EUROCARNI
Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXII N. 2 • Febbraio 2017
L’era della sostenibilità Carne di cavallo Nuovi orizzonti per la GDO
€ 5,42
Suinicoltura europea
Una Storia di Famiglia
Dal 1950, il meglio dal mondo La BERVINI PRIMO nasce nel 1950 da una tradizione famigliare come bottega per la lavorazione delle carni. Proseguendo nella propria crescita in termini di qualità e servizio alla clientela, crea le condizioni per estendere la propria offerta inserendosi nel mercato sia nazionale che internazionale come azienda di importazione, lavorazione e vendita di carni refrigerate e congelate di diverse specie animali consolidandosi negli anni. Da anni offriamo carni porzionate e confezionate skin pack e recentemente offriamo la linea gourmet di bistecche, macinati e “hamburger” con carni provenienti dal mondo. Importatrice e distributrice anche di altri prodotti congelati, quali articoli ittici e verdure surgelate, oggi l’azienda è in grado di fornire una ricca, diversificata e qualificata offerta di prodotti e un servizio accurato al mercato del catering e retail in Italia come all’estero.
Offriamo solo le migliori carni provenienti da vari paesi del mondo
Abbiamo l’obiettivo di crescere e migliorare ulteriormente la nostra storia, aumentando le garanzie date fino ad oggi a clienti e consumatori
BERVINI PRIMO S.R.L. via Colonie, 13 · 42013 Salvaterra di Casalgrande · Reggio Emilia · Italia tel. +39 0522 996055 · fax +39 0522 849075 · www.bervini.com
2/17 Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl
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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali
EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985
Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi
Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910
Comitato di redazione Gianni Mozzoni (Legacoop) – Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Redazione Bruxelles Jean-Luc Meriaux: UECBV, rue de la Loi, 81/A Box 9 B 1040 Bruxelles, Belgio Tel. +32 2 230 4603 – Fax +32 2 230 9400 E-mail: uecbv@scarlet.be Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. +1 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Prof. Fausto Cantarelli – Prof. Carlo Cantoni – Dr. Alfonso Piscopo Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata – Prof. Sergio Ventura Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.
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EUROCARNI La prima rivista veramente europea
In questo numero: La carne nel mondo
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Agenda
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Naturalmente carnivoro
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Legislazione
Nutrizionali: chi è dentro, chi è fuori
Sebastiano Corona
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Slalom
Situazione economica e finanziaria di fine anno
Cosimo Sorrentino
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La carne in rete
Social meat
Elena Benedetti
24
Aziende
Contro la crisi, un’azienda di famiglia in controtendenza!
26
Container e macelli mobili, massima funzionalità
30
Retail marketing
Consumatori italiani a caccia di prodotti premium, nonostante il prezzo
Alberto Villa
34
Indagini
Nuovi orizzonti per il mondo della GDO
Giovanni Fantasia
36 40
L’era della sostenibilità La mafia nel piatto
Sebastiano Corona
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Carni e verdure per controllare il peso Suinicoltura
In Europa l’export compensa il calo dei consumi interni
Anna Mossini
58
Allevamenti
Il Dominio di Bagnoli, allevamento bovino in villa
Gian Omar Bison
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Paesi Bassi: nel Veluwe tra tradizione e innovazione l’agroalimentare punta alla sostenibilità
Massimiliano Rella
66
Benessere animale
Bovini sporchi al macello: compiti e responsabilità
Giulia Mauri
70
La carne in tavola
Filetto: alla Wellington o alla Voronoff?
Nunzia Manicardi
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Macellerie d’Italia
Chiapella, quanta carne al fuoco
Gaia Borghi
80
Il segreto del successo: specializzarsi e diversificare
Gian Omar Bison
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Speck, salami e schultar, sotto la Creta di Timau
Riccardo Lagorio
88
Macellerie nel mondo
Český ráj, paradiso boemo della norcineria
Massimiliano Rella
90
Meat blogger
Il norcino
Andrea Laganga
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Sapori dal mondo
I piatti di carne della cucina armena
Nunzia Manicardi
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Fiere
Ottimo bilancio per ALL4PACK Paris, Emballage & Manutention
102
MEAT-TECH 2018: punto fisso di un mercato in movimento
104
Innovazione
La tracciabilità delle carni suine in Cina guarda al futuro
Roberto Villa
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Sicurezza alimentare
Il punto di vista italiano sulle interazioni fra controlli ufficiali e certificazioni volontarie: focus sui mangimifici
Giulia Mauri
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Tecnologie
Gestire la peso-prezzatura e la preparazione ordini con il CSB-System
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Fast Blade, l’affilacoltelli professionale di nuova generazione
122
Dati ANAS sulla suinicoltura
124
Dati ANAS sulla classificazione delle carcasse suine nel 2016
128
Statistiche
Storia e cultura
Ragù: storia ed etimologia di una preparazione antica
Giovanni Ballarini
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Il consumo di carne nella storia
Dario Cianci
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Carne di cavallo: da carne esausta a carne di eccellenza
Pier Giovanni Bracchi 138
In copertina: hamburger di carni bovine selezionate (photo © Natalia Klenova – Fotolia).
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LA CARNE NEL MONDO
Argentina La Mesa de Carnes argentina, associazione che riunisce rappresentanti di produzione, industria, commercio e corporazioni del settore carneo del Paese sudamericano, ha realizzato una previsione relativa alle quattro carni maggiormente commercializzate in Argentina, concludendo che la loro produzione in totale raggiungerà i 5,9 milioni di tonnellate nel 2017 (così suddivisi: 2,73 milioni per il bovino; 2,4 milioni per l’avicolo, 730.000 tonnellate di carni suine e 55.000 tonnellate di carne ovina), segnando un nuovo record. Con questo volume il consumo interno sarà pari a circa 120 kg per abitante l’anno, la stessa quantità del 2016, tra i massimi della storia. Il volume disponibile per le esportazioni farà segnare un +80%, con la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro e una maggior raccolta fiscale dello Stato. La disponibilità di prodotto consentirà di mantenere la regolarità delle forniture sul mercato nazionale ed avviare azioni aggressive di marketing per ripristinare ed espandere i mercati internazionali (fonte: 3tre3.it; in foto, manzo argentino cotto alla brace, photo © sattriani – Fotolia)
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Filippine Dopo una lunga e complessa negoziazione iniziata nel 2015 e condotta dal nostro Ministero della Salute, è stata finalmente ufficializzata l’apertura del mercato filippino alle carni suine, ai prodotti a base di carne suina (stagionati e cotti) e agli involucri naturali esportati dall’Italia. L’iter che ha portato al raggiungimento di questo obiettivo, che ha coinvolto da vicino anche ASS.I.CA. – Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, ha incluso anche una missione delle autorità sanitarie delle Filippine nel nostro Paese, che hanno così potuto verificare direttamente i sistemi produttivi e gli standard qualitativi assicurati dal comparto italiano, prima di ufficializzare formalmente la possibilità di esportare salumi e carni suine verso il Paese asiatico. Il Ministero della Salute ha ufficializzato l’apertura del mercato filippino inoltrando una nota alle associazioni di produttori interessate, nella quale illustra le condizioni per l’avvio in concreto dei prodotti. La comunicazione contiene infatti gli estremi degli accordi siglati con la controparte asiatica, che ha notificato, per salumi e carni trasformate, l’approvazione dell’intero sistema italiano, pertanto l’autorizzazione di tutti gli impianti interessati all’export. «Non possiamo che accogliere positivamente la decisione delle autorità filippine di aprire all’export dei nostri prodotti» ha affermato il presidente ASS.I.CA. NICOLA LEVONI. «Siamo convinti che il mercato filippino abbia buoni potenziali di crescita e che, in generale, l’export sia una voce importante per le nostre produzioni. Il lavoro per concretizzare queste opportunità commerciali inizia adesso; ma è una sfida che siamo ansiosi di cogliere». Le Filippine sono una nazione con circa 100 milioni di abitanti, caratterizzata da un mercato e un’economia pienamente immersi nel boom asiatico. I tassi di crescita del PIL (+6%) negli ultimi anni sono stati secondi solo alla Cina nella regione, mentre i costi sono ormai inferiori a quelli cinesi. Si distinguono dal resto dell’Asia, avvicinandosi all’Europa, per quello che riguarda lingua, religione e mentalità. Caratterizzato da una popolazione giovane, è uno dei Paesi con la propensione al consumo fra le più alte nell’area. Dati i floridi fondamentali, il livello dei consumi (circa il 70% del PIL) rimane in costante aumento. Basti pensare che circa 10 milioni di filippini emigrati nel mondo rappresentano rimesse in denaro — inviato dall’estero in patria — dal volume consistente, divenendo acquisti spesso canalizzati nei centri commerciali del Paese, tra i maggiori dell’Asia. La classe media, quella con situazione economicamente più stabile, è in ascesa e gli ingenti investimenti in atto nel campo delle infrastrutture, delle attività industriali, del turismo e della filiera agroindustriale, lasciano fare agli analisti ipotesi positive per il futuro. Lo scenario economico, grazie a questa situazione, è in un costante trend positivo e la buona propensione al consumo rende l’Italian food estremamente popolare e ricercato. Il mercato filippino vanta ormai una vasta gamma di prodotti italiani, sia di base che di gastronomia: per l’Italia si stanno affermando rapidamente i prodotti quali pasta e salse di pomodoro (fonte: ASS.I.CA.; photo © nikonomad – Fotolia).
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AGENDA Val d’Ega (BZ) In Alto Adige, tra tutte le leggende che hanno come teatro la Val D’Ega, quella del “manzo sulle piste da sci” deve ancora nascere ma è certo che ci vorrà pochissimo tempo perché diventi una tradizione sulla bocca e nello stomaco di tutti gli appassionati di cibo e di montagna. Tutti i giorni, dal 3 al 19 febbraio, Beef & Snow offrirà infatti l’opportunità di godersi il piacere delle piste sostando alla scoperta del gusto inimitabile della carne di manzo della Val d’Ega. Le baite di Carezza e Obereggen, nonché i ristoranti dell’area turistica, serviranno tante ricette speciali a base di carne di manzo di qualità proveniente dall’area turistica nel cuore delle Dolomiti. A fare da contorno, un programma di eventi che si aprirà il 4 febbraio con Beef & Beats presso la Baita Gardoné, nel comprensorio di Obereggen, e continuerà il giorno dopo, con Cestino dal maso Val d’Ega: presentazione e vendita di prodotti freschi di agricoltori locali presso la stazione a valle Paolina nella ski Area Carezza, evento riproposto sabato 11 presso il locale Platzl a Obereggen (photo © gpichler.com). www.eggental.com/it/beef-snow
Dubai, Emirati Arabi Uniti Avrà luogo dal 26 febbraio al 2 marzo a Dubai la 22a edizione di Gulfood, la fiera del food & hospitality organizzata al World Trade Centre di Dubai che propone i prodotti e le soluzioni legate a tutta la catena del food, dagli ingredienti ai supporti di produzione, dai macchinari fino ai prodotti realizzati tramite gli stessi. Un palcoscenico interessante per gli esportatori e per i visitatori professionali alla ricerca di nuovi business da intrecciare con i mercati del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia meridionale, come il segmento delle carni halal (photo © alhalabiblog.com). www.gulfood.com
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NATURALMENTE CARNIVORO
Il norcino Jaroslav Bejr con alcuni dei suoi prodotti artigianali. Nella sua norcineria, Uzenářství u Bejrů, nel villaggio di Kněžmosm, dal 1997 Bejr produce salsicce, prosciutti, carne affumicata e altre specialità locali. Lo ha incontrato e “immortalato” in questa foto Massimiliano Rella, che ce ne parla a pagina 90 (photo © Massimiliano Rella).
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LEGISLAZIONE
Nutrizionali: chi è dentro, chi è fuori È entrato da poco in vigore l’obbligo della tabella nutrizionale nei prodotti alimentari confezionati. Ma le deroghe sono diverse e relative soprattutto alle piccole imprese. Una circolare interministeriale chiarisce chi è soggetto e chi no di Sebastiano Corona
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a diversi anni eravamo a conoscenza del fatto che il 13 dicembre 2016 sarebbe entrato in vigore l’obbligo della tabella nutrizionale nell’etichetta dei prodotti alimentari. Con quest’ultima disposizione il Regolamento UE 1169/2011 si può considerare operativo per la
stragrande maggioranza dei suoi contenuti. Tuttavia, ad un primo sguardo, girando tra gli scaffali dei supermercati e i tavoli dei ristoranti, si nota come in realtà ci sia ancora molto da fare. Non è infatti difficile imbattersi in etichette con informazioni parziali o fuorvianti. Indicazioni spesso riportate in
maniera errata, pur senza intento fraudolento alcuno, ma che potrebbero comunque essere oggetto di pesanti sanzioni o di contestazioni da parte dei consumatori. La sensazione è che vi sia ancora una scarsa conoscenza delle ultime disposizioni, sebbene non si possano più considerare una novità.
Dal 13 dicembre 2016 è entrato definitivamente in vigore il Reg. CE 1169/2011, che rende obbligatorio l’inserimento delle informazioni nutrizionali nelle etichette dei prodotti alimentari. Con le dovute distinzioni (photo © Tyler Olson).
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WEST COUNTRY PGI BEEF & LAMB È la pregiata carne bovina e ovina a marchio IGP inglese. L’area OMWOZIÅ KI LQ XZWL]bQWVM LQ Y]M[\M KIZVQ v KW[\Q\]Q\I LI [MQ KWV\MM VMT []L W^M[\ LMT XIM[M" +WZVW^IOTQI ,M^WV ,WZ[M\ /TW]KM[\MZ[PQZM ;WUMZ[M\ M ?QT\[PQZM KPM QV[QMUM NWZUIVW TI KW[QLLM\\I regione West Country LMTT¼1VOPQT\MZZI 1 XI[KWTQ ^MZLQ M ZQOWOTQW[Q QT KTQUI mite e l’alimentazione a base di erba NIVVW LQ Y]M[\M KIZVQ ]V XZWLW\\W LQ Y]ITQ\o []XMZQWZM
BUONI MOTIVI PER SCEGLIERCI
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QSM TENEREZZA GARANTITA QSM Quality Standard Mark v QT UIZKPQW Q[\Q\]Q\W LI AHDB XMZ OIZIV\QZM IT KWV[]UI\WZM TI sicurezza e la provenienza LMTTI KIZVM IKY]Q[\I\I 1T [Q[\MUI LQ ITTM^IUMV\W VI\]ZITM IT XI[KWTW OIZIV\Q[KM ]VI Y]ITQ\o []XMZQWZM LMTTM KIZVQ [QI QV \MZUQVQ LQ XZWXZQM\o V]\ZQbQWVITQ KPM LQ KIZI\\MZQ[\QKPM WZOIVWTM\\QKPM .ZI \]\\M la tenerezza risulta essere la più apprezzata" Y]M[\W v XW[[QJQTM OZIbQM ITT¼ITQUMV\IbQWVM I MZJI KPM KWVNMZQ[KM ITT¼IVQUITM ]VI KMZ\I [\Z]\\]ZI KPM OIZIV\QZo QV NI[M LQ UI\]ZIbQWVM NZWTTI\]ZI ]VI \MVMZMbbI IT\ZQUMV\Q VWV XW[[QJQTM
CARNE MATURATA
MATURED BEEF 4I \MVMZMbbI LMTTI KIZVM LQ UIVbW QVOTM[M Matured English Beef v ZQKWVW[KQ]\I IVKPM LI ]V LQ[KQXTQVIZM LQ M\QKPM\\I\]ZI NIKWT\I\Q^W" ]V IQ]\W KWVKZM\W XMZ QVKZMUMV\IZM ]T\MZQWZUMV\M TI Å L]KQI LMQ consumatori italiani VMTTI Y]ITQ\o LMTTM carni bovine inglesi.
___ KIZVMXMZNM\\I Q\ QVNW(KIZVMXMZNM\\I Q\
L’indicazione in etichetta della dichiarazione nutrizionale non è obbligatoria, ad esempio, per gli alimenti, anche confezionati in maniera artigianale, forniti direttamente dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consumatore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono direttamente al consumatore finale. La normativa nazionale in effetti non aiuta poiché è tuttora in fase di evoluzione, contribuendo a rallentare l’adeguamento alle nuove regole. L’ultimo esempio è quello dei chiarimenti sulle imprese esonerate dall’obbligo della tabella nutrizionale. Chiarimenti che sono giunti solo a qualche giorno dall’entrata in vigore della norma e che tuttora non si possono considerare esaustivi, pur essendo fondamentali per comprendere quando l’obbligo vige e quando no. L’articolo 30 del Regolamento stabilisce che la dichiarazione nutrizionale obbligatoria debba riportare le indicazioni relative al valore energetico e alla quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. La dicitura che indica che il sale è dovuto esclusivamente al sodio naturalmente presente nell’alimento, può essere posizionata, immediata-
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mente accanto alla dichiarazione nutrizionale. Ulteriori indicazioni ancorché non obbligatorie possono essere fornite in merito ai seguenti elementi: acidi grassi monoinsaturi, acidi grassi polinsaturi, polioli, amido, fibre, sali minerali e vitamine elencati nell’allegato XIII, presenti in quantità significativa. I valori sono espressi per 100 g o 100 ml. Nel caso in cui vengano indicate anche le sostanze non obbligatorie, queste devono essere espresse per 100 g o 100 ml e in prossimità deve figurare la dicitura supplementare: “assunzioni di riferimento di un adulto medio (8400 Kj/2000 Kcal)”. In determinati casi, i valori nutrizionali possono essere riferiti per porzione o unità di consumo, quando però siano quantificate in maniera chiara sull’etichetta le porzioni contenute nell’imballaggio. Tutti i valori si riferiscono all’alimento così come
è venduto. Se del caso, le informazioni suddette possono riguardare il prodotto dopo la sua preparazione, ma solo a condizione che le modalità di consumo o cottura siano descritte in modo sufficientemente particolareggiato e le informazioni riguardino l’alimento pronto per il consumo. Chi invece volesse comunicare i valori nutrizionali anche per un prodotto sfuso o preincartato — che quindi per sua natura sarebbe esonerato dall’obbligo — lo può fare semplicemente riportando una dichiarazione nutrizionale limitata al valore energetico, la quantità di grassi, grassi saturi, zuccheri e sale, in quest’ordine. Quando invece l’etichettatura dovesse riguardare una bevanda con tasso alcolico in volume superiore a 1,2%, l’eventuale dichiarazione nutrizionale — anche in questo caso non obbligatoria per la categoria di
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prodotto — deve limitarsi al valore energetico. L’indicazione in etichetta della dichiarazione nutrizionale non è obbligatoria, ai sensi dell’articolo 16 del Regolamento, per gli alimenti elencati all’allegato V e quindi per: • i prodotti non trasformati che comprendono un solo ingrediente o una sola categoria di ingredienti; • i prodotti trasformati che sono stati sottoposti unicamente a maturazione e che comprendono un solo ingrediente o una sola categoria di ingredienti; • le acque destinate al consumo umano, comprese quelle che contengono come soli ingredienti aggiunti anidride carbonica e/o aromi; • le piante aromatiche, le spezie o le loro miscele; • il sale e i succedanei del sale; • gli edulcoranti da tavola; • i prodotti quali: estratti di caffè ed estratti di cicoria (…); • le infusioni a base di erbe e di frutta, i tè, o estratti senza altri ingredienti; • gli aceti di fermentazione e i loro succedanei; • gli aromi; • gli additivi alimentari; • i coadiuvanti tecnologici; • gli enzimi alimentari; • la gelatina; • i composti di gelificazione per marmellate; • i lieviti; • le gomme da masticare; • gli alimenti confezionati in imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 25 cm2. Ma soprattutto sono esenti dall’obbligo gli alimenti, anche confezionati in maniera artigianale, forniti direttamente dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consumatore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono direttamente al consumatore finale. Questo passaggio è dirimente per comprendere quali attività si possono considerare dentro o fuori dalla regola ed è tanto più importante se si considera il numero
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ingente di microimprese, nel nostro Paese. Tutte piccole e piccolissime aziende che di fatto si potrebbero considerare esenti dall’obbligo, salvo non sussistano altri elementi di valutazione. La norma ripercorre la linea già indicata dai Regolamenti UE 852 e 853/2004 che avevano introdotto una analoga deroga alla propria applicazione. Deroga che sancisce la non applicabilità “alla fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali (o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale) che forniscono direttamente il consumatore finale”. Quest’ultima indicazione esclude pertanto quelle aziende che, essendo poco strutturate, hanno difficoltà ad adeguarsi ad un precetto come quello descritto. Tuttavia, poiché questo passaggio del Regolamento non si poteva considerare esaustivo, è stata necessaria una circolare interministeriale (Mistero dello Sviluppo economico e Ministero della Salute del 16 novembre 2016) che chiarisse quali soggetti si possono considerare a tutti gli effetti esenti e quali no. Il primo elemento da prendere in considerazione è la deroga dei prodotti artigianali, intesi come confezionati artigianalmente e prodotti da piccole imprese e — aggiungiamo noi — quand’anche non fossero iscritte all’albo delle imprese artigiane. Il secondo è l’esenzione per i fabbricanti di piccole quantità di prodotti, tra i quali rientrano produttori e fornitori, comprese le imprese artigiane ed agricole, con i requisiti di “microimpresa” e cioè di aziende con un fatturato sino a 2 ml di euro e con massimo 10 dipendenti. Oltre ai soggetti appena citati, la Circolare stabilisce che la deroga all’obbligo si applica anche agli alimenti venduti direttamente ai consumatori, negli spacci aziendali. È quindi evidente che per le piccole imprese, gran parte delle aziende artigiane ed agricole, l’obbligo non sussista. A maggior conforto specifichiamo che per fornitura diretta
— un altro elemento che permette l’esenzione, appunto — si intende la cessione di alimenti, senza intermediari, “per piccole quantità di prodotti”, direttamente al consumatore o “strutture locali di vendita al dettaglio”. Con questo termine ci si riferisce ad un legame diretto tra l’azienda di origine e il consumatore. Può essere identificato dunque, “nel territorio della provincia in cui opera l’azienda e/o nel territorio delle province confinanti”. È escluso che la deroga si possa estendere alle forniture che implicano il trasporto sulle lunghe distanze, come l’ambito nazionale, i prodotti preimballati venduti all’ingrosso, alla Grande Distribuzione Organizzata o a intermediari, come le centrali d’acquisto. Salvo questi ultimi casi, quindi, gli alimenti artigianali sono esclusi, ancorché si presentino preimballati (cioè confezionati con un involucro non predisposto al momento della vendita e che non può essere aperto senza danneggiare la confe-
zione). È da qui infatti che nasce la distinzione tra prodotto sfuso, che viene proposto preincartato e prodotto confezionato, che si presenta preimballato. Cosa si intenda invece per “vendita al dettaglio”, è scritto in maniera chiara nell’art. 4 del Decreto Legislativo n. 114/1998: “attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, al consumatore finale”. Le imprese che sono soggette all’obbligo e che sino a questo momento non si sono premunite, dovranno invece fare un importante lavoro per adeguarsi alla norma, tanto più che l’etichetta nutrizionale va prodotta per ciascuna referenza commercializzata e diretta al consumatore finale. Laddove ci fosse una produzione vasta, con un numero importante di ingredienti, la faccenda, quindi, si complica. Il regolamento corre però
fortunatamente in aiuto di quelle aziende che, per motivi economici e magari per il numero ampio di referenze, non sarebbero in grado di sostenere i costi delle analisi di laboratorio. È stabilito infatti che i valori dichiarati devono essere valori medi stabiliti sulla base dell’analisi dell’alimento da parte del fabbricante, ma che possono altresì provenire dal calcolo effettuato a partire dai valori medi noti o effettivi relativi agli ingredienti utilizzati, oppure del calcolo effettuato a partire da dati generalmente stabiliti ed accettati. Le possibilità sono pertanto tre ed è il produttore a scegliere quella a lui più confacente. Il suggerimento — per maggior tutela dell’impresa — è sempre quello di effettuare le analisi chimiche del prodotto, per ogni referenza in vendita. Tuttavia, è possibile utilizzare le informazioni delle numerose banche dati a disposizione, molte delle quali autorevoli e completa-
Reparto carni di un punto vendita GDO. L’entrata in vigore della normativa sull’obbligo della tabella nutrizionale in etichetta richiede la chiara conoscenza delle ultime disposizioni in materia, processo complicato dalla normativa nazionale in continua evoluzione che rallenta l’adeguamento alle nuove regole (photo © Pavel Losevsky – Fotolia).
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mente gratuite, accessibili anche via web. Queste informazioni, debitamente elaborate con l’ausilio di un foglio di calcolo o con uno dei numerosi software presenti oggi sul mercato, rappresentano una soluzione valida anche per il loro costo. In questo caso, per i prodotti compositi — e in particolare per quelli di seconda trasformazione, per loro natura più complessi — occorre conoscere la percentuale dei singoli ingredienti che compongono la miscela e calcolare il dato nutrizionale per ciascuno di essi, per giungere poi al valore complessivo, sommando i singoli elementi. Per i prodotti alimentari artigianali, spesso realizzati senza una ricetta precisa o modificando la lista degli ingredienti, a seconda delle stagioni o delle disponibilità del momento, il calcolo potrebbe diventare problematico. Non bastasse, possono registrarsi, nel tempo, differenze rilevanti anche sullo stesso prodotto, così come la stessa tipologia di materia prima, può differire notevolmente a seconda della stagione o della provenienza. Per sopperire a tutti questi casi, sono ammessi degli scostamenti. Il Regolamento fa infatti riferimento a valori medi e non al prodotto specifico in termini assoluti. Rimane però il fatto che anche le variazioni dal dato dichiarato, non possono superare determinate soglie percentuali. Soglie opportunamente specificate in un documento sempre di matrice europea, risalente al dicembre 2012 (Guidance document for competent authorities for the control of compliance with EU Legislation on Reg. EU 1169/2011 […]) emanato a favore di chi ha la competenza relativa ai controlli. Questo ed altri fattori dovrebbero far propendere ulteriormente per le analisi di ogni singolo prodotto, ma per le imprese più piccole, che hanno comunque l’obbligo e che magari vantano decine di referenze, potrebbero non esserci soluzioni economicamente sostenibili, diverse da quelle dell’utilizzo delle banche dati. L’imposizione della tabella nutrizionale è di fatto un onere gravoso, sia in termini economici, sia per le risorse che vi vengono di volta in volta dedicate. Devono inoltre essere riviste e ristampate le etichette da parte di chi, in questi ultimi due anni, non si è portato avanti con il lavoro. È però un dato oggettivo la recente attenzione del consumatore verso i valori nutritivi del prodotto alimentare. I regimi dietetici sono oggi tra i più disparati e avere informazioni sulle caratteristiche di un cibo è certamente un elemento in più in fase di vendita. La tabella nutrizionale diventa pertanto una carta da giocare sul piano commerciale e può fare la differenza in sede di acquisto. Chi non è tenuto al rispetto della norma dovrebbe quindi riflettere sulle prospettive che questa strada offre. In questo caso anche le risorse dedicate alla causa non sarebbero un mero costo, ma un investimento di medio e lungo termine. Sebastiano Corona
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Situazione economica e finanziaria di fine anno di Cosimo Sorrentino
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l 2016 si è chiuso, in relazione alla situazione economica e finanziaria, con molte scosse, alcune prevedibili ed altre difficili da prevedere, anche se molti segnali erano stati percepiti. La prima situazione riguarda la crescita, la quale, secondo le previsioni più accreditate da parte di importanti organizzazioni internazionali quali l’OCSE e la BCE, si trova in un momento di relativa stabilità nell’Eurozona, purtroppo con segnali di rallentamento per il nostro Paese, e di maggiore slancio in diversi Paesi avanzati, con un rafforzamento delle principali economie emergenti. Arrivano segnali di maggior vigore, in particolare, dagli Stati Uniti, Canada, Germania e Francia ed anche dal Regno Unito, con un miglioramento nel breve termine, sebbene persista l’incertezza sulla natura dell’accordo che dovrà concludersi
con la UE. È inoltre prevista un’accelerazione della crescita in Cina e in India, ma anche in Brasile e Russia, pur partendo da livelli più bassi. Secondo la BCE le nuove previsioni macro-economiche per l’Eurozona sono sostanzialmente uguali a quelle del mese di settembre dello scorso anno, e cioè 1,7% per il 2017, 1,6% per il 2018 e 2019; l’inflazione, invece, si attesta sull’1,3% quest’anno e 1,5% nel 2018 fino ad arrivare all’1,7% nel 2019, che però non è ancora sufficiente al raggiungimento dell’obiettivo del 2%, tanto auspicato per l’Europa. Per quanto riguarda l’Italia si può prevedere un rialzo del PIL sopra la soglia dell’1% solo nel 2018, attestandosi sullo 0,9% sia quest’anno che il prossimo. Per ora la revisione riflette ipotesi meno favorevoli sull’andamento della domanda estera e dei tassi d’interesse
sui mercati internazionali, ma non si tiene conto, per tale ipotesi, della decisione della BCE di prolungare il Quantitative Easing a tutto il corrente anno, con conseguenti possibili sorprese. La ripresa è comunque avviata e la rimonta degli investimenti è il segnale più evidente. Non si discosta troppo dall’andamento del PIL il ritmo di crescita dei consumi delle famiglie (tra +1,3% e +0,9% nel 2019); meglio l’occupazione che si espanderebbe di circa due punti percentuali, cumulati nel triennio 2017-2019. La seconda situazione che ha caratterizzato il fine anno è stato l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve degli Stati Uniti, che rappresenta il primo aumento per il 2016 ed il secondo in dieci anni. Si tratta di un incremento di un quarto di punto, che fa salire il costo del denaro in una
Sorpresa dei mercati finanziari per la decisione presa a fine anno dalla Banca Centrale Europea che ha allungato di nove mesi, fino al termine del 2017, il programma di acquisto di titoli, il Quantitative Easing, riducendone, a partire dal 1o aprile circa, l’importo mensile da 80 a 60 miliardi di euro (photo © www.bancaemercati.com).
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forchetta tra lo 0,50% e lo 0,75%; la FED lascia intravedere la possibilità di ritoccare i tassi piuttosto velocemente, tanto che gli aumenti previsti per quest’anno sono tre e non più due, come aveva stimato nel settembre 2016 e per i quali abbiamo già scritto su questa Rivista. Detto aumento costituisce indubbiamente un voto di fiducia nell’economia americana e, come ha sostenuto la presidente YELLEN, «la politica monetaria resta accomodante, a sostegno della crescita e di un ulteriore rafforzamento del mercato del lavoro». Inoltre, per non inasprire probabilmente i rapporti con la nuova presidenza degli Stati Uniti, che tende a varare il maxipiano di investimenti ed il taglio delle tasse, ha aggiunto che il rapporto debito/PIL va tenuto in considerazione nel definire politiche di bilancio, anche in relazione a incertezze “sul futuro della politica economica”. Possibili sviluppi saranno seguiti attentamente con l’inizio della presidenza Trump.
La terza situazione, che ha sorpreso anche i mercati finanziari a fine anno, è stata la decisione della Banca Centrale Europea, il cui presidente, respingendo ogni illazione di aiuto all’Italia, ha allungato di nove mesi, fino al termine del corrente anno, il programma di acquisto di titoli, il Quantitative Easing,(del quale è stato anche ampiamente scritto sulla nostra Rivista), ma ha ridotto, a partire dal 1o aprile c.a., l’importo mensile da 80 a 60 miliardi di euro, misura presa, secondo quanto affermato dal presidente MARIO DRAGHI, poiché non esistono più quei rischi di deflazione che erano evidenti nel mese di marzo del 2016 e che ora sono pressoché scomparsi. Probabilmente, così facendo, Draghi ha tenuto conto delle forti critiche tedesche, da sempre contrarie alle misure anti-spread, considerate come “aiuti al sud”. Tuttavia, se la previsioni future dovessero diventare meno favorevoli o se le condizioni finanziarie dovessero diventare incoerenti con ulteriori
progressi verso un aggiustamento sostenuto dell’inflazione, il Consiglio dei Governatori potrà aumentare il programma in termini di dimensioni e/o durata. Per sostenere la validità e l’efficacia del sistema Q.E., la Banca Centrale Europea afferma che il sistema ha permesso di rafforzare la crescita dell’1,3% e spingere l’inflazione dell’1,5% sull’orizzonte di tre anni. La stessa BCE insiste poi sulla necessità che i governi siano più determinati nell’attuare riforme strutturali, mentre per la politica di bilancio viene sottolineata l’importanza di rispettare le regole del Patto di Stabilità al fine di rafforzare la credibilità dei singoli Governi ed aumentare la fiducia, condizione necessaria per procedere verso il completamento dell’unione economica e monetaria, sempre che, aggiungiamo noi, alcuni nostri partner europei non creino ostacoli, in nome del loro eccessivo egoistico interesse nazionale. Cosimo Sorrentino
LA CARNE IN RETE
Social di Elena
2. FICO: è iniziato il conto alla rovescia
1. Danish Crown, sempre più beef in Germania Con la recente acquisizione del macello tedesco Teterower Fleisch, il GRUPPO DANISH CROWN diventa il quinto operatore di macellazione in Germania. Per conoscere più da vicino le attività di questo Gruppo internazionale c’è il sito www.danishcrown.com, che si conferma un ottimo esempio di comunicazione efficace e moderna (photo © Danishcrown.com).
Farà parlare di sé parecchio nei prossimi mesi il lancio di FICO, la Fabbrica Italiana Contadina, “struttura di riferimento per la divulgazione e la conoscenza dell’agroalimentare, il luogo di incontro per tutti coloro che amano il cibo e che vogliono conoscerne i segreti e la tradizione, alla ricerca di informazioni ed esperienze uniche”, così come scrive Eataly World sul proprio sito, eatalyworld.it. Saranno 80.000 m2 di parco tematico con 4.000 m2 di stalle, botteghe, ristoranti, ambienti dedicati alla didattica e alla formazione. Per raccontare (e gustare) “l’eccellenza italiana dal campo alla forchetta”.
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meat Benedetti
4. Montana per Amatrice 3. A scuola di carne I newyorchesi FLEISCHERS CRAFT BUTCHERY, una delle realtà più interessanti nel mondo delle macellerie statunitensi, hanno sviluppato una serie di corsi rivolti agli appassionati di carne e di cucina che comprendono l’apprendimento della lavorazione del manzo, del maiale, la preparazione delle salsicce e di altri tagli particolari. Il costo medio di ogni corso è di 125 dollari. Il programma dei corsi è accessibile al link www.fleishers. com/school/classes (photo © www.fleischers.com).
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Sono già trascorsi oltre cinque mesi ma Montana, il marchio storico delle carni di Inalca (Gruppo Cremonini), continua ad essere presente vicino alla zona colpita, precisamente a Rieti, con un importante stabilimento per la produzione di carni in scatola. Subito dopo il terremoto di Amatrice dello scorso agosto, l’azienda ha collaborato attivamente per soccorrere i terremotati, fornendo gratuitamente diversi quintali di carni per le cucine da campo delle tendopoli. Inalca intende così sostenere gli allevatori presenti nell’area terremotata in cui la zootecnia da carne è un aspetto fondamentale di valorizzazione, difesa e presidio del territorio (photo © montanafood.it).
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AZIENDE
Contro la crisi, un’azienda di famiglia in controtendenza!
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n un settore del mercato come quello della carne rossa che negli ultimi anni ha riscontrato un trend dei consumi in costante flessione — trend spesso provocato anche dalla diffusione di notizie “errate” —, in provincia di Cuneo esiste una realtà societaria familiare che continua a crederci. Un classico esempio del tessuto imprenditoriale italiano, caratterizzato da passione, volontà, competenza, creatività, assetto societario e governance riconducibile ad un’unica famiglia. L’azienda MEC Spa e la famiglia Formento sfidano la crisi Confortata dai risultati raggiunti, che hanno registrato una crescita
del 15,0% verso l’anno precedente e con un fatturato prossimo alla soglia dei 100 milioni di euro, la famiglia Formento, fermamente convinta del futuro della propria azienda e con il preciso intento di rafforzarne costantemente la competitività, ha provveduto ad un ampliamento del capitale sociale da 6 a 7 milioni di euro. Un segnale coerente, peraltro, con il piano industriale della MEC Spa, che aveva già previsto un investimento di circa 4 milioni di euro nell’ultimo biennio per l’ampliamento del sito produttivo di Montanera e che, in seguito alla concessione edilizia ottenuta, verrà ultimato nel corso del 2017.
Investimenti produttivi legati alla strategia aziendale di diversificazione del business, che prevede l’ingresso in nuovi mercati, quali prodotti elaborati confezionati ready to eat e ready to cook sotto il brand commerciale FORMENTO. Proprio nel corso del 2016 è avvenuto, infatti, il lancio di una prima
La costata di Piemontese, una razza tutelata e controllata che trova nel suo essere magra ma estremamente gustosa un modo diverso di vivere la buona carne. Tutti i capi di Piemontese sono macellati e seguiti all’interno di un programma di filiera regionale.
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La famiglia Formento, con il preciso intento di rafforzare la competitività della propria azienda, ha provveduto ad un ampliamento del capitale sociale da 6 a 7 milioni di euro. Un segnale coerente con il piano industriale di MEC Spa, che aveva già previsto un investimento di circa 4 milioni di euro nell’ultimo biennio per l’ampliamento del sito produttivo di Montanera
Nel corso del 2016 è avvenuto il lancio di una prima linea di prodotti confezionati in skin pack che ha registrato feedback positivi da parte del mercato, sempre più attento a prodotti premium dall’elevato valore aggiunto come la linea Razza Piemontese, un “prodotto “d’eccellenza” che sostiene e promuove la filiera produttiva regionale
L’innovativa tecnologia di confezionamento in skin pack mantiene inalterata la freschezza delle carni grazie ad una sottile pellicola protettiva che aderisce al prodotto e ne permette il normale processo di frollatura.
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Le confezioni in skin pack proteggono le caratteristiche organolettiche del prodotto e facilitano il congelamento. linea di prodotti confezionati in skin pack che ha registrato feedback positivi da parte del mercato, sempre più attento a prodotti premium dall’elevato valore aggiunto come la linea Razza Piemontese, coerentemente, peraltro, alla volontà aziendale di sostenere e promuovere l’intera filiera produttiva “regionale” di un
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“prodotto “d’eccellenza”. Iniziativa commerciale che darà seguito a futuri lanci di nuove linee di prodotto, sempre orientate alle nuove tendenze di consumo, quale proseguimento di quel percorso di passione e volontà che rappresenta l’asset fondamentale dei passati e futuri successi aziendali.
MEC Spa Via Circonvallazione 26 12040 Montanera (CN) Telefono: 0171 798206 Web: www.carnimec.it
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La Battuta di Fassone Dall’eccellenza della carne Razza 100% Piemontese nasce un prodotto UNICO. Carne di Fassone Piemontese battuta al coltello, con leggero condimento di olio extravergine d’oliva, sale e pepe.
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Container e macelli mobili, massima funzionalità
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trategicamente ubicata nel cuore dell’Emilia, una terra da sempre vocata alla produzione alimentare e, in particolare, alla lavorazione delle carni, Tecnoalimenta è un’azienda leader che offre soluzioni innovative e ad alto valore tecnologico. La ditta opera sul mercato da parecchi anni e col tempo si è specializzata nella commercializzazione e produzione di impianti, attrezzature ed articoli per l’industria alimentare nel settore della macellazione e della lavorazione della carne.
L’attenzione costante rivolta alla ricerca di prodotti avanzati, innovativi e funzionali capaci di soddisfare le richieste del mercato, la qualità dei materiale e dei prodotti, sempre aggiornati sulla base dell’evoluzione della tecnologia, il servizio post-vendita e di assistenza tecnica garantito dall’affidabilità e competenza dello staff, sono tutti elementi chiave che hanno permesso a Tecnoalimenta di raggiungere un ruolo importante sia a livello nazionale che internazionale. Non ultimo, la certificazione di qualità ISO 9001:2008 che oggi
vanta l’azienda reggiana offre una garanzia in più ai clienti, in termini di qualità e affidabilità della propria organizzazione e del continuo miglioramento dei propri servizi. Un’ampia offerta di prodotti e servizi L’azienda oggi offre una vasta gamma di prodotti per la macellazione e lavorazione delle carni, abbigliamento professionale, antinfortunistica e per la pulizia, a cui si affiancano servizi di progettazione, realizzazione, installazione e assi-
Tecnoalimenta realizza impianti all’interno di unità mobili, compatte e pronte all’uso e conformi alle normative vigenti.
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stenza di impianti di macellazione per bovini, suini, ovini, conigli e pollame, oltre a impianti di disosso e lavorazione carne. Tecnoalimenta è specializzata anche nella realizzazione di impianti di macellazione modulari e flessibili per gli allevatori e agricoltori che hanno la necessità di lavorare le carni all’interno della propria azienda. Progetta e realizza altresì impianti e sistemi per il trattamento e la depurazione delle acque vantando anni di esperienza e di professionalità sia sul mercato italiano che estero. Focus sui container per la trasformazione di prodotti agroalimentari e macelli mobili Per progetti medio-piccoli, Tecnoalimenta realizza impianti all’interno di unità mobili, compatte, complete, pronte all’uso e conformi alle vigenti normative igienico sanitarie e di sicurezza. Questi ambienti rispondono alle esigenze di avere una struttura realizzata chiavi in mano senza doversi fare carico di tutte le problematiche relative alla costruzione. Sono di veloce realizzazione, economici nell’acquisto e nella gestione, facilmente ampliabili e trasformabili e mantengono un valore nel tempo in quanto facilmente rivendibili. Queste strutture containerizzate possono racchiudere al loro interno diverse soluzioni produttive: • linee di macellazione; • laboratori per la lavorazione e confezionamento delle carni, del pesce, di frutta e verdura, mini-caseari e molto altro ancora.
Tecnoalimenta Via De Pisis 11 42124 Reggio Emilia Telefono: 0522 514807 Fax: 0522 231375 E-mail: info@tecnoalimenta.it Web: www.tecnoalimenta.it
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I container possono racchiudere al loro interno diverse soluzioni produttive: linee di macellazione; laboratori per la lavorazione e confezionamento delle carni, del pesce, di frutta e verdura, produzioni casearie e altro ancora.
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ProSus nuova linea di prodotti suini pronti al consumo Attiva dal 1985 nel mondo della macellazione e trasformazione della carne suina di origine esclusivamente italiana, ProSus, Cooperativa Produttori di Suini con sede legale a Vescovato (CR) ed altre due sedi produttive in provincia di Parma e Mantova, oltre 60 soci allevatori e la forza lavoro di oltre 300 unità, nel 2016 ha sviluppato un fatturato di 255 milioni di euro. «Crediamo fortemente nelle potenzialità della nostra azienda e nella bontà dei nostri prodotti» riferisce Enrico Cerri, presidente di ProSus. «Abbiamo investito molto negli ultimi anni sia sul fronte produttivo che su quello della comunicazione un’importante campagna pubblicitaria su Milano ed hinterland. Il nostro obiettivo è quello di consolidare la nostra presenza nella Grande Distribuzione e di ampliare le nostre quote di vendita sul mercato nazionale, iniziando però a fare l’occhiolino a mercati esteri interessanti, Stati Uniti in primis». La produzione della cooperativa spazia da prodotti tradizionali ai più innovativi, da tagli anatomici alle carni aromatizzate, veloci e facili da preparare, dai prodotti per la ristorazione collettiva al rinomato prosciutto di Parma. Dal 2015 ProSus si è presentata sul mercato con un marchio proprio, promuovendo l’innovativa linea Premium in confezione vacuum-skin (l’evoluzione del sottovuoto, che permette alla carne di mantenere inalterati gusto e freschezza fino a 30 giorni), con un’ampia gamma di referenze sia fresche che cotte da scaldare. In quest’ultimo biennio l’azienda ha investito sulla tecnologia e sui sistemi produttivi, implementando il proprio know-how, ampliando ed ammodernando le linee di lavorazione ed investendo su personale altamente specializzato. Una delle peculiarità di ProSus è la sua natura cooperativa, che permette di disporre e controllare tutte le fasi della filiera: agricoltura, allevamento, trasformazione, confezionamento. Una filiera italiana al 100%, tracciabile (anche dai consumatori grazie al QR Code riportato sulle confezioni), rispettosa dell’ambiente e del benessere animale, caratterizzata da un elevato know how tecnologico. >> Link: www.prosus.it
Baldi premiata per la sicurezza del lavoro Baldi, azienda con sede a Jesi (AN) e tra i principali attori del settore food e con attività primaria nel mondo delle carni per la ristorazione, ha ricevuto il premio “Sicurezza sul Lavoro” assegnato dalla Federazione dei Maestri del Lavoro d’Italia – Consolato Regionale Marche. Il riconoscimento è stato conferito nell’ambito del Premio Valore Lavoro istituito dalla Regione Marche, grazie al contributo del Fondo Sociale Europeo, con la finalità di valorizzare le buone pratiche aziendali attuate dalle realtà imprenditoriali marchigiane a favore delle risorse umane e di condividerle tra aziende, istituzioni e opinione pubblica. Baldi è stata scelta per aver attuato azioni specifiche finalizzate a mantenere un ambiente di lavoro salubre e sicuro. «Già nel 2014 abbiamo ricevuto il Premio Valore Lavoro come Buona Pratica Aziendale — ha commentato l’AD dell’azienda Emiliano Baldi (in foto a lato al ritiro del premio) — e ricevere quest’anno un ulteriore riconoscimento dedicato alla sicurezza sul lavoro ci rende ancora più orgogliosi. Il benessere dei dipendenti ci sta particolarmente a cuore, per questo operiamo puntando a standard superiori a quelli richiesti per legge». In particolare, Baldi ha installato all’interno delle sale di lavorazione delle carni uno speciale sistema per il trattamento dell’aria che consente di purificare gli ambienti e di evitare getti d’aria diretti, migliorando sensibilmente le condizioni di lavoro a basse temperature. Oltre a curare aspetti strutturali, l’azienda sviluppa un programma di formazione continua, che riguarda sia l’aspetto igienico-sanitario sia la prevenzione degli infortuni. La cerimonia conclusiva della 10a edizione del Premio Valore Lavoro si è svolta lo scorso dicembre, presso il Salone della Loggia dei Mercanti di Ancona, alla presenza dell’assessore regionale al Lavoro Loretta Bravi.
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RETAIL MARKETING
I risultati della Global Premiumization Survey condotta da Nielsen
Consumatori italiani a caccia di prodotti premium, nonostante il prezzo di Alberto Villa
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onostante la crisi dell’ultimo periodo spinga oggi il 44% degli Italiani ad affermare che non considera la propria situazione economica migliore rispetto a cinque anni fa, nel mercato si registra una forte crescita dei prodotti premium, cioè di tutti quei prodotti con un prezzo superiore del 20% rispetto alla media del mercato. I dati, infatti, mostrano che la crescita di questi prodotti è più forte
di quella registrata nella maggior parte delle categorie del mercato FMCG (Fast Moving Consumer Goods), tale da generare complessivamente un incremento a valore del 15,6% nel corso dell’ultimo anno. Interessante sottolineare inoltre che questo fenomeno è spesso legato non tanto ai brand leader della categoria quanto più a quelli di nicchia, che sempre più negli ultimi anni stanno adottando vincenti strategie
di differenziazione rispetto al resto del mercato. Questi brand hanno compreso come per gli Italiani non sia semplicemente una questione di prezzo; sono solo il 15%, infatti, i consumatori che definiscono un prodotto come premium solo perché costoso. È quanto emerge dalla “Global Premiumization Survey”, condotta da N IELSEN intervistando 30.000 utenti internet in 63 Paesi,
I consumatori intervistati indicano i prodotti freschi come le categorie in cui sono disposti a spendere maggiormente; per carne o pesce è ben il 31% (photo © Lisovskaya Natalia – Fotolia). 34
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In Italia, così come nel resto del mondo, i consumatori sono sempre più alla ricerca di prodotti in grado di attrarli sia da un punto di vista razionale che emotivo. Lo dimostra, in periodo di crisi, la forte crescita dei prodotti premium, cioè di tutti quei prodotti con un prezzo superiore del 20% rispetto alla media del mercato
tra cui l’Italia, che ha analizzato i comportamenti e le abitudini dei consumatori relativamente ai prodotti premium. Le peculiarità che identificano questo tipo di prodotti In linea con gli altri Paesi europei, la qualità degli ingredienti o dei materiali con cui sono fatti rappresenta il primo requisito per il 45% dei consumatori. Seguono poi l’offerta di funzioni/performance superiori rispetto agli altri prodotti, la capacità di fare cose in più rispetto al resto del mercato, ma anche l’offerta di una customer experience di livello superiore (rispettivamente 39%, 34% e 30%). In linea con i trend degli ultimi anni la ricerca mostra inoltre
come gli attributi green dei prodotti si traducano in un forte potenziale premium. Gli Italiani dichiarano infatti di essere disposti a pagare un prezzo più elevato per i prodotti ecosostenibili (20%) e ancora di più per quelli composti da ingredienti naturali e biologici (22%). Non sorprende, quindi, che da un lato i consumatori intervistati indichino i prodotti freschi come le categorie in cui sono disposti a spendere maggiormente: il 31% per carne o pesce, il 26% per latticini (latte, yogurt o formaggi) e il 23% per pane e specialità da forno. Il 17% è inoltre disposto a spendere di più per riso e cereali, rispetto al 9% della Francia e l’8% della Germania. La qualifica premium, però, non si applica solo all’ambito food: il 22% degli intervistati infatti dichiara di essere disposto a spendere di più per prodotti tecnologici di livello superiore (computer, cellulari, ecc…), mentre il 18% per farmaci over the counter, venduti cioè senza prescrizione. Questo dato è molto superiore rispetto agli altri grandi paesi europei (6% in Gran Bretagna, 7% in Francia). Rimane però dall’altro lato rilevante la percentuale di coloro che non si dicono disposti a pagare un prezzo più alto per nessun prodotto (31%); in questo caso invece il dato è in linea con gli altri Paesi (31% in Spagna e 29% in Germania e Gran Bretagna).
Gli Italiani dove preferiscono acquistare i prodotti premium? La maggior parte (45% del totale) opta per i negozi fisici, mentre una quota sempre più ampia per l’e-commerce (il 21% dei consumatori compra abitualmente prodotti premium on-line), anche se la percentuale di acquirenti on-line rimane ancora inferiore rispetto a quella degli altri Paesi europei, primi fra tutti inglesi (31%) e tedeschi (31%). Solo una piccola minoranza compra questi prodotti presso negozi al di fuori dei confini nazionali (8% online, 5% presso store fisici). Passaparola e impulsi emozionali È importante infine ricordare che per invogliare i consumatori a provare nuovi prodotti premium le strade sono diverse. Se da un lato, infatti, gli Italiani fanno personalmente ricerche prima di decidere di acquistare un prodotto premium (33% di loro), per il 25% il passaparola di amici e parenti è ancora il motivo principale che spinge a comprare uno di questi prodotti. Ma fondamentale per le aziende rimane l’immagine che riesce a trasmettere del proprio brand e il modo in cui riesce a coinvolgere emotivamente il consumatore: l’impulso emozionale è infatti ciò che spinge all’acquisto di prodotti premium il 22% degli acquirenti. Alberto Villa Fonte: Nielsen Insights
Il Black Angus irlandese ha fatto colpo in Italia Bord Bia ha messo in atto recentemente un’interessante promozione sul manzo irlandese Black Angus, in collaborazione con i supermercati Coop del Centro e Nord d’Italia. La promozione, avvenuta in 40 punti di vendita in totale, situati soprattutto nella regione dell’Emilia-Romagna, è durata da metà novembre fino a metà dicembre. I consumatori hanno avuto la possibilità di vincere diversi premi, tra i quali un viaggio in Irlanda, con il quale avranno l’opportunità di vivere le meraviglie del paesaggio irlandese ed assaggiare la loro cucina tipica. Per promuovere l’iniziativa sono state organizzate anche delle animazioni nei diversi punti vendita, dove delle hostess hanno promosso attivamente il concorso e hanno fornito ai consumatori informazioni utili sul manzo irlandese e sulla sua pregiata qualità, offrendo anche volantini con ricette sul Black Angus irlandese. Il concorso è stato ben accolto dal pubblico che si è dimostrato interessato a scoprire di più sulla produzione del Black Angus irlandese e sui vari tagli che erano in promozione. I consumatori hanno mostrato interesse anche nel programma di Qualità Assicurata di Bord Bia, che si basa sulla stretta cooperazione fra allevatori e distributori, e ha lo scopo di fornire ai propri clienti manzo di altissima qualità e garanzie in merito all’integrità e alla sicurezza della carne. Il concorso, che è stato promosso anche attraverso i canali social di Bord Bia, ha riscontrato la partecipazione di 300 persone in totale. (Fonte: Bord Bia)
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INDAGINI
Nuovi orizzonti per il mondo della GDO di Giovanni Fantasia
L’
indice di fiducia degli Italiani nel secondo trimestre 2016 si mantiene al di sopra del livello di guardia rispetto ai valori che si registravano nel periodo della recessione, attestandosi a quota 55, in crescita di 2 punti rispetto allo stesso periodo del 2015. Sono in diminuzione quanti ricorrono al risparmio dopo le spese essenziali, facendo intravedere una maggiore propensione al consumo di quanto si registrava un anno fa. Nello stesso tempo si osserva un rallentamento significativo del comparto FMCG, che attenua il ritmo di crescita sviluppato a fine anno.
Dal punto di vista del paese si rileva un trend di crescita moderata, con una correzione al ribasso del PIL a fine anno (+0,6% acquisito). Rispetto al 2006 le famiglie povere sono raddoppiate (+793.000). Sul fronte lavoro, contestualmente, a metà 2016 le persone occupate sono aumentate di 770.000 unità dal picco negativo minimo del 2013. All’interno di uno scenario così tratteggiato, si impone di chiedersi quali prospettive si aprono per il mondo dei retailer e della Grande Distribuzione da una parte e per quello della comunicazione dall’altra. A fronte di un comportamento dei
consumatori sempre più dinamico, che prevede esigenze di un’offerta personalizzata e di fare percorsi esperienziali di valore piuttosto che il semplice acquisto di un prodotto, la sfida che ci si trova ad affrontare è quella dell’innovazione e dell’incremento della ricerca, per proporre prodotti non ancora disponibili sugli scaffali. Chi innova, infatti, ha l’opportunità di conquistare nuove quote di mercato sottraendole a quanti restano fermi. La singola insegna può così creare il proprio mercato. Agendo sull’innovazione si possono intercettare nuovi spazi di domanda.
Dalle analisi Nielsen emerge che il prodotto oggi non può più rispondere alla mera logica dei volumi, ma, al contrario, deve essere una risposta ai requisiti richiesti dal singolo consumatore, disposto a spendere di più a fronte di prodotti nuovi che incontrino le proprie esigenze (photo © Andrey Bandurenko – Fotolia).
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Nello stesso tempo, si rende necessario fare un lavoro sempre più affinato di “targetizzazione” dell’offerta. Il prodotto non può più rispondere alla mera logica dei volumi, ma, al contrario, deve essere una risposta ai requisiti richiesti dal singolo consumatore. Vale qui la pena ricordare che quest’ultimo
è disposto a spendere di più a fronte di prodotti nuovi che incontrino le proprie esigenze, così come sta avvenendo nel comparto Bio. L’ambiente economico chiama anche il mondo della comunicazione a sperimentare nuove vie e format avanzati, in presenza di un consumatore sempre più
connesso e in costante fase di cambiamento dei propri comportamenti. Tutto ciò ci fa dire che siamo immersi non tanto in un’epoca di cambiamenti, quanto in un radicale cambiamento d’epoca. Giovanni Fantasia NIELSEN Insights
Dall’e-commerce al banking: come il mobile sta trasformando i pagamenti Le tecnologie mobili stanno radicalmente cambiando il modo con cui i consumatori acquistano e gestiscono il loro denaro. È quanto emerso dalla survey Mobile Ecosystem di Nielsen, realizzata in 63 Paesi su un campione di oltre 30.000 possessori di mobile connected device. Da un lato smartphone e tablet abilitano esperienze di acquisto ancora più personalizzate, dall’altro offrono nuove opportunità di gestione e circolazione del denaro. Nei paesi più evoluti questo significa offrire ai clienti bancari servizi che permettano loro maggiore flessibilità nei pagamenti e, allo stesso tempo, maggiore controllo nella gestione dei propri risparmi, mentre in quelli emergenti fornire l’accesso a servizi finanziari a oltre 2 miliardi di persone non bancarizzate. Il futuro del commercio e dei sistemi di pagamento è sempre più interconnesso. L’implementazione di nuove soluzioni provenienti dal settore fintech è uno dei principali driver di crescita della spesa dei consumatori. Il Demand Institute, in cui operano NIELSEN e il CONFERENCE BOARD, stima infatti che la crescita dei pagamenti cashless (senza contanti) potrebbe valere fino a 10 trilioni di dollari USA nei prossimi dieci anni. A giugno 2016 in Italia sono stati stimati 29,7 milioni possessori di smartphone e 11,6 milioni possessori di tablet (NIELSEN Smartphone & Tablet Report). Benché la penetrazione del mobile commerce e del mobile banking sia inferiore rispetto alla media europea e mondiale, sembrano esistere nel nostro paese le basi per una solida crescita. A un’offerta di servizi mobile già strutturata, si accompagna l’interesse dei consumatori nell’adottare pratiche evolute sia nei pagamenti, sia nella gestione del denaro. Questo scenario è favorito dalla più contenuta incidenza di barriere legate alla percezione della sicurezza dei device (rispetto al resto d’Europa e del mondo) e, sorprendentemente, da un minore “attaccamento” esclusivo al canale fisico nel rapporto con la banca. Il mobile entra nel processo di acquisto degli italiani che possiedono uno smartphone o un tablet nel 71% dei casi. Si tratta di un valore prossimo alla media europea, ma distante da quella registrata a livello mondiale (87%). Le pratiche più diffuse nel nostro paese sono la ricerca di informazioni su prodotti/servizi (40% vs 44% in Europa), la comparazione di prezzi (36% vs 41%) e la ricerca di promozioni o coupon (30% vs 32%). Un ambito di potenziale crescita del mobile commerce è legato ai pagamenti nei punti vendita fisici. Il 12% dei rispondenti italiani (il 13% in Europa e il 28% a livello mondiale) dichiara che nei prossimi sei mesi è intenzionato a utilizzare il proprio device per pagare in bar, ristoranti e negozi. Benché ad oggi questa pratica sia limitata, esistono nel nostro paese le condizioni per la sua diffusione. La principale barriera all’utilizzo dei device mobile nella gestione del denaro è rappresentata dalla percezione di mancanza di sicurezza. In Italia coloro che dichiarano di non essere propensi a effettuare attività bancarie tramite device mobile per questa ragione sono il 35%. Si tratta di una quota inferiore rispetto al 46% e al 53% registrati a livello europeo e mondiale. Emerge quindi il quadro di un paese in cui i sistemi più tradizionali di gestione del denaro sembrano ancora sufficienti a soddisfare le esigenze dei cittadini, ma dove l’adozione del mobile ha ampia possibilità di diffondersi qualora all’interno del sistema si presentassero cambiamenti o spinte dirette che ne mostrassero l’efficienza e la capacità di venire incontro a nuovi bisogni. Lorenzo Facchinotti (NIELSEN Insights)
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Il meglio della
C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Abbiamo chiesto allo Chef Stefano De Gregorio di reinterpretare il Vitello Tonnato, una storica ricetta italiana conosciuta in tutto il mondo. Trovate questa ricetta insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. L’organizzazione olandese VanDrie Group è leader di mercato per la carne bianca di vitello, ma non solo. Il VanDrie Group è anche un’organizzazione fondata sulle migliori tradizioni familiari. Il gruppo, con le sue oltre 25 aziende, costituisce la più grande azienda integrata di carne di vitello al mondo ed è pertanto leader mondiale nel settore della carne di vitello, nonché il più grande produttore di latte in polvere per vitelli. www.vandriegroup.com
La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).
“IL VITELLO TONNATO” interpretata da Chef Stefano De Gregorio
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Il cibo come paradigma dello sviluppo e della crisi della societĂ italiana
L’era della sostenibilitĂ
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Carne, latte, pesce, uova, legumi: sono tutti alimenti ad alto contenuto proteico. Nel nuovo Millennio la spinta alla crescita è rallentata bruscamente e la crisi generalizzata, impattando duramente sul corpo sociale e provocando l’erosione del ceto medio, ha portato ad un cambiamento di valori e stili di vita che si riflettono nelle mutate dinamiche di consumo anche nel comparto alimentare. I dati evidenziano che si sta riaprendo la forbice tra le fasce più abbienti e meno abbienti della popolazione, con queste ultime che rischiano una progressiva esclusione dalla possibilità di accesso ad una dieta completa ed equilibrata da cui comincia quindi a mancare anche il livello consigliato delle proteine nobili, presupposto imprescindibile di una buona salute (photo © Fotolia).
La spesa alimentare è duramente colpita dalla diversificazione sociale, tanto da poter parlare di Food Social Gap. Il consumo di carne esprime paradigmaticamente questo nuovo trend regressivo, anche perché si partiva da spese e quantità consumate già molto diverse tra famiglie meno abbienti e famiglie con maggiore disponibilità economica
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a dieta degli Italiani e il consumo di carne sono una chiave molto efficace per raccontare com’è cambiata la società italiana e, soprattutto, come sta cambiando. Se mangiare ogni giorno, tutti e bene è stato il simbolo del raggiunto benessere degli Italiani, oggi le diete sempre più riflettono sia accentuate disuguaglianze sociali che nuove esigenze e valori. Oggi non c’è consumo che non subisca l’impatto della nuova articolazione di redditi e consumi che diversifica i percorsi delle famiglie italiane, con un pesante condizionamento dei vincoli alla capacità di spesa delle famiglie meno abbienti; così anche l’alimentazione finisce per essere di nuovo un pericoloso fattore di differenziazione sociale. È in questo contesto sociale che occorre leggere la dinamica del consumo di carne che:
– già prima della crisi era crescente al crescere della condizione socio-economica delle famiglie: le famiglie a più alto reddito consumavano molta più carne di quelle a basso reddito; – nella crisi vede una più decisa riduzione del consumo da parte delle famiglie meno abbienti che già consumavano meno carne, innescando una perversa regressività sociale. Pertanto, nel lungo periodo la dieta degli Italiani e, al suo interno, il consumo di carne hanno espresso la conquista del benessere, poi le nuove richieste di consumi sostenibili, salutari e genuini. Nella crisi, poi, la carne rappresenta paradigmaticamente il nuovo Food Social Gap, ovvero il divario di possibilità di scelta nell’alimentazione tra famiglie ad alto e basso reddito. Il Food Social Gap racconta come, nel cuore
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Oggigiorno scelte alimentari che prediligono cibi genuini, salutari e sicuri sembrano sempre più appannaggio di classi abbienti. La forbice della differenza di prezzo tra alimenti sani e insalubri si sta allargando infatti sempre più, tanto che si può parlare di Food Social Gap: la spesa alimentare dipende dal reddito e testimonia la profonda frattura di carattere economico nel tessuto sociale attuale (photo © Cal Crary, www.foodnavigator.com). della post modernità digitale, si nasconda un medioevo di vite diseguali anche a tavola. In questo contesto di nuove profonde disuguaglianze nelle opportunità del consumo alimentare si diffondono rumors di ogni tipo che, da qualche tempo, convergono in modo preoccupante anche sull’alimentazione, dopo avere infestato altri ambiti decisivi per la vita delle persone, come il rapporto con la salute. Vere e proprie falsità, pericolose mode o trend del momento che il web fa proliferare e che sono in palese contrasto con i dati reali, gli studi scientifici, le oggettive esigenze nutrizionali e la stessa esperienza quotidiana di tante famiglie. La carne è di certo tra i bersagli principali delle nuvole di falsità e nel presente testo, in 12 punti, sono smontate e falsificate le principali di queste falsità: dal presunto eccesso di consumo di carne al suo rapporto con la buona nutrizione, agli impatti della sua produzione sull’ambiente.
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Dati e argomentazioni smontano i fragili castelli di credenze indimostrate che pretendono credibilità solo perché replicate su larga scala o da celebrities. Ferma restando la libertà di opinione e di scelta sull’alimentazione come su altri aspetti della vita, è fondamentale che le decisioni delle persone siano fondate su dati di realtà ed elementi fattuali, non su indimostrati teoremi. In un tempo in cui di nuovo chi mangia cosa è fortemente condizionato dalla disponibilità economica, e la carne scompare dalla tavola di tante famiglie, suona consolatoria o peggio ironica l’affermazione che gli italiani scelgono di non mangiare carne perché fa male. La dieta mediterranea, con il giusto quantitativo di carne di buona qualità, è ad oggi considerata la dieta migliore. Sarebbe un incredibile autogol nazionale lasciare che la carne rimanga solo sulla tavola di chi può permettersela economica-
mente e/o di chi ha le conoscenze adeguate per smontare le falsità che la demonizzano. Nel passato per gli Italiani la conquista della carne è stata il segnale che il benessere era arrivato, oggi e nel prossimo futuro il consumo di una giusta quantità di carne per tutti può diventare il simbolo di una conquistata sostenibilità sociale e di una piena consapevolezza delle nostre vere esigenze nutrizionali nella vita di ogni giorno. I primi anni del Nuovo Millennio L’inizio del nuovo Millennio è segnato dall’incertezza globale generata da eventi diversi come il terrorismo e gli shock alimentari e da dinamiche economiche rallentate di crescita di PIL, redditi e consumi. Si fanno largo nuovi stili di vita improntati a maggior sobrietà nei consumi, che vanno oltre la logica compulsiva ed incrementale, e valutano gli impatti sociali, culturali e ambientali da questi generati;
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La crisi modifica il contesto economico e sociale perché genera un downsizing intenso e concentrato di PIL, redditi, occupazione e consumi; un cambio epocale che si traduce in taglio di sprechi ed eccessi e una maggiore sobrietà, intesa come rigorosa selezione delle priorità, combinazione di soluzioni di acquisto e tipologie di beni e servizi
nell’alimentare la tracciabilità diviene un valore poiché garantisce salubrità e sicurezza dei prodotti. Cresce, infatti, l’attenzione verso il cibo di qualità, genuino, autentico e salutare e i produttori di alimenti sono costretti ad elaborare risposte adeguate a questo trend globale di richiesta di tracciabilità e qualità dei cibi. Vince la logica del consumare meno, consumare meglio a cui produttori e distributori non possono che rispondere con una evoluzione della filiera e del contenuto merceologico dei prodotti, carne inclusa. La crisi, dai tagli agli sprechi al nuovo Food Social Gap La crisi generalizza la sobrietà nei consumi con tagli drastici: negli anni 2007-2015 i consumi calano del 5,7% reale (perdendo 0,7 punti ogni anno) e quelli alimentari in misura ancora maggiore, del 12,2% reale (perdendo 1,6 punti ogni anno). In queste dinamiche negative entrano però in gioco pesantemente le nuove disuguaglianze sociali che, al di là dei generalizzati tagli agli eccessi, finiscono per differenziare il contenuto di carrello, tavola e dispensa delle famiglie in relazione
alla condizione socioeconomica. E non è una forzatura dire che le diete, prima ancora che da valori e stili di vita, finiscono per essere condizionate dalle nuove reali e diversificate disponibilità di reddito e capacità di spesa delle famiglie. La nuova realtà sociale può essere compresa comparando la situazione di tre tipologie di famiglie: con capofamiglia operaio, in cerca di occupazione e imprenditore. Nella crisi la spesa media famigliare per alimenti: • nelle famiglie operaie si riduce in termini reali del –19,4%, nelle famiglie con capofamiglia in cerca di occupazione del –28,9%, e in quelle degli imprenditori del –17,7%; • le riduzioni avvengono a partire da una situazione che nel 2007 vedeva la spesa media alimentare di una famiglia operaia inferiore del 14,9% a quella della famiglia dell’imprenditore, mentre, dopo la crisi, la forbice si allarga al 16,7% in meno. Per le famiglie in cui il capofamiglia è in cerca di occupazione la forbice nella spesa alimentare, rispetto alle famiglie degli imprenditori, è
Anche le dinamiche del consumo, pur generalmente improntate alla nuova sobrietà, subiscono la crescente disuguaglianza di redditi e patrimoni e quindi la diversa possibilità di scelta in relazione alla nuova collocazione sociale. La traiettoria di crescente relativa omogeneità sociale nei consumi lascia spazio ad un ampliamento dei divari con riduzione della possibilità di scelta per le famiglie meno abbienti La minore disponibilità di reddito finisce per precludere in molti casi la possibilità di un’alimentazione adeguata e di uno stile di vita sano; i dati indicano che le regioni dove le condizioni economiche sono peggiori, e quindi sono più presenti nella dieta alimenti non proteici a basso costo, hanno più persone in sovrappeso (photo © www.gustonews.it).
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Redditi bassi comportano una riduzione della possibilità di scelta d’acquisto. Già nel 2009 il CENSIS segnalava più di un milione di famiglie in condizione di povertà alimentare (photo © Giorgio Benvenuti, www.corriere.it). salita dal 20,6% in meno del 2007 al 31,4% in meno del 2015. Meno carne, ma non per tutti allo stesso modo Nel periodo di crisi le famiglie italiane hanno ridotto complessivamente la spesa per consumi alimentari del 12,2% e, in misura maggiore, la spesa per la carne (–16,1%). Le ragioni della contrazione drastica del consumo di carne nel periodo di crisi sono di certo molteplici e, tuttavia, non si può non sottolineare l’eccesso di semplificazione che punta l’attenzione solo ed esclusivamente sulle ragioni culturali o sulla presunta irresistibile attrattività delle nuove tendenze delle diete meat free; queste ultime sono in parte alla base delle scelte alimentari soprattutto dei ceti con maggiore disponibilità di reddito, mentre, per i ceti meno abbienti, è evidente la prevalenza di altri fattori, tra cui senz’altro quello economico. È opportuno far parlare i dati, perché consentono di capire
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la reale natura dei fenomeni in atto. Come si è rilevato, la spesa alimentare è duramente colpita dalla diversificazione sociale, tanto da poter parlare di Food Social Gap. Il consumo di carne esprime paradigmaticamente questo nuovo trend regressivo, anche perché si partiva da spese e quantità consumate già molto diverse tra famiglie meno abbienti e famiglie con maggiore disponibilità economica. I dati relativi alla spesa e ai consumi di carne di famiglie operaie, famiglie di imprenditori e famiglie di persone in cerca di lavoro confermano sia il Food Social Gap che la dinamica innescata dalla crisi secondo la quale chi meno mangia carne più ha dovuto ridurla. Infatti, i dati mostrano che: • la spesa reale per carne per i membri di famiglie operaie è stata dell’11,8% inferiore rispetto a quella delle famiglie di imprenditori nel 2015, e la differenza si fermava al 6,9% nel 2007. Sempre nel 2015 e
famiglie di persone in cerca di lavoro hanno sostenuto una spesa per la carne del 29,1% inferiore rispetto alle famiglie degli imprenditori, mentre era inferiore del 18,2% nel 2007; • in termini di variazione percentuale, nel periodo di crisi le famiglie operaie e quelle di chi cerca lavoro hanno ridotto la spesa per la carne (–20,0% le famiglie operaie, –26,7% quelle di chi è in cerca di occupazione) in misura maggiore rispetto alle famiglie degli imprenditori (per le quali si registra un –15,5% nella spesa reale per questo alimento). Sul consumo di carne bovina il ragionamento che emerge dai dati è analogo, con tagli più significativi, nel periodo della crisi, da parte proprio delle famiglie che già in precedenza consumavano quantità inferiori di questo alimento. I dati mostrano che: • le famiglie operaie sostengono nel 2015 una spesa reale per
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Hamburger di soia. Il calo del consumo di carne è dovuto anche a ragioni culturali e alle nuove tendenze delle diete meat free; queste ultime sono in parte alla base delle scelte alimentari soprattutto dei ceti con maggiore disponibilità di reddito (photo © omindipanpepato.blogspot.it). carne bovina del 16,7% inferiore a quella delle famiglie di imprenditori, il divario nel 2007 era dell’11%; • le famiglie di chi cerca lavoro hanno una spesa reale per consumo di carne bovina del 30,8% inferiore a quella degli imprenditori, gap raddoppiato rispetto al 2007 quando era del 15,7%; • in termini di variazione percentuale della spesa per carne bovina le famiglie operaie tagliano del 38,5% e del 46,1% le famiglie con capofamiglia in cerca di lavoro, di contro al taglio meno ampio (del 34,3%) delle famiglie degli imprenditori. In estrema sintesi: • nella crisi le famiglie meno abbienti, quelle operaie e quelle in cui il capofamiglia è in cerca di occupazione, che mediamente consumano meno carne (carne bovina in particolare) rispetto a quelle degli imprenditori,
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hanno subito una più intensa riduzione della spesa per acquistare questo alimento; • pertanto, il divario nel consumo dell’alimento carne tra le famiglie più abbienti e quelle meno abbienti si è accentuato, secondo la logica socialmente regressiva del meno mangi carne più devi ridurla. Una conclusione, questa, che deve far riflettere sull’impatto sullo stato di salute della popolazione. I dati evidenziano che si sta riaprendo la forbice tra le fasce più abbienti e meno abbienti della popolazione, con queste ultime che rischiano una progressiva esclusione dalla possibilità di accesso ad una dieta completa ed equilibrata da cui comincia quindi a mancare anche il livello consigliato delle proteine nobili, presupposto imprescindibile di una buona salute. Una riduzione del potere d’acquisto va in parallelo con una
riduzione delle possibilità di scelta alimentare da parte dei ceti meno benestanti, a detrimento della varietà, salubrità, qualità nutrizionale dei cibi consumati, esponendo fasce crescenti di popolazione al rischio di sviluppare malattie legate proprio a squilibri o eccessi nutrizionali (diabete, obesità, colesterolo, ecc…). La minore disponibilità di reddito finisce per precludere in molti casi la possibilità di un’alimentazione adeguata e di uno stile di vita sano alzando il rischio di sviluppare patologie da alimentazione non sana come l’obesità; i dati indicano che le regioni dove le condizioni economiche sono peggiori, e quindi sono più presenti nella dieta alimenti non proteici a basso costo, hanno più persone in sovrappeso. Guardando alle regioni meridionali tali dinamiche sembrano delinearsi con chiarezza. Nel sud, infatti: • il reddito disponibile medio pro capite è inferiore del 25% rispetto al reddito medio italiano; • la spesa pro capite per l’alimentazione è inferiore alla media nazionale, con oltretutto una contrazione significativa registrata negli anni della crisi, del 16,6%, a fronte di una riduzione media in Italia del 13,3%; • l’incidenza delle persone sovrappeso/obese raggiunge quasi la metà della popolazione (il 49,3%, con punte che arrivano a sfiorare il 53% nel Molise e del 51% in Campania), a fronte del 45,1% registrato al Centro, in linea con la media nazionale, e del 42,1% nelle regioni del Nord. Va detto anche che al medesimo squilibrio nutrizionale di chi non ha la possibilità economica di seguire una dieta varia e sana, che includa tutti gli alimenti nella giusta dose, è esposto chi, non per motivi di reddito ma culturali, di scelta individuale, esclude un alimento naturale e pienamente costitutivo della dieta mediterranea, quale la carne consumata nelle giuste quantità, sostituendolo magari con proteine a più alto costo e a più basso contenuto di nutrienti, non appartenenti alla nostra tradizione e generalmen-
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te ottenute attraverso complessi processi industriali, e ricorrendo ad integratori alimentari. Un classico esempio è rappresentata dalla “testurizzazione” delle proteine di soia per farne sostituti artefatti della carne. In tale processo, la farina di soia, depurata dal suo grasso, viene spremuta in macchine da estrusione. La proteina viene quindi isolata dalle altre sostanze mescolando la pasta di soia grezza con una soluzione caustica alcalina e poi lavata con una soluzione acida per far precipitare la lecitina. Immerso di nuovo in una soluzione alcalina il prodotto viene asciugato ad altissime temperature e poi “testurizzato” in filamenti che costituiranno la base per la “naturale” bistecca. Di fatto, quindi, si assiste ad una preoccupante tendenza in cui alimenti naturali (carne, salumi, formaggi), vengono criminalizzati e sostituiti da alimenti iper-elaborati, aventi nel contempo un elevato prezzo di acquisto ed una minor valore nutrizionale. Il rischio concreto per tutti è quello di allontanarsi da uno stile di vita, dato in primo luogo da un’alimentazione varia ed equilibrata, che è divenuto nel mondo sinonimo di salute e benessere, quale è la dieta mediterranea, che è parte della tradizione alimentare e culturale del nostro paese e che ha portato la nostra popolazione ad essere tra le più longeve al mondo. (Fonte: Fondazione CENSIS)
Nota A pagina 40 la copertina del libro “Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro” della Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (FBCFN). Pubblicato per la prima volta nel 2012 e rieditato, in versione aggiornata nel 2016. Il volume presenta le
proposte per vincere la sfida della sostenibilità del sistema agroalimentare globale, scenario complesso, caratterizzato dai tre paradossi dello spreco di cibo, della coesistenza di malnutrizione e obesità e delle distorsioni nell’uso delle risorse, fattori a cui è urgente dare risposta.
Ismea, meno 5,2% i prezzi agricoli nel 2016. Scatto in avanti a dicembre L’agricoltura archivia il 2016 in deflazione: lo rileva l’ISMEA che, con dicembre, ha completato la serie mensile degli indici dei prezzi all’origine dei prodotti agricoli, stilando un bilancio conclusivo dell’anno. In media le quotazioni hanno sperimentato una riduzione del 5,2% rispetto al 2015. Si sono avute in particolare flessioni nell’ordine del 6,7% per il gruppo delle produzioni vegetali e del 3,1% per i prodotti zootecnici. L’impatto deflattivo, analizzato con un maggiore dettaglio, è prevalentemente riconducile alla dinamica negativa dei prezzi dei cereali (–11,6% nella media annua) e ai significativi ribassi rilevati da ISMEA sui mercati degli oli di oliva (–18,5%), della frutta (–4,9%) e degli ortaggi (–3,9%). Chiude con un 4% di riduzione anche l’indice dei lattiero-caseari, mentre i prezzi del bestiame vivo hanno mostrato nel complesso una migliore tenuta, limitando i ribassi a un meno 0,8%. Sui mercati agricoli hanno pesato, nel 2016, gli squilibri registrati soprattutto nella prima metà dell’anno, legati a situazioni di surplus produttivo in diversi comparti, e le persistenti difficoltà associate a una maggiore pressione dell’offerta estera e a una domanda internazionale rivelatasi meno vivace rispetto al 2015. Chiude con una variazione positiva, intanto, l’indice mensile di dicembre, in crescita dell’1,9% su novembre e del 7% rispetto a dicembre del 2015.
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La mafia nel piatto Che l’agroalimentare sia un comparto in grado di generare grande ricchezza è opinione condivisa. Non se ne sono accorte solo imprese ed istituzioni, ma anche la criminalità organizzata. Per questo che il tema degli illeciti nel settore agricolo e della trasformazione è drammaticamente attuale di Sebastiano Corona
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a moltitudine dei reati nel nostro comparto e la loro diffusione in tutto il territorio nazionale — dove più, dove meno — farebbe pensare ad un settore già gravemente compromesso, al pari di altri ambiti storicamente più interessati da fenomeni delinquenziali. I dati e le testimonianze
sono infatti talmente impattanti da generare forte preoccupazione: dal Nord al Sud del Paese, dal primario al confezionamento, passando per la trasformazione, le mafie hanno allungato i propri tentacoli ovunque. I reati che si annoverano nelle più recenti denunce sono tra i più disparati. Si va dallo sfruttamento
del lavoro alle frodi alimentari, dalla pubblicità ingannevole all’estorsione, dal riciclaggio di denaro sporco al racket, il tutto sacrificando talvolta la salute pubblica, tal altra la libera concorrenza e in molti casi i diritti fondamentali della persona. Due documenti, di recente, hanno posto l’accento su pratiche di lavoro
Secondo il rapporto Coldiretti sui crimini nel settore dell’agroalimentare, in Italia il business del cibo per la criminalità organizzata nel 2015 ha superato i 16 miliardi di euro (photo © www.liberopensiero.eu).
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Raccolta pomodori. Realizzato dall’osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, il 3o rapporto“Agromafie e caporalato” dipinge un quadro nefasto sulla condizione di braccianti e raccoglitori di mezza Italia (photo © www.slowfood.it). inaccettabili in un Paese moderno e sviluppato come il nostro. Il terzo rapporto “Agromafie e caporalato” realizzato dall’OSSERVATORIO PLACIDO RIZZOTTO della FLAI CGIL, dipinge un quadro nefasto sulla condizione di braccianti e raccoglitori di mezza Italia, mostrando ampie sacche di illegalità e infiltrazione mafiosa nei vari passaggi della filiera, anche in contesti insospettabili. Sulle agromafie più in generale è invece la COLDIRETTI che con EURISPES e l’OSSERVATORIO SULLA CRIMINALITÀ IN AGRICOLTURA ha presentato il quarto Rapporto sui crimini nel settore agroalimentare. La più grande confederazione imprenditoriale del primario dichiara che il business del cibo per la criminalità organizzata nel nostro Paese ha superato, nel 2015, i 16 miliardi di euro, con reati che vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico al concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro o beni di
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provenienza illecita, contraffazione di marchi, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori e una serie di reati “minori”. Reati che di norma si accompagnano ad ulteriori operazioni delittuose come l’usura, il racket estorsivo e l’abusivismo edilizio, i furti di attrezzature e di mezzi agricoli, l’abigeato, le macellazioni clandestine e il danneggiamento di colture e piantagioni. Non fosse sufficiente, la criminalità organizzata in quest’ambito si esprime anche attraverso l’intimidazione, imponendo la vendita di determinate marche o prodotti ai diversi canali commerciali. Canali che, soprattutto a seguito della crisi economico finanziaria, vengono sempre più spesso rilevati dai vari clan. L’aspetto ulteriormente mortificante di questo quadro — già di per sé funesto — è che le agromafie prosperano e dilagano mentre il resto del Paese, la parte sana del nostro mercato, ristagna. Si assiste,
soprattutto in agricoltura, nella fase di raccolta, a diffusi fenomeni di caporalato che riducono in schiavitù intere categorie di lavoratori. Le denunce arrivano per ambiti e contesti geografici che sino a qualche anno fa si potevano ritenere completamente esenti da questo tipo di prassi criminale. A seguito dell’inasprirsi delle condizioni dettate dal mercato, camorra e mafia trovano condizioni favorevoli alla propria espansione, introducendosi, oltre che nella trasformazione alimentare, anche nella ristorazione e nella distribuzione, senza risparmiare la logistica e il confezionamento, in Italia e all’estero. Le agghiaccianti testimonianze sul caporalato fanno emergere una faccia sconosciuta dell’Italia, difficile da accettare in un Paese moderno e civile. Ritmi e condizioni di lavoro massacranti, violenza, stupri, ricatti che fanno inquadrare il fenomeno come una nuova forma di schiavitù a tutti gli effetti. Nessun settore, dalla Sicilia al Piemonte,
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Il Mezzogiorno resta l’area nella quale l’associazionismo criminale è più attivo: in Calabria ed in Sicilia il controllo del settore agricolo ed agroalimentare si mostra strutturale e capillare, non meno della Campania. Meno colpite appaiono la Puglia e la Sardegna. Il problema si fa sempre più preoccupante, invece, in Piemonte, Lombardia ed in alcune province venete e romagnole
Le agghiaccianti testimonianze sul caporalato fanno emergere una faccia sconosciuta dell’Italia, difficile da accettare in un Paese moderno e civile. Ritmi e condizioni di lavoro massacranti, violenza, stupri, ricatti, che fanno inquadrare il fenomeno come una nuova forma di schiavitù a tutti gli effetti. In questi contesti si consumano i peggiori crimini che privano di qualunque libertà
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sembra completamente esente da un fenomeno che mostra il peggio dell’espressione umana. Dai tempi di lavoro sino a 12, 15 ore al giorno senza riposo settimanale, alle condizioni di vita nel più assoluto degrado, il caporalato si esprime anche con altri tipi di soprusi, con ricatti e la sopraffazione a tutti i livelli, soprattutto per gli stranieri, ma non solo. Il cottimo è la regola. In alternativa si lavora per pochissimi euro all’ora, talvolta nascondendosi dietro un contratto collettivo che nella realtà dei fatti è largamente disatteso. Persone prive di qualunque mezzo, sono costrette a pagare — e a pagare profumatamente — gli alloggi dove vivere. Alloggi che altro non sono che giacigli sporchi e poveri, privi di acqua corrente ed energia elettrica, spazi dove regna il degrado più assoluto. In questi contesti si consumano i peggiori crimini che vanno dalla violenza all’estorsione, dal ritiro dei documenti, ad altri tipi di ricatto che privano di qualunque libertà. Questi lavoratori, impossibilitati a recarsi con propri mezzi sui luoghi di lavoro, pagano altresì profumatamente per essere trasportati sino al campo, così come sborsano per poter disporre di strumenti o dispositivi anche semplici, come guanti o secchi. In certi casi i turni sono talmente sfiancanti da richiedere il frequente uso di farmaci o droghe, anche queste fornite dagli aguzzini a peso d’oro. Ad ingrossare le fila di un esercito di lavoratori senza i diritti minimi, poi, non sono solo gli immigrati, che pure sono quelli che soffrono di più. Questa moltitudine di sfortunati, stimata in 430.000 persone circa (40.000 in più secondo la CGIL rispetto al 2014), si fa ogni anno più ampia e comprende una buona fetta di nostri connazionali. E poiché non c’è mai fine al peggio, molto spesso organizzazioni come quella descritta sono attive in contemporanea anche in ambiti diversi e altrettanto criminali come quello dello spaccio di droga, dello sfruttamento della prostituzione, della tratta di esseri umani, truffa per documenti falsi
o all’INPS, estorsioni, riciclaggio e molto altro ancora. I problemi derivanti dalla presenza nel mercato di associazioni a delinquere di questo calibro hanno però anche conseguenze sul corretto funzionamento dei sistemi economici. Potrà certo sembrare secondario, rispetto ai reati citati, ma tutto questo è anche e soprattutto distruzione della concorrenza, eliminazione graduale dell’imprenditoria onesta, pericolo — e talvolta in maniera seria — della salubrità e della qualità dei cibi e, non ultimo, compromissione dell’immagine del made in Italy e del Sistema Italia, nel nostro Paese e nel mondo. Secondo C OLDIRETTI — che all’interno dell’Osservatorio Agromafie ha voluto il coinvolgimento in qualità di presidente di GIANCARLO CASELLI, ex capo della Procura di Torino e noto magistrato antimafia, ora in pensione — il Mezzogiorno resta l’area nella quale l’associazionismo criminale agroalimentare è più attivo. In Calabria e in Sicilia il controllo del settore agricolo ed agroalimentare si mostra strutturale e capillare, non meno della Campania, seppur con delle zone limitatamente coinvolte come l’entroterra avellinese e il beneventano. Meno colpite appaiono nel complesso la Puglia e la Sardegna. Il Centro e il Nord Italia non sono completamente esenti dal fenomeno. Il grado di penetrazione appare stabile in Abruzzo, in Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, in particolar modo a Latina e Frosinone. Altre regioni, dove il problema si fa sempre più preoccupante sono invece il Piemonte, la Lombardia e alcune province venete e romagnole. Dal produttore al consumatore Chi crede però che la campagna sia il luogo dove mafia e camorra esprimono il peggio di sé in fatto di agroalimentare si dovrà ricredere. L’obiettivo, ormai vicinissimo, è quello di governare ogni anello della filiera, dalla terra al supermercato e al ristorante. In ogni passaggio si
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Non sono rari in Italia i casi di falsificazione in cui prosciutti di provenienza estera vengono etichettati con brand di aziende italiane (photo © www.marigliano.net). registrano quindi violazioni gravi delle norme che non sono reati a sé stanti, ma fanno parte di un complessivo ed articolato disegno criminale che implica il controllo di tutto il percorso di vita di un prodotto, dalla sua coltivazione al consumo. Mai come in questo caso si potrebbe usare il noto slogan: “dal produttore al consumatore”. Perché i passaggi saranno pure tanti, ma vengono tutti presidiati rigorosamente. Questo aspetto è molto importante perché una visione miope o che considera i diversi anelli della filiera come compartimenti stagni tra di loro, impedisce di vedere le ramificazioni di un fenomeno che non ha limiti, né confini netti e che quindi è in realtà molto più pericoloso e subdolo di quanto possa apparire a primo acchito. Un comune errore è forse quello di considerare le agromafie come fenomeni di serie B. Questa sottovalutazione ha permesso alle associazioni a delinquere di espandersi e prosperare in maniera pressoché
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indisturbata. Per molto tempo si è creduto che l’interesse di mafia e camorra fosse unicamente diretto a edilizia e droga, ma da anni la criminalità organizzata ha posato gli occhi su settori tanto interessanti, quanto redditizi, come ambiente ed agroalimentare, appunto. Altro errore è stato quello di sottostimare le capacità imprenditoriali delle mafie che, prima degli imprenditori seri, hanno compreso che unirsi per un fine comune è molto più redditizio e vantaggioso che farsi la guerra al proprio interno. Questo ha portato alcuni gruppi o famiglie a decidere di controllare delle zone anziché altre o a concentrarsi su alcuni anelli della filiera in maniera esclusiva, lasciando spazio agli avversari, su altri fronti. Ancora, l’agroalimentare può trovare sinergie con altri ambiti criminali, altrettanto ramificati. È così che alcuni gestiscono indisturbati i mercati generali di questa o quella regione, mentre altri hanno campo libero nei trasporti o nella ristorazione. E allo stesso modo
Bisogna dare alle imprese che lavorano nel rispetto di tutte le norme un motivo in più per stare nelle regole. Operare nel sommerso, ai diversi livelli, non deve essere conveniente per nessuno. Di pari passo, va guidato il consumatore nel mondo del cibo, insegnando, come primo concetto utile, che il basso costo di un prodotto può essere dovuto a molti fattori compresa l’illegalità e che fare un acquisto sbagliato può dunque rendere complici di certe nefandezze
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si possono intrecciare più attività facendo, per esempio, viaggiare la droga nei container della frutta e della verdura e cogliendo così due possibilità in una. Altri esempi sono quelli delle società di smaltimento rifiuti che intrecciano il proprio business con quello della produzione di plastica o packaging. E ancora, il controllo di catene di supermercati o ristoranti utilizzate come lavatrici del denaro sporco proveniente da altri settori. Anche a questo è servita la recente espansione della mafia nella Grande Distribuzione Organizzata o nella ristorazione. Ultime stime contano oltre 5.000 locali in mano alla mafia nel nostro Paese tra ristoranti, agriturismi, bar, bed & breakfast, trattorie, osterie e simili. Dei veri e propri santuari del riciclaggio del denaro sporco. Nel web inoltre — dove si può agire senza grandi fastidi — si trova terreno molto fertile per vendere prodotti dell’Italian sounding e alimenti con gravi irregolarità sotto altri punti di vista come scadenze, informazioni sui prodotti, etichettatura in generale. Illeciti minori, certo, ma tutti suscettibili di generare un grave danno agli imprenditori onesti e all’economia del nostro Paese. Illeciti in grado di sottrarre alle imprese regolari una fetta di mercato importante, tanto più che tra i prodotti maggiormente contraffatti ci sono quelli a denominazione e quindi proprio quelle specialità dove maggiore è lo sforzo di produttori e trasformatori per rispettare regole e condizioni di lavoro. Il quadro che esce dal Rapporto Agromafie è “cupo, ma non irrimediabile”, per dirlo con le parole di Giancarlo Caselli. L’ex magistrato, oggi prestato alla causa dell’agroalimentare, è infatti convinto che sia prima di tutto necessario instillare e diffondere la cultura della legalità. Ma bisogna — a suo parere — anche intervenire sull’istituto della prescrizione e adeguare la pena al reato, visto che al momento le sanzioni per alcuni illeciti sono talmente blande che non c’è convenienza, a conti fatti, a stare nel perimetro delle norme.
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Norme, burocrazie e tutela degli imprenditori onesti La pensano evidentemente come lui anche al Governo, visto che di recente un disegno di legge sul caporalato è stato esaminato ed approvato. Una norma, quella tuttora in esame, che intende colpire le mafie dove più sono vulnerabili: nel patrimonio. Questa proposta è diretta ad introdurre la confisca dei beni accumulati in modo illecito e in più estenderebbe la sanzione penale anche al datore di lavoro che utilizza, assume o impiega manodopera, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno. Le esperienze pregresse, anche nel nostro Paese, dimostrano però che l’inasprimento delle pene se non è accompagnato da un riequilibrio dei rapporti di forza sul mercato del lavoro, non basta. Bisogna intervenire dove i soggetti sono più deboli, per portarli a riconoscerne i diritti anche in campo, oltre che sulla carta. È però anche necessario agire sui costi del lavoro, sulla burocrazia e sulla pressione fiscale, affinché chi opera nel mercato abbia maggiore convenienza a compiere ogni operazione alla luce del sole. Alcune organizzazioni di produttori del primario propongono inoltre soluzioni come l’etichetta narrante, l’istituzione dell’elenco fornitori o l’introduzione della responsabilità in solido, in caso di reato, delle aziende committenti. Ma se su quest’ultima ipotesi ci può forse essere condivisione, sulle prime due, invece, si corre il rischio di introdurre nuove regole che, oltre a non essere risolutive, imporranno nuovi e gravosi oneri burocratici sulle imprese regolari. Mentre le mafie continueranno ad operare in piena libertà — costruendosi una legalità di facciata — nuove norme di questo tipo spingerebbero ulteriormente fuori dal mercato gli imprenditori onesti. Bisogna invece dare alle imprese che lavorano nel rispetto di tutte le norme un motivo in più per stare
nelle regole. Operare nel sommerso, ai diversi livelli, non deve essere conveniente per nessuno. Di pari passo, va guidato il consumatore nel mondo del cibo, insegnando, come primo concetto utile, che il basso costo di un prodotto può essere dovuto a molti fattori compresa l’illegalità e che fare un acquisto sbagliato può dunque rendere complici di certe nefandezze. La smodata ricerca del prezzo porta il sistema a storture di vario genere che contribuiscono in maniera fattiva al moltiplicarsi di fatti illeciti e a creare condizioni di lavoro difficili per i più deboli. Per usare le parole di CARLO PETRINI, patron di Slow Food,“purtroppo i nostri consumi di frutta e verdura possono rivelarsi complici di questa vergogna, perché è quasi impossibile avere la certezza che un pomodoro, un melone, un’anguria, un’arancia o una clementina non siano passate per quelle mani disperate. Di sicuro, se si sapesse, nessuno li comprerebbe. Quei lavoratori non sono liberi, e non lo siamo neanche noi. Anche questa, purtroppo, è gastronomia”. Certi meccanismi perversi vanno dunque osteggiati in ogni modo, se si intende dare un motivo in più al nostro agroalimentare per essere un valore per il Paese da ogni punto di vista. Per non creare equivoci, corre tuttavia l’obbligo di una precisazione. I fatti inaccettabili rilevati dai rapporti sulle mafie e gli illeciti di minore entità che in Italia vengono costantemente portati alla ribalta non devono far credere che il nostro comparto sia un crogiolo di delinquenti e malfattori, né che questi fatti criminosi vengano posti in essere nella totale noncuranza dei più. I rapporti citati contengono infatti informazioni e dati che sono potuti emergere solo perché i controlli sono continui, sono severi e vengono da più organismi. L’agroalimentare italiano è fatto soprattutto da una classe imprenditoriale seria, preparata, coraggiosa e onesta. Questa è e sarà sempre la nostra forza. Sebastiano Corona
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Carni e verdure per controllare il peso Nutrition Foundation of Italy rende noto un nuovo studio: un’alimentazione ricca di proteine animali, vegetali, da latte e latticini, migliora quasi tutti gli indici di rischio cardiometabolico, senza compromissione renale
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ei soggetti sani, un’elevata assunzione di proteine sembra avere effetti positivi sulla quasi totalità dei parametri di rischio cardiometabolico e, anche se seguita per molto tempo, non metterebbe a repentaglio la funzionalità renale. Questi risultati provengono dall’analisi più recente dei dati NHANES, studio di popolazione condotto negli Stati Uniti su oltre 11.000 persone dai 19 anni in su1. In questa analisi si è valutato quanto un consumo crescente di proteine (da fonti varie: carne rossa/pollame/pesce, cereali e latte/latticini) influisca sia sui parametri indicativi di salute cardiometabolica, come l’emoglobina glicata (che riflette l’andamento della glicemia nel tempo), l’HOMA-Index (correlato alla resistenza insulinica), la pressione arteriosa, la colesterolemia “antiaterogena” HDL, il BMI e il girovita, ma anche su quelli indicativi della funzionalità renale, come il GFR (il tasso di filtrazione glomerulare) e la creatininemia. In questa popolazione, l’assunzione media quotidiana di proteine è risultata in media pari a 82,3 g, per la maggior parte da carni (37,4 g/die), seguite da cereali (24,7 g/die), infine da latte e latticini (13,4 g/die). Al termine dell’analisi si è visto che il consumo abituale di alte dosi di proteine animali e vegetali si associa a miglior controllo del peso, del rapporto peso/altezza e del girovita. L’assunzione abituale di proteine non modifica inoltre negativamente i parametri di rischio cardiometabolico. Fa eccezione
un’associazione positiva tra proteine animali e glicemia, che i ricercatori attribuiscono alla elevata quota di carni rosse e lavorate presente nell’alimentazione media statunitense. Infatti in altri studi, su popolazioni con consumi proteici da carni bianche e pesce, emerge invece un effetto protettivo sul metabolismo glucidico. Il consumo abituale di proteine, poi, non compromette la funzionalità renale, lasciando invariati tasso di filtrazione glomerulare e creatininemia. Emerge solamente un aumento dell’azotemia associato al consumo di proteine animali e di latte e latticini, che riflette probabilmente il maggior turnover metabolico degli amminoacidi ed è quindi di scarsa rilevanza pratica. (Fonte: Nutrition Foundation of Italy2) Nota 1. B ERRYMAN C.E., A GARWAL S., LIEBERMAN H.R., FULGONI V.L. 3 RD , P ASIAKOS S.M. (2016), Diets higher in animal and plant protein are associated with lower adiposity and do not impair kidney function in US adults, Am. J. Clin. Nutr.;104(3):743-9. doi: 10.3945/ajcn.116.133819. 2. NUTRITION FOUNDATION OF ITALY nasce nel 1976 con lo scopo di promuovere, nel senso più ampio del termine, formazione e informazione sui principi fondamentali della nutrizione e un aggiornamento costante in tema di corretta alimentazione come promotrice di salute. Per info: www.nutrition-foundation.it
Meats and vegetables to control the weight Higher-protein diets are associated with decreased adiposity and greater HDL cholesterol than lower protein diets. Whether these benefits can be attributed to a specific protein source (i.e., nondairy animal, dairy, or plant) is unknown, and concerns remain regarding the impact of higher-protein diets on kidney function. The objective of this study was to evaluate trends of protein source on markers of cardiometabolic disease risk and kidney function in US adults. Diets higher in plant and animal protein, independent of other dietary factors, are associated with cardiometabolic benefits, particularly improved central adiposity, with no apparent impairment of kidney function.
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SUINICOLTURA
In Europa l’export compensa il calo dei consumi interni A dicembre si è tenuto a Modena un incontro a cui hanno preso parte i più qualificati rappresentanti del settore provenienti dai Paesi maggiori produttori suinicoli del Vecchio Continente. La Cina rappresenta l’approdo più importante. Ma si lavora per conquistare anche altri mercati internazionali di Anna Mossini
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n export positivo, che nel medio-lungo periodo può continuare a riservare buone soddisfazioni. A patto che le condizioni politiche della Cina non mutino, pregiudicando il positivo andamento che i Paesi europei
maggiori produttori di carne suina stanno registrando soprattutto dai mesi immediatamente successivi all’entrata in vigore dell’embargo russo, due anni fa. Numeri incoraggianti, dunque, che però fanno mantenere agli esperti del
settore una buona dose di cautela soprattutto in previsione futura. Dell’andamento della suinicoltura europea e delle sue prospettive per l’anno da poco iniziato si è parlato qualche settimana fa a Modena, durante un incontro promosso dalla
Il tavolo dei relatori. Da sinistra, lo spagnolo Miguel Angel Berges Saura; il francese Jean Pierre Joly; il presidente della Deputazione della Borsa Merci di Modena, Gaetano Guiducci; il vicepresidente della Camera di Commercio di Modena, Giancarlo Cerchiari; Roberto Antognarelli, componente della Deputazione della Borsa Merci di Modena e analista del settore suinicolo; il danese Christian Gammelgaard e, in sostituzione del rappresentante tedesco Matthias Kohlmueller, il belga Joan Vandaele.
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locale Camera di Commercio, che ha radunato al tavolo dei relatori esperti suinicoli di Spagna, Francia, Danimarca, Germania e, naturalmente, Italia. Spagna avanti tutta Se il dato negativo che accomuna tutti questi Paesi è un generalizzato calo dei consumi interni e in buona parte anche una riduzione delle consistenze dei capi allevati, sull’export i dati si differenziano di più e collocano la Spagna sul podio più alto, con un aumento produttivo e di carne esportata soprattutto verso la Cina, il Giappone e la Corea del Sud, molto significativo. «Oggi il nostro Paese, a livello europeo, è il primo produttore suinicolo e ha superato la Germania che rimane comunque ai vertici nella produzione di carne suina — ha sottolineato MIGUEL ÁNGEL BERGES SAURA di Mercolleida introducendo il suo intervento — dopo la crisi del 2008, che aveva decretato una forte flessione dei consumi nazionali, ci siamo orientati molto verso l’export e per diversi anni la Russia ha rappresentato per noi lo sbocco più interessante. Poi, con l’embargo, abbiamo dovuto rivedere le nostre strategie di marketing e ci siamo orientati verso la Cina aumentando la produzione e via via anche la quota esportata. Dal 2015 stiamo assistendo a un aumento costante delle scrofe che però non si traduce in un aumento dei posti all’ingrasso, parallelamente le consistenze totali negli allevamenti sono stabili ma verso i Paesi Terzi, solo nel 2016, abbia-
mo esportato il 20% in più, che in totale vuol dire aver inviato verso i paesi del Sud Est asiatico quasi la metà della produzione, mentre il rimanente 50% ha superato i nostri confini nazionali in direzione degli altri Paesi europei, con l’Italia che ha richiesto un numero superiore di lattonzoli rispetto agli anni precedenti». I prezzi bassi che hanno scandito l’andamento delle quotazioni dei suini spagnoli dall’autunno 2015 in avanti hanno contribuito a favorire l’aumento dell’export, così come il cambio euro/dollaro particolarmente favorevole. «Nel 2016 i prezzi hanno oscillato tra 1,12 e 1,30 €/ kg — ha continuato Berges Saura — per quest’anno le nostre previsioni sono improntate ad un ulteriore incremento produttivo guardando ad un export che può interessare, oltre la Cina, il Giappone e la Corea del Sud anche alcuni Paesi dell’America Latina, dell’Africa e l’India. Gli allevatori e i macellatori spagnoli hanno investito molto in questi ultimi anni per migliorare le loro strutture a beneficio di un parallelo miglioramento produttivo. Questo fa prevedere che la produzione sarà destinata a crescere anche per i prossimi 5-10 anni, un andamento favorevole che potrebbe garantire un ulteriore guadagno, sia per i produttori che per i macellatori, di 3-5 cent./kg: nel 2000 i Paesi verso cui esportavamo la nostra produzione suinicola non erano più di 5 o 6, oggi superano il centinaio. Credo che solo queste cifre possano dare la dimensione di quanto il settore
Gli allevatori e i macellatori spagnoli hanno investito molto per migliorare le loro strutture, a beneficio di un miglioramento produttivo. La produzione sarà quindi destinata a crescere ancora per i prossimi 5-10 anni. In Francia nel 2016 i consumi di carne suina sono stati disastrosi e nemmeno il 2017, secondo le previsioni, riuscirà a invertire questa tendenza. Anche la suinicoltura danese sta attraversando un periodo difficile, a causa soprattutto dell’indebitamento degli allevatori con le banche
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suinicolo spagnolo si sia concentrato sull’export». Le preoccupazioni della Francia «Alla recente presentazione del Piano quinquennale cinese sulla carne — ha affermato JEAN-PIERRE JOLY del Marché du Porc Breton – i relatori hanno dichiarato che la produzione nazionale dovrà aumentare del 4,5% per riuscire a raggiungere 90 milioni di tonnellate prodotte, a fronte però di una richiesta che raggiunge i 100 milioni di tonnellate. Come si vede ci sono 10 milioni di tonnellate che devono essere coperte e che per i Paesi esportatori di carne suina, che nel totale indicato rappresenta il 60%, possono rappresentare un’interessante opportunità in grado di orientare il mercato della carne negli anni a venire. A patto che la Cina non cambi le sue regole e continui a importare come sta avvenendo ora». Secondo i dati forniti da Joly, nel 2016 i consumi francesi di carne suina sono stati disastrosi e nemmeno il 2017, secondo le previsioni, riuscirà a invertire significativamente questa tendenza. Continuerà però l’impegno per consolidare e magari aumentare la quota dell’export che nell’anno da poco concluso ha incassato un +2,8%, anche se a metà del 2016 il decremento del patrimonio delle scrofe ha fatto registrare un -4%, con una prospettiva per il 2017 di -2% di produzione. «I prezzi contenuti delle materie prime e gli elevati stock disponibili inducono a un cauto ottimismo per la redditività dei nostri allevatori — ha concluso nel suo intervento — a patto però che non solo la Cina non cambi le sue politiche, ma anche in Europa si applichi con particolare rigore la lotta alla pesta suina africana che sta colpendo duramente la suinicoltura nei Paesi dell’Europa dell’Est». I debiti della Danimarca E se la Francia sconta una situazione pesante, la Danimarca è costretta a fare i conti con un’altra serie di problemi nonostante vanti numeri da primato: tasso di suinetti svezzati/
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In Italia il comparto registra una ripresa, ma sull’export si può fare di più Il nostro Paese non esporta e non è interessato a esportare carne suina. Bensì prodotti di salumeria. Preferibilmente DOP. E questo rappresenta un elemento che la pone abbastanza al riparo dalla concorrenza di altri Paesi. Secondo i dati elaborati da ROBERTO ANTOGNARELLI, componente della Deputazione della Borsa Merci di Modena e analista del settore suinicolo, nel 2016 il costo di produzione a carico degli allevatori di suini italiani si è attestato intorno a 1,38 €/kg a cui hanno fatto da contraltare quotazioni che, soprattutto dai mesi estivi in avanti, hanno aumentato la redditività degli allevatori perché non poche sedute si sono concluse con prezzi anche superiori a 1,70 €/kg. Riguardo le consistenze del patrimonio suinicolo nazionale si registra una certa stabilità nel numero di scrofe, circa 460.000, dopo il crollo maggiore registrato nel 2014 e circa 11.500.000 suini grassi prodotti e immessi sul mercato. È migliorata la natalità, passata da 22 suinetti/scrofa di qualche anno fa a 25 suinetti/scrofa. Riguardo poi l’andamento economico, a pochi giorni dalla fine del 2016 il CREFIS (Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole) diretto da GABRIELE CANALI, ha divulgato un documento che raccoglie i dati relativi ai primi nove mesi del 2016. Il quadro, pur in presenza di alcune criticità, è sostanzialmente positivo. Sul fronte dell’export tra gennaio e settembre è stato abbondantemente superato il valore di 1 miliardo di euro, con un incremento del 7,5% rispetto allo stesso periodo del 2015. Tradotto in volume produttivo, si tratta di un +18,4% pari a 200.000 tonnellate. Secondo l’analisi di Crefis il ruolo principale è ricoperto dai prosciutti crudi disossati (49.000 tonnellate per 508,5 milioni di euro) seguiti da salsicce e salami stagionati (205 milioni di euro) e dai prosciutti cotti (99,5 milioni di euro). I Paesi dove l’Italia ha maggiormente esportato sono stati la Spagna (+32,1%), la Francia (+22,9%), il Giappone (+11,6%). In calo invece le esportazioni verso gli USA (–7,1% in valore e –8,4% in quantità) a cui si aggiunge il dato negativo della Cina, –1,3 milioni di euro, compensate comunque dall’aumento dell’export verso Hong Kong che con un +58,6% ha raggiunto i 14,6 milioni di euro. Relativamente alle importazioni è positivo il calo degli acquisti dall’estero di cosce fresche, che rappresenta il prodotto più importante. Sempre secondo le analisi di Crefis, tra gennaio e settembre 2016 in Italia sono arrivate 421.000 tonnellate di cosce, il 3,4% in meno rispetto allo stesso periodo del 2015. In buona sostanza, nel periodo preso in esame l’import di suini e prodotti derivati ha raggiunto un valore di 1,55 miliardi di euro, in contrazione del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima e corrispondenti a un volume complessivo di quasi 823.000 tonnellate, pari a un –3%. A. Mo.
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La Germania resta il più importante produttore europeo di carne suina, con 60 milioni di soggetti macellati, anche se nel 2016 ha registrato una diminuzione dei capi prodotti e del numero degli allevatori. Complice della nuova situazione anche il calo dei consumi interni, per effetto delle tradizioni alimentari degli immigrati di religione musulmana, che coprono il 20% del totale
scrofa giunto a 31,4; media numero di scrofe/allevamento intorno a 700 capi (in Germania non va oltre le 215 unità/media); suinetti esportati nel 2016 oltre 12 milioni. Dati che potrebbero far pensare a una situazione particolarmente rosea, soprattutto se pensiamo che sul fronte della biosicurezza interna ed esterna agli allevamenti suinicoli l’attività iniziata una trentina d’anni fa oggi garantisce risultati particolarmente apprezzabili, al pari della lotta al fenomeno dell’antibioticoresistenza in allevamento che è partita agli inizi degli anni Duemila con misure capaci oggi di garantire un livello di responsabilizzazione, da parte degli allevatori, che in Italia è ancora lontano dall’essere raggiunto. Malgrado ciò, dicevamo, la suinicoltura danese sta attraversando un periodo molto difficile, caratterizzato soprattutto dall’indebitamento degli allevatori nei confronti delle banche, giunto a un tasso del 73% e determinato soprattutto dal crollo del prezzo della terra. Come ha ricordato nel suo intervento CHRISTIAN GAMMELGAARD della SPF «i nostri costi di produzione sono molto elevati e con una congiuntura così delicata, per i nostri allevatori ottenere un’equa redditività è molto difficile.
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La Cina rappresenta anche per noi uno sbocco molto interessante, ma il timore che improvvisamente le regole possano cambiare a sfavore dei Paesi esportatori non ci tranquillizza. In Danimarca è in atto un processo di accorpamento delle aziende suinicole destinato a lasciare spazio solamente a quelle di grandi dimensioni e a far scomparire quelle più piccole: nel 1995 se ne contavano 21.000, nel 2015 si erano ridotte a 3769 con una progressione che riteniamo si manterrà anche nel 2017. Questo ha portato anche a una contrazione del numero di scrofe, diminuite negli ultimi 10 anni di circa il 15%, anche se in termini quantitativi la produzione sostanzialmente non ne ha risentito. Le incognite sul futuro non mancano e la mancanza di fiducia delle banche nei confronti dei nostri allevatori non aiuta». Le cautele della Germania Una situazione che, fatte salve alcune eccezioni, è un po’ la fotocopia di quanto avviene in Germania, che pur rimanendo il più importante produttore europeo di carne suina con 60 milioni di soggetti macellati che tali dovrebbero confermarsi anche nel 2017, nel 2016 ha dovuto incassare un calo dei capi prodotti e una riduzione del numero di allevatori, con il patrimonio delle scrofe diminuito del 6%. In calo i consumi interni anche per effetto delle tradizioni alimentari della popolazione musulmana immigrata che copre il 20% del totale. Anche per la Germania l’export verso la Cina rappresenta una voce molto importante, tant’è vero che l’incremento registrato nell’anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato del 91%, mentre +40% è stato quello verso i Paesi Terzi. Male invece l’export verso i Paesi Europei che ha dovuto registrare una contrazione del 9%. Gli esperti tedeschi paragonano però la Cina ad un territorio dove regnano le sabbie mobili: lo considerano il Paese del futuro, ma si chiedono legittimamente se e fino a quando continuerà ad esserlo. Anna Mossini
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ALLEVAMENTI
Il Dominio di Bagnoli, allevamento bovino in villa Nella seicentesca Villa Widmann-Borletti, a Bagnoli di Sopra (PD), si rispolvera la soccida per far fronte alla crisi del settore. I circa 1.200 i capi ristallati, alimentati con insilato e farina di mais prodotti in azienda, finiscono sui banconi di macellerie e Grande Distribuzione di Gian Omar Bison
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a un anno completamente in soccida con altri piccoli imprenditori, l’allevamento bovino presso l’azienda agricola Dominio di Bagnoli (Bagnoli di Sopra, PD) non conta mai meno di 1.200 capi ristallati, equamente ripartiti tra maschi e femmine per
lo più di razza francese (Charolais e Limousine). Si comprano vitelli in Francia di dieci mesi e 400 kg circa e si ingrassano fino ai ventidue mesi e 700 kg per poi macellarli alla CAV di Verona o alla CLAI di Faenza (RA). Questo il percorso allevativo descrittoci da L UCA C AVALLARO ,
amministratore delegato dell’azienda che conta complessivamente diciassette dipendenti impiegati nelle diverse attività che si svolgono nei terreni e nelle pertinenze immobiliari della seicentesca Villa Widmann-Borletti (storica famiglia industriale italiana), sede appunto
Bovini dell’allevamento dell’azienda agricola Dominio di Bagnoli.
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L’azienda agricola Dominio di Bagnoli è dotata di un impianto a biogas e autoproduce l’alimentazione per il bestiame, insilato e farine di mais, rigorosamente OGM free. del Dominio di Bagnoli. Progettata verso i primi del 1600 dall’architetto BALDASSARRE LONGHENA (Venezia 1598-1682), comprende il “brolo”, teatro, cantine, granai, scuderie e torre piccionaia. Il tutto circondato da 600 ettari coltivati a seminativi, boschi e vigneti, da cui ricavano produzioni diverse. «Il fatto di essere un’azienda agricola grande e con la possibilità di costruire il bilancio su attività, annate e quindi rese diverse ci permette di ammortizzare anche lavorazioni meno remunerative. Tra queste l’allevamento bovino, che da qualche anno sconta la crisi generalizzata del settore schiacciato in termini di redditività tra il costo dei vitelli e il prezzo di conferimento delle mezzene, in particolare alla Grande Distribuzione Organizzata che compra da noi come all’estero sulla base di una politica di risparmio. L’allevamento sta facendo la stessa fine della barbabietola che è stata svenduta. Per questo motivo abbiamo pensato di dividere il rischio, oltre che la resa economica con i soccidari». Le carni finiscono per lo più nei banconi delle macellerie di Pisa e Rovigo e ai negozi delle catene COOP e CONAD. «Per quanto riguarda l’alimentazione, fra le altre cose tutta rigorosamente OGM free — precisa Cavallaro —, l’insilato e le farine di mais vengono prodotte
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completamente in azienda su 150 ettari circa dedicati all’allevamento. Il residuo, insieme al 100% degli effluenti e sottoprodotti vari, va ad alimentare un impianto a biogas che abbiamo dal 2011 che è in grado di sviluppare 1 Megawatt di energia elettrica all’ora e che per questo, alle condizioni attuali rischia di essere altrettanto, se non più vantaggioso dell’allevamento bovino da carne». Di smettere questa attività non se ne parla proprio. La famiglia Borletti è storicamente legata all’ingrasso dei bovini. «Si tratta di capire come aggiustare il tiro alla luce dell’andamento dei mercati. Le riflessioni non mancano dal restauro delle stalle all’allevamento di altre specie, ad esempio ovine». Fatto cento il fatturato agricolo aziendale, il sessanta per cento deriva dall’attività biogas, il venti dall’allevamento bovino e l’altro venti dall’attività vitivinicola. Ed è sul vino in quanto zona storica per il Friularo di Bagnoli DOCG, autoctono a bacca rossa, che si intravedono le maggiori prospettive e potenzialità. «Stiamo aumentando di 5 ettari una superficie vitata che ad oggi poggia su 34 ettari circa impiantati soprattutto con vitigni di glera per la produzione di Prosecco DOC e di Friularo. Il resto lo dobbiamo ad un terreno di medio impasto, sabbia e argilla, e ad un
clima tendenzialmente favorevole, data la vicinanza al mare, in grado di conferire sapidità alle uve oltre che influenzarne la corretta maturazione». Resta il brolo il cuore pulsante storico e monumentale dell’azienda. Antico orto e frutteto del monastero che fu e che poggia su un’area di 20 ettari cinta da un alto muro medioevale che ospita oltre al vigneto biologico, un frutteto, un bosco, serre e i pollai. Una collezione di trenta tipologie di vitigni autoctoni (tra cui Friularo di Bagnoli, Marzemina, Pignola, Corbinona Nera) coltivati con sistemi di allevamento storico della vite (Tirella, Festone, Cassone Padovano). E all’interno del frutteto sono collocate numerose arnie, per il miele. «E poi produciamo aceto, anche balsamico di vino Friularo, riso Carnaroli, mais tipo Marano e mais biancoperla per farina biologica, miele millefiori e poi cioccolateria e biscotti zaleti. E al tutto si sommano poi l’attività agrituristica e ricettiva. Gian Omar Bison Az. Ag. Dominio Di Bagnoli s.s. di Lorenzo Borletti e C. Piazza Marconi 63 35023 Bagnoli di Sopra (PD) Telefono: 049 5380008 E-mail: info@ildominiodibagnoli.it Web: www.ildominiodibagnoli.it
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Paesi Bassi: nel Veluwe tra tradizione e innovazione l’agroalimentare punta alla sostenibilità di Massimiliano Rella
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ggi l’agricoltura biologica rappresenta una scelta innovativa sempre più diffusa. Ma in molti luoghi il “nuovo che avanza” ha salde radici nel passato, come nel Veluwe, territorio dei Paesi Bassi ad un’oretta da Amsterdam. A Wekerom, un villaggio nell’area comunale di Ede, le sane pratiche agricole della tradizione non sono mai state abbandonate. Eco Fields, allevamento biologico di T EUM GUNDELACH, gestisce la sua attività in modo non troppo diverso da come facevano gli antichi Celti. I terreni
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destinati a pascolo sono suddivisi in piccoli appezzamenti quadrati delimitati da canali d’acqua. Una pratica che si traduce in foraggio fresco e pascolo libero per gli animali. Gundelach cominciò a occuparsi di vitelli quando aveva 12 anni e oggi alleva 800 capi, alimentandoli con erbe, mais, orzo e piselli, coltivati senza pesticidi e fertilizzanti chimici. I vitelli presentano una carne rosa, più nutriente e saporita, della giusta consistenza e tenerezza. Li alleva 12 mesi e li vende direttamente ai ristoranti (www.ecofields.nl).
Anche il caseificio biologico Remeker, nella zona di Lunteren, utilizza tecniche tradizionali. Il produttore JAN DIRK VAN DE VOORT produce formaggi nella fattoria che appartiene alla famiglia dal 1600, ma l’azienda agricola con allevamento di bovini e produzione di latte nacque nel 1925. Van de Voort alleva mucche di razza Jersey, nutrendole con fieno, erbe e trifoglio coltivati in campi concimati al naturale. Gli animali mangiano anche cereali di grani freschi. Grazie a quest’alimentazione e ad altri ac-
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corgimenti nella gestione dei campi e della fertilizzazione naturale gli animali godono di ottima salute e quindi l’uso di farmaci è stato bandito. Il latte è lavorato a temperature basse per conservare gli enzimi, importanti nella fase di maturazione del formaggio, senza conservanti. La stagionatura avviene in locali realizzati nel 2015 con tecnologie moderne e materiali naturali per ottenere un affinamento più sano dei formaggi. Il progetto è stato finanziato dalla provincia di Gelderland e i risultati della sperimentazione
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saranno messi a disposizione di altri produttori (www.remeker.nl). Non è un caso isolato di sinergia tra pubblico e privato. Di ben altre dimensioni, però, è il World Food Center, un centro collegato all’Università e al Nutrition Hospital Gelderse Vallei, che sarà inaugurato a Ede quest’anno, nasce grazie ad investimenti pubblici per circa 47 milioni di euro. Si estende su un’area di 28 ettari e sarà un centro d’esperienza interattiva sulle produzioni agroalimentari di qualità del territorio per promuoverle sul
mercato mondiale. Produttori, ristoratori, consumatori, studiosi ed esperti potranno confrontarsi su molteplici aspetti, dalla qualità e salubrità dei prodotti alle tecniche di produzione, alla corretta alimentazione e alla sua importanza per la salute (www.worldfoodcenters.com). Perché questo progetto proprio a Ede? La cittadina si trova in un’area in cui l’agricoltura sostenibile ha contribuito alla conservazione del paesaggio. Una parte considerevole del suo territorio ricade nel Parco nazionale De Hoge Veluwe,
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Il produttore di formaggi Jan Dirk van de Voort, del caseificio Remeker, nel suo allevamento a Lunteren. area protetta di 5.500 ettari, con paesaggi diversi, boschi, brughiera, prati… E non mancano scenari esotici inconsueti a queste latitudini: le distese di dune sabbiose. Una rara combinazione di bellezze naturali. Il parco ospita anche il KröllerMüller Museum, che con quasi 90 dipinti e più di 180 disegni è la seconda collezione al mondo di opere di Van Gogh, mentre 160 sculture di artisti di spicco, come Auguste Rodin, Henry Moore, Jean Dubuffet e Joep van Lieshout, sono
collocate all’aperto, tra la vegetazione. Gestito da una fondazione e non finanziato dallo Stato, il Parco ha un campeggio, un ristorante e sentieri ciclabili e trekking (www. hogeveluwe.nl). L’arte si lega invece all’agricoltura e all’alimentazione nei Sapori di Van Gogh, un progetto che vuole promuovere le eccellenze locali: alimentazione, natura, cultura. A Ede organizza degustazioni e altri eventi e i prodotti sono offerti in una serra in piazza, con punto vendita e
Eco Fields, allevamento biologico di Teum Gundelach, gestisce la sua attività in modo non troppo diverso da come facevano gli antichi Celti. I terreni destinati a pascolo sono suddivisi in piccoli appezzamenti quadrati delimitati da canali d’acqua. Una pratica che si traduce in foraggio fresco e pascolo libero per gli animali. I vitelli vengono allevati 12 mesi e venduti direttamente ai ristoranti. La loro carne è rosa, nutriente e saporita, della giusta consistenza e tenerezza
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informazioni (www.smaakvangogh. nl). Da non perdere neanche la Birreria De Heidebrouwerij, che ci propone un’altra specialità: le birre artigianali di malto scuro aromatizzate al caffè, miele di erica e altri ingredienti. Accoglie i visitatori per mostrare come nascono i prodotti tradizionali, offerti in degustazione sotto la guida dei produttori che ne descrivono caratteristiche e differenze (www.deheidebrouwerij.nl). E per mangiare e dormire? Un indirizzo da annotare è la Het Roode Koper, a Leuvenum, una fattoria di 3.000 ettari con albergo e ristorante gourmet di campagna. In realtà qui l’ospitalità è di lusso, gli ambienti eleganti e curati nei dettagli. La cucina stagionale si basa su materie prime locali e offre tanti piatti raffinati e complessi preparati con ingredienti genuini e selezionati (www.roodekoper.nl). Massimiliano Rella Nota Alle pagine 66 e 67 le stalle di Eco Fields e l’allevatore Teum Gundelach (photo © Massimiliano Rella).
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Passione per la carne per tradizione.
BENESSERE ANIMALE
Bovini sporchi al macello: compiti e responsabilità In caso di rilevamento di animali non puliti vanno attivate procedure straordinarie di macellazione e segnalazioni dei fornitori di Giulia Mauri
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a Regione Lombardia adotta le “Linee di indirizzo per la valutazione del grado di pulizia dei bovini portati al macello”. Il documento è stato discusso nel corso della fine del 2015 con gli operatori del settore e infine pubblicato nella serie ordinaria n. 14 del 4 aprile 2016 del Bollettino Ufficiale fra gli atti dirigenziali. Si tratta del DG Welfare D.d.u.o. n. 2188 del 24 marzo 2016.
Basato sulla responsabilità dei vari OSA in merito alle condizioni di igiene e sicurezza alimentare delle loro produzioni, impone ad allevatori, trasportatori e macellatori di vigilare sulle condizioni di pulizia del mantello dei bovini e di intervenire quando necessario per ripulire gli animali e ridurre così i rischi sanitari che potrebbero derivarne. Infatti è ben noto che, se il mantello degli
animali macellati è molto sporco, il rischio di contaminare le carcasse è elevato. Di conseguenza, macellare animali poco puliti vanifica tutte le buone pratiche che potrebbero essere adottate anche in seguito nella catena di macellazione. Poiché al momento la questione delle condizioni di pulizia degli animali vivi è un punto critico dell’igiene della produzione delle carni, la
Anche nelle operazioni di trasporto si deve dare importanza alla presenza e qualità della lettiera, laddove prevista. Inoltre il trasportatore deve controllare che le fuoriuscite di deiezioni siano il più possibile limitate.
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Vanlommel fornisce carne di vitello su misura: tagliata e confezionata come pi vi piace. In quanto regista di una Þliera chiusa, Vanlommel si occupa in proprio dellÕintero processo, dallÕacquisto e dallÕevoluzione dei vitelli da ingrassare, Þno alla tracciabilit completa a livello del singolo pezzo porzionato. Professionalit con totale Þducia.
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Regione Lombardia ha diffuso delle Linee indicative per aiutare i veterinari ufficiali ad adottare modalità uniformi — almeno sul territorio regionale — di valutazione dello stato di pulizia. Inoltre, le Linee di
indirizzo semplificano l’esecuzione degli adempimenti previsti. Nell’articolo “Giro di vite sui bovini sporchi al macello” (pubblicato in EUROCARNI n. 11/2016, pag. 20) abbiamo descritto i nuovi doveri degli allevatori e dei
La normativa di riferimento A supporto del documento, si hanno i vari regolamenti europei: • il Reg. (CE) 178/2002, che demanda all’operatore del settore alimentare la responsabilità giuridica di garantire il rispetto delle disposizioni in materia nella sua impresa; • il Reg. (CE) 882/2004 sui controlli ufficiali per verificare il rispetto delle norme in materia di igiene di mangimi e alimenti e di salute e benessere degli animali; • il Reg. 852/2004 sull’igiene degli alimenti di origine animale; • il Reg. (CE) 854/2004 sui controlli ufficiali sui prodotti di origine animale da destinare al consumo umano; • il Reg. (CE) 1/2005 sulla tutela degli animali durante il trasporto. A questi si aggiungano il Codice delle pratiche igieniche per la carne del Codex Alimentarius ed il Codice sanitario degli animali terrestri pubblicato dall’OIE.
La griglia per valutare le condizioni degli animali è stata stilata nel 2006 dall’Institut de l’Élevage. Le foto correlate provengono dalla Food Standard Agency – Read Meat Safety & Clean Livestock (2004). 1 – PULITO Il materiale fecale è assente o presente solo allo stato di tracce.
2 – MODERATAMENTE SPORCO Il materiale fecale coinvolge la metà inferiore della coscia, la parte bassa dell’addome e la regione dello sterno.
3 – SPORCO L’area sporca si estende fino ad una linea che collega la parte alta della coscia (trocantere femorale) e l’articolazione omero-radio-ulnare.
4 – MOLTO SPORCO L’area sporca si estende fino ad una linea che collega la parte alta della natica e la punta della spalla.
5 – SPORCO E UMIDO L’area sporca è superiore rispetto al livello 4 oppure uguale ai livelli 3 e 4, ma con l’aggravante dell’umidità.
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veterinari ufficiali in allevamento. Oggi parliamo dei doveri dei trasportatori e dei macellatori, come anche degli obblighi dei veterinari ufficiali. Per il trasporto Per quanto riguarda il trasporto, la norma di riferimento è naturalmente il Regolamento (CE) 1/2005. Anche nelle operazioni di trasporto si deve dare importanza alla presenza e qualità della lettiera, laddove è prevista. Inoltre il trasportatore deve controllare che le fuoriuscite di deiezioni siano limitate il più possibile, anche adottando metodi di raccolta delle deiezioni stesse. Infine, i mezzi devono essere lavati e disinfettati dopo lo scarico degli animali. Con queste semplicissime regole si cerca di garantire che gli animali non si imbrattino durante il viaggio e tanto meno con feci di animali che hanno precedentemente alloggiato sul mezzo. Anche il compito del veterinario ufficiale è molto semplice in questa fase: deve solo verificare la presenza dell’idonea lettiera (ma solo quando prevista) e dell’adozione di sistemi per limitare l’imbrattamento degli animali durante il trasporto. I compiti del macellatore Passiamo ora a parlare degli operatori del settore alimentare che gestiscono i macelli. Essi devono avere delle specifiche procedure di autocontrollo che indichino come operare nei confronti degli animali non puliti. Queste procedure devono essere stilate sulla base di un’analisi del rischio, che ha definito quali requisiti siano necessari. Procedure e analisi del rischio devono rifarsi all’articolo 5 del Regolamento (CE) 852/2004 e all’articolo 2 che in breve riporta che “gli animali devono essere puliti”. Per definire il grado di pulizia, il valutatore si rifà alla tabella pubblicata allegata al documento della Regione, punteggiando gli animali come puliti (1), moderatamente sporchi (2), sporchi (3), molto sporchi (4), fino a sporchi e umidi (5). Il documento della Regione
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Lombardia prevede che per i bovini classificati con punteggio 1 e 2 non sia necessario mettere in atto alcuna procedura specifica. Se invece gli animali non sono puliti, il macellatore deve avvertire il veterinario ufficiale e adottare le misure appropriate nei confronti del fornitore e dell’animale stesso. Se l’animale viene punteggiato come sporco (punteggio 3), il macellatore deve applicare delle definite GMP di produzione. Se invece l’animale è punteggiato molto sporco o sporco e umido (punteggio 4 e 5), il macellatore deve ripulire il bovino prima di procedere alla macellazione. E certo questa non è un’operazione facile, né veloce, né pulita. In alternativa, l’OSA del macello deve mettere in pratica azioni correttive alternative ed efficaci alla pulizia preventiva dell’animale. Tali azioni correttive sono così descritte: il macellatore deve macellare gli animali sporchi in differita, con rallentamento della catena produttiva. E deve lasciare vuoto lo spazio di almeno una carcassa in catena, in modo da garantire la separazione fra il gruppo di animali puliti e quello degli sporchi. Inoltre, deve mettere in atto altre procedure particolari e definite, per operare la tolettatura igienica degli animali in modo da riuscire a evitare la contaminazione delle carcasse contigue. Infine, deve compiere tutte le procedure che incrementino ancora il grado di sicurezza. Fatto questo, il macellatore segnala la cosa al veterinario ufficiale e adotta misure specifiche di autocontrollo anche nei confronti del fornitore dell’animale sporco. I doveri del veterinario ufficiale Il veterinario ufficiale, da parte sua, ha i seguenti doveri. Preventivamente deve verificare che il macello abbia predisposto la procedura per la valutazione delle condizioni di pulizia delle pelli degli animali giunti al macello. Inoltre, deve controllare che l’esito di queste valutazioni sia messo per iscritto e che le azioni da intraprendere in caso di sporcizia degli animali siano portate avanti correttamente.
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In linea con quanto affermato dal Codice sanitario degli animali terrestri redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (OIE), il Documento della Regione Lombardia ribadisce che la visita ante mortem riveste una notevole importanza sulla salubrità delle carni e sulla salute pubblica. Oggi la visita deve valutare non più solo le condizioni di salute dell’animale, ma anche quelle igieniche, quindi il grado di pulizia del mantello. Seguendo quanto riportato nel Regolamento (CE) 853/2004, il veterinario deve assicurare che le condizioni delle pelli non costituiscano un rischio inaccettabile di contaminazione delle carni durante la macellazione e in caso contrario deve vietare che l’animale sia macellato ai fini del consumo umano, a meno che non venga ripulito. Queste indicazioni comunitarie sono così tradotte dal documento lombardo: 1. in caso di punteggio 1 e 2 del bovino, il professionista può ammettere l’animale alla macellazione; 2. in caso di punteggio 3, l’ammissione alla macellazione comporta che il professionista verifichi la completa applicazione delle procedure previste da parte del macellatore; 3. in caso di punteggio 4 e 5, è possibile destinare alla macellazione l’animale solo se viene verificata, da parte del veterinario, anche la corretta applicazione delle procedure elaborate dall’OSA del macello. In caso contrario il veterinario applicherà i provvedimenti previsti a norma di legge. Inoltre, in caso di punteggio 4 e 5, il veterinario presente in macello deve segnalare l’anomalia all’ASL territorialmente competente per l’allevamento. Questa ASL, a sua volta, invierà i propri veterinari per un’ispezione. Sulla base dei risultati dell’ispezione in allevamento, interverrà, eventualmente applicando i provvedimenti conseguenti, come previsto dagli articoli 54 e 55 del Regolamento (CE) 882/2004. Giulia Mauri
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LA CARNE IN TAVOLA
Filetto: alla Wellington o alla Voronoff? Alta cucina: dalla rigidità militaresca alla seduzione erotica, ecco due dei piatti di carne più famosi della storia di Nunzia Manicardi
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l filetto, questo taglio di carne pregiato di bovino o anche di suino (o di selvaggina) proveniente dalla parte lombare dell’animale, può essere cucinato in vari modi, tutti ugualmente validi per quanto riguarda sia la cottura che il risultato gastronomico e la presentazione in
tavola. Due di questi attirano però in particolare l’attenzione perché sono legati al nome di due persone: WELLINGTON e VORONOFF. E allora, giustamente, viene da chiedersi: ma chi erano costoro e come mai hanno dato il loro nome al modo di cucinare il filetto?
Il filetto alla Wellington Il Wellington del nostro filetto era, per la verità, un personaggio così importante che i libri di storia non ne omettono mai il nome. Era infatti nientemeno che il duca di Wellington, ovvero il generale inglese ARTHUR WELLESLEY, che ricevette tale
Il filetto alla Wellington di Gordon Ramsey, chef britannico che ha reso il piatto famoso nel mondo dell’alta cucina (photo© www.gordonramsay.com).
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Il filetto all Voronoff è caratterizzato dalla presenza di una particolare salsa a base di senape (photo © Henrique Matos, Fotolia). titolo nobiliare nel 1815 dopo aver sconfitto Napoleone a Waterloo. Vittoria storica, che determinò i destini del mondo. A quanto pare, però, il duca di Wellington era di gusti tanto difficili che i cuochi al suo servizio non riuscivano mai ad accontentarlo. Molti si licenziavano, altri si dannavano per trovare qualcosa che fosse di suo gradimento ma sempre ne ricevevano in cambio solo critiche e storture di naso. Nell’affannosa ricerca di un piatto che gli piacesse fu presentato
un giorno alla sua tavola un filetto cotto “in crosta”, cioè avvolto in uno strato di pasta sfoglia. E, con grande meraviglia dei presenti (e un grosso sospiro di soddisfazione da parte del cuoco), il piatto piacque a tal punto che fu battezzato con il suo nome. “Filetto alla Wellington”, appunto. Il motivo di tale denominazione, comunque, sembra sia derivato non solo dall’apprezzamento bensì anche dal fatto che il filetto, così “incapsulato”, aveva assunto l’aspetto di cilindro lucido e dorato che
La realizzazione del filetto alla Wellington è di media difficoltà: occorre fare attenzione, ad esempio, ad equilibrare i sapori, a dosare le giusta quantità di funghi e delle spezie, che non devono coprire il gusto della carne e alla cottura del filetto che deve essere di colore rosso al centro e più rosa man mano che ci si avvicina al bordo
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ricordava… gli stivali dello stesso generale! Il filetto alla Wellington è poi diventato famoso nel mondo — sempre, beninteso, nell’ambito dell’alta cucina — grazie al noto chef britannico GORDON RAMSEY, conduttore della fortunata serie televisiva Hell’s Kitchen, il reality show statunitense che consiste in sfide di cucina, e dell’ancor più fortunato MasterChef, il talent show culinario d’origine britannica. Gli ingredienti, oltre al manzo, sono funghi champignon freschi, prosciutto crudo (meglio se di Parma), pasta sfoglia, senape (meglio se inglese), un tuorlo d’uovo, sale, pepe e olio extravergine d’oliva. Viene anche proposta una versione natalizia con l’aggiunta di castagne. La difficoltà maggiore consiste nella cottura della carne che deve risultare cotta ma rimanere rosea e sugosa. Una sfida impegnativa, tant’è vero che Ramsey propone proprio questa ricetta quando
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Il mitico “filetto alla Voronoff” è caratterizzato dalla presenza del pepe e di una particolare salsa di senape ed è considerato uno dei capisaldi della cosiddetta “cucina erotica”, in riferimento ai tentativi di ringiovanimento sessuale realizzati dal suo creatore, considerato ai tempi un ciarlatano ma che i moderni studi di endocrinologia avrebbero riabilitato
vuole mettere davvero in difficoltà i concorrenti. Seguendo Ramsey, e anche la preparazione che egli fa tramite video, il filetto alla Wellington (o Beef Wellington) si ottiene nel seguente modo (ingredienti per 8/10 persone): salate e pepate l’esterno del filetto massaggiandolo per un po’, poi fatelo rosolare su tutti i lati (comprese le estremità) in una padella ben calda con un filo d’olio extravergine di oliva. La carne, come sempre con il filetto, non deve cuocere ma essere sigillata per non far defluire i succhi. Attenzione quindi anche a non forarla mai con la forchetta. Una volta cotta, va spennellata con la senape e riposta in un piatto. Nel frattempo preparate la crema di funghi. Dopo averli puliti con un panno umido e tagliati a pezzetti, mettete gli champignon nel mixer con sale e pepe. Frullate fino a ottenere la consistenza di una crema fine e senza grumi, poi versate quest’ultima in una padella calda e fatela cuocere rigirandola ogni tanto finché non sarà completamente asciutta. Adagiate le fette di prosciutto, con un pizzico di pepe, su un foglio di pellicola trasparente e poi disponevi sopra la crema di funghi stendendola in modo uniforme. Sistemate al centro il filetto e, aiutandovi con la pellicola, arrotolate il tutto formando un cilindro di cui chiuderete le estremità ruotandole a caramella.
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Strizzate per compattare bene e riponete in frigorifero per circa 15 minuti. È il momento di stendere la pasta sfoglia. Assottigliatela un po’ con il mattarello e, dopo aver eliminato la pellicola, sistemate al centro il filetto, avvolgetelo con la sfoglia richiudendo le estremità (eventualmente eliminando la pasta in eccesso), arrotolatela nella pellicola e riponete in frigo per altri 5 minuti. Proseguite come con un consueto arrotolato di pasta sfoglia e, quindi, spennellate con tuorlo d’uovo, praticate dei tagli per far fuoriuscire il vapore e infornate a 200 ºC per circa mezz’ora finché il cilindro non diventerà dorato. Togliete dal forno, lasciate riposare per alcuni minuti e infine tagliate a fette alte circa 1,5 cm e servite caldo. Il filetto alla Voronoff Se il duca di Wellington ha legato il suo nome ad una battaglia di importanza storica, quello di Voronoff è invece noto per il suo metodo di ringiovanimento maschile consistente nell’innesto nell’uomo di testicoli di scimmia. Sì, comprendiamo che adesso possa suscitare ilarità, ma intorno agli anni ‘20 del secolo scorso fu preso molto sul serio perché sembrava che potesse finalmente esaudire il sogno dall’uomo sempre inseguito di conquistare l’eterna giovinezza. Nato nel 1866 in una cittadina a sud di Mosca da una famiglia borghese di origine ebraica, Voronoff si spostò ben presto a Parigi dove si iscrisse alla facoltà di medicina e dove in seguito mise a punto il suo metodo consistente nell’innestare nell’uomo anziano delle parti infinitesimali di testicoli di scimmia per rinvigorirlo sessualmente. Allora fu considerato un ciarlatano, in realtà era un medico molto serio che i moderni studi di endocrinologia avrebbero in parte riabilitato conferendo al suo metodo un’attenzione degna di nota. Comunque, fra un esperimento e l’altro, egli si dilettò anche di cucina. Tanto per rimanere in tema, mise a punto una ricetta, quella del filetto che prende il suo nome, che è considerato uno dei capisaldi della cosiddetta “cucina erotica” (anche, naturalmente, per
il facile umorismo che si poteva fare con riferimento ai suoi tentativi di ringiovanimento sessuale). Il mitico “filetto alla Voronoff” è caratterizzato dalla presenza del pepe e di una particolare salsa di senape. Gli ingredienti per due persone prevedono: due filetti di manzo da 150 grammi l’uno, burro, rosmarino, sherry e cognac (circa un quarto di bicchiere per ciascun liquore), panna fresca, senape, limone (solo la buccia), sale, pepe verde e farina. C’è anche chi aggiunge salsa Worcester e qualche goccia di tabasco, nonché un po’ di pomodoro, prezzemolo al posto del rosmarino e dello scalogno messo a soffriggere. Esecuzione: riscaldate i filetti in padella a fuoco alto con il burro e il rosmarino. Cuocete la carne, ma non più di due minuti per parte in modo da lasciarla al sangue. Salate, pepate e riponete in un piatto. Preparate la salsa versando lo sherry e il cognac nella padella e facendoli restringere con la farina finché il tutto non si riduca ad un cucchiaio. Aggiungete la buccia tritata del limone e la panna, portate a bollore e fate cuocere a fuoco lento finché la panna non si sia ben addensata, dopo di che aggiungete la senape. Rimettete in padella i filetti con i loro sughi di cottura e fate cuocere per un minuto circa. Versate i filetti con la loro salsa nel piatto e servite subito. Si può accompagnare con riso pilaf in bianco o al curry. Questo piatto si presta in modo particolare alla flambatura, che conferisce più gusto alla carne ma, soprattutto, costituisce un autentico spettacolo molto scenografico. Sicuramente bisogna fare attenzione, perché è necessario maneggiare il fuoco per incendiare lo sherry e il cognac. La flambatura da manuale andrebbe fatta con l’apposita lampada “a spirito”, meglio se d’argento, così come prescritto fin dal 1742 nel ricettario francese di VINCENT LA CHAPELLE intitolato “Le Cuisinier moderne”. Meglio evitare in ogni caso l’accendino perché potrebbe anche esplodere in mano. Se la lampada non è disponibile si può flambare, e anche più facilmente, inclinando la padella quel tanto che basta verso il fornello. Nunzia Manicardi
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MACELLERIE D’ITALIA
Chiapella, quanta carne al fuoco Dal luglio scorso la storica salumeria della famiglia Chiapella nel centro di Carrù si è arricchita di un banco macelleria dove si può acquistare la carne di vitella piemontese proveniente da un solo allevamento. Intanto il Salumificio prospera e punta sempre più all’estero, in nome di “territorio” e artigianalità” di Gaia Borghi
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lessandro Chiapella è così: un vulcano idee, sempre in movimento, uno che “cento ne fa” ma… almeno centouno ne pensa. Con energia, vivacità e lo sguardo sempre proiettato in avanti, a domani. Alessandro è proprietario insieme alla famiglia del Salumificio Chiapella di Clavesana (CN), un’azienda artigianale specializzata nella produzione di salumi tipici del territorio, che ha saputo andare al di là della tradizione norcina langa-
rola, coniugandola con un lavoro di ricerca sistematico a quella di altre regioni italiane e quindi arricchendola di tante, tantissime specialità. Iniziando dai salami, veri e propri gioielli che si impreziosiscono grazie alla fantasia di Alessandro & Co. con le pregiate nocciole tonde gentili, col vino Barolo, col tartufo, col finocchio, col Parmigiano Reggiano, col peperoncino, con l’aglio o, ultimo arrivato, coll pistacchio di Bronte. Ma può variare anche la “materia
prima” e allora avremo salami fatti con la pregiata razza bovina Piemontese, con il bue, il cinghiale, l’asino. E poi i lardi, le pancette, le coppe e i filetti, il prosciutto crudo, il salame cotto e la salsiccia, gli zamponi e i cotechini. Alla base di tutta la filiera produttiva resta stabile la grande attenzione alla scelta degli animali e la cura scrupolosa nella fase di lavorazione manuale delle loro carni. Il clima asciutto e ventilato della Langa favorisce la maturazione dei
Chiapella non vuol dire solo salumi, ma anche carne fresca di altissima qualità.
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Il nuovo banco macelleria del negozio della famiglia Chiapella nel centro storico di Carrù. prodotti, che hanno una magnifica “vetrina” proprio nel centro di Carrù, in una boutique del gusto che offre il meglio del meglio del Piemonte alimentare, con paste, formaggi, dolci, vini e birre artigianali, oltre ad altre selezionate prelibatezze sia italiane che internazionali. «La salumeria è il nostro regalo a tutti i gourmet e agli amanti del buon cibo, che qui possono trovare tutti i prodotti del Salumificio e tanto altro» racconta Alessandro. «Mancava la carne bovina — puntualizza — un tassello che va a completare l’offerta del nostro negozio». E che carne! D’altronde siamo a Carrù, patria del Gran bollito misto e del sacro rito che prevede la sua preparazione, dove la magia del numero sette guida prima la mano del macellaio e poi quella del cuoco che porta in tavola il carrello fumante con i vari tagli e l’accompagnamento di salse e bagnèt. Un paese che al bue ha dedicato persino un monumento ed è sede della storica Fiera del Bue Grasso, giunta nel 2016 alla 106a edizione, durante la quale il bue lo si mangia non stop, fin dalla prima colazione. «Nasciamo come salumieri e salumieri restiamo —
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prosegue Alessandro Chiapella — ma in una gastronomia che propone i prodotti più rappresentativi del territorio dal punto di vista alimentare la carne non poteva proprio mancare. Abbiamo deciso, tra l’altro, di fare un’offerta molto specifica, che a Carrù effettivamente mancava: una sola razza e una sola stalla, quindi un solo allevatore, una sola alimentazione per gli animali…». La razza prescelta non poteva che essere la bovina Piemontese, eccellenza tutta italiana o, meglio, regionale, tra le più rinomate razze bovine da carne al mondo, proveniente da un unico allevamento di Genola. «Nel nostro banco macelleria la carne bovina in vendita è quella di capi femmine di razza Piemontese. La qualità che perseguiamo in salumificio doveva essere la stessa anche in macelleria: chi ci conosce già per i nostri salumi può ritrovare nella carne l’identica eccellenza, così come chi ancora non ci conosce ma è alla ricerca di un prodotto carneo che offra una garanzia assoluta in termini di sapore, gusto, salubrità e genuinità». La figura del macellaio è, tra l’altro, nel nostro immaginario
collettivo, quella di qualcuno di fiducia, a cui chiedere consigli. Difficilmente lo si cambia, un po’ come un buon parrucchiere… «Per questo motivo abbiamo scelto una persona di esperienza, che fosse in grado di consigliare sulle varie preparazioni — prosegue Alessandro — e che vendesse tutto l’animale, non soltanto i tagli più pregiati». Questa valorizzazione di tutte le parti del bovino è un aspetto molto importante, che va perseguito sia per variare il menu famigliare sia — e prima di tutto — nel rispetto dell’animale che, ricordiamo, non è fatto solo di filetto. La salumeria Chiapella aderisce inoltre al Consorzio per la promozione, la valorizzazione e la tutela del Bue Grasso di Carrù: a riprova di ciò dietro al vetro troneggiano alcune magnifiche fiorentine e la straordinaria salsiccia di bue. «Abbiamo in progetto di aumentare le forniture di carni bovine per l’alta ristorazione — continua Alessandro —, che qui nelle Langhe ha numerosi rappresentanti, ad iniziare da ENRICO CRIPPA, un amico con cui abbiamo collaborato più volte in passato».
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1) Scorcio del negozio della famiglia Chiapella in cui sopra al banco spicca la gualdrappa della Fiera del Bue Grasso. 2) Giovanni Chiapella con Carlin Petrini di Slow Food. 3) L’aperitivo in salumeria con Renato Pozzetto, affezionata presenza a casa Chiapella durante la Fiera. A brindare con lui Davide Chiapella e Stefano Falorni, dell’omonima macelleria di Greve in Chianti. 4) L’ingresso della nuova sala degustazione per l’accoglienza dei clienti.
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Parola d’ordine: accoglienza Sugli scaffali e nella vetrina della salumeria noto diversi prodotti a marchio Chiapella: si tratta dei rubatà, i famosi e inimitabili grissini piemontesi, i classici tajarin, la pasta fresca lunga all’uovo da gustare, se si è nella giusta stagione, sommersa dal tartufo bianco, due diversi tipi di tagliatelle, gli amaretti dolci morbidi, un ragù preparato con sole carni piemontesi, un sugo di pomodoro e le irresistibili nocciole. «Sono tutti prodotti tipici, realizzati con ricette personali — anche grazie all’ingresso nelle cucine dell’azienda di un giovane chef molto capace —, o selezionati sempre sulla base della qualità, come le nocciole di Emanuele Canaparo, produttore di Cravanzana» mi dice Alessandro. «Abbiamo deciso di realizzare questa nuova linea nell’ottica di promuovere il nostro territorio soprattutto all’estero, dove già vengono apprezzati i salumi Chiapella. Quando poi riceviamo i clienti qui possiamo offrire loro un’accoglienza ancora più completa, preparando al momento gli assaggi dei prodotti in negozio e mangiarli insieme nella nuova sala degustazione ricavata nei vecchi magazzini, al piano interrato».
Le ceste ricolme dei salumi Chiapella. La personalizzazione che fa la differenza E il salumificio? «Non ci possiamo lamentare» mi dice infine Alessandro Chiapella. «Il nostro primo obiettivo oggi è quello di continuare a crescere all’estero. I mercati più importanti per noi ora sono la Germania, l’Olanda, la Svizzera, la Repubblica Ceca ma anche e sempre di più il Grande Nord, con
la Danimarca, la Finlandia…». Per quanto riguarda il nostro Paese, i salumi Chiapella sono presenti nelle più belle gastronomie e salumerie italiane. «A maggio non mancheremo a Tuttofood, il salone internazionale dell’agroalimentare di Fiera Milano» conclude Alessandro. E chissà quante altre cose nel frattempo avrà da raccontarci. Stay tuned, stay hungry! Gaia Borghi
Il Consorzio per la promozione, la valorizzazione e la tutela del Bue Grasso di Carrù nasce il 21 novembre 2014 su iniziativa degli allevatori carrucesi Gianfranco Allione Cardone, Giovanni Rocca, Renato Cogno e Claudio Bottero insieme ai colleghi Sebastiano Gallo di Clavesana, Gianfranco Tealdi di Mondovì e Dario Porta di Bastia Mondovì che hanno deciso di unirsi e di aderire allo statuto consortile. È Bue Grasso di Carrù il bovino piemontese adulto castrato allevato nelle zone e secondo le modalità previste dal disciplinare di produzione approvato dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio nel corso della seduta del 27 dicembre 2014. Scopo principale del Consorzio è qualificare, tutelare, promuovere e valorizzare il “Bue Grasso di Carrù” incentivandone l’allevamento, la produzione, la commercializzazione ed il consumo. Altri obiettivi sono: la progettazione e l’attuazione di ogni azione di promozione e di pubblicità volta a favorire l’incremento dei consumi della carne del Bue Grasso di Carrù; l’adozione di ogni azione utile a favorire il potenziamento ed il miglioramento dell’annuale Fiera Nazionale del Bue Grasso di Carrù; l’esercizio di un’attiva vigilanza sull’allevamento, sulla macellazione e sulla commercializzazione delle carni bovine tutelate dal Consorzio, sull’uso del marchio e/o denominazione del Consorzio, ovvero in uso al Consorzio stesso, anche unitamente agli organi di controllo pubblici, al fine di prevenire, impedire e reprimere abusi o irregolarità a danno dell’immagine del prodotto tutelato, degli interessi e dei diritti del Consorzio e dei consorziati; la promozione di iniziative e/o servizi tendenti al perfezionamento e al miglioramento qualitativo della produzione, della trasformazione e della commercializzazione delle prodotto tutelato dal Consorzio; ecc… Consorzio Bue Grasso Carrù, Piazza Municipio n. 6 – 12061 Carrù (CN) Telefono: 335 1540239; E-mail: info@consorziobuegrassocarru.it – Web: www.consorziobuegrassocarru.it
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A Verona la macelleria Essegi dei fratelli Girelli
Il segreto del successo: specializzarsi e diversificare di Gian Omar Bison
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omen omen dicevano i latini. Ovvero chiamarsi Girelli e fare i macellai. Loro sono i fratelli STEFANO, LUCA e ALESSANDRO GIRELLI della macelleria Essegi di Verona, insieme in bottega da oltre trent’anni, a parte Stefano che ha fondato e tutt’ora conduce dal 1998 Eurochef Italia di Sommacampagna (VR). «Siamo partiti giovanissimi, tra i quattordici e sedici anni noi e diciotto Stefano, che si è poi sempre più occupato di commercio di carni, gastronomia e ristorazione e con
il quale tutt’ora collaboriamo. Se dovessimo avanzare una considerazione tranchant su come e quanto sia cambiata la tipologia di clientela da allora ci vengono in mente due parole: specializzazione e diversificazione. Specializzazione per un cliente che chiede qualità organolettica e garanzie di salubrità sulla filiera, dall’allevamento alla fettina. Meno quantità e più qualità. Diversificazione perché non basta più il pezzo di carne da cuocere a casa in maniera diversa. Oggigiorno il macellaio
deve saper proporre una gamma svariata di pronto cuoci e preparati gastronomici di pronto consumo». E su questo i Girelli si sono impegnati da tempo, tanto è vero che dopo l’ultimo restyling del 2016 hanno ampliato la capienza del banco, ampliato la cucina e con questi ampliata l’offerta alimentare grazie in particolare all’apporto di due collaboratrici. Ma oltre a questo sono proprietari e gestiscono, con la famiglia, l’agriturismo Ca’ Del Pea (www. cadelpea.it) di Sommacampagna.
Taglio di carne fresca al banco della macelleria Essegi di Verona.
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I fratelli Girelli hanno puntato molto su preparati e pronti a cuocere, ampliando nel 2016 la capienza a banco. Oltre alla carne bovina, che pesa per il 50% del prodotto lavorato e venduto in Essegi, un buon 30% esce come avicolo, in particolare pollo, ma anche anatra ed oca e per il resto maiale ed un po’ di equino.
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Basta così? Nient’affatto! «Recentemente abbiamo acquistato uno spazio nel quale vorremo proporre una nostra versione di ristomacelleria. Il solito bancone con il meglio della nostra ciccia da preparare e proporre ad una clientela di carnivori. Certo — sottolinea Alessandro — non è nostra intenzione inseguire i coperti. Apriremo sicuramente a pranzo e a cena una, massimo due volte a settimana, possibilmente su prenotazione e con serate a tema». I bovini lavorati sono soprattutto di razze Limousine o Charolais acquistati da due piccole aziende allevatoriali di Sommacampagna e il residuo, dovesse servire, lo acquistiamo in mezzene da Rosa Carni di Camposampiero (PD) o vivo al macello di Gianfranco Bernuzzi sempre a Sommacampagna. «Ci piace scegliere le bestie migliori, quelle che secondo noi hanno vissuto una stabulazione corretta, goduto di un’alimentazione completa e che per questo sono ingrassate bene e in grado di garantire una carne di qualità. Di sopportare una frollatura lunga per quanto possibile come piace a noi». Oltre al bovino, che pesa per il 50% della carne lavorata e venduta in Essegi, un buon 30% esce come avicolo, in particolare pollo, ma anche anatra ed oca e per il resto maiale ed un po’ di equino. «Per quanto riguarda l’offerta gastronomica, prepariamo tutto noi, compreso il brodo che vendiamo in bottiglia quando prepariamo il bollito e che è certamente una delle nostre specialità. Poi insacchiamo
Il banco macelleria di Essegi. salami, salsicce, cotechini e tastasal». Il tastasal è un impasto di carne fresca di maiale macinata, salata ed aromatizzata con abbondante pepe nero grosso frantumato. È lo stesso impasto usato per fare la sopressa, il salame e le salamelle. Si racconta che secoli addietro le massaie della bassa pianura veronese (tra Isola della Scala e Vigasio) preparassero il risotto col cosiddetto tastasal. Un modo per assaggiare la pasta dei salumi prima di insaccarli. Per tastare, ovvero assaggiare, la sapidità e la qualità della carne di maiale, da cui è derivato il termine dialettale tastasal. «Quello che ci piacerebbe rilanciare e che in parte cerchiamo già di proporre è la cucina tipica veronese, anche nei dolci come il Nadalin. Parliamo di pastisada de caval che è un piatto a base di carne di cavallo con aromi, verdure
«Ci piace scegliere le bestie migliori, quelle che secondo noi hanno vissuto una stabulazione corretta, goduto di un’alimentazione completa e che per questo sono ingrassate bene e in grado di sopportare una frollatura lunga come piace a noi» racconta Alessandro Girelli. «Per quanto riguarda la gastronomia, prepariamo tutto noi, brodo compreso, che vendiamo in bottiglia quando prepariamo il bollito e che è una delle nostre specialità»
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e vino inizialmente utilizzata come condimento per gli gnocchi. E poi la pearà, una salsa cotta a base di pepe che di solito si consuma in abbinamento al bollito». Una considerazione a parte merita la Eurochef Italia di Stefano, come detto, apripista con i fratelli Girelli di una saga familiare partita con la macelleria e che ha poi abbracciato ambiti diversi della proposta gastronomica e ristorativa. L’azienda è nata nel 1998 con l’obiettivo di produrre e commercializzare piatti pronti di gastronomia fresca. «Pietanze pronte, solo da scaldare — sottolinea Stefano — adatta a chi vuole risparmiare tempo senza rinunciare alla qualità e alla nostra tradizione culinaria». Primi e secondi piatti, di carne e di pesce proposti anche nel mercato europeo, in particolare Francia, Germania ed Irlanda e preparati in una struttura di 10.000 m2, inaugurata a luglio 2009. La tecnologia produttiva avanzata permette ad Eurochef di differenziare la durata degli alimenti, tra freschi, freschissimi e surgelati, così da soddisfare esigenze anche diverse dei consumatori. Gian Omar Bison Macelleria Essegi Snc Via Centro 29/A – 37135 Verona Telefono: 045 581091 E-mail: info@macelleriaessegi.it Web: www.macelleriaessegi.it
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Speck, salami e schultar, sotto la Creta di Timau di Riccardo Lagorio
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otto la Creta di Timau un altro miracoloso riscatto della campagna sulla città. Meglio: della periferia sul centro. Protagonista MASSIMO MENTIL, laureato di belle speranze nella Milano dei primi Duemila, con un’occupazione di prestigio nel settore finanziario, che non ha saputo resistere al richiamo di una borgata di 400 abitanti: è ritornato sui monti a continuare l’attività del nonno e del padre, macellai e norcini. Isola linguistica dove fino agli anni ‘50 la comunicazione avveniva in dia-
letto carinziano, Timau ha gerani fioriti e ordinati sui davanzali e nei giardini delle case. L’indirizzo della macelleria: ovunque ti trovi, è di facile arrivo. La sua fondazione risale al 1958 e il piccolo spazio dove le carni fanno bella mostra di sé non sembra essere cambiato molto. «Acquistiamo per lo più le parti anatomiche che ci servono: la quantità di carne che vendiamo fresca non ci consente di acquistare mezzene. I suini sono friulani, anzi macellati in Carnia», mette in risalto.
Abilità ed esperienza, umiltà e competenza del padre FLAVIO sono i fondamenti che fanno tornare i turisti e riescono a trattenere i locali dalla tentazione di frequentare la distribuzione organizzata. Ma contribuisce anche la scelta che ricade su carni di animali allevati in regime semibrado e alimentati con prodotti naturali. «Solo così possiamo ancora offrire un servizio in questo luogo», continua. Tuttavia questa bottega diventa unica quando scende in campo l’arte norcina, favorita dall’aria dell’alta valle del fiume But. Le
La macelleria di Flavio e Massimo Mentil si trova quasi al centro della strada principale di Timau. Sono tante le specialità che richiamano la clientela in bottega, in particolare la schultar, la spalla del suino affumicata, e la varhackara, un pesto ottenuto tritando vari salumi, in prevalenza lardo, speck, pancetta affumicata, salame e guanciale.
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frequenti perturbazioni seguite da giornate di sole scintillante, con un’escursione di umidità notevole, esercitano un benefico influsso sulla carne, promuovendo su ogni fibra un lento massaggio che agevola la salatura. Lo speck, ottenuto dalla coscia del suino, viene lavorato con sale, pepe ed erbe montane lasciandolo essiccare per una settimana. La stagionatura si protrae per un periodo variabile tra 4 e 6 mesi. La variante che più attrae l’attenzione dei clienti è il ruka speck, elaborato con la groppa del suino, caratterizzato da morbidezza e dolcezza superiori. Poi l’ossocollo, che stagiona in 90 giorni e si distingue per delicatezza organolettica, e la pancetta, che di giorni a stagionare ne passa almeno 60. Ma è il salame a marcare la differenza e convincere i clienti austriaci a oltrepassare il passo di Monte Croce Carnico. «Da noi il salame è un salume raffinato, prodotto con carni scelte. I nostri vicini utilizzano le parti meno nobili per questo insaccato: si tratta di una scelta di cultura», continua. La limitata intensità dell’affumicatura — tutti i salumi vengono appesi in una stanza dalle pareti ormai annerite — qualifica i salumi dei Mentil. Il processo non deve nascondere il gusto della carne matura e la combustione del faggio esercita una esaltazione del gusto della materia prima. «L’innovazione tecnologica deve sostituire le antiche pratiche o fungere da strumento per aiutare le tecniche produttive? Questo è ciò che mi chiedevo quando abitavo a Milano», comprova Massimo Mentil aprendoci con fierezza l’antico
La Bottega della carne a Timau. affumicatoio al piano superiore e mostrandoci un termostato che segna calore e umidità all’interno della stanza. «Se le tecnologie si utilizzano applicate alla trasformazione del cibo, queste debbono essere da mero supporto, affinché si eviti che il cibo diventi industriale, cioè uguale ovunque», si risponde. «Quando abitavo a Milano sognai che la facciata del laboratorio fosse ben dipinta e la bottega non si dovesse chiudere per l’avanzare dell’età di mio padre e a causa della mia assenza. Ora che la facciata del laboratorio sarà presto conclusa, quel sogno, che realmente ebbi, si è concretizzato e non tornerei più indietro», riferisce del mantico presagio. A Pasqua molti Austriaci, ma non solo loro, arrivano per la schultar. È la spalla del suino affumicata, la cui lavorazione peculiare e rigorosa ne
A Timau vanno fieri per un prodotto davvero singolare: la “varhackara”: un pesto ottenuto tritando in prevalenza lardo, poi speck, pancetta affumicata, salame, guanciale. Il macinato è opportunamente mescolato e si conserva in orci di pietra. Si consuma come gustoso antipasto spalmato su pane caldo e crostini, oppure come condimento per minestroni e sughi
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esprime l’unicità di gusto: la spalla è lasciata riposare almeno una giornata prima di trattarla con sale, pepe e le consuete essenze di monte. In tale condizione rimane per alcuni giorni. Segue l’affumicatura, che può durare da 10 a 15 giorni per un periodo anche di 3 ore al dì, e una stagionatura anche di 6 mesi. Si consuma previa bollitura in acqua salata con una focaccia dolce. Malgrado queste peculiarità, a Timau vanno fieri per un prodotto davvero singolare: la varhackara. Si tratta di un pesto, una crema ottenuta tritando salumi, in prevalenza, lardo, poi speck, pancetta affumicata, salame, guanciale. Un metodo per non gettare gli avanzi, insomma. Il macinato è opportunamente mescolato e si conserva in orci di pietra. Si consuma come gustoso antipasto spalmato su pane caldo o crostini, ovvero come condimento per minestroni e sughi. Il ritorno di Massimo Mentil sulle sue montagne ne ha segnato il recupero, forse la consacrazione tra i prodotti tipici da salvaguardare. Anche da queste pagine parte il tamtam. Riccardo Lagorio Salumi e Sapori di Timau Via Maria Plozner Mentil Loc. Timau – 33026 Paluzza (UD) Telefono: 0433 779008
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MACELLERIE DEL MONDO
Norcineria artigianale di qualità della Repubblica ceca
Český ráj, paradiso boemo della norcineria di Massimiliano Rella
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rovate a pronunciare e memorizzare un nome così: Řeznictví a uzenářství U Krejcarů. Non è semplice per chi non abbia molta dimestichezza con la lingua ceca, ma vi forniamo la traduzione in italiano perché è una norcineria da non perdere per gustare specialità locali se vi trovate a visitare il villaggio di Pěnčín, regione turistica Český ráj, detta più efficacemente paradiso boemo, a noi più comprensibile. La Řeznictví
a uzenářství U Krejcarů altro non è che la Macelleria Krejcar della famiglia omonima, che produce con lavorazione artigianale da oltre vent’anni il meglio della salumeria ceca. Arriviamo nel paesello in autunno e, complice un clima favorevole con temperature già vicine allo zero, che invita a rifocillarci di cibi sostanziosi di gusto deciso, cogliamo l’occasione per sperimentare i golosi salumi prodotti artigianalmente dai Krejcar. Come nella più
autentica tradizione contadina del maiale non si butta niente: tutti i tagli sono utilizzati nella produzione e anche il sangue, ingrediente di alcune preparazioni e ricette locali. I Krejcar fanno vari tipi di salsicce affumicate, würstel, salsicce di suino e sangue (riconoscibili dal colore scuro), ma anche carne di maiale arrostita e affumicata. Ad esempio, un prodotto del territorio è la Tlačenka, una sorta di coppa suina preparata nella versione scura con carne e
Prosciutto cotto a forma di maialino, una specialità della regione turistica Český ráj, prodotto dalla Norcineria Řeznictví a uzenářství U Krejcarů, nel villaggio di Pěnčín.
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In alto: alcuni prodotti della Norcineria Řeznictví a uzenářství U Krejcarů, nel villaggio di Pěnčín. In basso: specialità di carne, salumi e zuppe di carne in barattolo della norcineria artigianale Uzenářství u Bejrů, nel villaggio di Kněžmos.
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sangue; nella versione chiara, di gusto più leggero, chiamata Svètlá. La Tlačenka è ottenuta utilizzando le varie parti dell’animale, nobili e non, mescolate tra loro e bollite circa quattro ore, quindi messe in un contenitore cilindrico e pressate. La carne con la sua gelatina si taglia a fette e si mangia accompagnandola con pane e birra. Un’autentica curiosità è il piccolo prosciutto “cotto” fatto a forma di suino: sembra un maialinogiocattolo, ma in realtà è ottimo da gustare affettandolo dalla pancia della sagoma e risalendo fino al collo, come fanno a Pěnčín. La famiglia Krejcar compra la carne da una rete di allevatori di fiducia della provincia del “paradiso boemo” e vende le sue tipicità direttamente in azienda ma anche distribuendole a una rete di negozi locali. I prezzi vanno da 75 czk (€ 2,80) a 165 czk (€ 6,10) l’etto a seconda dei salumi. Altro giro altro norcino Nel villaggio di Kněžmos l’insegna
da non perdere è Uzenářství u Bejrů, la salumeria della famiglia Bejr, una garanzia per la norcineria ceca artigianale di qualità. Il signor JAROSLAV BEJR, che lavorava come macellaio, nel 1997, aiutato dalla famiglia, ha cominciato a produrre in proprio ottimi salumi — salsicce, prosciutti, carne affumicata e altre specialità locali — che vende nel piccolo negozio. «Faccio solo i prodotti che mi piacciono!», racconta il signor Jaroslav Bejr, che, considerando la sua stazza, deve amare un ricco armamentario di prodotti. Da carni di manzo e principalmente di suino Bejr ottiene salsicce affumicate bonbon, sanguinaccio al forno, vari tipi di würstel, salsicce di sanguinaccio, in tutto un centinaio di prodotti diversi che troviamo esposti nella graziosa e accogliente bottega di famiglia. Tra le specialità offre anche carne “affumicata secca”, una ricetta ceca che combina l’essiccazione con l’affumicatura: la carne viene salata
e pressata per una settimana, quindi essiccata e affumicata a freddo con legno di quercia. Non mancano carni e salumi conservati in barattoli di vetro, anche con originali abbinamenti d’ingredienti, come i würstel in aceto con cipolla e peperoni (Utopenec); le zuppe di sanguinaccio e pezzetti di stomaco di maiale; le zuppe di trippa di manzo; i pezzetti di grasso di maiale fritto o al forno (Škvarky); i pezzetti di carne di maiale cotta in forno 15 ore (Rilettes). Il fast food non abita qui! Massimiliano Rella Řeznictví a uzenářství U Krejcarů Pěnčín 11 (u Turnova), Pěnčín Telefoni: +420 485 177263 Negozio e norcineria: orari Mart.-Ven. 8:00-17:00; Sab. 8:00-12:00. Uzenářství u Bejrů U Fary 14, Kněžmos Telefoni: +420 326 784023 Orari negozio: Lun.-Sab. 8:00-19:00; Dom. 9:00-19:00.
Progetto Slow Food per i suini neri dell’Amiata Dopo il biscotto salato di Roccalbegna, il pecorino a latte crudo della Maremma — al cui presidio partecipano anche mastri casari amiatini — e la razza bovina Maremmana allevata anche sotto la vetta, la chiocciola simbolo dell’associazione guidata da Carlin Petrini comparirà sul suino nero di razza “Macchiaiola maremmana” o “Macchiaiolo Maremmano”. Razza iscritta nel Repertorio regionale toscano delle risorse genetiche animali, salvata dall’estinzione grazie all’entusiasmo di alcuni allevatori amiatini e da Vagal, progetto transfrontaliero avviato nel 2010 e di cui è capofila la Provincia di Grosseto. A Seggiano, nell’azienda agricola Il Felcetone (www.ilfelcetone.com; in foto le titolari Tinti De Devitiis e Gianna De Cola), Vagal ha individuato il centro pilota per il recupero di questa razza primitiva che veniva allevata allo stato brado sull’Amiata e sulle colline senesi fino ai primi del 1900. Grande pascolatrice, viveva nella macchia nutrendosi di erba, castagne e ghiande e, già allora, era descritta nei testi di zootecnia come razza ”rustica e primitiva, produttrice di ottima carne”. Per vari motivi, tra cui la riduzione degli habitat naturali, con nuove scelte agricole si è arrivati alla sua scomparsa. Nel 2005 con il fortunato recupero di 3 soggetti è iniziato il difficile e gravoso recupero della razza. Oggi sono presenti nel centro genetico 80 capi, tutti testati geneticamente e monitorati dal Dipartimento di Zootecnia dell’Università di Firenze. Con un rigido disciplinare che regola sia l’allevamento che l’abbattimento, la carne viene trasformata e stagionata recuperando l’antica ricetta contadina in uso fino alla fine dell’800: utilizzando esclusivamente gli aromi della macchia mediterranea, con assenza di pepe e stagionatura di 2 anni. Molto interessante e particolare è il risultato delle analisi della carne di questi animali: nel grasso si rileva la presenza di acidi Omega-3 e Omega-6, caso unico nella carne di maiale, che danno alla carne una digeribilità paragonabile al pesce (fonte: IL TIRRENO, edizione Grosseto).
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MEAT BLOGGER
Una tradizione della cultura alimentare italiana da salvaguardare
Il norcino di Andrea Laganga
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iamo all’alba di una gelida mattina di febbraio. La nebbia galleggia a qualche centimetro da terra e si confonde col vapore dell’acqua bollente, preparata per lavare la carcassa, cui hanno già fatto pelo e contropelo. Il fiato degli uomini si frantuma in mezzo al crocchio, tra gesti veloci e professionali… Siamo tra le mura delle case padronali delle nostre campagne, racconti di tradizioni ora mai sempre meno note, quando il rito della mattanza domestica del maiale era una festa per le grandi
famiglie unite del passato. Quando ancora mangiare la ciccia era considerata un normale e doveroso vizio per la salute di tutti i cari, e la carne di maiale era un sublime piacere da conquistare. Questa pratica di non facile svolgimento era (e lo è sempre) demandata alle sapienti mosse di un’abile figura professionale: il norcino, colui che macella il maiale e si occupa di lavorarne le carni. Un tempo, il maiale era ucciso in modo barbaro, sgozzato e lasciato morire per dissanguamento perché la carne restasse più tenera e si conservasse
meglio. Oggi, fortunatamente, la legge impone l’uso di una pistola veterinaria, che stende l’animale all’istante. Il maiale, insomma — sebbene questo sia per la vittima una consolazione da poco —, non sente dolore. La macellazione è eseguita da un abile professionista per non rovinare tutto quel bendidio da trasformare in salumi, braciole e salsicce. La carne di maiale di prima scelta è color rosso pallido e ha grana sottile, venata di rosso. Il lardo, pure di grana sottile, è alto, biancorosato e sodo. Chi macella in casa
Gian Luigi Uboldi, Il Norcino all’opera, Ex Libris, 1984, Collezione Gian Carlo Torre, Genova. L’uccisione del maiale nel mondo della civiltà contadina assumeva il valore di un vero e proprio rito (photo © www.museidelcibo.it).
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Dal XII al XVII secolo ci fu un forte sviluppo dei mestieri legati alla trasformazione delle carni suine e fra questi il norcino. Tali professionisti iniziarono anche ad organizzarsi in corporazioni o confraternite, andando a ricoprire importanti ruoli all’interno della società e creando nuovi prodotti di salumeria. A Bologna esisteva la Corporazione dei Salaroli, mentre nella Firenze De Medici nacque la Compagnia dei facchini di S. Giovanni decollato della nazione norcina. Papa Paolo V, con bolla del 1615, riconobbe la Confraternita norcina dedicata ai santi Benedetto e Scolastica. Otto anni più tardi papa Gregorio XV elevò questa associazione ad Arciconfraternita, alla quale nel 1677 aderì anche l’Università dei pizzicaroli norcini e casciani e dei medici empirici norcini
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cerca di ottenere la maggiore quantità possibile di carne da utilizzare per preparare prosciutti, pancette, coppe, salami, ciccioli e sapidi insaccati da cuocere, come zamponi, cotechini e salsicce. La carne fresca, braciole costolette e altri tagli, è quella che si trova abitualmente dal macellaio, il quale è rifornito ogni giorno dai macelli industriali. D’inverno, ad utilizzare i residui della macellazione suina si comincia il giorno stesso della pcarìa. Al termine delle lunghe operazioni, che impegnano diverse persone, tutte con compiti ben precisi, si festeggia la fine del lavoro con un pranzo, ovviamente a base di carne di maiale. Un tempo si recuperava anche il sangue, fritto in padella insieme a strutto e cipolla. Qualcuno lo utilizzava (secondo un’usanza diffusa in molte regioni) per preparare economiche ma appetitose frittate insieme a diversi ingredienti. Ogni singola lavorazione era fatta per coprire l’alimentazione di quasi tutto l’anno. Prima le frattaglie in umido e le ossa per il brodo per poi arrivare in primavera per iniziare ad assaggiare i cotechini e il prezioso lardo usato anche per i dolci. Ancora nei primi anni del Novecento, nelle fredde domeniche dei paesi intorno a Norcia venivano reclutate queste figure specializzate per la mattanza dei maiali per le famiglie dei poderi. Conosciuti anche nell’antica Roma come esperti nell’arte di castrare i porci e lavorarne le carni, i norcini avevano una notevole abilità manuale che li rendeva idonei anche a piccoli interventi quali incidere ascessi o cavare denti o steccare qualche fratture. Alcuni di essi dimostrarono anche notevoli capacità tecniche che li spinsero a interventi chirurgici maggiori (ernie, cataratta, asportazione di tumori…) e furono anche molto richiesti per la castrazione di bambini che dovevano essere avviati alla carriera lirica o teatrale come voci bianche, ma naturalmente ciò non poté evitare la scarsa considerazione di cui godettero in campo medico (…sei un macellaio)*. Ma come mai questa figura sta scomparendo? La figura del norcino è in via di estinzione come
tante tradizioni legate alla cultura contadina. Questo perché la gente scappa dalla “terra” per rifugiarsi nelle occupazioni cittadine e le numerose famiglie unite di “una volta” sono sempre più rare e meno unite, sia per affetto che per stili alimentari. È facilmente intuibile che i fruitori del servizio del norcino siano in notevole diminuzione, complice anche una mutata filosofia alimentare: in passato imperava inesorabile la cultura gastronomica del risparmio; l’unico requisito richiesto oggi è il pratico e veloce. Per non parlare delle autorizzazioni sanitarie sempre più difficili da ottenere e di complesse richieste a volte talmente costose da ottemperare che non vale la pena eseguirle per il solo scopo domestico. Se avessimo bisogno quindi di una figura per la macellazione casalinga, dovremmo andare a richiedere la mano esperta del macellaio, conoscitore ed abile lavoratore di tutti i tipi di carne. Andrea Laganga Nota * In epoca medioevale il termine norcino fu adoperato in senso dispregiativo per indicare una delle figure minori che si erano sostituite a quella del chirurgo. Il norcino, infatti, insieme al cerusico, al cavadenti, al concia-osse costituì (spesso riunendole in sé) quel gruppo di figure di ambulanti che in giro per i villaggi e le campagne si prestavano a praticare piccoli interventi chirurgici. Era l’epoca in cui la Chiesa osteggiava ogni attività cruenta (relativamente all’aspetto medico) perché era stato sancito in alcuni Concili che Ecclesia abhorret a sanguine (fonte: www.norcinibresciani.it).
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SAPORI DAL MONDO
Alla scoperta del Caucaso
I piatti di carne della cucina armena di Nunzia Manicardi
L’
Armenia, patria (anche se oggi territorialmente molto ridotta) di una civiltà plurimillenaria, conserva una gastronomia a base di ingredienti sani, freschi, genuini e quasi privi di grassi che fa sì che nessun abitante di questo bel paese caucasico riveli tracce di obesità. Una vera delizia anche per gli occhi (compresi i
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miei, che sono reduce da un recente interessantissimo viaggio dove l’esperienza culinaria l’ha fatta da protagonista). Occhi, i nostri, ormai da tempo abituati ai tristi spettacoli del mondo occidentalizzato, che in quanto a danni alla salute e al fisico, a causa di sbagli ed eccessi alimentari, non risparmia nessuno, nemmeno i bambini.
Eppure anche l’Armenia è un paese moderno e tecnologizzato, ma dove, per fortuna, l’industria alimentare e quella chimica ad essa collegata non hanno avuto modo e spazio per svilupparsi. E speriamo che ciò non accada neanche in futuro, non almeno nel modo altamente invasivo che è avvenuto da noi!
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Nella cucina armena troviamo alcuni piatti tipici a base di carni varie accanto a un’infinità di verdure (le stesse del nostro orto mediterraneo) speziate e non, sia cotte che crude, presentate come antipasto e come contorno, e alla frutta fresca, servita sempre a fine pasto con lo stesso orgoglio con cui in Italia portiamo in tavola un dolce
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ben riuscito. Gli Armeni non sono grandi consumatori di dolci e per loro la frutta è un trionfo non solo per il palato, ma anche per gli occhi (e in ogni caso anche i dolci spesso sono a base di frutta), che indugiano ammirati su pesche, angurie e meloni, e soprattutto sui due frutti diventati simboli nazionali: l’albicocca (importata in Italia proprio
dall’Armenia, il cui bell’arancione vivace compare anche nella bandiera armena accanto al rosso e al blu) e la melagrana. Stessi onori sono riservati alla frutta secca, in particolare noci, nocciole e fichi, con la quale al mercato coperto Pag Shuka della capitale Yerevan sono in vendita composizioni di diverse misure e combinazioni cromatiche
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Bozbash, zuppa di carne di agnello diffusa in tutto il Caucaso, in Russia e in Asia Centrale, cotta con ceci e albicocche secche (photo Š natashamam35 – Fotolia).
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che diventano vere e proprie realizzazioni artistiche. Sempre presente in genere sulla tavola è il formaggio, ovino o caprino, non di rado particolarmente salato, anche perché si abbina a pane insipido. Si trova facilmente anche lo yogurt (matsoni), che viene utilizzato come salsa sulle verdure. Raro il pesce, anche perché da tempo l’Armenia ha perduto ogni sbocco al mare, ma sul grandissimo Lago Sevan si può gustare un’ottima trota e un altrettanto ottimo salmone. Il reparto alcolici non potrebbe essere migliore. Il vino, ormai tutti concordano, sembra che sia nato proprio qui, fra Armenia e Georgia, e si può scegliere tra moltissime varietà tutte ugualmente eccellenti, sia di rossi che di bianchi. Di alto livello anche la birra locale (Kilikia) e i tanti distillati a base di frutta (tra cui le già citate albicocca e melagrana) che chiudono ogni pasto armeno che si rispetti. Non prima però di aver gustato un brandy… Quello armeno è talmente buono che si dice fosse il preferito del primo ministro inglese WINSTON CHURCHILL e di altri potenti personaggi del suo e del nostro tempo, che di gran lunga lo prediligevano rispetto al cognac francese. I piatti principali, quindi, sono quelli a base di carne. Ne spiccano tre: • khorovats, spiedini di carne alla griglia; • khashlama, agnello bollito; • bozbash, zuppa di agnello o montone. Al posto del pane tagliato a fette questi piatti sono serviti, seguendo la tradizione più antica, con il lavash, una sottilissima sfoglia cotta in un forno interrato. Assomiglia alla piadina, ma è molto più sottile e viene offerta ripiegata una sopra l’altra. Spesso si pone un po’ di pietanza su un pezzetto di questo lavash, si ripiega e si mangia in un solo boccone. Khorovats È difficile, si dice, visitare l’Armenia senza imparare almeno una parola: khorovats. Difficile anche da pronunciare, ma è da imparare lo stesso perché indica tutto ciò che può essere cotto per il barbecue: dalla carne ai
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pomodori, melanzane e peperoni. La carne prediletta in Armenia da mettere allo spiedo o sulla griglia è quella di maiale, ma molto diffuse e apprezzate sono anche le carni di agnello, manzo e pollo e talvolta di pesce. In estate è quasi di routine aggiungere pomodori, melanzane e peperoni, anch’essi cotti al fuoco della griglia, e pure fette di patate. Il khorovats, che impiega sempre carne intera o a pezzi, non deve essere confuso con il kebab, in cui la carne è macinata, benché sia questo il nome utilizzato nella parte occidentale del paese (quella, non a caso, confinante con la Turchia, dove il kebab è il piatto nazionale). Khashlama Quella del khashlama (o hashlama) è una ricetta molto antica che di recente è stata spesso riproposta anche per far conoscere le specialità armene nel contesto di manifestazioni e iniziative pubbliche, compreso l’annuale Festival gastronomico. Questo piatto è uno stufato a base di carne bollita, generalmente manzo o agnello (o montone, dove disponibile) condito con erbe e un pizzico di sale. IRINA PETROSIAN, autrice di un libro dedicato alle specialità culinarie armene della tradizione, lo descrive come “una delle specialità preferite per gli amanti del cibo armeno che prediligono i sapori semplici e naturali”. Petrosian (www. thearmeniankitchen.com) fa anche riferimento al khashlama riportato nel ricettario di ARDASHES KEOLEIAN sulla cucina orientale particolarmente adatta ai gusti americani e sui relativi metodi di preparazione, pubblicato nel 1913, in cui il riferimento è a un piatto economico, popolare, in cui si fa uso separato di carni e brodo. Questo libro di cucina offre numerose ricette di khashlama, comprese quelle a base non solo di agnello o montone (pure con cervello e lingua), ma anche di manzo e pollo. Alcune includono verdure, altre sono più semplici, ma tutte hanno come componenti di base la carne e il brodo. Ecco la ricetta di base per il khashlama dal libro di ricette di Keoleian: “carne (spalla di manzo, montone o agnello), prezzemolo, cipolle
Agnello, montone, manzo e pollo alla griglia o in stufato, accompagnati da una grande varietà di verdure crude e cotte condite con yogurt e seguite da frutta fresca e secca (tra cui spiccano albicocche e melagrane che sono anche simboli nazionali), fanno di questa dieta un alleato fondamentale per mantenere la popolazione sana e senza alcun problema di obesità
secche, pomodori maturi (o in scatola), sale e pepe a piacere. Si fa bollire la carne in acqua fredda fino a quando non diventa tenera, poi la si mette in una padella, la si fora da tutti i lati con un coltello affilato a punta (si potrebbe anche inserire spicchi d’aglio nelle fessure così ricavate) e si ricopre con le cipolle tritate e i pomodori a pezzetti. Si versa al di sopra di tutto una tazza di brodo e si mette in forno moderatamente caldo fino a quando gli ingredienti vegetali non siano completamente cotti. Si serve caldo dopo aver tagliato la carne a fette. Il sugo si usa come salsa”. Un’altra ricetta, tipica della regione di Etchmiadzin, prevede carne di agnello magra tagliata a dadini, cipolla, pomodori freschi anch’essi a dadini, altro pomodoro però schiacciato, cipolla e peperoni rossi e gialli tritati grossolanamente, prezzemolo, sale, pepe nero e paprica a piacere. Si può aggiungere anche aglio. Si serve in una ciotola versando il composto sopra il pane o sopra il bulgur cotto a pilaf. Il bulgur è un alimento molto diffuso in Medio Oriente, costituito da frumento integrale (grano duro germogliato) che subisce un particolare processo di lavorazione. I chicchi di frumento vengono cotti al vapore e fatti seccare, poi sono macinati e ridotti in piccoli pezzetti. Il suo nome deriva dal turco bulgur
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Preparazione del lavash, pane armeno costituito da una sottilissima sfoglia e cotto in un forno interrato e con cui si accompagnano numerose pietanze tra cui quelle a base di carne (photo © www.theiconichand.com). con il significato di “orzo bollito” Il pilaf, a sua volta, è un sistema di cottura, tipico del riso, attraverso il quale si ottiene un composto con chicchi sgranati. Bozbash Il bozbash è una zuppa di carne di agnello diffusa, con nomi simili o differenti, in tutto il Caucaso, in Russia e nell’Asia centrale, e cotta con ceci e albicocche secche. La carne di agnello in questi territori è diffusissima, tanto che si può paragonare, come importanza, ai petti di pollo disossati e senza pelle in America (o anche presso di noi). I popoli di queste zone amano talmente questa carne che in Uzbekistan dire a qualcuno che è “come un agnello” equivale a fargli un complimento perché significa che egli è “servizievole e innocuo”. Non sempre, però, e non per tutti è facile cuocere a puntino l’agnello al forno o sulla graticola; quindi si può “ripiegare”, con apprezzabilissimi risultati, sulla zuppa o sullo stufato, anche se in Italia questo modo di
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cucinarlo è praticamente sconosciuto, a differenza dell’Armenia dove, appunto, è un piatto tipico nazionale. Le varietà regionali di bozbash sono molte, ma l’importante è che si rispetti la proporzione di mezzo chilogrammo di carne ogni due litri d’acqua. La carne viene cotta con ceci, verdure, odori e frutta. La versione-base prevede l’aggiunta di patate, ceci, pomodori e cipolle. La frutta, per noi ingrediente oggi sorprendente ma diffusissimo durante il nostro Rinascimento in assenza del pomodoro e delle patate non ancora introdotte dall’America, comprende, a seconda delle ricette locali, albicocche secche, mele e prugne. Del bozbash non c’è una ricetta precisa; si può dire che ogni cuoco abbia la propria, anche perché, come sempre nel mondo contadino o di origine contadina, gli ingredienti sono quelli disponibili, nella quantità che si ha sottomano al momento. Se qualcosa manca, si fa senza. Se c’è qualcosa in più, si aggiunge. Non ci sono manuali tecnici o bibbie gastronomiche…
Gli ingredienti, entrando più nel dettaglio, sono: carne di agnello tagliata a cubetti, qualche costola con osso per insaporire il brodo, odori (alloro e timo), pepe nero, olio di colza o di girasole (noi possiamo sostituirlo con extravergine d’oliva, avendo la fortuna di averlo), prezzemolo, aglio, porro, carote e cipolle (tutte le verdure vanno tagliate a pezzetti). Per i contorni, che vanno poi aggiunti alla carne per la cottura finale, abbiamo ceci, patate rosse (a fette), albicocche secche (a pezzi nel senso della lunghezza), coriandolo, prezzemolo, basilico verde o viola, aceto di vino rosso. Si può aggiungere anche aglio, pepe nero, alloro, e ancora cipolla, carota e porro. Si consiglia di preparare almeno 6 ore prima di servire o addirittura il giorno prima. Si guarnisce ogni piatto con un paio di rametti di coriandolo. Nunzia Manicardi Nota Alle pagine 96 e 97 chiesa sul lago di Sevan in Armenia (photo © Fotolia).
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TIPICAMENTE ITALIANO dall'Appennino Centrale la qualità delle razze bovine tipiche italiane, allevate ed alimentate nel rispetto di un rigido disciplinare di produzione, seguendo la tradizione.
Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale: un marchio ed un nome per indicare, certificare e garantire la carne dei bovini delle razze Chianina, Marchigiana e Romagnola, iscritti al Libro Genealogico Nazionale, nati, allevati e macellati nell’area tipica di produzione ad un’età compresa fra i 12 e i 24 mesi. Il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale ha un significato ben preciso e ricco di contenuti: “Vitellone” perché con questo termine venivano indicati i bovini da carne di età compresa fra i 12 e i 24 mesi. A questa età gli animali sono giovani e la carne di queste razze resta molto magra con una composizione in acidi grassi molto favorevole all’alimentazione moderna. “Bianco” perché i bovini di queste razze hanno il mantello bianco che ben risalta sulla cute nero-ardesia che permette a questi bovini di tollerare ottimamente le radiazioni solari dei tipici ambienti pascolativi. “dell’Appennino centrale” rappresenta l’indicazione di origine, perché questa è la zona dove, tradizionalmente, Chianina, Marchigiana e Romagnola sono allevate da oltre 1500 anni. I vitelli devono essere allattati naturalmente dalle madri fino al momento dello svezzamento, successivamente la base alimentare è rappresentata da foraggi freschi e/o conservati provenienti da prati naturali, artificiali e coltivazioni erbacee tipiche della zona geografica indicata.
L’ IGP “VITELLONE BIANCO DELL’APPENNINO CENTRALE”
I marchi a fuoco apposti sui principali tagli anatomici della carcassa ed il certificato esposto nel bancone della macelleria, sono gli strumenti che consentono al consumatore di identificare la carne e di avere le garanzie di qualità date da un rigido disciplinare di produzione IGP.
CONSORZIO DI TUTELA DEL VITELLONE BIANCO DELL’APPENNINO CENTRALE info@vitellonebianco.it - Tel. 075.6079257
www.vitellonebianco.it
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Ottimo bilancio per ALL4PACK Paris, Emballage & Manutention
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LL4PACK Paris, il salone internazionale di riferimento dell’imballaggio e dell’intralogistica, ha chiuso i battenti e conferma il proprio ruolo di luogo prioritario per il business, l’innovazione e gli scambi grazie alla presenza di 87.815 operatori provenienti da 100 Paesi, principalmente della zona EMEA, e di 1.500 espositori e società rappresentate. L’edizione 2016 del salone si è contraddistinta per la qualità elevata dei visitatori. «Siamo molto soddisfatti da questo dato — ha dichiarato MARTINE PINVILLE, Segretario di Stato per il Commercio, Artigianato, Consumi ed Economia sociale, che ha visitato il salone per incontrare gli attori francesi della filiera — eravamo coscienti infatti che il salone si sarebbe svolto nel contesto complesso
globale estremamente complesso che i Francesi e la sua capitale stanno attraversando». «I Business meetings hanno riscosso un enorme successo» ha dichiarato la direttrice del salone VÉRONIQUE SESTRIÈRES. «Questo è un format che svilupperemo ulteriormente nel 2018 in quanto è in grado di rispondere in modo adeguato alle esigenze e al profilo dei compratori». Un luogo d’ispirazione per tutti gli operatori del settore Laboratorio ed osservatorio dell’offerta e della domanda in materia d’innovazione per il packaging, il processing, il printing e l’handling, ALL4PACK Paris ha saputo proporre agli operatori la sua capacità di decodificare e mettere in luce le tendenze per questi settori industriali.
Più di 200 opinion leader, esperti del mercato e direttori d’azienda hanno animato lo studio TV ed il Forum dei partner durante i 4 giorni del salone con interventi dedicati alle innovazioni presentate ma anche a tematiche di rilievo per il settore: • quale supply chain nel 2020?; • personalizzazione degli imballaggi e stampa digitale: la combinazione vincente; • imballaggi attivi, intelligenti, connessi ed ultra smart: fino a dove arrivare?; • rendere l’individuo protagonista della propria salute attraverso l’imballaggio; • retail, e-commerce, pick and collect: l’imballaggio di fronte ad una distribuzione omnichannel. >> Link: www.all4pack.fr
ALL4PACK Paris si è svolto dal 14 al 17 novembre 2016. Un’edizione caratterizzata dalla presenza di visitatori qualificati e da un aumento dei top buyer provenienti dall’area EMEA.
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MEAT-TECH 2018: punto fisso di un mercato in movimento
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EAT-TECH 2018 continua a raccogliere adesioni dagli espositori leader dell’industria della carne, investe nella promozione presso i mercati esteri principali e stringe partnership con le associazioni più autorevoli: un evento che si conferma il punto di riferimento per il mercato e che dimostra la sua vicinanza al settore anche grazie al proprio Osservatorio Economico, che monitora costantemente gli andamenti dell’industria e dei suoi sviluppi.
Un momento favorevole per il comparto Secondo l’Agricultural Outlook 2016-2025 – OCSE-FAO, nel 2025 la produzione mondiale di carne è prevista in crescita del 16% rispetto al periodo di riferimento 2013-15 (+20% rispetto alla decade precedente), trainata in particolare dalla domanda di pollame; un’opportunità da tenere d’occhio per tutti i produttori di macchine per la lavorazione della carni. Nel dettaglio, il pollame passerà da 115.192 kt rtc nel 2016 a 131.255 nel 2025 e Argentina,
Brasile, Messico, Russia, Ucraina e Stati Uniti risulteranno ai vertici della produzione. Nella regione asiatica i leader saranno Cina, India, Indonesia, Iran e Tailandia. Complessivamente si prevede che la produzione mondiale di carne cresca di circa 48 Mt entro il 2025, quantità su cui i Paesi in via di sviluppo (in primis Argentina, India, Indonesia, Messico, Pakistan e Vietnam) incideranno per il 73%. La produzione dovrebbe aumentare anche nel settore delle carni ovine (soprattutto in Cina, Pakistan,
Grazie alla partnership tra UCIMA e Fiera Milano, tutte le aziende leader del settore stanno confermando il loro ritorno a MEAT-TECH e IPACK-IMA 2018, considerate come uniche manifestazioni italiane settoriali capaci di competere con i grandi appuntamenti mondiali e di catalizzare l’interesse dell’industria e della distribuzione nazionale e internazionale. Già rappresentativa la compagine delle aziende iscritte. Tra loro, solo per citarne alcune, per il settore processo e confezionamento presenti C.R.M., Coligroup, Colussi Ermes, Erre-Ci-A, Europrodotti, Fessmann, Handtmann Italia, Inotec, Inox Meccanica, Laska, M.A.V. Engineering, Nowicki, Process-Pack International, Pulsar Industry, Risco, Techpartner, Travaglini, Ulma Packaging, Ve.Ma.C., Velati; per il settore ingredients Europrodotti, Metroz Essences, per le attrezzature e i materiali Erre-Ci-A, GB Bernucci, Minerva Group, Walsroder Casings.
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Crescono le adesioni per l’unica fiera italiana dedicata a processing e packaging dell’industria della carne. Il salone si conferma punto di riferimento di un mercato in cui cambiano i trend ma che resta ad essere ad alto potenziale di crescita
Sudan e Australia e Africa Sub Sahariana) con una crescita globale stimata del 2,1% annuo. Ovviamente in aumento anche il consumo globale annuo di carne pro capite, in particolare in Asia, America Latina e Medio Oriente. Il consumo globale annuo di carne pro capite dovrebbe raggiungere i 35,3 kg entro il 2025, con un incremento di 1,3 kg rispetto al periodo di riferimento, crescita trainata principalmente dal pollame (131.255 kt rtc nel 2025 contro i 115.247 del 2016). Nel 2025 le esportazioni di carni a livello mondiale dovrebbero crescere del 23% rispetto al periodo di riferimento, di cui circa la metà verso i Paesi sviluppati (80% bovino e pollo). Le esportazioni di manzo dagli Stati Uniti rappresenteranno più di un quarto del commercio totale, mentre quelle dell’Unione Europea cresceranno marginalmente a causa dell’accesa concorrenza di Nord e Sud America. All’interno di questo scenario, MEAT-TECH 2018 si propone come
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l’appuntamento di riferimento per gli operatori del comparto. Il 50% degli spazi disponibili sono già stati opzionati da aziende italiane e internazionali che renderanno la mostra un’occasione unica per valutare potenzialità ed efficienza delle tecnologie più innovative per la lavorazione, il confezionamento e la distribuzione delle carne. Un’edizione valorizzata non solo dalla contemporaneità, già rodata, con IPACK-IMA, ma anche dall’inserimento all’interno del grande progetto The Innovation Alliance, il che consentirà alle aziende presenti di valorizzare le proprie specificità e presentarle agli operatori del mondo della Grande Distribuzione, del retail e dell’industria alimentare che visiteranno l’evento. MEAT-TECH 2018 Processing & Packaging for the Meat Industry Fiera Milano – 29 maggio-1 giugno E-mail: ipackima@ipackima.it Web: www.ipack-ima.com www.fieramilano.it/meat-tech
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INNOVAZIONE
La tracciabilità delle carni suine in Cina guarda al futuro Grazie ad un accordo tra Walmart, IBM e l’Università Tsinghua l’elettronica entra nel piatto dei consumatori cinesi di Roberto Villa
L’
economia cinese fa passi da gigante. Centinaia di milioni di abitanti hanno raggiunto livelli di consumo comparabili con quelli dei paesi sviluppati; ora però, saziati i desideri quantitativi, la domanda si rivolge verso una migliore qualità dei prodotti, inclusi gli alimenti. Proprio tenendo conto delle aspettative dei consumatori del più popoloso paese del mondo — in alcuni casi attizzate da scandali alimentari interni, che
hanno avuto grandissima rilevanza sui media locali e in qualche caso anche internazionali come quello della melamina nel latte — il colosso statunitense della grande distribuzione WALMART (NYSE: WMT) ha avviato una collaborazione finalizzata a introdurre una svolta tecnologica in tema di tracciabilità dei cibi. Il progetto, oltre al capofila Walmart, prevede la collaborazione di un’altra grande società a stelle e strisce come IBM (NYSE: IBM) e
Walmart e IBM hanno scelto la Cina per l’estensione del mercato e per i significativi miglioramenti che la tecnologia può imprimere alla gestione di una filiera tanto complessa e al tempo stesso fragile
Banco con carne e teste di maiale in Cina. Il primo alimento oggetto dell’applicazione della nuova tecnologia relativa alla tracciabilità sarà proprio la carne suina, molto apprezzata dai consumatori cinesi (photo © www.highrated.net).
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dell’Università Tsinghua di Pechino ed ha una durata prevista di sedici settimane. IBM, che ha due centri di ricerca attivi sul territorio cinese, a Pechino e a Shanghai, ha già collaborato con l’Università Tsinghua su varie tematiche, incluso il progetto Green Horizons incentrato sulle sfide ambientali del paese asiatico, ormai seconda potenza economica globale. Il lavoro trae la sua forza dalla sinergia dei tre partner specializzati in campi diversi e convergenti: i ricercatori di IBM China sono tra i tecnologi all’avanguardia nel gruppo, quelli dell’Università Tsinghua sono specializzati nella sicurezza delle transazioni e nelle tecnologie di autenticazione, mentre Walmart mette a disposizione i suoi migliori esperti in materia di gestione delle filiere, logistica, sicurezza alimentare. Walmart e IBM non fanno mistero di aver scelto la Cina per l’estensione del mercato e per i significativi miglioramenti che la tecnologia può imprimere alla gestione di una filiera tanto complessa e al tempo stesso fragile. La tecnologia Blockchain: dalla finanza agli allevamenti L’attuale progetto è imperniato sulla tecnologia Blockchain (www.ibm. com/blockchain). Basata sul Linux Foundation Hyperledger Project (software open source) ed utilizzata sinora per i servizi finanziari, è in grado di legare in maniera inalterabile le informazioni lungo tutta la filiera, dall’azienda agricola sino al banco del punto vendita. Il nome della tecnologia deriva proprio dal fatto che vengono legati in modo permanente, come gli anelli di una catena, i dati delle transazioni dei beni e ciò viene fatto per blocchi omogenei di informazioni, che una volta validati non possono essere modificati poiché protetti. Tale metodo è in grado di garantire una maggiore sicurezza rispetto alle registrazioni su carta, più soggette a possibilità di manipolazione fraudolenta. In sostanza ogni operatore della filiera inserisce le informazioni di pertinenza — data e luogo di nascita per gli animali, data di raccolta per le
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colture, data e luogo della macellazione, della trasformazione o della lavorazione, temperature durante il trasporto, ecc… — le quali vanno a costituire una sorta di curriculum digitale che segue l’alimento sino al momento dell’acquisto. I benefici non saranno però unicamente per i consumatori: a giovare di questo miglioramento saranno sicuramente anche tutti gli attori della filiera, grazie ad un progresso non solo nella sicurezza alimentare ma anche dal punto di vista dell’autenticità dei cibi e quindi della credibilità di chi produce, commercia e vende. Uno degli scopi è quello di mostrare ai soggetti della catena di fornitura alimentare quali sono i maggiori pericoli in tema di sicurezza alimentare, in modo da poterli prevenire e saperli gestire. Il primo alimento oggetto dell’applicazione della nuova tecnologia sarà la carne suina, molto apprezzata dai consumatori cinesi che nel 2015 ne hanno importate 1,6 milioni di tonnellate dall’estero per sopperire alla carenza dell’offerta interna. È stata scelta la carne suina perché nel 2015 il Governo cinese ha dovuto fare fronte al ritiro di circa 100.000 tonnellate di carni suine, bovine e avicole contraffatte, alcune delle quali macellate addirittura negli anni ‘70 del secolo scorso. L’obiettivo è quello di consentire a Walmart di avere rapidamente ed in tempo reale informazioni chiave a tutela della carne suina venduta nei propri negozi, dalla provenienza — quelle oggetto dello scandalo sopra menzionato arrivavano da paesi esteri tramite triangolazioni con Hong Kong e Vietnam — alle condizioni di conservazione (per evitare che vengano congelate e scongelate più volte). Inoltre sarà possibile allegare anche fotografie o video al pacchetto che seguirà la carne per tutta la sua vita commerciale sino allo scaffale. Se il progetto avrà successo, ha dichiarato PAUL CHANG di IBM China al WALL STREET JOURNAL, verrà poi sicuramente allargato anche ad altri alimenti. Roberto Villa
SICUREZZA ALIMENTARE
Il punto di vista italiano sulle interazioni fra controlli ufficiali e certificazioni volontarie: focus sui mangimifici L’obiettivo deve essere l’innalzamento della sicurezza alimentare e della qualità dei prodotti: un target comune per le aziende private e gli organi di vigilanza di Giulia Mauri
R
egione Emilia-Romagna, Ministero della Salute e A SSALZOO hanno organizzato un incontro per discutere del “Progetto sulle interazioni tra gli schemi di certificazione del settore privato e i controlli ufficiali nel settore dei mangimi e delle materie prime per
mangimi” (Bologna, 7 ottobre 2016). L’introduzione ai lavori è stata affidata ad ADRIANA GIANNINI, responsabile del Servizio Prevenzione collettiva e sanità pubblica, della Direzione generale Cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna. «Da sempre
la nostra Regione tratta con molta attenzione la sicurezza alimentare — ha esordito la Giannini — e dal 2004, anno in cui è stato pubblicato il Regolamento comunitario 882, si è intrapreso un percorso di qualificazione dei controlli ufficiali, in linea con le aspettative europee.
Allevamento bovino (photo © www.zoomnews.it).
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I mangimifici sono considerati un’attività strategica per il controllo sulla qualità delle produzioni zootecniche. Per il controllo del rischio degli stabilimenti che producono mangimi o materie prime per mangimi, periodicamente viene emesso il Piano Nazionale degli Alimenti per Animali (PNAA). Il Piano stila i parametri minimi di controllo da parte delle autorità competenti (photo © www.ilnuovoagricoltore.it). Questo percorso prevede l’adozione di un approccio e delle procedure conformi ai dettami comunitari e coinvolge tutti gli operatori del controllo ufficiale. Oggi possiamo dire che ha portato a un cambiamento culturale e di approccio nell’esecuzione delle attività sul territorio». La Regione favorisce l’interazione con le varie strutture coinvolte, primo fra tutti l’assessorato all’Agricoltura, in modo da raggiungere un’integrazione fra la produzione alimentare, il settore pubblico e quello privato, e la conseguente crescita di tutto il sistema regionale grazie ad elevati standard di produzione e sicurezza». Il controllo ufficiale corrisponde ai principi stabiliti a livello europeo, ma anche a norme nazionali quali quelle sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione, ad esempio. Il controllo ufficiale si inserisce nel mondo produttivo con livelli di qualità alti e prefissati e deve restituire alla collettività e al sistema produttivo dei risultati concreti, uti-
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lizzabili per sviluppare una crescita del sistema. È in questo modo che il sistema favorisce la costruzione di una cultura della sicurezza alimentare, reale e non puramente formale. Il servizio pubblico lavora per garantire la sicurezza finalizzata alla salute dei consumatori e agisce attraverso l’ascolto, l’assistenza e la cooperazione alla crescita del territorio delle produzioni e della loro qualità. Da questo punto di partenza è facile affermare che possono esistere principi e criteri affini fra i controlli eseguiti dal pubblico e dal sistema privato legato alle certificazioni volontarie, che, nelle sue varie forme, è molto diffuso sul territorio regionale. Insomma, «bisogna costruire un sistema di interazione massima fra controlli ufficiali e volontari, bilanciando gli aspetti negativi di questa integrazione». Successivamente è stato il turno di ROBERTA CHIARINI, della Direzione generale Agricoltura, caccia e pesca della Regione Emilia-Romagna.
La Chiarini ha illustrato le interazioni esistenti con il settore della certificazione privata e le iniziative sviluppate dalla Regione per valorizzare le produzioni locali, favorendo l’integrazione dei vari anelli delle filiere produttive, stilando disciplinari di produzione e assistendo gli agricoltori e gli allevatori per proteggere e implementare la qualità dei terreni, delle colture e delle produzioni zootecniche. L’Italia è il Paese con il maggior numero di produzioni alimentari certificate a livello europeo e l’Emilia-Romagna è la Regione che ne annovera di più, sia per numero sia per ritorno economico: su 259 DOP e IGP italiane, 42 sono emilianoromagnole. «Nel nostro territorio sono diffuse diverse tipologie di regimi di qualità certificata: DOP, IGP, STG, ma anche certificazioni per produzioni biologiche e per sistemi di qualità diffusi a livello nazionale come le produzioni integrate, quelle definite QC e altre ancora. Infine, si registrano
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diverse certificazioni volontarie di prodotto e di processo». Le prospettive future sono piuttosto chiare: si mira a raggiungere un sistema di qualificazione dell’intera filiera, che permetta di raggiungere un miglioramento delle caratteristiche del prodotto regionale e la sua posizione sul mercato. Costruendo in questo modo i legami all’interno della filiera è possibile valorizzare il prodotto regionale, migliorare le tecniche colturali e produttive e le caratteristiche igienico-sanitarie. Si otterrà così un reale ritorno economico che si distribuirà su tutti i componenti della filiera stessa, grazie anche alla concretizzatasi possibilità di ottenimento di fondi europei. Le sole DOP e IGP oggi danno un ritorno economico di 3.000 milioni di euro; la parte del leone la fanno le produzioni zootecniche: il parmigiano reggiano copre il 19% del totale e i prosciutti certificati l’11%. Altra grande prospettiva regionale è quella di sviluppare ulteriormente le produzioni biologiche, che costituiscono un altro pilastro fondamentale del sistema qualità. Ad oggi, l’Emilia-Romagna è la quinta regione italiana per produzione biologica, ma con poco meno di 47.000 imprese nel circuito dei prodotti biologici e una superficie agricola di circa 115.000 ettari (corrispondenti a circa il 10-11% della superficie agricola regionale) gioca sicuramente un ruolo importante a livello nazionale. In questo quadro territoriale di elevata e raffinata produzione è necessario operare con un sistema di controllo organizzato. «Serve un aiuto ai controlli ufficiali che può venire da un controllo operato da privati in grado di creare compartecipazione e responsabilizzazione dei produttori», ha affermato la Chiarini. Ad esempio la piattaforma informatica Agrinet, costruita dalla Regione Emilia-Romagna per controllare la presenza di aflatossine nel latte, funziona proprio affiancando ai controlli ufficiali quelli che l’allevatore porta avanti da sé: incrociando i dati provenienti dal monitoraggio del caseificio sul latte conferito e da quelli originatisi con
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interventi di autocontrollo inseriti dall’azienda zootecnica, per l’allevatore è possibile ricevere una preallerta e al tempo stesso è possibile per l’AUSL programmare meglio i controlli veterinari sul campo. «Per il futuro stiamo progettando di programmare e controllare la produzione lungo tutta un’intera filiera. Lo scopo degli interventi della Regione è infatti quello di accompagnare la realtà produttiva e di favorirne lo sviluppo, l’implementazione della qualità e di conseguenza del suo valore di mercato», ha concluso la Chiarini. Il piano nazionale degli alimenti per gli animali Dopo di che è stato il turno di FRANCESCO BONICELLI, dell’Area veterinaria del servizio Prevenzione collettiva e sanità pubblica della Direzione generale Cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna. Bonicelli ha illustrato l’attuale sistema di classificazione del rischio degli stabilimenti che producono mangimi o materie prime per mangimi. Periodicamente viene emesso il Piano Nazionale degli Alimenti per Animali (PNAA) che stila i parametri minimi di controllo da parte delle autorità competenti ed è composto da diversi allegati, molti dei quali sono composti da checklist che permettono all’ispettore di valutare tutti gli aspetti necessari per ottenere un giudizio completo sul sito ispezionato. La checklist permette di utilizzare criteri oggettivi e facilmente quantificabili in tutta Italia. Al termine dell’ispezione, quando tutto il foglio di calcolo della checklist è stato compilato dall’ispettore sulla base di quanto ha potuto vedere direttamente, il sistema elabora i punteggi raccolti ed emette il punteggio finale dell’azienda o del sito analizzato. I risultati sono espressi in valore numerico, che può rientrare in tre classi di rischio: basso (per risultati inferiori a 3); medio (per risultati compresi fra 3 e 4,2); alto (per risultati superiori a 4,2). «Questo sistema di classificazione del rischio è molto dettagliato: certamente
Francesco Bonicelli ha riferito che “in Italia la produzione di materie prime non riesce a coprire la domanda di mangimi, che si attesta sulle 14.286 migliaia di tonnellate all’anno”. Le coltivazioni sul territorio nazionale sono così distribuite: • 714.000 tonnellate di mais, • 648.000 delle quali sono coltivate nel Nord Italia; • 30.000 tonnellate di sorgo, di cui 26 al Nord; • 97.000 tonnellate di orzo, di cui 42 al Nord; • 26.000 tonnellate di avena, di cui solo 0,6 al Nord.
occupa molta parte dell’attività del veterinario ispettore ed è voluto così dal Ministero poiché i mangimifici sono considerati un’attività strategica per il controllo sulla qualità delle produzioni zootecniche e, di conseguenza, su tutto il settore agroalimentare». Per questo nel PNAA è definito che ciascun mangimificio o stabilimento in cui si producono e si lavorano materie prime per mangimifici sia visitato almeno una volta all’anno (frequenza minima) dai veterinari ispettori. Già oggi, poi, l’attività dei controllori ufficiali si correla e si interfaccia con gli altri eventuali sistemi di controllo a cui il mangimificio soggiace volontariamente. Ha parlato del PNAA anche CARMELO CICERO, dell’Ufficio VII della Direzione generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari del Ministero della Salute. Il Piano è lo strumento utilizzato per definire le azioni necessarie ad assicurare un elevato livello di salute animale — compresi gli animali da compagnia — per garantire la sicurezza
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alimentare dei prodotti di origine animale. Il Piano si basa soprattutto su quanto riportato nel Regolamento 882/2004 e nel Regolamento 173. Nella sua stesura sono coinvolti il Ministero della Salute, il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, l’Istituto Superiore di Sanità, gli IZS, i Centri di referenza, i Posti di ispezione frontalieri, i NAS, le Regioni e le Province Autonome e le Ausl. Ha valenza biennale, poiché deve essere sempre aggiornato in materia di normativa, nuovi rischi emergenti, allerte e letteratura scientifica. Il Piano comprende anche le indicazioni sui controlli ufficiali: definisce le frequenze ispettive minime presso le aziende produttrici di materie prime per mangimi e i mangimifici, come anche il numero minimo di campioni di mangime da prelevare. «I valori riportati nel Piano sono minimi e non riducibili», ha sottolineato Cicero. Entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, le Regioni devono presentare al
Ministero il loro Piano Regionale (PRAA). Il Piano viene applicato, attraverso verifiche ispettive mirate, su sospetti, ma anche per controlli di routine la cui frequenza è stabilita in base a valutazioni della classe di rischio di appartenenza di un’attività. Il report dei risultati è pubblico: sul sito del Ministero della Salute è reperibile quello relativo al 2014, mentre il report del 2015 è ancora in fase di stesura. Quanto all’ipotesi di possibile interazione fra controlli ufficiali e standard volontari, il Ministero non chiude affatto le porte alle certificazioni volontarie: “possono essere uno strumento per utilizzare meglio i fondi disponibili per i controlli, organizzarli, ma certo non per ridurre il numero di controlli ufficiali”. Anzi, il Ministero è favorevole a una collaborazione con l’attività di certificazione volontaria e vede la necessità della creazione di un tavolo di coordinamento. «È necessario modificare l’atteggiamento nei confronti delle aziende e l’autocontrollo: non deve più essere basato sul sospetto, ci devono essere reciproca fiducia, più trasparenza e più comunicazione», ha affermato Cicero. In quest’ottica potrebbe essere accettabile non sanzionare un’azienda che autodenuncia una propria non conformità. Infatti «le AUSL hanno il compito di spingere le aziende a lavorare sempre meglio: questo è l’atteggiamento che dobbiamo adottare nei controlli pubblici», ha affermato Cicero. Inoltre è necessario raggiungere la certezza e la qualità nei controlli effettuati, mentre anche la condivisione dei risultati è un buon obiettivo da conseguire. L’approccio che l’Italia vuole perseguire però è molto diverso da quello scelto dalla Gran Bretagna e Cicero ha spiegato anche il perché: «è possibile migliorare l’utilizzo delle risorse disponibili e riformulare di conseguenza il PNAA, ma certamente il personale dipendente delle AUSL è in grado e deve proseguire a eseguire le ispezioni sul territorio», ha concluso il dirigente ministeriale. Giulia Mauri
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Il ruolo della Regione Emilia-Romagna sulle produzioni di qualità del territorio ROBERTA CHIARINI, della Direzione generale Agricoltura, caccia e pesca della Regione Emilia-Romagna, durante l’incontro “Progetto sulle interazioni tra gli schemi di certificazione del settore privato e i controlli ufficiali nel settore dei mangimi e delle materie prime per mangimi” ha presentato i dati produttivi e qualitativi del territorio regionale, che è uno dei principali attori della produzione agricola: ecco perché l’approccio dell’Emilia-Romagna al sistema di certificazioni volontarie potrebbe porsi come modello per le altre regioni italiane. Quasi tutte le produzioni agroalimentari in eccellenza a clima continentale e mediterraneo sono presenti in Emilia-Romagna. Il territorio agricolo copre circa un milione di ettari, pari a più dell’8% del valore nazionale, mentre le aziende agricole sono 74.000: di queste molte hanno una dimensione maggiore rispetto alla media nazionale, mentre 25.000 sono microaziende che stanno subendo una contrazione numerica. Il valore economico delle produzioni agricole è di circa 360 milioni di euro, pari a più del 10% del PLV nazionale. Il 52% della produzione lorda vendibile è di origine zootecnica: l’Emilia-Romagna è la seconda produttrice di latte in Italia e il 90% di questo prodotto è destinato alla filiera del parmigiano reggiano; la produzione di suini si attesta nelle prime tre posizioni nazionali e rientra quasi interamente in circuiti tutelati. Il 33% della produzione lorda vendibile è ortofrutta e il 15% è cerealicola. In particolare, l’Emilia-Romagna è la prima produttrice in Italia di grano tenero e occupa una posizione di primo piano per la produzione di sorgo, destinato all’alimentazione zootecnica. Sul territorio nazionale sono strutturate filiere molto qualificate. «La filiera deve impegnarsi costruendo relazioni fra i soggetti del territorio e costituire pratiche positive per stringere alleanze costruttive e gestire la produzione di un prodotto di qualità». La Regione interviene per favorire questo sviluppo della filiera favorendo, ad esempio, i contrattiquadro fra le parti contraenti. «Il 100% del pomodoro raccolto in Emilia-Romagna è coltivato secondo il Disciplinare di produzione integrata e altre produzioni sono per la gran parte vincolate e tutelate da progetti di filiera a livello regionale, come i due terzi delle patate e circa un terzo del grano duro: quest’ultimo è seminato da agricoltori che hanno stretto un contratto con Barilla, che prevede anche la definizione di regole agronomiche e igienico-sanitarie». Vi è anche la promozione diretta di un marchio regionale per la produzione integrata: è il cosiddetto marchio QC, il cui Disciplinare è riportato nella Legge regionale 28/99. L’adesione al marchio comporta diversi vantaggi per l’agricoltore e il terreno: la coltivazione con una riduzione di sostanze chimiche utilizzate, il miglioramento delle condizioni agronomiche del suolo, la ricerca e l’assistenza tecnica in campo. Grazie all’innovazione e all’applicazione delle più recenti conoscenze agronomiche si è stimato che i campi coltivati aderendo la marchio QC ricevono il 30-35% in meno di concimi chimici (sostituiti dall’apporto di sostanza organica), comportano un minor inquinamento delle acque da azoto e fosforo, un ridotto utilizzo dei prodotti fitosanitari con caratteristiche di tossicità e un aumento di fertilità dei suoli che permane nel tempo. Sotto il marchio QC si annoverano oltre 100 colture, «quasi tutte quelle presenti sul nostro territorio». Gli assessorati regionali della sanità e dell’agricoltura collaborano strettamente, ad esempio con i protocolli di prevenzione delle micotossine nel mais, nei cereali e nel latte: questi documenti sono stati stilati in collaborazione dai due assessorati e prevedono azioni di controllo e di autocontrollo da parte dei produttori, compresa l’adozione di tecniche agronomiche con provata capacità di ridurre le infestazioni come la rotazione colturale. Giulia Mauri
L’Emilia-Romagna è la seconda produttrice di latte in Italia; il 90% del prodotto è destinato alla filiera del Parmigiano Reggiano.
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TECNOLOGIE
Gestire la peso-prezzatura e la preparazione ordini con il CSB-System
L’
industria alimentare immette da sempre sul mercato prodotti con un elevato valore aggiunto sia in termini di qualità che di servizio al cliente. Se poi si prendono in considerazione le ultime analisi del mercato, ci si accorge che il private label è un settore in continua crescita. Un indicatore interessante, questo, che evidenzia come il servizio al cliente e poi al consumatore finale siano sempre di più l’ago della bilancia nelle prospettive di posizionamento all’interno dei mercati di riferimento. Se a questo si aggiunge che per prudenza il cliente spinge sempre più verso un maggior fraziona-
mento e maggior frequenza negli ordini, si evince che diventa ancora più impegnativo mantenere un elevato livello di qualità e sicurezza dei prodotti offerti, con garanzia di consegna nei tempi stabiliti. Preparazione degli ordini clienti Nel processo logistico l’evasione ordini si inserisce pertanto come fase ideale per migliorare la soddisfazione del cliente e quindi anche la competitività dell’azienda. In questa fase, infatti, si accerta se l’azienda è stata in grado di gestire al meglio le specifiche richieste di ogni singolo cliente. La CSB-System offre da oltre 35 anni soluzioni gestionali ormai
consolidate nella pratica per la preparazione degli ordini e garantisce sempre ottimi livelli di efficienza sulle linee di peso-prezzatura, anche in aziende in cui il pacchetto clienti è largamente diversificato in termini di volumi, di richieste specifiche, di assortimento. La continua spinta innovativa della CSBSystem ha reso possibile collegare il gestionale ERP a qualsiasi linea di peso-prezzatura già presente in azienda, dalla più semplice alla più complessa (multitesta, collegata a sorter, palettizzatori automatici o magazzini automatici) con notevole risparmio per l’azienda sui tempi e sui costi di implementazione.
Linee di pesoprezzatrice con sorter per casse multiprodotto.
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Peso-prezzatura su misura con il CSB-System Il vantaggio reale però risiede nella gestione ampliata di queste macchine a livello di modalità di funzionamento. È infatti il CSB-System che amministra sistematicamente e centralmente le anagrafiche a bordo macchina, i layout di stampa personalizzati per cliente, l’eventuale etichettatura promozionale o neutra, i diversi impegni nel caso di linee multiple, i prezzi di vendita al pubblico, le modalità di funzionamento al fine di massimizzare le performance minimizzando i cambi articoli o gli allestimenti macchina (es. evasione per articolo e giro o per cliente). Un lavoro dunque sartoriale di parametrizzazione cucito a monte sull’azienda, per poter disporre poi di automatismi funzionali. Un unico sistema che interpreta contemporaneamente e in modo ottimale l’esigenza di ogni azienda di dover servire clienti piccoli, medi e grandi, in modo diverso l’uno dall’altro ma pur sempre in maniera efficiente e puntuale. Va inoltre sottolineata
l’elevata semplicità d’uso del sistema da parte dell’operatore, che bene si concilia anche con realtà aziendali di forte turnazione e ricambio degli addetti. In più, attraverso il controllo della produzione, è possibile verificare i risultati sulle linee di peso-prezzatura con il rilevamento di eventuali fermi macchina, dello stato di avanzamento del confezionamento e dell’ora prevista di fine lavoro. Con il CSB-System le varie tipologie di preparazione ordini, per cliente, per articolo, automatizzata, con Presa Mobile Dati ed altre varianti, vengono integrate agevolmente nel gestionale merci. Si è quindi di fronte ad una nuova concezione di peso-prezzatura, che consente di ottimizzare sempre le linee, indipendentemente dal volume e dalla composizione dei singoli ordini da evadere. Opzione 1: collegamento con linee di peso-prezzatura da fornitori terzi Nelle sue molteplici installazioni, la CSB-System ha collaborato con diversi produttori di linee e macchine certificate per la peso-prezzatura ed
è pertanto in grado di fornire sin da subito al cliente interfacce funzionali che consentano un controllo totale della linea, sia in termini di movimentazione che di anagrafiche macchina ed etichette. Va evidenziato che il CSB-System supporta e gestisce non solo tutte le tipologie di linea (singola o multitesta, con rullo o senza, con etichettatura standard, promozionale aggiuntiva e specifica per articolo-cliente) ma anche tutto quello che vi ruota intorno e che consente di raggiungere alti livelli di produttività sfruttando al massimo la capacità produttiva della macchina, vale dire la gestione dei processi e dei flussi aziendali, il raggruppamento degli ordini attivi del cliente, l’iscrizione della linea di peso-prezzatura all’interno del piano di manutenzione per ridurre i fermi macchina ed i guasti, la gestione della pesoprezzatrice come cespite in contabilità e relativo ammortamento, l’integrazione del suo valore nella contabilità industriale e quindi il calcolo dell’incidenza sul costo del prodotto e così via. I consulenti della CSB-System affiancano
Peso-prezzatura gestita con il CSB-System.
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La CSB-System offre una vasta gamma di soluzioni in grado di ottimizzare al meglio i flussi e i reparti funzionali. i progettisti dell’impianto nelle delicate fasi di analisi, progettazione e messa in opera del sistema al fine di ottenere soluzioni volte all’ottimizzazione degli spazi e delle esigenze del cliente: • Pesoprezzatrice alimentata da magazzino automatico per casse mono-prodotto — L’integrazione della linea di peso-prezzatura con il magazzino automatico accresce l’efficienza dei tempi di evasione ordini e l’operatività massima della linea, con medie molto alte di etichette stampate al minuto e con riduzioni al minimo dei tempi di attesa di rifornimento della linea. Il CSB-System ottimizza quindi il processo di peso-prezzatura permettendo un’etichettatura per articolo, ordine o giro a seconda delle quantità ordinate dal singolo cliente o punto vendita e dall’orario di carico o spedizione della merce; • Pesoprezzatrice alimentata da magazzino automatico con successivo sorter per casse multiprodotto — Il cliente ordina sempre più tardi e in quantità sempre più piccole. Per ottemperare a questa crescente richiesta del mercato, la CSB-System integra, di seguito alla linea di peso-prezzatura, dei sorter automatici che permettono alla linea stessa di mantenere alta la frequenza di etichette stampate al minuto e di suddividere successivamente ed automaticamente gli articoli peso-prezzati in casse diverse secondo l’ordine del singolo cliente o punto vendita.
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Opzione 2: linea di peso-prezzatura gestita dal CSB-System. Utilizzo facile e sicuro del Rack Multifunzione Componente importante della peso-prezzatura del CSB-System è il Rack Multifunzione grazie al quale la preparazione degli ordini diviene facile e razionale. Il Rack Multifunzione è stato appositamente sviluppato per svolgere su un’unica postazione di lavoro le molteplici funzioni che il processo di preparazione ordini richiede: la prezzatura (per cliente/articolo), l’etichettatura di magazzino, l’etichettatura delle confezioni, il rilevamento dell’uscita merci tramite pesatura o scanner. Si evitano così doppi investimenti dovuti all’acquisto di macchine dedicate ad una singola funzionalità. Con l’utilizzo inoltre dell’interfaccia grafica (M-ERP) anche tramite monitor touch, i processi di lavoro nella peso-prezzatura e nella preparazione degli ordini si avvantaggiano di un’ulteriore ottimizzazione; su richiesta del cliente è possibile infatti personalizzare i tasti per l’inserimento e/o visualizzazione dei dati. Tali tasti vengono azionati tramite un semplice tocco dello schermo evitando monotone ripetizioni di lunghe fasi di lavoro che portano via tempo e sono spesso fonte di errori a causa di doppi inserimenti. Riepilogando… Con l’utilizzo di componenti hardware standard, come bilance, scanner, etichettatrici, linee di pesoprezzatura e del CSB-System come software flessibile ed integrato, si potranno svolgere molteplici funzioni
dalla stessa postazione di lavoro: • peso-prezzatura; • rilevamento merci in entrata; • rilevamento merci in uscita; • etichettatura magazzino; • preparazione ordini; • produzione; • ecc… Grazie ad una gestione integrata il servizio al cliente è garantito, perché è possibile gestire al meglio le richieste dei clienti indipendentemente dall’unità minima di vendita dell’articolo, dalla quantità ordinata, dal tempo di ricevimento dell’ordine e dall’orario di partenza del giro camion. La CSB-System offre una vasta gamma di soluzioni in grado di affrontare i cambiamenti e ottimizzare al meglio i flussi e i reparti funzionali, pur servendosi di infrastrutture, macchinari e tecnologia già esistenti in azienda e senza quindi stravolgerne l’infrastruttura. Se la gestione aziendale migliora, migliora anche il servizio fornito al cliente, i costi si razionalizzano, le preoccupazioni diminuiscono e la competitività aziendale si allarga.
Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com
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PAVI M E NTI E R IVESTI M E NTI PE R L’I N DUSTR IA ALI M E NTAR E DAL 1962 24043 CARAVAGGIO (BG) ITALY via Leonardo da Vinci, 88 Tel.0363 50449/049 Fax 0363 350714 www.mombrini.it info@mombrini.it
Fast Blade, l’affilacoltelli professionale di nuova generazione Indispensabile per cuochi e macellai ed esperti nel taglio delle carni, è prodotto dall’azienda vicentina Menegon Ennio Sas per affilare in modo semplice e veloce coltelli in acciaio e in ceramica in una sola passata
P
raticità, sicurezza e semplicità. In genere, sono questi gli elementi principali che gli addetti del settore alimentare, e della carne in particolare, guardano quando devono acquistare macchine industriali per il trattamento e la lavorazione di materie prime e prodotti da destinare direttamente al consumo. Proprio per questo la
Menegon Ennio Sas, azienda della provincia di Vicenza esperta da 40 anni nella costruzione di stampi e impianti personalizzati, ha voluto realizzare una attrezzatura che le comprendesse tutte. È nata così tre anni fa Fast Blade, affilacoltelli professionale e di nuova generazione, ad uso e consumo di macellai, cuochi e esperti
nel taglio della carne, in grado di far ottenere una buona affilatura riducendo drasticamente i tempi di lavorazione. «Abbiamo puntato su qualità ed efficienza — racconta ad EUROCARNE POST il titolare ENNIO MENEGON — investendo sul made in Italy e dando il giusto valore al macchinario, brevettandolo a livello internazionale».
L’affilatrice professionale Fast Blade.
122
Eurocarni, 2/17
L’impianto permette di affilare sia i coltelli in acciaio che quelli in ceramica in una sola passata e la sua semplicità e sicurezza lo rendono facilmente utilizzabile anche da parte di persone che non sono del settore. «Ciò che differenzia Fast Blade dagli altri impianti in commercio — continua Menegon — è la possibilità di ottenere un angolo più o meno acuto del profilo della lama, in base agli usi del coltello. Grazie ad una ghiera centrale se ne possono ottenere di 30, 38, 45, 50 e 55 gradi. Il cuore della macchina è composto da dischi che sostengono tre nastrini abrasivi, differenti in grana e tipologia, e in pochi secondi è possibile sostituirli e poi continuare a lavorare in sicurezza». Nonostante la crisi economica che ha colpito anche questo settore negli ultimi anni, la parola d’ordine è crescita. «Ci auguriamo — dichiara il titolare dell’azienda vicentina — che si possa riprendere a lavorare a ritmi sostenuti. Abbiamo, infatti, già in cantiere altri due progetti che aspettano di
essere sviluppati in momenti migliori dal punto di vista economico: si tratta di un affilacoltelli a portata del privato, agevole per le case di tutti, e di uno più completo per i ristoratori, macellerie, gastronomie e supermercati, caratterizzato dalla presenza di un impianto di aspirazione per le polveri del coltello in fase di affilatura». Non solo. Tra i prossimi obiettivi dell’azienda c’è anche l’apertura a mercati stranieri. «Puntiamo molto sull’Italia — conclude Menegon — ma vogliamo far conoscere il marchio anche fuori dai nostri confini. Considerando, poi, che il prodotto è realizzato interamente nel nostro Paese con materiali locali, sarebbe anche una buona occasione per far conoscere la potenza e la professionalità del made in Italy». Menegon Ennio Sas Via G. Barbarigo 30 36060 S. Cuore di Romano d’Ezzelino (VI) Telefono: 0424 570 880 E-mail: info@fastblade.it Web: www.fastblade.it
STEF consolida la propria presenza nella Svizzera tedesca
Segaossa industriale
Disimpilatori vaschette
La prima pietra del nuovo sito logistico bi-temperatura a Kölliken di STEF — lo specialista europeo della logistica del freddo (–25 °C / +18 °C) — è stata posata venerdì 16 dicembre scorso. La messa in servizio è prevista per settembre 2017. Grazie alla propria posizione geografica strategica nel cuore della zona di produzione alimentare e del relativo bacino di consumo nella Svizzera tedesca, questo nuovo impianto consentirà a STEF di soddisfare le esigenze dei propri clienti svizzeri dell’industria agroalimentare e servire le piattaforme della Grande Distribuzione e dei grossisti in tutto il territorio elvetico. Il progetto del sito STEF di Kölliken si basa su un modello specifico che accomuna tutti i siti del Gruppo, volto a combinare prestazioni, rispetto delle tempistiche stabilite e le più moderne tecnologie in termini di produzione del freddo, di isolamento e di risparmio energetico. Realizzato su un lotto di 2,5 ettari, il sito ha una superficie totale di 8.500 m² ed è composto da due aree principali: la prima dedicata ai prodotti freschi (4.000 m² e 6.000 posti pallet), mentre la seconda ai prodotti surgelati (4.500 m², per 60.000 m3 e 12.000 posti pallet). Il sito offre la possibilità di un eventuale ampliamento, per la gestione di prodotti alimentari a temperatura ambiente. >> Link: www.stef.com
Eurocarni, 2/17
25030 POMPIANO (BS) Tel. +39 030 9460903 info@colombinisrl.it www.colombinisrl.it
STATISTICHE
Dati ANAS sulla suinicoltura Import-export suini vivi e carni suine nel periodo gennaio-settembre 2016
124
Eurocarni, 2/17
Import-export suini vivi e carni suine nel periodo gennaio-settembre 2016 % sulla quantità del 2015
% sul valore del 2015
41.563.009
32,7
28,3
1.385,483 27.984,132 1.100,110
3.601.551 35.277.008 2.684.450
5,0 37,9 –18,0
44,0 29,9 – 0,8
669.738,225
1.196.448.016
– 4,5
–5,2
421.741,647 103.437,228 21.140,887 7.807,781 9.535,703 106.074,979
679.086.057 183.404.240 45.710.815 14.135.583 26.023.659 248.087.662
–3,4 – 6,4 –20,5 –22,0 –15,5 0,1
–5,1 –5,5 –13,7 –23,4 –13,6 – 0,9
Carni congelate di cui – cosce – lombate – pancetta – spalle – mezzene – altre, miste
45.500,510
85.290.902
– 6,4
– 6,5
3.374,906 1.320,132 7.022,841 3.662,748 302,299 29.817,584
6.049.776 3.564.943 18.214.061 6.518.693 899.847 50.043.582
92,7 –9,1 44,3 12,7 17,4 –19,5
83,9 –11,0 64,0 7,0 –2,1 –24,0
Carni lavorate di cui – carni secche o affumicate di cui: pancette prosciutti con osso 1 prosciutti disossati 1 – carni salate o in salamoia di cui: prosciutti con osso pancette salate – salumi e insaccati di cui: non cotti 2 cotti 3 – preparazioni e conserve di cui: prosciutti e loro pezzi 4
41.234,005
147.987.616
–3,3
– 4,2
12.712,521 1.538,493 3.375,980 7.774,437 3.529,941 522,609 1.394,105 13.273,749 2.930,920 10.041,447 11.717,794 7.795,259
51.098.211 6.064.405 9.277.034 35.572.558 13.635.010 2.051.914 5.024.009 36.906.699 12.974.059 22.882.145 46.347.696 33.370.583
24,1 380,1 –18,0 34,7 –51,8 58,0 2,7 1,3 18,8 –3,0 –2,2 –5,9
11,5 352,6 –17,7 7,8 – 47,5 30,4 –2,7 – 0,4 10,3 – 6,2 1,6 – 0,9
10,941
41.073
–1,2
41,8
Lardo fresco/cong/salato/salam.
1.612,798
964.948
–24,6
–2,5
Grasso e strutto
9.206,667
3.363.488
31,1
49,1
Frattaglie suine
20.088,430
8.198.826
6,0
–2,2
117,946
30.959
–33,4
1,3
811.885,302
1.483.888.837
–3,2
– 4,4
Import Suini vivi di cui – inferiori a 50 kg – superiori a 50 kg – riproduttori Carni fresche di cui – cosce – mezzene – pancetta – spalle – lombate – altre, miste
Lardo secco/affumicato
Fegati suini Totale animali a peso morto e carni
Eurocarni, 2/17
Quantità (t)
Valore (euro)
30.469,725
125
Export Suini vivi di cui – inferiori a 50 kg – superiori a 50 kg – scrofe
Quantità (t)
Valore (euro)
% sulla quantità del 2015
% sul valore del 2015
422,924
340.319
–54,1
–53,2
0,000 0,000 423,000
0 0 338.219
— –100,0 –35,9
— –100,0 –35,3
Carni fresche di cui – cosce – mezzene – pancetta – spalle – lombate – altre, miste
21.470,149
50.674.103
23,8
15,7
3.284,400 3.320,223 2.209,743 1.752,618 582,365 10.320,800
9.550.363 4.715.018 5.915.517 1.922.772 2.326.321 26.244.112
11,5 – 4,6 40,7 48,9 10,4 34,9
–2,7 –3,5 7,9 118,2 6,6 27,8
Carni congelate di cui – cosce – lombate – pancetta – spalle – mezzene – altre, miste
41.040,290
81.516.212
64,6
41,8
1.714,090 2.178,178 4.179,950 472,401 1.127,332 31.368,339
2.504.790 5.244.421 13.241.976 758.602 1.123.145 58.643.278
102,3 114,6 21,1 138,4 123,3 65,8
35,7 93,9 26,7 134,6 128,7 40,7
128.594,019
989.518.791
9,7
4,9
56.231,868 3.397,393 48.836,584 3.855,111 48.594,905 21.608,181 26.569,185 22.118,672 17.455,912 1.648,574 381,365 822,341
556.396.981 17.538.030 508.544.153 28.469.123 301.998.484 205.306.260 92.591.735 116.354.444 99.497.943 14.768.882 3.024.326 8.772.219
6,7 14,9 5,1 23,0 7,1 11,3 4,2 24,8 18,5 9,4 20,8 9,4
2,4 6,1 1,3 20,6 6,5 8,7 2,5 12,8 11,6 15,1 24,6 12,2
130,500
809.085
–5,5
– 6,3
33.025,081
19.653.386
9,5
19,8
Grasso e strutto
5.104,869
3.253.820
17,6
44,1
Frattaglie suine
41.210,569
37.720.674
19,9
28,5
255,350
101.357
–22,6
24,2
271.169,166
1.183.587.747
18,1
8,2
Carni lavorate di cui – carni secche o affumicate di cui: prosciutti con osso 1 prosciutti disossati 1 pancette – salumi e insaccati di cui: non cotti 2 cotti 3 – preparazioni e conserve di cui: prosciutti e loro pezzi 4 – carni salate, in salamoia di cui: pancette salate prosciutti con osso Lardo secco/affumicato Lardo fresco/cong/salato/salam.
Fegati suini Totale animali a peso morto e carni
In linea di massima si intende: 1 2 3 prosciutti crudi e speck; salami e salsicce; mortadella e würstel; La differenza % è calcolata sullo stesso semestre dell’anno precedente.
4
prosciutti cotti.
Fonte: elaborazione ANAS su dati ISTAT.
126
Eurocarni, 2/17
Dati sulla classificazione delle carcasse suine nel 2016 Classe S
Classe E
Classe U
Classe R
Classe O
Classe P
Settimana L
L
H
L
H
L
H
L
H
L
H
1
162
1.173
20.824
772
65.763
274
30.436
100
4.854
23
250
2
157
1.358
26.140
992
75.715
322
32.311
53
4.803
107
227
3
193
1.327
22.030
1.032
76.207
348
31.530
103
3.996
39
128
4
161
1.190
20.482
797
68.101
323
27.918
90
3.361
31
109
5
206
1.357
21.766
966
76.799
351
32.504
104
3.938
29
195
6
108
1.139
19.563
1.026
70.162
349
30.479
76
4.094
31
214
7
153
914
19.919
1.084
78.790
369
39.593
85
6.137
24
302
8
146
1.160
21.611
1.346
82.768
395
35.013
113
4.478
41
207
9
152
1.430
19.964
1.107
82.289
424
36.367
97
4.914
23
217
10
144
1.250
21.353
1.080
81.164
444
36.612
137
5.046
42
308
11
162
1.331
23.592
1.179
82.225
451
36.891
110
4.483
26
204
12
157
1.158
16.912
1.170
74.203
297
31.383
109
3.907
32
151
13
144
1.020
15.880
1.028
64.502
369
30.866
85
4.482
22
210
14
146
1.128
20.630
1.092
74.798
333
32.888
93
4.468
28
232
15
156
1.219
21.877
1.177
86.929
431
35.289
83
4.318
20
204
16
137
1.039
15.826
1.064
72.357
369
34.200
96
5.423
27
331
17
98
658
12.663
767
52.475
245
20.994
55
2.829
8
130
18
129
971
18.803
1.078
76.528
510
34.826
102
4.508
41
228
19
175
1.146
21.133
1.111
78.228
460
36.627
115
4.913
22
279
20
187
1.254
21.454
1.176
79.103
431
37.830
108
4.973
40
229
21
196
1.076
20.317
1.121
82.676
493
37.785
132
4.756
44
280
22
158
1.138
19.308
935
69.800
340
32.647
104
4.675
31
261
23
144
1.253
21.609
982
75.804
372
32.938
88
4.530
27
250
24
140
952
20.294
930
71.613
448
33.865
119
4.431
28
211
25
197
1.127
21.097
1.026
73.593
444
35.635
131
5.450
33
273
26
147
1.092
19.223
1.175
67.756
511
34.514
128
5.332
34
259
27
173
1.193
18.582
1.220
69.661
418
32.849
101
4.739
35
292
28
200
1.133
20.983
1.234
74.842
407
33.199
104
4.575
32
276
29
168
1.087
17.567
1.299
67.661
613
34.133
119
5.062
28
354
30
285
1.203
20.890
1.210
68.868
530
33.242
138
4.627
44
241
31
208
1.269
21.555
1.317
80.911
680
42.507
185
6.026
53
320
32
297
1.422
22.795
1.906
85.065
715
40.914
193
6.005
53
337
33
191
900
15.171
1.378
55.754
542
27.676
128
4.275
47
299
34
211
1.071
16.921
1.275
63.869
634
30.935
169
4.281
60
268
35
231
1.202
18.052
1.306
62.734
666
27.646
124
4.077
43
259
36
221
1.177
21.642
1.455
80.155
709
35.047
149
5.033
33
347
37
251
1.351
20.844
1.619
77.461
794
39.980
160
5.944
45
370
38
184
1.255
18.262
1.512
69.600
693
38.447
128
5.606
49
305
39
176
1.282
20.141
1.274
64.288
548
32.415
150
5.219
73
210
Totale
6.851
45.405
777.675
45.218
2.861.217
18.052
1.320.931
4.464
184.568
1.448
9.767
Quota % su totale capi
0,13
0,86
14,74
0,86
54,23
0,34
25,04
0,08
3,50
0,03
0,19
(*) Media ponderata.
128
I dati sono suscettibili di aggiornamenti.
Eurocarni, 2/17
Totale capi L
Totale capi H
Totale capi
Peso medio totale
2.504
122.127
124.631
141,52
2.989
139.196
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Dati ANAS sulla classificazione delle carcasse suine nel 2016 Distribuzione % delle classi EUROP delle carcasse H settimane 1-39 del 2016
Distribuzione % delle classi SEUROP delle carcasse L settimane 1-39 del 2016
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Fonte: elaborazione ANAS su dati del MiPAAF.
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STORIA E CULTURA
Ragù: storia ed etimologia di una preparazione antica Il ragù è una delle più diffuse e discusse preparazioni a base di carne, proposto anche dall’industria alimentare di Giovanni Ballarini
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utti sanno, o almeno credono di sapere, che cosa sia il ragù, in modo particolare quello della propria terra o paese e, soprattutto, quello della propria mamma. Di ragù ve ne sono tanti, anche molto diversi tra loro, e quindi anche l’etimologia del termine non è ben chiara. Come dicono oggi i dizionari — ma dobbiamo fidarci? — ragù è una parola utilizzata per indicare un trito grossolano di carne, pesce o verdura (e ora, con l’aumento della richiesta di piatti vegetariani, anche di tofu o seitan) a pezzi, cotto per molte ore a fuoco basso, composto da numerosi ingredienti che variano a seconda delle regioni. Molti sono gli usi dei ragù, il più delle volte per condire diversi tipi di pasta (tagliatelle, lasagne, ecc…) anche ripiena (tortelli) e sformati (bomba di riso, ecc…). A volte il termine è usato, ritenendolo alcuni in modo improprio, come sinonimo generico di sugo o culì (il sugo era ottenuto filtrandolo attraverso una tela o salvietta, il culì era passato con un setaccio o un colino), soprattutto nell’Italia meridionale, dove è preparato con pezzi interi di carne o polpette e non con carne macinata come avviene, ad esempio, in Emilia, a Bari e in Sardegna. Etimologia e leggende metropolitane L’etimologia della parola ha le sue basi nel francese ragoût, sostantivo derivato da ragoûter, che significa “risvegliare l’appetito” (dizionario etimologico di CORTELLAZZO-ZOLLI),
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perché originariamente indicava piatti di carne stufata con abbondante condimento, che poi fu usato per accompagnare altre pietanze, in Italia, principalmente la pasta e il riso. Durante il periodo fascista, il regime volle italianizzare il termine, visto come non del tutto italiano e quindi non consono al vocabolario fascista, trasformandolo in ragutto, ma senza successo, riuscendo solo a produrre la parola ragù tuttora in uso. I ragù tradizionali della cucina italiana sono almeno tre: quello bolognese, il napoletano e il potentino, noto come ndrupp’c (intoppo o inciampo), tipico del capoluogo della Basilicata.
Il termine ragù è di uso relativamente antico e si trova ad esempio quasi due secoli fa nel Manuale del cuoco e del pasticciere di raffinato gusto moderno di VINCENZO AGNOLETTI (Pesaro, Tipografia Nobili, 1832). Nel tomo I, alle pagine dedicate ai ragù e salpicconi (con carne intera), Agnoletti, che a Parma era stato cuoco di Maria Luigia, avverte che “questo nome francese di ragù, altro non significa che della carne o erbe cotte con sostanza tanto al rosso che al bianco, e questi servono o per magiari per un piatto, ovvero per guarnizione e ripieno di altare vivande. I ragù crudi poi servono sempre per ripieno”. Scorrendo i tre tomi dell’opera, il ragù lo si trova
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Ricetta “attualizzata” del Ragù alla bolognese, depositata nel 1982 dalla delegazione bolognese dell’Accademia italiana della cucina presso la Camera di Commercio di Bologna e adatto per condire le classiche tagliatelle alla bolognese. È un po’ troppo ricco invece per altre preparazioni (lasagne, cannelloni). Ingredienti per 6 persone Polpa di manzo (cartella o pancia o fesone di spalla o fusello) macinata grossa g 300 • Pancetta di maiale g 150 • 1 carota • 1 costa di sedano • Cipolla g 50 • Passata di pomodoro o pelati g 400 • 1 bicchiere di vino (bianco o rosso) • Poco brodo o latte • ½ bicchiere di panna liquida • Olio d’oliva o burro • Sale e pepe Esecuzione Sciogliere, in un tegame possibilmente di terracotta o di alluminio spesso, la pancetta tagliata prima a dadini e poi tritata fine. Unire poi 3 cucchiai d’olio o 50 g di burro, gli odori tritati fini e far rosolare dolcemente. Unire la carne e mescolare bene facendola “sfrigolare”. Bagnare con il vino e mescolare delicatamente sino a quando non sarà completamente evaporato. Unire la passata o i pelati, coprire e far sobbollire lentamente per circa 2 ore aggiungendo, quando occorre, brodo o latte. Aggiustare di sale e pepe. Alla fine, quando il ragù è pronto, aggiungere la panna.
in molte preparazioni e tra queste anche nei timballi di riso, oggi noti come bombe di riso, e in alcune ricette di maccaroni, ma non in quelli alla napoletana! Esistono preparazioni dette al ragù (involti grossi o piccoli di carne al ragù, braciole al ragù, ecc…), realizzate con una fetta di carne disposta attorno ad elementi aromatici, che appartengono di solito alla tradizione delle regioni meridionali. In ogni caso di tutti i tipi di ragù possiamo diverse varianti in ogni area del nostro Paese. Gusto, ma quale gusto? Se sull’origine del termine ragù c’è un sostanziale accordo, subito dopo iniziano i dubbi se non le discordie. Nessun problema per goût, gusto — ma quale gusto? — considerando che ragoûtant significa poco appetitoso e, anche, disgustante, e qui può inserirsi quella che non è altro che una leggenda metropolitana secondo la quale il ragù non sarebbe altro che rat au goût de boeuf. Secondo questa leggenda, che va contro ogni conoscenza storica di un termine noto e usato fin dal milletrecento, durante l’assedio di Parigi del 1870, o durante l’insurrezione popolare
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del 1871 che costringe il governo Thiers a riparare a Versailles (una duplice origine è già molto problematica…), finiti pollame, conigli, ovini, i pochi manzi portati in città, tutti i cavalli e gli animali dello zoo, cacciati e mangiati cani e gatti, non rimanevano che topi e grandi ratti. Da qui il ratto cucinato come se fosse manzo… Nient’altro, però, che una leggenda metropolitana, che per un altro verso ebbe un risvolto positivo, perché dopo il 1870 in Italia si diffuse l’uso di mangiare il cavallo su quanto avvenuto — questo sì vero — a Parigi durante l’assedio prussiano e forse i moti insurrezionali della Comune. Poesia del ragù napoletano Di speciale fama è la versione del ragù cantata da EDUARDO DE FILIPPO in Sabato, domenica e lunedì e descritta da GIUSEPPE MAROTTA ne L’oro di Napoli, ricetta dall’interminabile cottura usata come condimento alla pasta o come secondo piatto. Fin dalle primissime ore del mattino un tenero vapore si congeda dai tegami di terracotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili essenze il rametto di basilico appena
colto sul davanzale. Così inizia il poemetto in prosa che Don Peppino dedica all’impareggiabile salsa con la quale a Napoli si condisce il vero cuore del convivio: la pasta. Perché il risultato sia perfetto e non soltanto una comune carne col pomodoro, durante le varie fasi della cottura il ragù non deve mai essere abbandonato, perché un ragù negletto cessa di essere un ragù e anzi perde ogni possibilità di diventarlo. Scelto con cura il pezzo di carne, né magro né grasso, alla base della ricetta, lo si mette nel tegame sorvegliando la rosolatura e poi spalmando a scientifici intervalli strati di conserva di pomodoro. Entrano quindi in gioco il fuoco e il cucchiaio: lentissimo il primo, sensibile il secondo a capire il momento in cui intervenire. La lunghissima cottura necessaria alla ricetta reclama, come scritto, una continua e vigile sorveglianza, e per questo si diceva che i migliori ragù fossero quelli dei portieri, cioè i portinai, che dalla guardiola svolgevano la doppia funzione di controllo della casa e della cucina dove sobbolliva, anzi pipiava, il ragù. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma
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Il consumo di carne nella storia di Dario Cianci
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li archeologi ci dicono che l’Uomo è nato onnivoro ma è diventato carnivoro, e lo è rimasto per milioni di anni, quando nelle ultime fasi del Paleolitico (30.000÷10.000 anni a.C.) si è accresciuta la sua dipendenza dai prodotti di origine animale perché aveva come cibo soprattutto selvaggina accompagnata da frutti o radici del proprio ambiente di vita. Ciò è testimoniato dai rapporti tra gli isotopi del carbonio e dell’azoto nel collagene delle ossa e della dentina e nell’idrossiapatite dello smalto dentale di uomini di Neanderthal (~24.000 anni a.C.), simili a quelli di carnivori con il 90% di carne nella dieta (RICHARDS, 2002). In quelle epoche l’uomo “raccoglitore” si procurava alimenti di origine animale con la raccolta selvatica; solo più tardi introdusse più efficaci strumenti di cattura (caccia e pesca) che, fino al Neolitico, rimasero le uniche forme di approvvigionamento di prodotti animali. Pitture murali del 13º secolo a.C. testimoniano l’inizio della rivoluzione agricola, con la dome-
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sticazione e l’allevamento, evolutosi poi, nei secoli, dal nomadismo al transumante, allo stanziale brado, fino agli odierni intensivo e intensivo senza terra, con espansione delle specie a ciclo rapido e miglior rendimento nella trasformazione degli alimenti (suini, polli, oche). Nel 9000 a.C. il passaggio da Mesolitico a Neolitico avviò profonde modifiche nell’alimentazione degli ominidi dovute all’introduzione dei prodotti agricoli. Oggi sappiamo che il consumo di alimenti di origine animale è stato fondamentale per l’evoluzione encefalica degli ominidi (oggi dei bambini); alcuni studiosi affermano che gli ominidi, come molti primati, si siano evoluti da erbivori a onnivori conservando la funzione intestinale per la fermentazione della cellulosa. Altri ritengono che l’uomo, per milioni di anni, sia stato principalmente carnivoro e forse consumasse anche più carne di quanta se ne consumi oggi, ma, all’inverso di oggi, povera di acidi grassi saturi e ricca di acidi grassi insaturi (per il sistema di allevamento brado, come
oggi le razze autoctone). La disponibilità degli acidi grassi polinsaturi a catena lunga, presenti soprattutto nelle carni, ha giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione umana contribuendo a un rapido sviluppo dell’encefalo degli ominidi dai circa 600 cc dal genere Australopithecus attraverso l’homo erectus (~1,8 milioni di anni fa) e l’homo abilis (~2 milioni di anni fa) ai 1.350 dell’homo sapiens sapiens. Il regime alimentare dell’homo erectus sembrerebbe essere stato più ricco di carne rispetto a quello degli Australopitechi, come testimoniato dal rinvenimento di strumenti con bordi taglienti utilizzati per lacerare la pelle degli animali (ARJAMAA e VUORISALO, 2010; MATASSINO et al., 2010). L’importanza della carne nell’evoluzione umana non è una sorpresa. G. ROTILIO osserva che il consumo di carne e di pesce è stato di fondamentale importanza nello sviluppo cerebrale del genere homo. L’evoluzione del cervello (7 volte quello di un mammifero e 3 volte quello di un primate di pari peso) e il maggior numero di neuroni
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La disponibilità degli acidi grassi polinsaturi a catena lunga, presenti soprattutto nelle carni, ha giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione umana contribuendo a un rapido sviluppo dell’encefalo degli ominidi (photo © Jrme Romm – Fotolia). dell’homo erectus rispetto agli altri primati (gorilla e scimpanzè) sarebbe dovuta alla dieta di carni, pesce e uova ricchi di fosfolipidi (che costituiscono il 60% del cervello). L’uomo ha legato le proprie esigenze nutrizionali e abitudini alimentari alle disponibilità di cibi di origine vegetale e animale del proprio biosistema naturale, del quale è stato parte integrante, e ne ha subito i condizionamenti che hanno determinato i tipi metabolici e differenziato le popolazioni umane che, evolutesi in climi diversi, hanno perciò specifiche attività metaboliche (per le nostre latitudini: sub-sahariani, sahariani e nord-africani, europei mediterranei, centro-europei, scandinavi, lapponi). Nell’antica cultura mediterranea il ruolo della carne era già molto importante, anche se i Greci accettavano il pesce mentre la carne era considerata un alimento poco nobile. Nell’antico Egitto erano invece consumate le carni di maia-
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le, ma anche di bovino e di ovino, nonché di volatili selvatici (oche, anatre, piccioni). Anche i Romani curavano l’allevamento dei maiali ereditato dagli Etruschi e avevano un’alimentazione più equilibrata dei Greci. Nei secoli successivi, fino alla metà del XX secolo, il consumo di carne era uno status symbol, privilegio dei ricchi; ai più poveri era lasciate le frattaglie e solo nei giorni di festa i più fortunati potevano disporre di carne di piccoli animali (maiale, pecora, capra, pollame). Anche le religioni e i filosofi danno suggerimenti sugli alimenti e sull’alimentazione; sia la Bibbia che il Corano pongono precetti limitativi. La medicina indiana Ayurveda (conoscenza della vita) dice da sempre (come FEUERBACH nel 1800) che l’uomo è ciò che mangia, perché il cibo influisce sul corpo e sulla mente modificandone il carattere. IPPOCRATE DI COO (460÷370 a.C.) raccomandava “fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”, e dava consigli sull’uso delle carni:
carni di capra ai saltatori, di toro a chi praticava la corsa, di maiale a lottatori e gladiatori. E RHAZÈS, nel IX sec., consigliava: “quando potete guarire con la dieta, non prescrivete altri rimedi”. Oggi la carne è rimasta un elemento importante nell’alimentazione ed alcuni movimenti di pensiero, indicati come vegetariani, cercano di far rinunciare all’uomo la propensione ad essere onnivoro. Purtroppo non si possono eliminare le nostre esigenze sviluppatesi con l’evoluzione. Ma dal punto vista etico, che il consumo di carne sia stato significativo per lo sviluppo del cervello umano non fa alcuna differenza per il vegano, che intende evitare inutili sofferenze all’animale e che, anche se un comportamento ha avuto conseguenze positive sul nostro passato evolutivo, non ammette la sua validità dal punto di vista etico. Dario Cianci (Fonte: Accademia dei Georgofili www.georgofili.info)
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Carne di cavallo: da carne esausta a carne di eccellenza di Pier Giovanni Bracchi
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el dicembre scorso, la città di Parma è stata proclamata dall’UNESCO Città creativa per la gastronomia, prima in Italia ad ottenere il riconoscimento. Il Parmigiano-Reggiano, il Prosciutto di Parma, il Culatello di Zibello, il Salame di Felino, il Fungo di Borgotaro sono solo alcune delle eccellenze che può vantare Parma, col suo territorio e le sue tradizioni culinarie. Non è quindi un caso se, qualche tempo fa, si è tenuto proprio in città un convegno (Carni equine, una storia di tradizione e successo)dedicato ad un alimento troppo spesso maltrattato, ma pilastro di quelle stesse tradizioni e che possiamo annoverare tra le più antiche: i parmigiani, infatti, mangiano cavallo dal 1873, anche se la prima
macelleria equina, quella di via Farnese per intenderci, risale al 1881. In questa “bottega”, che ha chiuso i battenti alcuni anni fa, anticamente, ai lati della porta di entrata, venivano appesi al muro, servendosi di due salviette bianche, i tagli di carne che un barroccio portava a destinazione, mentre una bella testa di purosangue, in muratura, campeggiava (e lo fa tuttora) sulla porta. Curiosità: le macellerie equine sul finire del XIX secolo Le carni equine in passato provenivano da animali anziani, a fine carriera, stremati dalle fatiche. Dure e poco sicure, per la loro vendita erano state aperte beccherie riservate perché non fossero contrabbandate ovvero vendute facendole passare
per carni rosse di altri animali; quando dal macello comunale arrivavano le mezzene di cavallo, queste venivano appoggiate in bella mostra, come propaganda, su due lenzuola ai lati della bottega. La beccheria era, inoltre, identificata — per i non rari analfabeti, che nel 1861, data di inizio del nuovo Regno, raggiungevano circa il 75% sul territorio nazionale — con una testa di cavallo in terracotta posta sopra l’entrata. In questo periodo, le classi meno abbienti, come i braccianti e gli operai urbani, avevano un’alimentazione povera, scadente, insufficiente a soddisfare i bisogni nutrizionali. La carne appariva sulle tavole soltanto qualche volta durante l’anno; con l’istituzione della cosiddetta “bassa
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macelleria”, i poveri potevano quindi cibarsene, anche se era carne di pessima qualità, in quanto proveniente da cavalli vecchi utilizzati sino allo sfinimento nei trasporti urbani. Ed è proprio per i motivi sopra esposti che il Regolamento per la vigilanza sanitaria delle carni vietava la vendita delle carni equine e di altre specie animali in un unico esercizio, in ottemperanza del RD del 20/12/1928. È ancora vivo in me il ricordo, all’epoca poco più che ragazzino, di un signore, una sorta di banditore comunale, che girava per le vie del paese e dopo tre squilli di tromba gridava a gran voce: “carne in macello!”. La popolazione veniva così avvertita che si poteva acquistare carne a basso prezzo proveniente da animali macellati sia a fine carriera che soppressi per incidenti o malattie. L’usanza scomparve all’inizio degli anni ‘60; nella seconda metà del XX secolo i consumi di carne pro capite erano quasi raddoppiati, preludio alimentare al più ben noto boom economico. Non bisogna dimenticare che anche per il cavallo le cose stavano mutando, nel senso che veniva meno il loro faticoso ed estenuante impiego come mezzo di lavoro e di trasporto. I cavalli destinati al macello sono ora in buone ed ottime condizioni di salute e spesso giovani o puledri. E così la nuova carne equina, di animali giovani e sani, che non richiede lunghe cotture, inizia sempre più ad essere mangiata come bistecca al “sangue” o cruda, e il ben noto “pesto” di cavallo diventa un classico che, settimanalmente, di solito il sabato, approda sulle tavole del “parmigiano ippofago”. Ma c’è un fatto ancora più curioso: il cavallo pesto è adesso richiestissimo dai giovani e giovanissimi parmigiani. Paninoteche, bar e ristoranti lo propongono attraverso panini, tartine, stuzzichini, secondi piatti, insomma una sorta di nuovo trend che si inserisce tra le culture del burger americano e del sushi giapponese. E pensare che in passato questa carne macinata rappresentava la prima colazione antelucana dei facchini, degli spaz-
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Panino farcito con carne di cavallo (photo © www.braciamiancora.com). zini, dei manovali e di tutti quei lavoratori che si sottoponevano a faticose levatacce, mentre questo tipo di alimento veniva snobbato, per non dire evitato, dalla borghesia. Il motivo della sopravvivenza di questa carne in questa città lo si deve soprattutto alla serietà ed alla competenza dei macellai di carne equina; proprio alcuni anni fa è sorta l’Associazione per la Tutela del Cavallo Pesto, che, guidata dal suo presidente, FABIO FERRARONI, terza generazione di una famiglia di macellai, si è prefissa lo scopo di tutelare piatti tipici disciplinandone la produzione per tutti gli operatori, soprattutto sulla base delle ricette storiche. Tra queste, non si può tralasciare la classica vecia pramzana, i cui ingredienti di base prevedono proprio il cavallo macinato. Il cavàl pisst — correttamente scritto nella dizione dialettale riportata dal Vocabolario Italiano-Parmigiano di GUGLIELMO CAPACCHI, preparato mediante tre, massimo quatto passaggi nel tritacarne con piastra forata numero 6 — fa parte dei piatti tipici della nostra regione. Non bisogna poi dimenticare che tra Parma e provincia sono presenti una trentina di macellerie equine che offrono carne di prima qualità. Tipicità e storicità di un prodotto Il convegno citato è stata l’occasione per parlare degli aspetti storici, culturali, nutrizionali delle carni
equine, senza tralasciare la sicurezza alimentare e le criticità legislative, ponendo l’attenzione su una filiera che in realtà è fatta di rigorose regole e particolari accorgimenti sia per gli alimenti sia per la macellazione. Da un punto di vista nutrizionale, il consumo di carne di cavallo comporta un’ingestione equilibrata in termini di apporto di acidi grassi, dal momento che i tre principali gruppi funzionali, saturi, monoinsaturi e polinsaturi, sono egualmente rappresentati; inoltre, si è sottolineato in diversi interventi, un consumo moderato di carne di cavallo può contribuire a migliorare lo stato del ferro e a modulare alcune variabili della serie Omega-3 legate ad un eventuale stress ossidativo. In definitiva, questo incontro ha stigmatizzato che, oltre alla sicurezza e alla qualità, anche nutrizionale, ciò che distingue questa carne è la tipicità e la storicità; nel contesto italiano quando si connota un alimento con un territorio gli si conferisce un’identità maggiore e il legame territoriale consente di comunicarne il suo valore aggiunto. Cavàl pisst, dunque, paradigma di una parmigianità che meriterebbe maggiori riconoscimenti nei luoghi della “creatività gastronomica”, dal momento che vecchie tradizioni, possono diventare cibi cult per le nuove generazioni. Pier Giovanni Bracchi
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AVVISO D’ASTA
Frigomacello – Mirto (ME) Si comunica che in data 11/4/2017 alle ore 10:30 presso il Tribunale di Patti – Aula d’udienza (procedura esecutiva immobiliare n. 90/2015 R.G.E. - Professionista delegato Avv. Barbara Schepis) si terrà la vendita senza incanto del seguente bene: piena proprietà per la quota di 1000/1000 di un laboratorio industriale per la macellazione e la lavorazione delle carni (Frigomacello) sito in Mirto (ME), frazione Cammà, posta al piano terra, costituito da: • un capannone industriale destinato a macellazione e lavorazione carni, deposito, locale celle frigorifere, locale centrale termica e locale centrale frigorifera; • stalle di sosta per bovini, ovicaprini e suini; • tettoie destinate a stalle di sosta per bovini, ovicaprini e suini (abusive); • deposito in struttura metallica (abusivo); • impianto di depurazione; locale cabina elettrica; • area lavaggio automezzi; • area carico carni; • area parcheggio; • area a verde; • superficie commerciale complessiva m2 13.490. L’immobile in atto è occupato da terzi in forza di contratto di affitto di ramo d’azienda che dovrà ritenersi sciolto e privo di effetto al momento in cui l’immobile sarà venduto all’asta, con un preavviso di 15 giorni. Per l’intero insediamento industriale non risulta rilasciata l’agibilità e sussistono talune difformità edilizie indicate nella perizia di stima in atti. Prezzo base d’asta: € 900.900,00 (oltre IVA se dovuta); offerta minima: € 675.675,00 (oltre IVA se dovuta). Le offerte di acquisto, unitamente alla cauzione pari al 10% del prezzo offerto, dovranno essere presentate in busta chiusa presso la Cancelleria Esecuzioni Immobiliari del Tribunale di Patti entro le ore 13:00 del giorno che precede la data della vendita. Per maggiori informazioni in ordine alle modalità di presentazione delle offerte, alle condizioni generali della vendita, allo stato dell’immobile, per la visione della perizia di stima e per eventuali visite è possibile contattare il professionista delegato Avv. Barbara Schepis ai numeri: 0941 561448 - 347 3480850
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Eurocarni, 2/17
AVVISO D’ASTA
Attrezzature ed impianti di frigomacello Si comunica che in data 11/4/2017 alle ore 10:30 presso il Tribunale di Patti – Aula d’udienza (Professionista delegato Avv. Barbara Schepis), per delega del Tribunale Fallimentare di Messina – Fall. n. 6/2014 si terrà la vendita senza incanto dei seguenti beni in blocco costituenti attrezzature ed impianti di FRIGOMACELLO: 1. impianto elettrico quadri; 2. impianto idrico con addolcitore e centrale vapore; 3. impianto industriale GPL ed incenerimento; 4. impianto ad aria compressa; 5. impianto per celle refrigerazione carni; 6. linea di macellazione bovini; 7. linea di macellazione suini; 8. linea di macellazione ovini-caprini; 9. sistema di pesatura; 10. sistemi di ausilio per il ciclo di lavorazione; 11. guidovia; 12. attrezzatura varie. Prezzo base d’asta: € 191.213,92 (oltre IVA); offerta minima: € 143.410,44 (oltre IVA). Le offerte di acquisto, unitamente alla cauzione pari al 10% del prezzo offerto, dovranno essere presentate in busta chiusa presso lo studio del professionista delegato, sito in Brolo (ME), Via Libertà 66, entro le ore 13:00 del giorno che precede la data della vendita. Per maggiori informazioni in ordine alle modalità di presentazione delle offerte, alle condizioni generali della vendita, allo stato delle attrezzature, per la visione della perizia di stima e per eventuali visite è possibile contattare il professionista delegato Avv. Barbara Schepis ai numeri: 0941 561448 - 347 3480850
Eurocarni, 2/17
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Una Storia di Famiglia
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Grazie ad una eccezionale marezzatura, al grading separato di prime, choice e select, il manzo Black Angus Beef si distingue per altissima qualità, sapore unico e tenerezza a prova di forchetta!
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MAREZZATURA SUPERIORE
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DIETA A BASE DI MAIS I bovini selezionati per il programma Black Angus Beef sono alimentati per almeno gli ultimi 120 giorni con una dieta specifica e bilanciata a base di mais di altissima qualità.
COMPLETA TRACCIABILITA' Con il Biologic Food Safety System ® e con un completo sistema di tracciabilità, siamo in grado di risalire ad ogni singolo capo, dalla stalla al vostro piatto.
NO ORMONI Tutti i bovini scelti per il programma Black Angus Beef non sono mai soggetti ad alcuna somministrazione di ormoni nè di agenti promotori della crescita, e provengono solo da programmi NHTC (non-hormone treated cattle).
UN'AZIENDA LEADER Nel Gruppo Quabas siamo impegnati fin dagli anni '70 nel commercio di carni della migliore qualità; importiamo direttamente manzo fresco e congelato, pollame congelato, agnello congelato, suino e selvaggina congelati dal Sud America, Nord America, Australia, Nuova Zelanda, Tailandia, dall'Europa e non solo.
Il manzo refrigerato
è distribuito in esclusiva per l’Italia da:
Black Angus Premium Farms S.r.L. Via Mascherpa 12 • 29010 Castelvetro P.no (PC) • Italia • Tel. +39 0523 257100 • Fax +39 0523 257139 • info@quabas.it