anni di vita del bambino. Non è un caso, sottolineano i pediatri, che, secondo l’indagine Coldiretti-Ixè, 7 Italiani su

10, pari al 68% della popolazione, dichiari già ora di non fi darsi del cibo creato in laboratorio con cellule staminali in provetta.

Secondo la denuncia di Coldiretti, le multinazionali del cibo in provetta approfi ttano della crisi per imporre sui mercati i cosiddetti cibi Frankenstein: dalla carne prodotta in laboratorio al latte senza mucche fi no al pesce senza mari, laghi e fi umi.

Tutti questi prodotti alimentari, ha denunciato la confederazione, potrebbero presto inondare il mercato europeo: già a inizio 2023, infatti, potrebbero essere introdotte a livello UE le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio che coinvolgono EFSA e Commissione UE. Entro il primo semestre 2023, invece, negli USA potrebbero entrare in commercio i primi prodotti sintetici.

Interrogati sui motivi principali per i quali bocciare il cibo fatto in laboratorio, spiega l’analisi Coldiretti-Ixé, gli Italiani mettono in primo piano il fatto di non fi darsi delle cose non naturali: sono il 68% a dichiararlo, mettendo al secondo posto, secondo il 60% degli Italiani, i dubbi sul fatto che sia sicuro per la salute. Rilevante anche, per il 42% dei consumatori, la considerazione che il cibo artifi ciale non avrà lo stesso sapore di quello vero: e c’è anche un 18% che teme per il suo impatto sulla natura.

Per quanto riguarda la carne da laboratorio, aggiunge Coldiretti, “la verità che non viene pubblicizzata” è che non salva gli animali, perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche. Ma non salva nemmeno l’ambiente, perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali. E non aiuta la salute, perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare: infi ne, non è accessibile a tutti, poiché per farla serve un bioreattore e, in conclusione, non è neppure carne, ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato.

Sulla carne artifi ciale, secondo la confederazione, solo nel 2020 sono stati investiti 366 milioni di dollari, con una crescita del 6000% in 5 anni. Gli investimenti nel campo del cibo sintetico stanno crescendo molto sostenuti da diversi protagonisti del settore hi-tech e della nuova fi nanza mondiale: da BILL GATES, fondatore di Microsoft, a ERIC SCHMIDT, cofondatore di Google, da PETER THIEL, co-fondatore di PayPal a MARC ANDREESSEN, fondatore di Netscape, a JERRY YANG, co-fondatore di Yahoo!, a VINOD KHOSLA, di Sun Microsystems.

«Le bugie sul cibo in provetta confermano che c’è una precisa strategia delle multinazionali» spiega Ettore Prandini. «Con abili operazioni di marketing puntano a modifi care stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione. Siamo pronti a dare battaglia poiché quello del cibo Frankenstein è un futuro da cui non ci faremo mangiare» (fonte: EFA News – European Food Agency).

FederBio: no alla carne sintetica. Firmato l’appello di Coldiretti

Fermare un pericolo che si sta profi lando all’orizzonte, vale a dire l’immissione in commercio di prodotti

alimentari di origine sintetica, a partire dalla carne: questo l’obiettivo della petizione fi rmata dalla presidentessa di FederBio Maria Grazia Mammuccini in occasione del “XX Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione”, organizzato da COLDIRETTI con la collaborazione dello studio The European House – Ambrosetti. Dopo la prima autorizzazione al consumo da parte della FOOD AND DRUG ADMINISTRATION (FDA) di un prodotto a base di carne sintetica, il pericolo è che in tempi rapidi si potrebbe aprire la strada alle prime richieste di autorizzazione per la commercializzazione di carne sintetica anche in Europa. Tutto ciò, non solo è in contrasto con la cultura alimentare del nostro Paese, ma una deriva tecnologica di questa portata è proprio il contrario di quello che serve per il futuro.

Per FederBio occorre puntare sul consumo di carne biologica, proveniente da allevamenti sostenibili, rispettosi della biodiversità, attenti alla valorizzazione delle risorse naturali e in grado di generare solidi

legami all’interno dei territori e delle comunità in cui sono insediati. Gli ingenti investimenti nella Ricerca & Sviluppo dedicata alla produzione di alimenti sintetici, tra i quali la carne, sono un chiaro indicatore di come questo mercato stia capitalizzando l’interesse delle multinazionali e delle aziende hi-tech che vedono in questo segmento un’area per generare nuovi e consistenti profi tti.

«Sottoscriviamo con convinzione l’iniziativa di Coldiretti perché crediamo che sia fondamentale porre subito un freno alla deriva del cibo sintetico» ha commentato Maria Grazia Mammuccini. «La necessità di conversione degli allevamenti intensivi deve puntare sulla valorizzazione di quelle realtà locali che operano con metodo biologico ed estensivo, basato su un approccio agroecologico, che prevede animali al pascolo che favoriscono la fertilità del suolo. Peraltro, crediamo che sia totalmente insensato che la produzione di cibo sia consentita a multinazionali attive in settori che nulla hanno a che fare con questo comparto strategico, concentrando sempre di più la produzione di cibo in mano a pochi. L’agroecologia che sta alla base delle produzioni biologiche, insieme all’ambiente, alla biodiversità e alla salute, mette al centro la dimensione sociale nella quale sono gli agricoltori e le comunità locali i protagonisti della produzione di cibo». Per Maria Letizia Gardoni, presidentessa di Coldiretti Bio, «qualità e tradizione non sono aspetti che si possono ricreare in laboratorio, ma sono il frutto di una storia che contraddistingue la produzione agroalimentare italiana da secoli. Crediamo sia profondamente sbagliato rescindere il legame che esiste tra i nostri territori e la produzione alimentare, affi dando alla chimica la produzione di cibo che, in particolare nel nostro Paese, è invece sinonimo di cultura» (fonte: FederBio).

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